– La decisione sull’annullamento del Processo Dell’Utri mi riempie una volta di più di sconforto. In un momento del genere è difficile mantenere la mente fredda. Quest’uomo viene processato per fatti che sarebbero avvenuti a cavallo fra gli anni 80 e 90, oggi siamo nel 2012. Ricominciando il procedimento, per bene che vada si avrà una sentenza nel 2015, ovvero 25 anni dopo, 25 anni di inchieste e processi. Naturalmente non so se Marcello Dell’Utri sia innocente o colpevole, anzi: sono fermamente convinto del fatto che non lo sapremo mai, perché da oltre 35 anni (gli anni in cui mi sono interessato di queste cose) le sentenze dei tribunali italiani sono come un gioco a dadi, può andarti bene o male, ma è sempre del tutto causale e non c’è quasi mai attinenza fra il giudizio e la realtà. Non facciamo i furbetti, però. Naturalmente Dell’Utri ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per ritardare il giudizio e volgerlo a suo favore, potendo contare su un governo Berlusconi che in corso d’opera ha cambiato le leggi per proteggere se stesso ed i propri accoliti, ma che i governi Prodi e D’Alema non hanno abrogato – anzi usano anche loro, come nel caso Unipol o nel caso Lusi. Quindi non buttiamola in caciara con le Toghe Rosse e l’influenza sotterranea del Nano e/o del Gobbo. Qui siamo di fronte ad un altro problema. I magistrati italiani, molti, moltissimi, la stragrande maggioranza, non sa fare il proprio mestiere. Più volte, per motivi professionali, mi trovo a lavorare con richieste di rinvio a giudizio, ordini d’arresto o sentenze inglesi, tedesche, svizzere, francesi, olandesi, persino russe. Si capisce tutto in 25 pagine, anche i casi più complessi. Viene tutto spiegato in modo estremamente schematico. Asserzione, prova. Asserzione, prova. Asserzione, prova. Conclusione. In Italia si preparano documenti di oltre 2500 pagine nelle quali non si capisce nulla, si vede solo che c’è una grande densità di schifezze, ma non c’è nessuna frase risolutiva. Tranne in casi eccezionali, come nel Maxiprocesso di Falcone, nei processi di Piscitelli a Napoli, Mapelli a Monza, (ai suoi tempi) Dall’Osso a Milano, Saraceni e Galasso a Roma, pochissimi altri. Quando in Italia leggi un documento scritto da un magistrato, alla fine devi compiere un atto di fede o fare una controinchiesta. A me non pare fondamentale compiere una riforma dei processi. Mi pare sufficiente cacciare via tutti e ricominciare da capo, facendo come si fà nel mondo germanofono. A scuola bisogna dimostrare di parlare e scrivere in italiano (molti magistrati e funzionari di polizia che redigono atti processuali sono al limite dell’analfabetismo), poi bisogna insegnare loro come si scrive una richiesta di rinvio a giudizio, una richiesta d’arresto, una sentenza etc etc. Chi non è capace faccia altro. Il crollo della giustizia è un peso insostenibile non solo per la democrazia, ma per il funzionamento dell’economia. Chi investe in Italia sa che qui può succedere veramente di tutto, e che un procedimento, per incapacità degli addetti, passi 25 anni nel tritacarne dei Tribunali prima di sputare una polpetta che, prima ancora che avvelenata, é andata a male. Se fossimo un paese civile, stamattina, con tante scuse, Marcello Dell’Utri, sia che si tratti di un mafioso, sia che si tratti di un innocente, andrebbe liberato di ogni accusa e con tante scuse. I magistrati che hanno compiuto questo casino andrebbero licenziati. Persino nel mondo bacato del calcio nessuno li farebbe più scendere in campo: procuratori, responsabili delle indagini, giudici. Tutti a casa.

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