Quando ero piccino e mia madre mi dava un ceffone o uno scapaccione, a soffrire era il mio orgoglio. Più avanti le persone hanno iniziato a darmi coltellate, fatte di parole, allo stomaco o alla gola. Le prime sono quelle che afferiscono all’abbandono, le seconde quelle che riguardano accorgersi di aver commesso una cretinata dalle conseguenze terribili. Più avanti ancora sono arrivate le coltellate doppie, che colpiscono stomaco e gola al contempo – come quando morì mia madre – e che al contrario delle altre ti lasciano stordito e fanno male più tardi, non subito, perché lo choc dà agli animali, in quei casi, una breve autonomia di lucidità per salvarsi la vita e scappare. Negli ultimi anni ho sperimentato nuove coltellate: quelle che colpiscono la speranza. Il corpo ha imparato a difendersi, ma il cuore no. Quando arrivano queste coltellate (e quest’anno è stato un periodo così) allora sai per la prima volta, fisicamente, che un giorno non sopravvivrai.

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