L’Angola ha una storia completamente diversa dal resto del continente africano. Quando sbarcarono sulle sue coste ed iniziarono a costruire i primi insediamenti, ai tempi in cui Cristoforo Colombo scopriva le Americhe, i portoghesi si erano insediati laggiù perché, insieme alle tribù locali, estranee e nemiche di quelle delle zone circostanti, i portoghesi scambiavano ferro e schiavi, catturati dalle bellicose tribù angolane, con cibo, ma soprattutto tecnologie. A Cabinda esistevano culture avanzate già all’inizio del XVI secolo, e meno di cento anni dopo il Regno degli Imbangala, che aveva raggiunto un dominio immenso anche per i nostri termini di paragone, fioriva e considerava i portoghesi i loro commercianti: costoro compravano schiavi per colonizzare il Brasile ed assumevano soldati per combattere ovunque nel mondo. Ma costruivano strade e ferrovie, miglioravano le colture, permettevano ai sudditi della Regina Njinga Mbandi ed ai suoi successori di reprimere qualunque tentativo di ribellione fin nelle regioni più impervie del Mozambico, dall’altro lato del Continente. Quando olandesi prima, ed inglesi poi, cercarono di “liberare” l”Angola, le tribù locali combatterono a fianco dei portoghesi. Non si sentivano oppressi da nessuno, anzi. Tutto ciò ebbe fine con la dittatura fascista di Salazar a Lisbona. Costui considerava gli angolani non più i suoi migliori alleati, ma “negri”. E costoro si rivolsero all’Unione Sovietica ed agli Stati Uniti per uscire dalla dittatura. Già allora, quando l’MPLA combatteva nelle savane e nelle foreste, Agostinho Neto ed i suoi si consideravano i “veri” portoghesi, attaccatissimi alla lingua ed alla cultura, tanto che non appena ottennero l’indipendenza, José Eduardo Dos Santos fondò la CPLP, una fondazione per la difesa della purezza della lingua e della cultura lusitana, e l’Angola iniziò ad investire in un Portogallo travolto dalla miseria. Oggi le fondazioni angolane investono non solo in Portogallo, ma anche in Brasile, in Canada, ovunque gli avventurosi angolani si siano spinti alla ricerca di lavoro e di spazi. Naturalmente non li sto santificando: la guerra civile fu estremamente crudele, Dos Santos ha retto per 30 anni il Paese con il pugno di ferro di un regime appena nascosto, vincendo la guerra grazie ad un tradimento. La MPLA, appoggiato dall’URSS, lo aveva portato per anni a Mosca, dove aveva sposato una russa bellissima, che gli ha dato una figlia, Isabel, che è una delle donne più belle, colte, corrotte e spietate del pianeta. Ha sposato il figlio di una famiglia congolese strettamente legata alla feroce dittatura di Mobutu, ma ha vissuto con un affascinante pilota di rally, ed ora convive con un vecchio banchiere della più antica aristocrazia portoghese. Si calcola che abbia rubato al proprio Paese un patrimonio di circa 30 miliardi di Euro. Tornando al tradimento: suo padre, per vincere, fece un accordo segreto con gli Americani: cambiò moglie, regalò i pozzi di petrolio alle multinazionali USA, ed in cambio la CIA uccise in un agguato Jonas Savimbi (alleato degli Americani) e portò la sua testa a Dos Santos per dimostrare la riuscita dell’accordo segreto. Oggi l’Angola è una terra di enormi contraddizioni. La regione di Cabinda, la seconda più ricca al mondo per giacimenti minerari, è preda di una guerra infinita tra bande – magari vi ricordate il massacro della nazionale di calcio del Togo, nel 2010, che attraversava Cabinda per andare a giocare la Coppa d’Africa a Luanda. In quell’area francesi (soprattutto Bolloré, l’uomo cui abbiamo regalato Generali e TIM, e che ora si batte con Berlusconi) e Cinesi si battono per un’egemonia a colpi di innovazione tecnologica ed infrastrutture, ma anche di corruttela. Ma la gran parte degli Angolani di cultura superiore non ne vuole saper nulla, ed emigra in Portogallo, dove la vita è più economica ed il kwanza angolano è bene accetto per qualunque investimento che migliori il disastro economico locale. Tra questi spicca Waldemar Bastos, un musicista straordinario, che unisce la musica dell’Africa del Sud con i ritmi storici angolani – che sono poi quelli che sono stati la base della bossanova brasiliana – ed il pop europeo. Bastos è scappato dall’Angola, perché non voleva combattere né dall’una né dall’altra parte, ma la sua voce, ad oltre 30 anni distanza, rimane quella più chiara ed unica della musica e della cultura di un Paese meraviglioso e straziato, come tutto in Africa, ma depositario di un orgoglio e di un senso di superiorità che i nostri razzisti dovrebbero incontrare, perché troverei bello se finalmente un leghista venisse guardato dall’alto in basso da un gigante nero, che ha due lauree, è un artista affermato, parla quattro lingue (tra cui il latino) e potrebbe ammazzarlo con un solo ceffone.

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