Mio padre mi ha sempre detto che l’esperienza si fa, non la si può né insegnare, né imparare. Questo fatto, verissimo, diventa per me sempre più doloroso: con il passare degli anni divento più fifone, mi spaventano i pericoli corsi dalle persone cui voglio bene. A ciò si associa un fastidioso saputellismo, di cui mi sono ammalato, e che ha degli effetti piuttosto nocivi. Per cui mi ordino di smettere, giacché ciò che accade di volta in volta alle persone che amo non è esattamente ciò che è accaduto a me, e non esiste nessuna regola al mondo che li obblighi a reagire come allora ho reagito io. Non solo: anche se reagissero come ho fatto io, non è assolutamente certo che gli effetti sarebbero gli stessi capitati a me. Di più: non tutti gli effetti che paiono negativi, o positivi, sono valutati allo stesso modo dalle altre persone. Chi ama un bugiardo professionista, manipolatore e cattivo, e si infogna nella convinzione di poterlo battere sul suo terreno, mi terrorizza – ma può darsi che per quella persona questa sia una relazione giusta, soddisfacente, sublime. Chi sceglie con cura ragazzetti beceri di periferia, perché ha smesso di averne paura, e poi soffre di solitudine, perché costoro considerano ormai persino il discutere di calcio uno sforzo intellettuale troppo penoso, magari è più contenta così che con un ragazzo, di fronte al quale per un motivo oscuro ed inaccessibile a me, ma incontrovertibile per lei, si senta in soggezione. Chi è talmente insicura da lasciarsi imporre, di tanto in tanto, giudizi su sé stessa, per evitare di prendersi la responsabilità di scegliere una vita, forse è più serena così, che combattendo contro le pressioni convergenti di un lavoro stressante, dei bimbi pieni di energia cresciuti da sola, di un ambiente anaffettivo e petulante. Chi deve vincere ogni giorno una guerra persa in partenza contro una malattia dolorosa e persistente, ma è talmente orgogliosa da offrire ogni mattina la fronte al male, e considera le giornate in cui viene sconfitta come le vicende alterne ed accettabili di un interminabile campionato sportivo, ed è certa che la terribile sofferenza, anche fisica, sia meglio che abbandonare la battaglia, non merita il mio spavento, ma la mia ammirazione. Chi infine si nasconde dietro le forme ed i riti per evitare di affrontare i mostri che ha dentro, sceglie di non affrontare chi le vuole davvero bene, e preferisce essere giudicata da altri piuttosto che vivere libera, e considera quindi la solitudine una superstizione da intellettuali, deve essere lasciata andare, non inseguita o magari solamente attesa come i genitori svegli che attendono la bimba che torna di notte dal ballo. Io vorrei aiutare, ma non sono capace. Mi arrovello, divento aggressivo ed isterico, faccio peggio, non sono capace di dare nulla di buono e di utile. Ma non perché sono peggio di chiunque altro. Perché la vita condanna tutti a farsi prendere a sberle dalla realtà e vedere, ogni volta, se si è in grado di rialzarsi o no. Il mio è egoismo bello e buono, un bisogno di armonia ingiustificabile. Sognare che portando il gelato a cena, e giocando a Scarabeo perdendo apposta, io possa portare felicità dove non è richiesta. Chi protegge troppo i propri cari ne danneggia la capacità di battersi da soli contro le avversità. Devo imparare ad esserci soprattutto dopo il botto, con rispetto ed affetto, senza rompere i coglioni con il “te lo avevo detto”, ma soprattutto devo accettare che qualcuno che scelga una vita suicidale accanto a un mostro, se lo ritiene opportuno, debba farlo: perché come ce l’ho fatta io, pagando un caro prezzo, ce la faranno anche gli altri che amo, se vorranno. E se non vorranno, si vede che era meglio e giusto così. Come diceva Gaber, lasciare liberi è l’unico amore possibile. Ma si fa davvero fatica, ragazzi…

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