Questa è un’ora pericolosa. Il lavoro non è finito, ma non ho la forza per continuare, adesso. I pensieri ed i ricordi mi assalgono, e come in un livello troppo avanzato di un videogame, le mie difese non fanno a tempo a rincorrerli uno per uno, ed eccoli lì che si mangiano la mia anima. Stanotte penso non al rimpianto per gli errori compiuti, ma di non avere tempo per compierne altri. Penso all’energia vitale, che non è più la stessa; alla voglia di fare, che decresce, ed accumula cose che dovrei fare e che non faccio. No, non parlo del lavoro, ma degli affetti che sto lasciando dietro di me, come una barca alla deriva, perché non ce la faccio a rispondere, a visitare, a chiamare, e quando la distanza del tempo cresce, cresce anche il pudore di chiamare e di scusarsi, perché so bene che non potrei investire energia per riparare all’errore. Invece mi intenerisce, in questi giorni, vedere due ragazzini che si inseguono. Hanno pochissimi anni, molti meno di quanto scritto sulla loro carta di identità, ed usano il parossismo come afrodisiaco. Stupendo. Per loro tutto è terribile, tremendo, devastante, spaventoso, tragico, intollerabile, e questa apparente negatività li scaglia l’una contro l’altro, in una pantomima della vita, in cui tutto assume un significato ultraterreno. Questa parola l’ho presa da loro, io non la uso. Ultraterreno. Spero che ce la facciano, con tutto il cuore, che non cambino mai, che sia un sogno per sempre. Che bello, davvero. Mi ricordo di quando anch’io costruivo balaustre e ponteggi simili per abbellire l’attrazione e la certezza di aver trovato il modo di trasformare la pietra in oro. Consumato nel sudore ed altri liquidi immemori, sentivo la vita scorrere potente e, non sapendo dare un nome a questo, lo chiamavo amore. Così vorrei che questo loro momento non finisse mai, che potessero restare bambini, in questo Giardino dell’Eden, per sempre. Non ho la forza, in questi mesi, di tornare bambino. Nascondo come posso le difficoltà, mantenere la lucidità ed una parvenza di funzionalità è tutto. Intanto l’ingegno si affina, e vedo cose che non vedevo prima – o forse ora sono del tutto pazzo. Una volta, in Germania, un filosofo mi disse che mi avrebbe ammazzato la malinconia, ancora prima della mia inarrivabilità. Cazzate, morirò, un giorno, di una morte qualunque, sordida e banale. Per questo amo queste ore pericolose, in cui anche a me, così snob e vanesio, pare che la commozione che provo abbia un senso, e la solitudine sia una prova d’orgoglio. Ho imparato ad uscire dalle vite altrui, tanto le persone sono occupate altrimenti e non mi notano. Come faccio anch’io, del resto. Tra poco nasce il sole, ed io devo andare. Di queste righe mi dimenticherò presto, come di tutti i buoni propositi. Mara diceva sempre: credi che caricarti i problemi altrui sia meno pesante di caricarti i tuoi. Bravo. Sparati, che fai prima, ma fallo all’aperto, dove sia più facile smaltirti. Già, proprio così. Anche lei credeva che quel dolore nello stomaco fosse amore, e mi puniva per questo. Mi piaceva moltissimo, ma poi ha smesso, perché mi ero stufato di essere punito e volevo altro. Sciocco che sono, non ne ho nemmeno sofferto. La vita, che con me è stata sempre fin troppo gentile, mi mette cose nuove e bellissime sulla strada. Alles ergibt sich. Nella misura in cui, compagni.

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