E proprio quando sei così stanco da faticare a pensare, e guardi alla quantità di lavoro che devi fare ed alla seconda notte insonne. Quando hai il cuore pieno della pesantezza di ciascuno di noi, incapace di difendersi dai piccoli strazi quotidiani e dalle bizze di un corpo strapazzato per troppi decenni. Quando ti senti che vai avanti, ma la tua anima resta indietro, e sei sull’orlo dell’autocommiserazione, della fine della dignità, ed ogni seconda parola è uno smozzichio di brufolotiche disarticolazioni senza senso… proprio in quel momento, Edin Džeko mette la palla tra le gambe del portiere avversario e la Roma, dopo dieci anni, riassapora i quarti di finale della Champions League. Lacrime liberatorie di commozione e gratitudine. Il calcio serve a questo, quando serve a qualcosa, a darti l’impressione che il miracolo sia dietro l’angolo, e che sia una cosa semplicissima, una palla che rotola ed un ragazzo di quasi due metri, a braccia aperte, che corre e grida di gioia, e con lui migliaia e migliaia di romani fuori di sé. Grazie Roma, che ci fai vivere e sentire ancora, una persona nuova.

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