Cosa vuole dire essere patriota? Cosa vuole dire amare il proprio Paese? Vuol dire odiare chi è nato al di là dei confini? Vuol dire apprezzare a prescindere tutti coloro che il caso ha voluto nascessero in un determinato territorio? Dove comincia e dove finisce quel territorio? L’amore per la patria non è l’odio, contro NESSUNO, ma è l’amore corresponsabile, che ci obbliga a far qualcosa subito, specie in queste ore di tragedia. Oggi era il 4 novembre, il centenario di un giorno in cui la parola patriottismo aveva un senso vero, vissuto, non lezioso o propagandistico. Pagando un tributo di milioni di morti, gli italiani tutti, per la prima volta tutti uniti, avevano respinto un nemico militare più forte, più preparato ed agguerrito, e nelle trincee avevamo imparato ad essere tutti fratelli. Fratelli nella propria assurda, terribile agonia, non nell’eroismo propalato dalla propaganda. Ci si è sentiti italiani perché si soffriva insieme, non perché si vincevano battaglie. E comunque, la patria è di più. Molto di più. La patria è un gruppo di ragazzine giganti, che giocano a pallavolo e perdono per un soffio la finale della Coppa del Mondo, che le vedi che darebbero la vita l’una per l’altra. E mentre la pubblicità, in una foto, cancella una ragazza di Cittadella a causa del colore della sua pelle, quella, Paoletta Egonu, la più brava giocatrice del mondo e nemmeno 20 anni, piange al telefono con la sua fidanzata, perché i genitori di Paola non vivono più in Italia, sono emigrati perché non trovavano lavoro. Lei è rimasta perché è italiana e gioca a pallavolo. Lei è la mia patria. La mia patria è un medico che ho conosciuto a Windhoek, in Namibia. Era lì a riposarsi, aveva preso la malaria a Darfur, mentre lavorava in un ospedale da campo in zona di guerra. Lo chiamano “ciao Italia”, perché ha un nome complicato. L’orgoglio che mi gonfia il collo quando mi stringe forte la mano è troppo forte per descriverlo. L’ho conosciuto perché due suoi cugini abitano a Baobab, la baraccopoli terribile in cui italiani e stranieri senza casa e senza lavoro si battono per sopravvivere. Il medico ce l’ha fatta perché i suoi genitori avevano un lavoro e l’hanno fatto studiare, e suo fratello, che abita in Via Baccina, quando l’ho conosciuto e gli ho chiesto da dove venisse, mi ha risposto, mostrando una Lupa tatuata sull’avambraccio: “Io so dde Roma. La Cina è pei perdenti”. Sono in 15, i nonni abitavano in campagna, al confine tra Cina ed Unione Sovietica. Ed uno di loro, in Africa, lo chiamano “Ciao Italia”, per l’appunto. Ma cosa sia veramente la patria l’ho imparato in Germania Est, da quei cori di bambini che si esibivano ad ogni celebrazione, e cantavano una canzone struggente, “Unsere Heimat”, che quando la sento mi viene da portare la mano al cuore, e mi fa sentire più tedesco che italiano: “La nostra patria, non è solo le città e villaggi, ma anche tutti gli alberi nella foresta. È l’erba sul prato, Il grano nel campo e gli uccelli in aria, e gli animali della terra ed E il pesce nel fiume sono patria. E noi amiamo la patria, la bella, e la proteggiamo, perché appartiene al popolo, perché appartiene al nostro popolo”. Amare la patria, essere veri patrioti, vuol dire voler bene a tutto, proteggerlo e difenderlo, sentirci corresponsabili. Corresponsabili per i tantissimi morti di questi giorni, morti perché non difendiamo il nostro Paese, ma continuiamo a rovinarlo. Non ripariamo le strade, i ponti, le ferrovie, i cavi, le canalizzazioni, le case, i fiumi, le foreste, le case, gli edifici, e poi ci meravigliamo se – nella loro catastrofe – ci trascinano con loro, nella morte. Le immagini strazianti di questi giorni mostrano una patria ferita, esperti che dicono che ci vorranno decenni per riparare le ferite, ed una politica che ancora discute di cose altre, superflue, dannose, in parte mostruose, in parte infantili. Se fossimo patrioti, ma patrioti veri, da domani mattina saremmo lì a pretendere dal governo, quale che sia il suo colore, un programma straordinario per salvare l’Italia, che è l’unico modo per salvare gli italiani. Sapendo che possiamo fallire solo per cialtroneria, interesse illegittimo, mendacia, imbecillità. Sanno tutti cosa si debba fare, quanto costa, quanti soldi e posti di lavoro apporterebbe, e quali enormi benefici se ne trarrebbero. Perché non solo la nostra Terra appartiene al nostro popolo, ma anche noi, come insegnavano gli indiani d’America, apparteniamo al popolo ed alla terra, siamo solo prestati a noi stessi.

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