– Il Governo Monti ha rivisto al ribasso le stime del PIL (prodotto interno lordo), valutando ora realistica una riduzione del 2,4% invece del previsto 1,2%. Prevede oggi un 2013 con una decrescita dello 0,3% ed una ripresa dell’1,1% nel 2014. Dato che queste cifre hanno la virgola, non potete nemmeno giocarvele al lotto. Ma sono ugualmente cifre senza senso e senza nessun rapporto con la realtà. Con la stessa autorevolezza possiamo sostenere che, dato che l’Euro ha perso oltre il 10% del valore sulle altre principali divise nel corso dell’anno in corso, e visto che i debiti obbligazionari contratti dal nostro Paese sono al di lá di qualunque limite che permetta la sopravvivenza di un’economia, il calo reale del PIL sia molto ma molto peggiore. A ciò si aggiunga che i soldi dati alle banche per evitare il loro fallimento hanno accresciuto il PIL. Non indosso giacche multicolori e quindi non dico cifre pese con leggiadrìa, ma non ce n’è certo bisogno per capire che, come annunciato già un anno fa, le misure del governo dei tecnici abbiano sprofondato l’Italia in una crisi industriale, sociale ed occupazionale senza precedenti. Non voglio discuterne le cause, le conosciamo. Così come conosciamo il fatto che le riforme strutturali che Monti avrebbe dovuto fare si sono dimostrate inattuabili perché la maggioranza partitica che lo tiene in carica non le avrebbe votate, perché la popolazione non le avrebbe accettate, perché il conglomerato di interessi (il sistema bancario) che sta dietro Monti le avrebbe con successo boicottate. Abbiamo perso un altro anno, la situazione è sempre più grave. Gli scandali come quello della Regione Lombardia, della Regione Lazio, delle ruberie sul finanziamento pubblico ai partiti compiute dalla Leganord e dalla Margherita non solo non vedono i responsabili politici ritirarsi, ma li vedono affermarsi sulla stampa complice come i John Belushi di “quando il gioco si fà duro, allora i duri cominciano a giocare”. Intanto Monti spara cifre a casaccio. Il PIL continuerà a precipitare, lo spread a mantenersi al di lá della soglia di tolleranza, il debito pubblico a crescere, la disoccupazione e la miseria travolgeranno l’Italia come la Grecia. Cosa fà allora Monti, sospinto dalle cosidette forze sane dei credenti nel libero mercato? Svende il patrimonio immobiliare ed industriale – ovvero le poche cose rimaste su cui, se fossimo persone serie e le banche non fossero decise a stroncarci per coprire la voragine delle perdite plurimiliardarie dei derivati, potremmo offrire garanzie creditizie o realizzare prodotti per ripartire. In Grecia la troika d’occupazione tedesca lo ha già fatto. Ha sottovolatutato l’insieme di quei beni ad un prezzo inferiore di oltre un quarto di quello reale, li ha cartolarizzati per la metà del valore reale, li svende per tre quarti di meno, i soldi li dà non al Paese, ma alle banche. La popolazione perde gli ultimi barlumi di speranza e briciolo di patrimonio comune, le banche fanno un altro giro di giostra. Poi toccherà alla Spagna e, prima o poi, a noi. La svendita dell’Italia è un crimine dal punto di vista economico e politico, ed è un crimine dal punto di vista storico. Ci lamentiamo del fatto che la FIAT si trasferisca negli Stati Uniti e siamo pronti ad accettare che il Colosseo e gli altri beni monumentali, ambientali ed industriali vengano dati via al prezzo d’incanto, senza nemmeno beccare una lira del prezzo pagato. Ma stiamo ancora zitti. Perché abbiamo ancora un parente che lavora alla pubblica amministrazione, un lavoretto in nero, un tesoretto nascosto. La vendita del nostro Paese ci sembra irrilevante finché non si toccano i mobili di casa nostra. Poi, quando venduti quelli, ci si stupisce della mancanza di solidarietà degli altri italiani, speculare a quella che noi avevamo dimostrato fino ad un attimo prima. Come diceva Ugo La Malfa nel 1943, in Italia non funzionano né il libero mercato (che da noi è l’anarchia apparente gestita dalla criminalità organizzata, il latifondo ed il potere cattolico) né la statalizzazione (che è corruttela pura del sistema politico consociativo). Se esistesse ancora Ugo La Malfa, ci vorrebbe una nuova politica dei redditi, basata su un rigidissimo controllo dei prezzi, chiave per una redistribuzione, e la chiusura delle banche in sofferenza all’interno di un sistema di salvataggio dei correntisti – vendendo cioé non le nostre industrie, non i nostri monumenti, ma le nostre banche insolventi, semmai, per rifondarne di nuove con vincoli reali contro la speculazione finanziaria. Un sogno? O questo, o l’ellenizzazione dell’Italia mentre Monti canta vittoria come Nerone sulle rovine fumanti della città che brucia, accompagnato da Berlusconi al piano, da Fini e Casini alla lira e da Bersani al tamburo – quello con cui si batteva il ritmo per gli schiavi nelle triremi romane.

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