Vi ho parlato spesso di Leon Russell, che con il suo modo particolare di suonare il piano ha profondamente influenzato la musica anglosassone dal 1960 in poi, usandolo quasi come un mero strumento ritmico, capace di trascinare in un vortice a metà tra il soul ed il country, che ha costituito la fortuna, primo fra tutti, di un interprete come Joe Cocker. Ma l’idea di ridurre all’osso il ruolo della batteria, preferendo magari le percussioni ed usando la chitarra come supporto melodico e tutti gli altri strumenti (piano, basso e persino i fiati) come sezione ritmica, idea mutuata proprio dai musicisti neri, non venne a Russell, ma ad un talentuoso chitarrista di Worcester, paesino vicino a Birmingham famoso per aver dato la luce ad Elgar e molti altri pomposi musicisti classici inglesi, e sede oggi di un rinomato festival di rock e beat britannico. Questo chitarrista si chiama Dave Mason, ed era un musicista di studio già a 19 anni, nel 1965, quando, arrivato dal paesino, si trovò a registrare per i Mamas & Papas, per Jimi Hendrix, per i Rolling Stones e soprattutto per Delaney & Bonnie (era la chitarra ritmica di Eric Clapton) e nella prima versione (quella davvero indimenticabile di Peter Green, prima dell’insopportabile Lindsay Buckingham) dei Fleetwood Mac. Dopo un po’ si mise a cercare una band, e finì con Steve Winwood, Jim Capaldi e Chris Wood a fondare i Traffic. Del resto Winwood, un pianista di Birmingham giovanissimo (14 anni nel 1962, quando arrivò a Londra), lo aveva scovato proprio lui. Se lo cercate, Mason lo trovate solo nei primi dischi. Gli altri non lo sopportavano. Perché, fortemente legati alla scena americana di Nashville e della West Coast, preferivano costruire i loro brani insieme, lavorando ore allo stesso riff. Dave Mason, invece, arrivava in studio con gli spartiti per tutti, già pronti, e considerava gli altri il suo gruppo di spalla. Questo creò già notevoli tensioni durante le sessioni di registrazione di “Mister Fantasy”, ed il fatto che il singolo di maggior successo della band (“Hole in my shoes”) fosse di Mason ed avesse un sound diverso dagli altri brani, creò diverse tensioni, stemperate da Muff Winwood, fratello di Steve, e dirigente della casa discografica per cui registravano (Island Records), nonché membro degli Spencer Davis Group, in cui Steve aveva iniziato e scritto brani immortali come “Keep on Running”, “Gimme some Loving” ed “I’m a man”. Muff li tenne insieme per un altro album, prima che Dave venisse cacciato, ed i Traffic registrassero “John Barleycorn must die”, uno dei più grandi album della storia della musica moderna. Ma io stanotte vorrei celebrare un’altra canzone di Dave Mason: “Feeling alright”, registrata per la prima volta il 4 marzo 1968 (50 anni fa) con i Traffic, e che fu poi portata al successo da Leon Russell e Joe Cocker, un anno più tardi. Questa versione originale, più lenta delle successive cover, è stata un’ispirazione per moltissimi musicisti, perché quel sound venne copiato dai Manassas di Stephen Stills e divenne, anche grazie a “On the road to freedom” del chitarrista gospel Mylon Lefevre e del genio dei Ten Years After, Alvin Lee, una delle correnti di maggior successo della West Coast e del country rock americano, contribuendo a far considerare Dave Mason uno dei padri fondatori del rock in assoluto ed essere accolto nella Hall of Fame. L’eco di quel modo di coniugare piano e chitarra lo trovate persino nel Southern rock dei Lynyrd Skynyrd (“Sweet Home Alabama”), in Elvin Bishop e tantissimi altri, compreso Paul McCartney, che fece suonare Dave Mason in molti degli album dei Wings. Naturalmente, io i Traffic li ho scoperti solo molto tempo dopo, ma adoro segnalarvi quelle intersezioni musicali che sono pietre miliari (dimenticate) su cui l’intera storia del rock e dei suoi derivati è stato costruito e, come un meraviglioso ponte incantato e impossibile, sta ancora in piedi, nonostante i molti attentati perpetrati ai suoi danni negli ultimi decenni.

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