All’inizio degli anni 60, Frank Sinatra ne aveva abbastanza della Capitol e delle regole di un mercato discografico che era ancora quello della fine della Guerra. Credo che sia stato sempre preoccupato di passare di moda, e che il rock’n’roll, come anche Elvis Presley, siano stati per lui un campanello d’allarme non da poco. Sicché riunì attorno a sé i partner più stretti e mise insieme i soldi per comprare lui stesso una casa discografica. Dapprima, su consiglio di Frank Zappa, cercò di prendere la Verve, poi entrambi (Sinatra e Zappa) andarono alla Reprise, un’etichetta piccolissima, che i due artisti sollevarono ad uno dei cataloghi più importanti del mondo – cinque nomi su tutti: Neil Young, Joni Mitchell, Dean Martin, i Kinks, Jimi Hendrix. Sinatra mise a loro disposizione mezzi musicali eccezionali, intere orchestre per suonare magari solo un inciso in una canzone, ed alcuni produttori fenomenali, come Quincy Jones. Sinatra si pagò un disco che costò uno stonfo, registrato tra New York e Rio de Janeiro, nientemeno che con Jobim, e pubblicò alcune delle sue canzoni più famose (Strangers in the Night and My Way su tutte) in quello che è stato il periodo in cui lui ha venduto di più in assoluto (nel 1967 solo Sergeant Pepper lo ha battuto nelle classifiche) e che ha prodotto dei capolavori meravigliosi ed inarrivabili di una musica che mi rifiuto di catalogare come pop, perché aveva una sua propria dimensione, una grazia ed una perfezione mai più raggiunte da nessuno. Frank Sinatra sarà stato un gangster ed uno stronzo, ma come musicista è tuttora gravemente sottovalutato. Ditemi chi altro, nel 1966, avrebbe investito soldi contemporaneamente su Zappa, sui Buffalo Springfield, su una ragazzina lentigginosa come Joni Micthell, e su un ricciolone nero “scarto di riformatorio” come Jimi Hendrix. Tutto questo io l’ho scoperto tanto tempo dopo, ovviamente. Ma nel 1968, alla fine dell’estate, mio papà comprò una cassetta di successi, che conteneva soprattutto canzoni provenienti da un solo album, “Cycles”, in cui Frank cantava canzoni pressoché sconosciute degli autori a lui più vicini nella Reprise Records. Ebbene, se io ho mai avuto una colonna sonora della mia infanzia e dei momenti più belli di un’estate che iniziò dopo il primo viaggio di papà in California e terminò solo con la mia pubertà, qualche anno dopo, questa è la musica di quell’album: Rain in my Heart di Tony Randazzo, Both Sides Now di Joni Mitchell, Little Green Apples di Bobby Russell (che per me è ancora oggi la canzone del nostro amore per la mia mamma), May Way of Life di Bert Kaempfert, e soprattutto Gentle on my Mind di Glen Campbell, una ballata country che Frank trasformò in un inno orchestrale alla felicità ed alla pienezza della maturità. Aveva 53 anni ed era arrivato in cima, nessuno avrebbe mai più potuto scalzarlo. Ed io, bimbo, ascoltavo questa dolce profezia di una profezia di vita piena di dolci lacrime e credevo che il mio destino fosse già segnato. Così, ancora oggi, non rinnego quell’amore. “Cycles” è uno dei migliori album della musica moderna, e Frank Sinatra non tramonterà mai, perché ancora non è nemmeno stato scoperto per intero. Come Paolo, che scopro ogni giorno di nuovo, il figlio di Silvana e Marcello, il bimbo che è invecchiato in una sarabanda di fuochi d’artificio, imparando solo ora ad essere sé stesso, a commuoversi di felicità e non di vittimismo, ad accettare i doni che la vita gli ha fatto, inattesi ed ancora non del tutto compresi. Come diceva Gaber, per imparare ad amare una vita da sola non basta. Giorgio sbagliava. Abbiamo la musica, che arriva là dove i nostri limiti di intelligenza, di carattere e di maturità non arrivano. Là, dove scopriamo che Frank Zappa e Frank Sinatra vengono dallo stesso uovo, insieme a tanti altri fiumi che scorrono gentilmente nella nostra mente. E rendiamo grazie.

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