La questione degli immigrati assomiglia a quella dei rifiuti tossici. Da qualche parte bisogna metterli, ma per favore non sotto casa mia. Il dibattito su entrambe le questioni si basa su un presupposto nuovo: nel mondo di oggi la gente rivendica un suo presunto diritto a non capire, a non sapere, a rifiutare qualsivoglia responsabilità. Rivendichiamo il nostro diritto di essere trattati da privilegiati anche se a 50 anni viviamo ancora da mamma e per l’incedere dell’analfabetismo funzionale non siamo in grado di leggere nulla di più complesso del Corriere dello Sport o i fumetti Manga. La libertà non è più un valore. Lo Stato non è qualcosa cui apparteniamo, ma un nemico (e c’è da dire che si comporta con grande coerenza, da nemico). Ciò che chiedono le persone è essere lasciate in pace. Non si vogliono gli africani perché ci sono tanti italiani alla fame. Nessuno si pone la questione di come risolvere il problema della miseria, che viene considerata inelutttabile. Ciascuno di noi vuole che gli altri si comportino onestamente – ma frega quanto può, quando può. In entrambe le situazioni, la colpa è altrui. Facciamo male perché siamo costretti dalle circostanze e la misura era colma. Si rivendica non solo il diritto all’egoismo, ma anche quello di essere difeso mentre lo si pratica. Almeno, negli Stati Uniti, ognuno si fa i cazzi suoi, ma poi va per strada ed incontra uno che si fa anche i cazzi suoi e gli spara, e nessuno dice nulla, perché il dilagare della violenza è il prezzo da pagare per l’accettazione della dissoluzione della società. Il nuovo darwinsmo sociale ci porta alla guerra, perché se a decidere sono coloro (i pochi) che sanno e capiscono, la vita di ciascuno di noi diventa un fastidio eludibile. Basta non far nulla. Siamo batteri rumorosi e sciocchi, e facciamo le barricate non per chiedere delle leggi giuste ed efficienti (di fronte al potere tutti in silenzio ed a capo chino), ma perché ci portano delle ragazze nere incinte. Il pianeta non è mai uscito dal Medioevo, ci siamo solo illusi.

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