– Quando se ne sono andati, uno alla volta, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Giorgio Gaber, Vittorio Gassman e Nino Manfredi, la generazione di mio padre ha capito che la vecchiaia era arrivata e con essa cominciavano a salutare gli amici più cari e più intimi. Con Lucio Dalla inizia una nuova generazione che saluta, quella che aveva caratterizzato gli anni 60 e 70. Ma non è questo il motivo della reazione incredibile, immensa, che la morte di Lucio Dalla ha suscitato. Con Dalla muore un artista che era ancora molto presente in TV e quindi trasversale a diverse generazioni. Questo è un segnale che va colto da chi si occupa di cultura. Mentre scrivo Bruno Vespa fà una trasmissione oscena sul musicista bolognese. Tanta gente piange, anche ragazzini. Certo, Dalla canta cose più semplici di Gaber. Tutti ricordano Caruso e pochi conoscono Nuvolari. La destra omette la sua omosessualità, lo ingloba come figlio del nord, addirittura. Personalmente vedo, più che Dalla, il fatto che artisti credibili ce ne sono sempre meno. Al concerto di Francesco Guccini, che di anni ne ha almeno 70, al Palalottomatica a Roma, ho capito che questa che or ora comincia ad andarsene non è “una” generazione, ma in un certo qual modo “l’ultima” generazione. Spariti loro: Guccini, Degregori, Conte e pochi altri, resteranno solo Pieraccioni e i coglioni del Grande Fratello. Se stasera piango, allora, non è per un ottimo musicista che alla fine della carriera ha fatto un paio di cose che si sarebbe forse potuto risparmiare e che è morto come vorremmo morire tutti, dopo l’ultimo grande concerto. Piango per il vuoto di un’Italia che, in 20 anni, ha ammazzato la cultura, e non ha quasi più nessuno per cui valga la pena di ridere e soffrire.

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