– Ho partecipato alla conferenza di Cristiano Armati (l’autore, fra l’altro, di “Roma criminale”) nell’ambito della seconda edizione di Black Metropolitan Noir Festival, che si svolgeva in un parcheggio sotterraneo al Quadraro, occupato e risistemato sotto il nome di Garage Zero. Non azzardo pareri sul festival, poiché ho solo partecipato a questa conferenza. Ma l’incontro con Cristiano Armati era importante (per me) per diversi motivi. Armati scrive dei libri – molto narrativi, colmi di dettagli ma anche di passione e, spesso, di autentica indignazione – su quella che la generazione prima della mia chiamava Cronaca Nera e che oggi fa parte del pentolone indifferenziato della lacrima a comando dei guardoni del brunovespismo. Di Armati confesso mi piaccia lo stile, la romanità quasi arcaica, la coerenza ed in generale il suo essere di un altro tempo, come testimoniava lui stesso in conferenza lottando con il suo telefonino ed ammettendo di avere avuto a lungo diffidenze e resistenze nei confronti di internet. Quando parlo di romanità parlo anche di questo suo essere al di sotto dei tifi sportivi (destra sinistra, centro periferia, Roma Lazio, intellettuale proletario) in modo onesto, appassionato e partecipe e mai lezioso. Per lui Roma è un valore a se, lo si sente nell’affetto e nella rabbia, ma anche nella precisione, che generalmente non é una dote di noi romani, e che per lui è un’arma di difesa contro il brunovespismo da un lato ma anche del marcotravaglismo dall’altro. Ed è proprio di questo che voglio parlare. Fino a Mani Pulite esisteva in Italia una grande tradizione del giornalismo d’inchiesta. Questo giornalismo è esploso negli anni 60 ed aveva avuto ne L’Espresso per lungo tempo la rivista di maggiore rilevanza. Fino alla nascita di Mani Pulite. Nel frattempo L’Espresso era divenuto una rivista di parte (come Panorama), e le punte di diamante del giornalismo d’inchiesta, una volta scomparsi Paese Sera, Epoca e pochi altri, erano Il Mondo (settimanale della FIAT ma estremamente attento ed aggressivo) e Avvenimenti, un settimanale romano che forse più si avvicinava a ciò che oggi fà Cristiano Armati. Potrei citare dozzine di nomi di colleghi bravissimi che hanno fatto la storia di quegli anni. Ma proprio in quegli anni il giornalismo d’inchiesta è morto. E’ morto perché ha sposato una categoria, quella dei magistrati, che in realtà non critica lo Stato, ma al contrario lo difende così come è. Lavorando a stretto rapporto di compromesso con i magistrati, il giornalismo ne è divenuto l’espressione pubblica. Il risultato: piazza pulita dei partiti nati con l’indipendenza e fortificati con due guerre mondiali, impunità per i leader dell’economia e quindi spazi aperti per le piraterie sconvolgenti che hanno segnato gli ultimi 20 anni del capitalismo italiano, Silvio Berlusconi al potere e poi, alla fine del ciclo, la nascita del Governo Monti – quindi la morte, dopo del giornalismo, anche della politica – insomma la morte dell’opinione libera e della possibilitá di esprimerla. In questa tendenza l’Italia arriva ultima. Quel tipo di giornalismo indipendente, che era figlio della violenta contrapposizione fra DC e PCI del dopoguerra, era da sempre proibito in Scandinavia, ignorato nella cultura tedesca, represso negli altri Stati europei che si affacciano sul mediterraneo, Francia compresa, ridicolizzato in Svizzera ed Austria. Nel 1965 Maj Sjöwall e Per Wahlöö avevano quindi iniziato a scrivere romanzi gialli per descrivere la violenza del regime svedese – uo dei governi più violenti e reazionari dell’Europa degli ultimi 200 anni, e che per giunta, a causa della proibizione di qualsivoglia voce critica, viene considerata a torto (da chi non la conosce dall’interno) una democrazia avanzata. I loro libri hanno cambiato molto, la tradizione di giallisti scandinavi è ancora oggi forse la migliore in Europa. Fino a Stig Larsson, che come Maj Sjöwall e Per Wahlöö voleva scrivere dieci tomi sugli orrori della Svezia e che invece, in un modo che nessuno scoprirà mai, é stato fermato dopo aver pubblicato una rilettura sull’omicidio dell’ex Primo Ministro Olof Palme – una delle grandi ferite aperte della storia svedese. In Italia invece coesistevano due giornalismi: quello di Statera e Giustolisi (so che alcuni si arrabbieranno), di Leo Sisti, di Michele Gambino, di Vittorio Malagutti, di Gianni Barbarcetto, Andrea di Stefano, Gigi Ferrarella e tanti altri, che hanno cercato di far arrivare il massimo di informazione possibile – rischiando di essere noiosi per evitare le querele. Dall’altra parte quella di Pecorelli, Bonini e D’Avanzo, che invece usa la contiguità con i servizi segreti. Senza menare il can per l’aia, entrambi questi giornalismi hanno i loro meriti, ma soprattutto le proprie colpe – soprattutto non sono riusciti e non riescono a raccontare la società, ma raccontano una verità troppo spesso di parte. E quando dico di parte non parlo di destra e sinistra, ma di dipendenza e indipendenza dallo Stato. In un giornalismo in cui il Comunciato Stampa è una verità, il giornalista non può essere indipendente, é costretto in una gabbia (come il Fatto Quotidiano) o chiude (come Il Manifesto). Cristiano Armati, secondo me, fà parte della schiera di chi, come gli svedesi prima di lui, ha individuato una via d’uscita. Per adesso descrive Roma ed i suoi omicidi, parla di Banda della Magliana, dei Casamonica, degli interessi in conflitto nella Roma di Alemanno, individua con intelligenza e passione i punti di frizione. Avrei voluto chiedergli la sua opinione su Roberto Costantini (che secondo me è un punto critico dell’editoria che in modo classico definiremmo “di destra”) ed anche altre cose sulle culture “altre” delle borgate, ma stavo per trasformare la Conferenza in una conversazione a due. Sicché spero che l’appuntamento sia solo rinviato, e ringrazio Alessandra e Artinconnessione che mi hanno dato la possibilità di vedere questo antro culturale nascosto nel cuore del Quadraro e lì nel centro, incastonato più che incastrato, sto “giovanotto de sta Roma bella”, che sembra un compagno della FGCI degli anni 70, parla come noantri de Primavalle ed ha il sorriso triste di chi invece combatte a forza di stornelli (giuro!) contro la perversione di quella Capitale che, come ha ricordato lui stesso, fino a pochi anni fa era la grande città con il tasso di violenza privata più bassa del mondo. Roma nostra.

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