– Scrive Davide Giacalone: “Chi si fascia la testa per l’anticipo elettorale, sostenendo che con un paio di settimane in più si sarebbe fatto chissà cosa, mena scandalo per il nulla. In questa fase vale il contrario: meno dura e meglio è. Il dramma arriva dopo, quando gli italiani dovranno scegliere fra una ricetta tradita e una sbagliata. Cui se ne aggiunge una terza, fallita. Complice la faziosità italica, complice un sistema dell’informazione che la ingigantisce, già s’apparecchia l’ennesimo banchetto fra berluscofagi e berluscapoti. In uno scontro di tipo antropologico. Roba tribale. Purtroppo gli italiani che hanno creduto nell’opportunità di avere più disponibilità e meno fisco, più libertà e meno burocrazia, più investimenti e meno spesa pubblica corrente, sono stati traditi. Due volte. Si può discutere a volontà su quali siano le cause della disillusione, ma resta il fatto. La cucina antagonista, quella di sinistra, del resto, propone sempre la stessa ricetta, radicalmente sbagliata e oggi incarnata dal condizionante asse Vendola-Cgil, che fa rotta sulla (ulteriore) patrimoniale. Non ci credono neanche loro che si possa governare in quel modo, eppure hanno fretta d’incassare una vittoria che danno per scontata. La cucina montiana non è una reale alternativa, anche perché ha sui fornelli una ricetta fallita. Il fallimento non consiste nel non avere cambiato l’Italia, giacché quello non solo non è possibile in breve tempo, ma è anche un obiettivo a sua volta allucinante. Consiste, invece, nell’essersi prestata all’adozione di una forsennata purga fiscale, a esito della quale il debito pubblico non è dimagrito, mentre s’è smunto il sistema produttivo. Questo è il fallimento. Perché, allora, è così difficile sostenere le cose ovvie, mentre la corazzata del Corriere della Sera pompa alla grande l’ipotesi montiana? Perché il confindustriale Sole 24 Ore avverte dell’errore ma chiede di continuare? Perché il centro casiniano, raccoglitore di vari relitti politici, non attira voti, non essendo (giustamente) considerato alternativo. La roba montezemoliana si presenta con le insegne della concertazione, vale a dire una delle cause dei nostri mali. Mentre i transfughi “montiani” del centro destra (gente che deve tutto a Berlusconi) c’è la fondata sensazione che non spostino neanche i loro voti. Quindi sarebbe Mario Monti a far la differenza. Per cosa? Per una sola cosa: essere sicuri che nessuno vinca. Che le elezioni siano inutili. Che l’Italia continui a essere commissariata. La sinistra ha provveduto a far fuori la possibile alternativa, coagulatasi attorno a Matteo Renzi. Se uscisse da lì prenderebbe la maggioranza, ma non uscirà, preferendo attendere e raccogliere i cocci. Ammesso che rimangano. La destra rimane appiccicata al suo vincitore di ieri, oggi sulla scena come miglior perdente. Sicché chi punta su Monti non lo fa perché vinca, ma perché eviti che altri vincano. Il che, nel nostro sistema, equivale a evitare che ci sia una maggioranza al Senato. Oppure, ed è l’ipotesi avallata ieri da Berlusconi, Monti si mette a guidare un fronte ampio, capace di puntare alla maggioranza alla Camera. Nel qual caso Berlusconi sarebbe superato, dopo essersi ritirato. E dopo? Si andrà a una coalizione, sperando che sommi i pregi, ma temendo che sommi i difetti delle tre ricette. Si può sfuggire, a questo incubo? Sì, se ci fosse consapevolezza del dovere cambiare schema istituzionale e impalcatura costituzionale. La sinistra che fa le primarie e gioca al presidenzialismo, dovrebbe essere matura. La destra che crede nel leader lo dovrebbe essere da tempo. Tocca a loro concordare il cambiamento. Conosco le due obiezioni: a. se non sono capaci di poco figurati di tanto; b. ora no, perché si devono prendere voti. Rispondo: 1. meglio cimentarsi su cose grosse che affogare in una pozza, come sta loro accadendo; 2. credo che i voti li prenda proprio chi sappia ammettere che con quelle ricette ci stiamo prendendo in giro”.

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