La prima volta che ho visto “Caos calmo”, con Nanni Moretti, ero in un momento diverso della mia vita, e l’ho frainteso. Come sapete, capisco pochissimo di film, e ci sono alcune cose – anche in questa pellicola – che mi disturbano, perché Moretti che recita (male) Moretti mi innervosisce, e la scena di sesso con Isabella Ferrari mi sembra totalmente superflua. Ma nel frattempo ho letto l’Haruki Murakami del suo capolavoro “L’uccello che girava le viti del mondo” ed ho imparato a capire l’immobilità e la sua grande forza dinamica. Ho imparato che questa genera una bolla atemporale in cui si incontrano destini altrimenti inconciliabili, percorsi paralleli, incomunicabilità immutabili. In quella bolla, al suo interno, tutto ciò assume un senso ed una dimensione, quasi sempre senza parole. Oggi so (credo di sapere) che solo nell’apparente stasi c’è progresso, perché il moto rabbioso, isterico, compulsivo, provoca quasi sempre un regresso. In queste stasi io trovo il tempo per imparare (studiare) le migliaia di cose, apparentemente inutili e mai interconnesse, che mi incuriosiscono. Ed ho imparato che l’Universo, una volta che io le dovessi sapere, mi metterà sulla via un motivo per usarle. Per cui ringrazio questo film, perdonandone le cialtronate, accettandone l’impossibilità, ma non come fiaba, piuttosto come mutamento. E così sia.

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