Martedì 5 febbraio 1974, insieme ad Antonio Mercuri, andiamo a vedere un concerto al Palazzo dello Sport. I biglietti non li abbiamo comprati noi, ma non so più chi li avesse regalati, anche perché Antonio avrebbe voluto andarci con Titti, la sua fidanzata di allora. Hanno litigato per chissà cosa. Mi scapicollo, inventando una balla per mio padre sul come avrei passato la serata, ed andiamo in due sul suo motorino. Non sapevo nemmeno chi suonasse, era un nome mai sentito prima. Una volta seduti, vedo che il palco è coperto da dei teli di plastica, come se avessero paura che piova dentro, e che sotto quei teli qualcuno sta trafficando febbrilmente. Poche file più avanti vedo uno che va a scuola con me, ma in un’altra classe. Mi grida che io fossi l’ultima persona di scuola che lui credeva di poter incontrare proprio qui. Inizio ad essere nervoso, Antonio mi sfotte: Vedrai, secondo me ti piacciono. Buio, scompaiono i teli. Il palco è coperto da diversi alberi, ma si vede la batteria. Altrimenti alberi dappertutto, certamente finti, che con le luci stroboscopiche sono blu, arancioni, verdi, rosa, e intanto sento l’eccitazione di tutti, che cresce. Sale un tizietto in canottiera, che si siede alla batteria, ci siamo. Organo elettrico. Dall’albero esce un uccello immane, si vedono solo gli occhi enormi, bianchi. “Watcher of the skies, watcher of all!”, grida. Sono fulminato. Antonio ghigna: “Il bassista è fuori tempo”. Forse, ma suonano roba difficilissima, e sono meravigliosi, non ho mai sentito nulla del genere, mai. La canzone, lunghissima, finisce in crescendo, applausi, delirio. Silenzio. Gli strumenti tacciono. Gli applausi scemano. “Can you tell me where my country lies?” Sono sgomento. Ho appena conosciuto la più grande band di tutta la mia vita. Ho appena ascoltato Peter Gabriel cantare. Ho scoperto i Genesis, e li vedo per la prima ed ultima volta dal vivo, a 50 metri da me. Sono commosso, eccitato, stravolto. Antonio ora è in piedi e strilla. Suonano quasi due ore, alla fine sono stremato, non ho voglia di tornare a casa, voglio solo che non finisca mai. La musica mi ha avvolto in un sudario di passione, una cosa che ti prende alla gola e non ti fa respirare, un deliquio come in un pazzo volo da rapace ubriaco, un’ossessione meravigliosa e che mi dice: questo. Questo è quello che bisogna saper suonare. E da allora partirò per una spedizione eterna ed infinita in cui scoprirò King Crimson, Van der Graaf, PFM, David Bowie, tutto ciò per cui ringrazio Dio di avermi fatto nascere in Europa alla fine degli anni 50. L’album credo sia uscito a fine gennaio, in un’edizione molto bella e costosa, con i testi e la traduzione di Armando Gallo. Sicché oggi pomeriggio, venerdì 25 febbraio 1974, 44 anni fa, sono entrato da Discoland, a Via Baldo degli Ubaldi, ed ho comprato “Selling England by the Pound” per 3000 lire. Ed ho inziato a divenire la persona che sono oggi.

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