Il film sul martirio di Stefano Cucchi è un capolavoro. È un pugno sullo stomaco, è un vomere di bruttura che ti draga il cuore, è un dolore continuo, è il Golgota inflitto ad un povero Cristo. Con una cattiveria, un’indifferenza, una barbarie che avevamo già conosciuto con il pestaggio alla Scuola Diaz di Genova e nei tanti fatti di sangue dovuti a funzionari di polizia impazziti, divenuti bestie. Bestie, che il sistema non è stato capace di contenere ed ha poi schifosamente cercato di proteggere – e penso prima di tutto a Pinelli ed a Giorgiana Masi. Chi ha ucciso quel ragazzo fragile e disorientato non è un poliziotto, non è un medico, non può nascondersi dietro ad una funzione o ad una divisa. Costoro sono belve feroci, l’odio puro originato dalla frustrazione di sapersi feccia e credersi intoccabili. In questo caso la Polizia finisce sotto accusa per le protezioni, non per i fatti. Nessuno ha ordinato di torturare un ragazzetto indifeso fino a spezzargli la schiena a calci e farlo morire di botte. Nessuno. Matteo Salvini, che ha cinicamente usato questa morte per farsi i propri interessi, dovrebbe chiedere scusa pubblicamente. Non lo farà. Dal profondo del cuore, gli auguro, come disse Gesù, occhio per occhio, dente per dente. Così come lo gridammo per Cossiga, oggi di più per Matteo Salvini: Assassino. Assassino. Assassino.

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