In questi mesi di orrore, nei quali l’umanità scivola a velocità crescente nel caos, e ci governano persone che non hanno né ricette, né consapevolezza, né preparazione, né intelligenza, né empatia, né coscienza sociale, non basta più cercare di mantenere la calma e presentare risposte sensate. In un mondo che vota M5S o nazionalsocialista l’intelligenza è stata bandita e la solidarietà è solo un vezzo semantico del peggiore cinismo. Bisognerebbe essere capaci di un segno. Come gli studenti di Dead Poets Society nel momento in cui il Professor Keating abbandona l’aula e tutti salgono sul banco e recitano “Oh capitano, mio capitano”. Come il povero Jan Palach, che si dà fuoco sulla Piazza San Venceslao per mostrare al mondo la libertà rubata al popolo ceco. Come il pugno nero innalzato al cielo da Tommy Smith, Peter Norman e John Carlos sul podio dei 200 piani a Città del Messico 1968. Quello che Gaber chiamava “un gesto, un gesto naturale per essere sicuri che questo corpo è mio, intero come il nostrio io”. Un gesto che non sia eroico, ma privato, nela suo essere pubblico. Il tempo degli eroi è quello dell’epica classica, o della borghesia – figure che sono più danno (o anestetico) che riferimento. Ci vuole un gesto, non una persona eroica. Che sia grido e fermezza, che sia coscienza e determinazione, che sia indimenticabile e non violento. Perché il nome dei giudici che squalificarono i tre ragazzi sul podio non li sa più nessuno, come non si sanno più i nomi di coloro che ordinarono di torturare Dubcek e passarono con i carri armati sulla gente, e nessuno ricorda i personaggi mediocri, corrotti, disgustosi e cattivi. I Salvini, i Di Maio, i Di Battista, i Meloni, i Toninelli passeranno e verrano dimenticati. Ma un vero gesto civile, di libertà, è per sempre. Come diceva il Che: Hasta la Victoria, siempre. Non importa se non ci saremo a vederla, la libertà, la vittoria, il trionfo sul cinismo e la barbarie, finché esisterà una vera umanità per ricordare.

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