– Stasera “Superstar” nella Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio. Viene ricostruita una storia parallela dell’Italia sulla falsariga di “Petrolio”, il lavoro di Pasolini sull’ENI di Enrico Mattei. Costruendo un’atmosfera presa dal “Il Divo”, sulla scena compaiono, uno dietro l’altro, Eugenio Cefis, Giulio Andreotti, Pippo Calò, un generale golpista che ricorda come l’11 settembre (1973) sia anche la ricorrenza del colpo di Stato in Cile. Costoro incontrano un Carlo Villetti che, di volta in volta, si evolve da dirigente dell’ENI a sicario dei servizi segreti nell’omicidio Moro, e poi alla fine diventa Silvio Berlusconi. La rappresentazione è estremamente schematica. Due punti focali. In uno c’è l’incontro fra Villetti ed il personaggio storico di turno, nell’altro ci sono rappresentazioni ossessive di sesso gelido e parossistico, filmate su scene diverse: un campo di sfruttamento del petrolio in cui Villetti, coperto da una bandiera dell’ENI, ha rapporti con un’odalisca e con il cadavere di qualcuno, poi la scena dell’omicidio Moro, benedetta da un prelato anch’esso coinvolto sessualmente, la scena della strage di Capaci, quella dell’omicidio di Pasolini, una famiglia incappucciata sullo sfondo del Mulino Bianco. Sesso sesso sesso sesso meccanico rivoltante improntato all’esercizio del potere e ad un’ossessione convulsa e compulsoria, fatta evidentemente per schifare chi guarda. Non posso evitare di paragonare questo lavoro all’appassionato Piero Gobetti di Emanuela Cocco, Claudio di Loreto e Francesca Guercio. Il lavoro di Fabio Morgan è gelido, distaccato, morboso, ma soprattutto didascalico e sarcastico. Non dà l’impressione di avere a che vedere con Pasolini, riesce (pur nell’atroce attualità del tema) a essere fuori dal tempo, apolitico, postmorettiano (cioé: come una delle tante seghe di autocompiacimento rozzo e pariolino di Nanni Moretti spogliato della burbanza che, a volte, involontariamente rende una parte del film divertente). L’impressione è di essere presente ad una rivisitazione alla rovescia di un monologo di Maurizio Crozza. Vi faccio vedere che ho capito le connessioni, vi faccio vedere che sono sarcastico e quindi mai passionale, creo così una distanza immensa dal pubblico, il personaggio di Villetti (che è un topos metaletterario e quindi non racconta una storia) sembra un fantasma uscito da un film sugli albori da bar del nazismo. Insomma, sembra che si sia tentato di unire una metarivisitazione del metalinguaggio di un ipotetico ed aggiornato Pasolini con una sorta di cinematografia alla Ferrara, ma anche qui meta meta meta meta, senza la poesia di Palombella Rossa e senza la freschezza di capolavori come i film di Volonté o quelli necessariamente documentaristici di Ferrara. Quando finisce la gente resta in sala, probabilmente per incontrare gli artisti. Io sono rimasto perché speravo che, finalmente, dopo una rincorsa di un’ora, arrivasse finalmente la comunicazione. Sono rimasto deluso.

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