– L’esperienza di LeAli alla Sicilia ci ha mostrato la strada giusta, l’unica possibile. Le elezioni Comunali di Roma del 2013 porranno i laici di fronte ad un bivio: esserci o scomparire. Scegliere la strada giusta sarà duro. Bisognerà dimostrare di aver appreso alcune severe lezioni della Storia, prima fra tutte quella che Ugo La Malfa ha insegnato in tutta la sua vita: un risultato pesantemente minoritario ottenuto praticando la linea politica giusta non è una sconfitta, ma una testimonianza necessaria e fondamentale. In questo momento i laici, come tutti coloro che si ritengono di sinistra, devono disimparare ciò che negli ultimi 20 anni li ha avvelenati: la questione delle alleanze come chiave di volta delle scelte, l’obiettivo dell’elezione di questo o quel rappresentante come obiettivo politico. Questo modo di pensare ha cancellato il progressisimo dall’ultimo quarto di secolo di storia d’Italia. Ora bisogna avere idee vere sui temi veri e sulla base di queste idee cercare non alleanze con partiti e movimenti, ma adesioni di singole persone disposte a lavorare anche a lungo termine per un’idea ed un ideale, sapendo che gli eletti potrebbero non esserci. Bisogna imparare di nuovo ciò che La Malfa aveva insegnato: i consensi non li si cerca solo tra coloro che paiono essere i nostri simili, ma ovunque. Se un’idea è giusta, questa è giusta ovunque: tra i manager lombardi come tra i baraccati campani, fra i disoccupati pugliesi e sardi come tra i funzionari delle grandi città, tra i liberi professionisti ed i militanti dei centri sociali. Pensare di poter essere votati per appartenenza ad un ceto, in un’epoca in cui la crisi globale e la sua gestione scellerata hanno cancellato il “contratto di complicità” fra la politica (che sperpera denaro pubblico per comprare voti) ed il cittadino (che si vende per un posto di lavoro più comodo e protetto), è follìa ed è dannoso per l’Italia. Chi crede di continuare in quel modo, dal PD ad AN, non è solo un conservatore, ma un pericoloso reazionario. Per questo i progressisti veri non sono né con Berlusconi né con Fini. Né con Casini né con Alfano. Né con Montezemolo né con Marcegaglia. Né con Bersani né con Vendola. Né con Grillo né con Di Pietro. Sono al di là di questo, lottano per l’Altra Italia, che ancora non c’è, che è men che minoritaria, che non mette la politica al servizio di un leader, ma gli uomini al servizio delle idee. I progressisti veri non hanno il tempo per ricordare e piangere divisioni personalistiche, non insultano e non litigano come oche starnazzanti, ma costruiscono insieme, come avrebbe dovuto essere sempre, insieme a persone di cui nemmeno immaginavano l’esistenza, ma che sono oramai gli unici compagni di strada possibili – fuori dai partiti della Seconda Repubblica. Tutti.

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