Ciao G. Sono qui che ascolto “L’esperienza”, una delle tue canzoni più stupende. Per decenni sono stato proprio così, come nella canzone. Ti ascoltavo, e tu mi spiegavi che, in questo modo, non fossi diversso dagli altri, ma almeno ne fossi consapevole. Eh già, SIgnor G, la questione non era trovare una soluzione, ma essere consapevole. La linea di demarcazione tra vero e falso. Tra forma e sostanza. Mi sorridevi, con quegli immensi occhi tristi. Non avevo il diritto di chiederti, dovevo aspettare che rispondessi da solo, perché ci arrivavi sempre, alle mie domande mai espresse, e sempre la stessa linea: tu eri dalla parte dell’essere, io da quella dell’apparire, e mi tendevi la mano, ma non per tirarmi via, solo per farmi sentire il calore. Caro Luca, non ho idea di come fosse, credo che sia impossibile raccontare, e poi una cosa vostra, intima. Alla frase: “di nuovo la morte” tremavo come una foglia, e partivo, lancia in resta, per una nuova esperienza. Oggi, invece, ho deciso che basta. In realtà è un po’ che ho cambiato modo di vivere, senza deciderlo, è successo… è solo che stasera mi è venuto di pensarci, perché pensavo a voi due, G e Luca, nell’incredulità che provo ad immaginare la vostra quotidianità. Niente invidia. Ma questa consapevolezza, un macigno terribile, ti divora dentro, come è successo con lui. Per questo ho lanciato un grido, e mi sono trovato circondato di fratelli e sorelle – e sono certo che ci sarai anche tu. Siamo orfani, certo, ma consapevoli. Non crediamo agli idoli. Ora tocca a noi. Usciamo dal nostro dolore, dalla nostra paura, dalla nostra pigrizia, dal nostro contentarsi. “L’aria della morte” è quella della festa, e Gi diceva che gli uomini “ci sono incollati”. Non dobbiamo uccidere nostro padre, ma amarlo davvero, e quindi rimettere a posto i cocci che ha lasciato, alla fine, per stanchezza. Sì, gli uomini “sono proprio deficenti”, siamo incollati alla nostra idiozia. Ebbene? Ma noi, per la miseria, ci siamo, ci siamo ancora. E gridiamo più forte.

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