– Sono andato a vedere Donatella Mei in Via La Spezia nel suo lavoro “Non sono Sharone Stone ma qualche uomo l’ho avuto anch’io”. Ci sono andato pieno di curiosità, anche perché il sottotitolo era “ridere al femminile” – una cosa che ritenevo essere sarcastica, perché avevo pensato che nessuno, nel 2012, possa attirare il pubblico con una frase del genere. Come spessissimo accade, mi sbagliavo. C’era tanta gente, ed è soprattutto di loro che voglio parlare. Se posso, con calma. Prima cosa: il “teatro” è in una sezione del PD di fede bersaniana. La responsabile della serata annuncia trionfalmente che, dato che stasera c’è teatro e la sezione è piena, il bar è chiuso. Ovunque profumo di Monti-bis. Donatella nel suo spettacolo lo tematizza con arguzia. La gente ridacchia perché capisce che ce lo si aspetta. Alle pareti foto “artistiche”. Una vista del cuppolone dal Tevere di notte dal titolo: riflessi paralleli. Una paperella di plastica fotografata accanto a un uovo: mo me lo covo. Foto orribili, didascalie agghiaccianti, una donna invasata che gridava frasi oscene e scalpitava come una mandria di bufali alla vista dell’acqua alla fine del deserto. Smanacciava gente, sbaciucchiava vittime, gridava roca e ochesca, delirante, ossessiva, dolorosa. Durante lo spettacolo si è seduta dietro, ha spostato la sua sedia nel mezzo bloccando il passaggio, urlando “a cafoni che nunlo vedete che nce vedo gnente?” e poi commentava come se ruttasse, uno schifo, nemmeno pena. Dal momento che mi lamento del fatto che ho sete e non c’è acqua da bere, un toro paffuto con la chierica, che presumibilmente ha appena girato un remake di Don Camillo e Peppone, chiosa: “votate Renzi, vedrete poi come cambieranno anche i bar delle sezioni”. Non so cosa ho risposto. So che a lui l’acqua l’han data. Così come i Riva dell’Ilva hanno dato i soldi a Bersani, ma solo a lui. E quando Donatella, dal palco, ha chiesto, come vi definireste, voi uomini, lui, tronfio: “pescatori di stelle”. Non stiamo mica qui a raccontare di pensioni a Peter Pan, ho pensato. E veniamo allo spettacolo. L’attrice è brava, si vede che non è sicura sul testo, ma ha una grande brillantezza ed una bella padronanza del corpo. Il suo personaggio è un clown disperato, la si direbbe una diplomata al classico al Vivona poi quasi laureata a lettere, interrotta per una delusione d’amore con un calabrese ed una conseguente crisi esistenziale, da allora impegata alle poste e frequentatrice di cinema per zitelle. Insomma, Donatella recita una donna che per tutta la vita non si è nemmeno fatta scegliere, come molte, si è fatta respingere. Tutto lo spettacolo ruota ossessivamente intorno al sesso, e del resto quella stanza piena di piccoloborghesi di borgata che votano PD, sessualizzano l’automobile, sognano le veline, vedono le mogli ingrassare o tradire, si assopiscono, la domenica portano le pastarelle a casa e leggono apotropaicamente “La Repubblica” (e qui Donatella li coglie sul fatto, e loro, per l’unica volta, capiscono che forse i presi per il culo sono loro) – tutta quella stanza è un ospizio di anime mai nate, un limbo della maggioranza silenziosa. Li guardo sbalordito e mi dico: questi, se vedessero uno spettacolo vero, non capirebbero nulla, ma proprio nulla. Ridono ad ogni allusione sconcia con grassezza biblica, monumentale, idiota. Applaudono ad ogni silenzio, compiti perché non capiscono, o sguaiati perché pensano a qualche battutaccia postcoitale da Baretto delle scommesse clandestine di Tor Pattume. Uno di loro alla fine scrive: “Mamma mia che spettacolo!!! Mi vengono ancora i brividi lungo la schiena…” Mi dispiace, cerco di concentrarmi sul lavoro, ma mi rendo conto che sia stato scritto per costoro. L’Italia che guarda Zelig, vota Bersani, passeggia in Via del Corso o a Frascati, compra al mercatino cinese… insomma è moralista, reazionaria, benpensante ma si crede di sinistra. Completamente umiliata dalla storia e dalla berluscloroformizzazione, crede che moralismo e PD siano progressismo. E qui Donatella mi piace meno, perché strizza l’occhio a questa melma, dà l’impressione di potervi appartenere, si fa deglutire e digerire – sto parafrasando una delle sue poesiole in rima baciata sul maschio e la defecazione, che sono i temi portanti dello spettacolo. Le cose migliori non le vede nessuno. Una poesia vera, sull’essere dentro e non sotto, recitata quasi in un soffio alla fine, quando i Gargantua e Pantagruel di questa serata di Magnaccioni sono oramai fuori controllo. Alcuni giochi di parole che presuppongono che, osservando l’essere umano solo nello spazio intercorrente fra lo stomaco ed i genitali, ne vada perso qualcosa. Un vero peccato, perché Donatella Mei è intelligente, brava, e recita la parte della depressa cronica con grande padronanza e senza scadere mai nel patetico o nel grottesco.

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