Conversando con una mia carissima amica che vive in Germania, lei, menzionando le difficoltà della propria bellissima famigliola, diceva che sperava di trovare un po’ di stabilità. Ho risposto con un briciolo di perplessità. Stabilità? Intendiamo la balla che è stata raccontata a tutti, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per introdurre uno stato in cui la gente se ne stesse buona? In cui la gente, quando sbroccava, venisse emarginata e punita, anche senza che facesse male a nessuno? La balla che Silvio Berlusconi ha sputtanato, reintroducendo l’egoismo becero e ignorante, ed elevandolo a sistema positivo di vita? Il concetto di stabilità, che in natura è praticamente sconosciuto (persino in chimica e fisica le cose sono stabili finché non diventano instabili, cosa che, a medio termine, accade all’incirca sempre), è una sorta di metadone sociale cui siamo costretti a rinunciare, perché non ne producono più. Coloro che si candidano a guidare i popoli, non solo in Italia, la promettono, ancora prima della sicurezza, del benessere, delle tutele sociali. E invece no. Questa balla è stata rifilata a tutti di modo di concedere alle persone una sorta di diritto tacito a non cercare il proprio equilibrio all’interno di un sistema instabile, del quale noi stessi siamo l’elemento più sbarazzino ed imponderabile (ed è per questo che hanno inventato anche la balla del determinismo). Se non abbiamo un equilibrio, e non lo cerchiamo, siamo colpevoli, a meno che non accettiamo la superstizione della stabilità. Ovvero della rinuncia alla responsabilità. Non vi illudete, chi vi scrive sta peggio di voi. Come disse Giorgio Gaber, capire la crisi non vuol mica dire che la crisi è risolta.

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