Hanno ammazzato Daphne Caruana Galizia. Hanno messo una bomba sulla sua Peugeot 108 e l’hanno fatta saltare in aria, come Giovanni Falcone a Capaci, non appena è uscita dal cortile di casa. Era una delle pochissime giornaliste al mondo ad essere ancora capace di inchiodare alle proprie responsabilità personaggi importanti – come i membri del governo del suo Paese, Malta – per fatti di corruzione, di contiguità con il crimine organizzato, con il sistema bancario malato che sostiene i commerci peggiori al mondo. Non la conoscevo, probabilmente non la conosceva quasi nessuno, e questo è uno dei motivi per cui è morta. Se non sei sotto la luce dei riflettori (lo dicevano anche Falcone e Borsellino), se ti dimenticano, è più facile farti fuori. Uccidere la mamma di tre bambini costa meno soldi e meno fatica di processi per calunnia, che non si sa come finiscono. Ammazzando in modo così barbaro questa donna coraggiosa, si tappano le bocche di migliaia di giornalisti prezzolati, incapaci e fifoni, che inquinano l’informazione. Essendo gli editori dei giornali, ovunque nel mondo, essi stessi parte del mondo politico ed affaristico che dovrebbero sputtanare, o almeno controllare, i giornalisti veri, come la povera Anna Poiltovskaya, ma anche Beppe Alfano, Pippo Fava, Peppino Impastato, vengono mietuti dalla falce indifferente dell’omertà con cui oggi il mondo copre gli ultimi veri datori di lavoro e distributori di prebende: i criminali. Piango la collega, la mamma, la formichina che, giorno dopo giorno, si era fatta tigre ed aveva raccolto prove schiaccianti sull’osceno sistema di potere maltese, a sua volta parte integrante dei traffici del Mediterraneo, di cui sono protagonisti schifosi tanti miei concittadini. Piango la mia, la nostra inutile e proterva pochezza, il nostro individualismo da perdenti, la nostra incapacità di alzarci in piedi ed essere uomini, la nostra sconfitta pregressa. Ma Daphne Caruana Galizia, ne sono certo, non si faceva tante pippe. Faceva il proprio lavoro, con bravura e passione – un crimine per il quale, oggi, in questo mondo si muore.

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