Stanotte, cinquanta anni fa, non si era ancora capito nulla, ma i fatti erano già in marcia, e la loro inerzia era ormai inarrestabile. Tra un mese, in Francia, con la protesta di Nanterre esploderà la rivolta studentesca, contro la gestione baronale dell’università, ma soprattutto contro il velato fascismo del gaullismo al potere. Tra due mesi ci sarà l’attentato a Rudi Dutschke, che darà il via alla reazione violenta del movimento studentesco. Tra un mese la protesta contro la guerra in Vietnam raggiungerà tutte le università americane (stanotte i soldati sudcoreani impegnati a fianco degli americani in Vietnam stermineranno tutti gli abitanti disarmati ed inermi di Phong Nhi e Phing Nhat), dopodiché verranno ammazzati prima Martin Luther King, poi Robert Kennedy. In Cina Mao strumentalizza i giovani che protestano contro la gestione dittatoriale ed arcaica del potere per regolare i conti con i suoi oppositori interni – e poi gli studenti, che lo avevano aiutato, vennero mandati a fare i contadini a migliaia di km dalle loro case, distruggendo militarmente la protesta. A Praga la gente scende in strada per avere libertà e democrazia, e viene tradita, umiliata, violentata. Tra meno di un mese la polizia polacca reprimerà nel sangue la rivolta nell’Università di Varsavia, quella italiana farà lo stesso con gli studenti che avevano simbolicamente occupato la cupola di Sant’Ivo (Università La Sapienza), a Roma. Potrei continuare a lungo. In Europa il 1968 nasce, secondo me, dalla mancata democratizzazione della giustizia, della polizia, dell’esercito – ancora in mano a nazisti e fascisti, oppure ai bolscevichi, che avevano promesso il comunismo ed avevano invece imposto una dittatura feroce e sanguinaria. Nasce dalla promessa tradita di una rinascita economica in un contesto di pace e democrazia, da un accordo tra ricchi e poveri sulla ricostruzione, alla fine della guerra, sul fatto che le cose, da quel momento in poi, sarebbero state fatte secondo giustizia. E nasce da una cosa nuova: per la prima volta, la primissima, l’unica, essere giovani era un valore positivo. Non ci si accorse del fatto che fosse solo un giochetto del sistema per convincere una fascia nuova di persone a consumare, a prostituirsi, a credere alla Grande Bugia della pace e democrazia incombenti ed inarrestabili. Mentre la guerra e lo sfruttamento dominavano sempre più l’umanità, i giovani, ingenuamente, credettero di avere il mandato di migliorare la vita. Oggi, cinquanta anni dopo, non sopporto l’idea delle manifestazioni nostalgiche e di piaggeria che ci aspettano. Preferirei una riflessione onesta, senza sentimentalismi, di come il 68 fu, in parte, un’immensa strumentalizzazione da parte del potere costituito (che ancora esisteva e non si era ancora mangiato la coda) ed una grande ondata di entusiasmo che, sbagliando, cancellò il futuro di tutte le generazioni che sono venute dopo, dimostrando che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. E poi, a casa, segretamente, continuo a celebrare la meraviglia estatica per le cose, gli scritti, i momenti, le musiche bellissime che nacquero in quegli anni, e che sono le cose migliori dell’arredamento della mia anima.

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