Il dolore vero degli esseri umani è insopportabile. Preferisco star male io. Vedere una persona spezzata da una tragedia troppo grande per essere ragionata, archiviata, superata, compresa, è una cosa che toglie il respiro, che incendia gli occhi e gli altri sensi, che grida dentro, tanto da non poter far uscire alcun suono. A volte non basta più nemmeno piangere. Temo che sia per questo che, nella società di oggi, la morte viene proposta come una variante veloicissima di un videogame, un frame quasi subliminale, una macchia di contorno. Solo in questo modo si spiega la cattiveria che impera – la velocità trasforma le tante insormontabili tragedie in un numero. L’idea l’aveva avuta Goebbels, che nella Shoah aveva visto la disumanizzazione e la desemantizzazione dei singoli esseri umani. Un uomo che muore in modo tragico può sembrare disgustoso, un uomo che grida pietà, e non la riceverà, ancora di più. Ma io non sono così. Io non sono così. Anche io ho avuto paura e sono stato violento, ho avuto antipatie, sono stato geloso ed invidioso, sono esploso di rabbia. Ma non sopporto il dolore altrui, che è anche il mio. Soprattutto non riesco ad avere l’indifferenza disumana di tantissima gente, specie in politica, che sa di distruggere vite, e dentro di sé non prova altro che infantile malata soddisfazione.

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