Oggi scade il termine per la preiscrizione delle squadre professionistiche di calcio ai rispettivi campionati. Nessun problema in Serie A (nonostante la UEFA vieti al Milan l’iscrizione alle competizioni internazionali). In B ci dovrebbero essere 22 squadre, ma Cesena, Bari e Foggia pare che non ce la faranno, e verranno sostituite da Entella, Pro Vercelli e Ternana, che erano già pronte a subentrare, perché delle situazioni gravi di questi club si sapeva già durante il campionato. Ma il problema vero è la Serie C: 60 squadre al via, teoricamente, dopo un campionato in cui cinque club sono saltati a metà stagione. Ebbene, di queste 60 squadre aventi diritto, solo 9 si sono iscritte, ed altrettante hanno già annunciato il fallimento. I soldi sono finiti, stavolta davvero. Ma perché mai, oggi, un imprenditore dovrebbe buttare 20 milioni all’anno in una squadra di calcio locale? Ok, molte squadre ce la fanno con la metà di quei soldi, ed il 65% dei calciatori sono o dilettanti, o appartengono a società di A, che li prestano e ne pagano lo stipendio. Ma il problema è altrove: Catania e Lecce fanno 10mila spettatori di media. Il Catanzaro 4mila, Livorno e Pisa 6mila, Vicenza 7mila, Padova e Reggiana 5mila. Le altre 52 fanno fatica ad arrivare a mille spettatori di media, la stragrande maggiorana delle partite si svolgono davanti a poche decine di tifosi. Non importa se la squadra va bene o va male. Mentre una volta un imprenditore pagava con il calcio la propria visibilità a livello cittadino, oggi non gliene frega più niente a nessuno, i bambini tifano il Real Madrid o il Manchester United, che vedono ogni giorno in TV, e non la Solbiatese o l’Alma Juventus Fano. In Serie B i dati sono quasi altrettanto sconfortanti. E ripeto: la questione è che la gente non ha voglia di andare a vedere quelle partite, perché il livello è basso, sono noiosissime in confronto a ciò che ti entra in casa ogni giorno, ed andare allo stadio è scomodo e fuori moda. Una cosa da coatti, e non c’è alcuna identificazione tra città e squadra, a meno che non si arrivi in Serie A. Le medie spettatori per la C, negli anni 60, erano di sette volte più importanti di oggi, quelle della Serie A il doppio di quelle attuali. Questa non è una tendenza. Questa situazione non cambierà più, se non in peggio. Bisogna trasformare il calcio italiano secondo i dettami della Lega Professionistica di Football Americano. Niente promozioni e retrocessioni, gioca chi ha i soldi, e per gli altri esiste un campionato dilettanti, in cui il campanilismo è l’unica molla, i costi sono quasi azzerati, l’entusiasmo è la forza motrice. I giocatori buoni sono sempre di meno, quelli tra loro che hanno cervello e fame per farcela sono ancora meno. Smettiamo di credere che il calcio sia uno sport proletario: è un evento commerciale d’élite, come il wrestling ed il golf. Oppure decidiamo che sia lecito riciclare i soldi del crimine organizzato nel pallone (è già una tacita convenzione) ed andiamo avanti così. Ma facendoci del male, direbbe Moretti.

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