– Stasera ho visto “Totem” di Fabio Massimo Franceschelli con la regia di Claudio Di Loreto e Francesca Guercio. Purtroppo l’ho visto in uno dei periodi più cupi della mia vita, in una sera in cui accompagnavo un amico che non vedevo da tempo e che, come accade a questa età ed in questi tempi, mi racconta delle difficoltà e della stanchezza. Totem non ha una storia, è l’istantanea di un incubo orribile che annuncia il ritorno nel ventre materno nel momento in cui avremo trucidato tutto ciò che ci era stato detto avrebbe costituito il baricentro della nostra vita: gli affetti, la famiglia, il rapporto con il trascendente, il rapporto con l’immanente. Tutti i personaggi hanno lo stesso nome, nonostante abbiano caratteristiche diverse, sicché appare che “Totem” sia un incubo sulla schizofrenia affettiva e sul dissociamento mentale dei trentenni e quarantenni di oggi, che naturalmente è un punto dolente della mia esperienza recente. Quindi ho odiato “Totem” nel momento in cui questo ha iniziato a parlarmi, ed è proprio qui, ritengo, la forza della piéce: scatenare l’odio nei confronti di chi é sul palco ed ha messo a nudo quel punto nevralgico della distruzione della società, che già da solo è in grado di spingere persone deboli come me al suicidio. Il teatro di Fabio Massimo Franceschelli non ha personaggi, ma solo aspetti diversi della stessa paranoia dislettica. Poche frasi, molte interiezioni, rabbia, isteria, pianto, isteria, timidezza, isteria, violenza, isteria, e soprattutto isteria. Quando alla fine c’è il bagno di sangue che porta la pace, resta solo il più fragile degli Io, costretto a rientrare nel grembo materno, in una scena di una crudezza non fisica, ma intellettuale. Forse questo allora è il limite di “Totem”: è talmente intellettuale da rendere parossistiche le scene le più fisiche – e quindi traspone un incubo dalla fisicità del massacro all’orrore puro e senza redenzione della pazzia atavica di chi, scollegato da se e dai propri affetti, non è più se non un grumo della sostanza materna, incapace di sopravvivere. Se questa è la vita, oggi, per uno come me è davvero arrivato il momento di scendere dal treno.

Lascia un commento