– Scrive Davide Giacalone: “E adesso, Matteo Renzi, che fa? Non è questione che riguardi (solo) la sua sorte personale, il modo in cui vorrà continuare la sua partita politica. Se questo fosse il dilemma si potrebbe comodamente attendere. Fatti suoi. Ma non è così, perché Renzi è la più vivace ed efficace novità sulla scena, sicché sapere se intende fare il bravo ragazzo del Pd, oppure l’irregolare che scassa tutti gli equilibri, interni ed esterni a quel partito, ha rilevanza generale. Se chiude la stagione con la partita delle primarie, fidando che il patrimonio di consensi accumulato possa tornare in campo nel campionato successivo, rischia fortemente di fare la fine di Mario Segni: aveva il biglietto vincente della lotteria elettorale, ma non andò a incassarlo, lo tenne in tasca, fin quando scadde. Ha fatto bene, il giorno prima delle primarie, a dire che non ci sarebbero stati ricorsi e polemiche, da parte sua e dei suoi sostenitori. Perché le primarie italiane sono un “fai da te”, prive di regole valide per tutti e prive di effettiva sostanza istituzionale. Si designa il candidato a un posto che non esiste, e questo basti. Fare ricorsi, ammesso che ve ne sia ragione e che servano a qualche cosa, significherebbe immiserire tutto dentro al Pd. Non è il caso. Non ha senso. Neanche, però, si può non vedere che, con la vittoria di Pier Luigi Bersani, il Pd non sarà il depositario di un programma capace di puntare, per ragionevolezza ed efficacia, alla maggioranza relativa degli elettori, ma il polo attorno al quale si tesseranno alleanze in grado di puntare a quello stesso risultato. Sono due cose profondamente diverse. Il centro sinistra di marca bersaniana sarà ancora figlio della seconda Repubblica, utile solo a contrapporsi agli avversari (ammesso che il centro destra si riabbia e si metta nelle condizione di rappresentare un avversario credibile), ma inutile a governare. Possono dirla e metterla come pare a loro, ma dentro quella coalizione ci saranno forze non solo disomogenee, ma fra loro conflittuali. Non si tratterà, in futuro, di tenere assieme Casini e Vendola, perché quello è facile: basta avere del potere da spartire. Il guaio è che si dovranno tenere assieme gli interessi che in loro si sono incarnati (in mancanza di alternative), e si dovrà farlo senza cambiare niente, altrimenti salta il rapporto con gli interessi della conservazione, che trovano nel Pd il loro maggiore aggregante. Ebbene, questo esercizio è impossibile. Non è riuscito a nessuno, nella seconda Repubblica, né riuscirà. Il centro sinistra di marca renziana sarebbe stato una cosa diversa. Gli sarebbe bastato tenere duro sui programmi (a parte i soldi da dare ai redditi più bassi, segno che uno scivolone demagogico non si nega a nessuno) e non mollare sulle alleanze. Vale a dire: non farle. Gli sarebbe bastato questo per raccogliere le urla di dolore di non poca parte degli apparati di sinistra, ma il consenso di una fetta rilevantissima dei voti di sinistra, al tempo stesso accedendo al forziere incustodito di quelli di destra. Non è andata così. La sinistra ha scelto la propria continuità post comunista. Con un gruppo dirigente che fu interamente comunista, che non ha mai condannato quell’odioso passato, e che ancora crede sia un approdo di modernità la socialdemocrazia. Quindici anni dopo il primo governo Blair, quattordici dopo la cancelleria di Gerhard Schröder, devono ancora fare il congresso di Bad Godesberg, che i socialdemocratici tedeschi fecero nel 1959. Questa è la sinistra italiana. Cosa fa, Renzi, aspetta che vinca le prossime elezioni, poi aspetta che fallisca, quindi si ripresenta come alternativa? Quel giorno saremo in condizioni del tutto diverse, anche perché sarà definitivamente collassata la destra attuale. No, non è un disegno politico ragionevole. Il fatto è che noi già conosciamo le tappe successive del purgatorio italiano. Sappiamo che voteremo e che le urne non consegneranno a nessuno, non consegneranno a questa sinistra, una maggioranza tale da potere governare autonomamente. Potranno fare un colpo di mano per la presidenza della Repubblica, ma sarà, ancora una volta (è già successo) l’inizio della sua fine. Poi giungerà a maturazione la crisi dell’euro, rimettendo in difficoltà il finanziamento del nostro debito. Quindi si verificherà l’incapacità del governo di far fronte alla situazione e, dunque, si passerà ancora a un governo commissariale. Non uguale a quello Monti, ma comunque con lo stesso incipit: visto che non siete capaci, fatevi da parte. E se la prima fu emergenza, la seconda è malattia della democrazia. Lo sappiamo già. Se non si vuole rassegnarsi si deve porre mano alle regole costituzionali, il che richiede una condivisa consapevolezza che senza un governo governante, chiunque vinca, siamo destinati a marinare nelle imposizioni che arrivano da fuori, perdendo competitività e strangolandoci di tasse, senza che siano utili a pagare il debito. Se di questo Renzi è consapevole si renderà conto che attendere è perdersi. Anche senza avere vinto le primarie, un prodotto politico alternativo può essere proposto agli elettori. Basato sulla consapevolezza di quella necessità e mettendosi in anticipo laddove anche gli altri dovranno arrivare. Ma deve trovare il coraggio e la forza di rompere. Altrimenti resterà solo il bel ricordo di una gara inutile. I capponi di Renzo si beccavano nel mentre andavano a morire, magnifica simbologia manzoniana dell’Italia. Quelli di Renzi … speriamo non sian capponi”.

Lascia un commento