Sono impegnato in una delle mie frequenti missioni interplanetarie al servizio del Fato, e mi trovo in un minuscolissimo alberghetto, sperso tra i Colli Euganei, a metà strada tra Teolo e Tmammolo, in località Tpisolo (ci dormo io…), patria dei biscotti detti “zanei” (vi ho detto che sono in missione segreta…). L’albergo, chiamato Belvedere, si trova incastrato fra due tornanti in una china in cui non si vede nulla ed i motociclisti vengono mietuti come il grano d’estate, ha un’ottima cucina ed una proprietà intelligente, gentile, che ti fa venire voglia di tornarci, magari facendo una trascurabile deviazione da Budapest o da Barcellona. Come alcuni di voi sanno, quando sono a Roma abito a pochi metri da Colle Oppio. Da giovane si trattava di una zona infrequentabile, troppi fascisti senza guinzaglio, quelli (come me) coi capelli lunghi venivano pestati, calpestati, appestati e trifolati. Ho paura dei fascisti, fanno male alla pelle, agli occhi, all’anima. E quindi li scanso, affettuosamente ricambiato. Orbene. Accade che il Sindaco di Padova, tale Bitonci, abbia perso la maggioranza e si sia dimesso, lui che reggeva le sorti della città con un’alleanza Lega Nord / Fratelli d’Italia / Forza Italia, e che è divenuto famoso per alcune sue ordinanze strampalate: divieto di usare la bici dopo il tramonto, divieto di mostrare voglia di vivere la mattina prima delle 11, divieto di sostare in più di cinque persone in un capannello, a meno che tutti non siano profondamente immersi nei loro devices elettronici, divieto di esprimere affetto in pubblico – una maschia stretta di mano è ammessa, ma se la si dà in modo un po’ fròcico ci sono multe fino a 20mila Euro – divieto di vestire in colori pastello, più in generale divieto di allegria. Ora viene nominato un Commissario, e poi si torna a votare. Improvvisamente, gli Stati Maggiori della Destra riscoprono Padova (Toni Negri, dove sei?). Ed io, qui, che pensavo di essere al sicuro da tanta abiezione, rientro in albergo e scopro che, con la pioggia, oltre ai funghi sono spuntate decine di auto blu. Nella hall, vocianti come un gruppo di adolescenti in gita (quelle gite che si fanno in città d’arte col solo scopo di approfondire le nozioni di sessualità pratica), ci sono una ventina di fascisti. Riconosco Alemanno, la Polverini, Storace. Gli altri non so chi siano. Come un animale illuminato di notte dai fari, rimango lì come una statua, bloccato, e li guardo spaventato. Uno, che a guardarlo si vede che di mestiere schiaccia le noci tra le froge del naso, mi chiede: “Ahò, a coso, checcazzo te guardi?” Immagino che voi, come me, non capiate il dialetto veneto, ed infatti non mi sono mosso. Ho pensato: ora mi sdrumano e smandrappano a calci e pugni. Mi scotennano, mi cospargono di pece e piume e mi portano in processione fino alla discarica, dove mi danno fuoco e danzano invocando Thor, Ork e Mork. No, non trombano. Dalle facce direi che lo hanno oramai appeso al chiodo. E poi hanno espressioni smunte, bisunte e transeunte, che a tutto fanno pensare, tranne che alla sessualità vichinga e mazinga. Difatti ricevo uno spintone, uno solo, e devo accontentarmi di questo. Non finirò sui giornali. Rimane una lezione, che ho imparato. Sono finiti i bei tempi della chiarezza. Il Papa ha ragione, il male è ovunque. Ovunque. Anche nelle terre fatate tra Teolo, Tmammolo e Tpisolo. Sicchè, invece di pranzare qui, che mi si è guastato l’umore, vado a Tbrontolo. POST SCRIPTUM. Leggendo il commento di Massimo Benocci, mi torna in mente una sera allo stadio di Klagenfurt, in Austria, dopo che la squadra di calcio locale era stata annientata per cinque a zero dagli israeliani del Maccabi Haifa. In tribuna, il Gauleiter della Carinzia, l’indimenticato Jörg Haider, disse sconsolato, allargando le braccia: “Che volete, gli ariani non sono più quelli di una volta…”

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