15 maggio 2014 – 522 anni dopo hanno trovato la Santa Maria sott’acqua. Abbiamo un tempo di riferimento per l’aereo malese. Ma almeno della Santa Maria e delle altre caravelle si sapeva dove fosse andata, pur non sapendo dove andare…

13 maggio 2014 – Cerco di riassumere ciò che “Report” di Milena Gabanelli è riuscita a spiegare oggi. Il prezzo del petrolio dipende da tre fattori: quanto costa estrarlo, quanto costa portarlo sui mercati, quanto vale come mezzo di pressione. In questo calcolo negli ultimi anni sono entrate nuove variabili, e specialmente una. Il picco di gas e petrolio estraibile dai giacimenti conosciuti ha raggiunto e superato un limite temuto – insomma si può calcolare quando finirà. Possibilità: si cambia energia, si trova nuovo gas e petrolio. Si cerca di fare entrambe le cose. Una di queste possibilità è lo shale gas, un gas prodotto dalla frantumazione di altri minerali e rocce in modo estremamente inquinante ma a prezzi straordinariamente bassi. Grazie allo shale gas gli Stati Uniti hanno raggiunto in 8 anni l’indipendenza energetica. Quando, tre anni fa, la Chevron (una multinazionale americana) regalò alla Polonia ed all’Ucraina la tecnologia estrattiva ed i brevetti ad essa collegati, non capii perché lo facessero. Oggi “Report” me lo ha spiegato. Primo: in questo modo la Chevron va ad estrarre a pochi chilometri dalla frontiera russa (e fin lì c’ero arrivato anch’io), portando non solo ingegneri, ma anche sistemi di intercettamento ambientale e militari più o meno mascherati da altro. Ma questo non spiega nulla. Secondo: il gas viene considerato un materiale strategico, e quindi la legge federale degli Stati Uniti ne vieta l’esportazione. Risultato: crollo dei prezzi dello shale gas, ce n’è troppo – e per produrre il gas di un pozzo classico ne servono 25 di shale gas, che per giunta perde efficienza di anno in anno, aumentando i costi e l’inquinamento – motivo per cui l’ENI, che pure è interessata allo shale gas, ha sempre detto che da noi questo gas non verrà mai sfruttato (lo abbiamo in Emilia Romagna). Terzo: la Russia non può produrlo, perché se lo facesse farebbe crollare il prezzo del gas e del petrolio prodotto dalle sue grandi industrie. Quindi: la Russia non vuole che l’Ucraina (che non solo dipende al 100% dalla Russia per l’energia, ma è anche la sede degli oleodotti che portano petrolio e gas russo all’Unione Europea) passi allo shale gas. Non lo vuole, costi quel che costi. Gli Stati Uniti godono. L’amministrazione Obama ora ha un’arma in mano per dire al Parlamento federale che bisogna immediatamente cambiare la legge che vieta l’esportazione dello shale gas all’estero. Vincerà, sicché lo shale gas salirà di prezzo, gli Stati Uniti si arricchiranno, l’Ucraina non sarà una concorrenza né per gli USA né per Mosca. Perfetto. E noi Europei? Niente. Come al solito. La Germania fá ciò che dice la Russia. L’Italia fà ciò che dice la Germania. Il Regno Unito cerca di passare allo shale gas, ma sappiamo bene che la popolazione, non appena vedrà il livello di inquinamento acustico e respiratorio, bloccherà questa industria. La crisi in Ucraina fà contenti tutti. Evviva.

12 maggio 2014 – Pubblico questa dichiarazione ufficiale per aiutare coloro che – su Facebook e nella quotidianità – credono che il salvataggio degli africani che sbarcano in Italia affossi la nostra nazione. “Cecilia Malmström, European commissioner for home affairs, said in a statement that she was shocked by the latest tragedy and called on member states “to show concrete solidarity” with Italy. She urged governments to follow up a European Commission plan that would allow refugees coming to Europe to be processed in camps outside the EU and open “legal channels” for their safe passage”. Questa dichiarazione (era ora che arrivasse) è accompagnata da una statistica che la destra italiana rifiuta di pubblicare: il 91,42% degli africani che sbarcano nel sud italiano chiede solo di attraversare l’Italia per andare altrove. Siamo noi, a causa della nostra debolezza strutturale e della difficoltà di identificazione, ad impedire loro di lasciare l’Italia. Il razzismo di chi continua a credere che verremo travolti da un’ondata di stranieri affamati non é altro che ignoranza dei fatti reali. Questa ignoranza è figlia di una informazione mediatica censurata dalla destra estrema (Grillini, Fascisti veri e celati, Berlusconidi al governo o fuori dal governo, piduisti vari) e dalla destra schiava della finanza globale e di chi cerca di schiacciare l’Italia (Scelta Civica, renziani e dalemiani del PD). L’emergenza della Sicilia e della Puglia è un’emergenza europea, Il Sindaco di Mentone diceva una settimana fa che lui non ha bisogno di leggere i giornali italiani per sapere degli sbarchi. Una settimana dopo il salvataggio di cento disperati africani, a Mentone passano almeno cinquanta persone in cerca di futuro o di parti della propria famiglia che si sono già stabilite in Francia. Il resto è razzismo onirico o ignoranza funebre.

8 maggio 2014 – Stanotte hanno arrestato Claudio Scajola su ordine dell’Antimafia di Reggio Calabria. Mio Dio, che vita emozionante ha costui, e tutta a sua insaputa, suppongo!

5 maggio 2014 – Gli ultimi avvenimenti, lo stato della giustizia, l’irrilevanza delle istituzioni di governo, confermano a distanza di due secoli la convinzione di Klemens von Metternich: l’Italia è un’espressione geografica.

4 maggio 2014 – Ciò che è accaduto in occasione della Finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina mostra tre cose verso le quali ci ostiniamo a restare ciechi. La prima e più importante: lo Stato non ha il controllo sul territorio. A Napoli, come in molte altre zone ufficialmente parte della Repubblica Italiana, esiste uno Stato parallelo, guidato dal crimine organizzato, che si estende su un territorio vastissimo e non solo non è contrastato, ma riesce persino, con corruzione e paura, a cancellare l’idea di una realtà altra possibile. La Campania non è Italia. Non perché gli abitanti siano più o meno conformi al resto dello stivale, ma perché vengono controllati dalla Camorra, che fà le leggi e decide la quotidianità. Il secondo fatto: i tifosi del calcio sono divisi tra persone normali e belve, ma sono le belve ad avere il controllo su tutto, persino su alcune scelte societarie. Così come lo Stato ha perso il controllo del territorio, la Federcalcio ha perso il controllo del gioco del pallone e di ciò che gli gira intorno. Ed infatti chiunque può vedere che molti risultati sono addomesticati e che le belve hanno il sostegno attivo della parte marcia del calcio, del sistema delle scommesse ad esso legato ed alla corruzione. L’ippica è stata così per anni ed è infatti scomparsa. Il terzo fatto: qualunque cosa accada, resta senza conseguenze. Dopo i fatti di stasera, se fossimo stati un Paese serio, il titolo sarebbe rimasto non assegnato e nessuna squadra italiana avrebbe partecipato alla Coppa UEFA quale qualificata di questo torneo. Insomma, tutto viene gestito apertamente con una morale elastica ed evidentemente partigiana e corrotta, che insegna al popolo che fregare, uccidere ed umiliare sia la strada giusta per il successo. Trasporre queste considerazioni all’intera societá ed alla classe politica che esprime non è un passo, è una conseguenza logica indirimibile. L’Italia è un Paese morto, suicida, volgare, assassino, ladro, bastardo e schifoso. Tutti, da me che sono un cacasotto all’ultimo deficente di hooligan di qualche squadra di lega dilettantistica che picchia un arbitro per svoltare la domenica. Che fare? Sciogliere i club coinvolti in queste cose orribili. Niente più calcio a Napoli e Firenze – e se necessario a Roma, a Milano, a Torino, a Bologna, ovunque. Ma quale autorità riconosciuta ed imparziale potrebbe mai compiere scelte simili. Crozza?

30 aprile 2014 – La confusione del dibattito politico mi spaventa. Grillo che grida “figli di troika” mentre il suo quotidiano picchia (giustamente) sulla sporcizia interna ai partiti lo capisco. Berlusconi che fa la solita moina lo conosco. Il PD che passa il tempo a suicidarsi è una costante millenaria. Ma ciò che sta facendo il governo non lo capisco davvero. Non capisco se stiano facendo delle cose serie, non stiano facendo niente, stiano solo gettando fumo o stiano facendo ciò che è possibile fare nell’attuale confusione. Marco Giacinto Pannella decide di farsi morire proprio adesso, che non se ne accorgerebbe nessuno. Ignazio Marino, il clown messo da Goffredo Bettini ad annientare Roma, gongola come un tacchino ignaro del Natale che arriva. Nel frattempo in Europa si giocano una serie di partite decisive: a) la guerra sulle fonti energetiche, in cui è chiaro che Russia e Germania sono alleate; b) la guerra sul sistema bancario, che passa anche da noi ma di cui non ci accorgiamo a causa delle minchiate populiste della destra grillina e pinocchina (M5S, Lega, FdI e FI); c) la guerra sulle risorse naturali e sul neocolonialismo, di cui l’emigrazione di massa è un effetto tutto sommato marginale, se si guardano le cifre in ballo; d) la fine della guerra per la cancellazione del sistema democratico in cui la pubblica opinione sia una sorta di “cane da guardia”. Noi siamo assenti da tutto, di questo da noi non si parla. Ma state sicuri, Renzi Show, Grillo Show, Berlushow a parte, qualcuno sta facendo dei fatti che cambieranno la vita di almeno una generazione. E noi non sappiamo quali siano.

22 aprile 2014 – La malattia è la maschera che finalmente cade e ti lascia nudo di fronte a te stesso. Chi è saggio è capace di farlo senza distruggere il proprio corpo. Purtroppo io appartengo ad una razza più debole e corrotta.

18 aprile 2014 – Le dimissioni di Daniela Morgante sono una svolta: il Sindaco Marino ha deciso di affondare la città, non adempiendo agli accordi presi con l’elettorato, aggirando le regole concordate con il Parlamento nazionale per ottenere i soldi del Salva-Roma. I debiti non verranno pagati. Il deficit non verrà cancellato. Ignazio Marino, che sta cercando di guadagnarsi la fama da grillino-democristiano qualsiasi, punta tutto sul ricatto: se non pagheranno di più, Roma dovrà dichiarare fallimento, ed intanto aumenterà ancora le tasse dirette ed indirette, per giunta sottraendo i servizi per cui paghiamo le tasse – la raccolta dell’immondizia, la gestione dei giardini e soprattutto la manutenzione delle strade. Perché lo fà? Perché è in atto una guerra interna al PD fra i renziani e tutti gli altri. Il primo regolamento di conti saranno le Elezioni Europee: in quella data Bettini (il capobastone nemmeno occulto di Marino) vuole battere la capolista renziana. Quindi nessuno va licenziato, nessuno va spaventato, il PD deve mostrare che difenderà il malcostume persino più di Alemanno. La straordinaria decisione di spostare oltre 300 amministrativi dell’ATAC sugli autobus sembra così restare un evento sporadico ed eccezionale. La Signora Morgante, un Giudice della Corte dei Conti, ha dimostrato di essere una persona seria. Una voce che grida nel deserto di questa città-ostaggio.

14 aprile 2014 – “La risposta nel vento, dov’è, dov’è? Sarà la stessa per ciascuno di noi?” (Roberto Vecchion). Stavolta non vi hanno lasciato sfasciare nulla. Vi aspettavano. Stavolta non avevano da raccogliere nessun consenso popolare: lo hanno. Uno di voi ha perso la mano. Avete dormito per strada. Non giudico la disperazione, è troppo facile dalle quattro mura di casa. C’erano tante persone della mia età, senza presente né futuro – e dall’altra parte i rappresentanti di uno Stato che hanno creato questa situazione ad arte. Non siete “classe”, anche se forse ne avete la coscienza, ma ratti da laboratorio. Giocano con voi. L’ultima volta mi sono reso conto del fatto che la Polizia avrebbe avuto volentieri un morto. Ora mi sono accorto che lo volete anche voi. Credete che un martire cementi e santifichi. Finché in Italia ogni lotta resterà l’espressione del cattolicesimo più mendico, non ci sarà speranza. Ma queste, per voi, sono disquisizioni da intellettuale, quindi merda. Quindi volete tornare a farvi far male. Non cambierà nulla e lo sapete anche voi. Cambierà tantissimo e nemmeno ve ne accorgerete. Così mi vergogno di non esserci e mi vergogno per ciò che state facendo, alla pari. Sì, sono un piccolo borghese snob che si è costruito una vita, mentre voi facevate altro. La differenza tra voi e me è sottilissima: la disperazione. Voi sapete di non avere nulla davanti, io pure. Ma non voglio venire con un bastone in mano per strada a farmi ammazzare da un celerino, perché ho paura e perché so che state facendo il loro gioco.

11 aprile 2014 – E questa resta sempre la più bella, dura e vera canzone mai scritta su di me e quelli come me (subito prima di “Quelli come noi” di Claudio Lolli e “Cuore di cane” di Francesco Degregori). Ma questa canzone, al contrario delle altre, non ha né ironia né sarcasmo, solo l’affetto di una donna che guarda con tenerezza indietro e vede quei pomeriggi di settembre, in cui tutto era ancora possibile e non tutto il futuro era stato ancora giocato ai dadi.
https://www.youtube.com/watch?v=JGMzuo6jwjU

9 aprile 2014 – A causa della mia malattia non sono potuto andare alla presentazione del libro, ed ora penso che sia stato meglio così. Ma stamattina, avendo sfidato la proibizione medica ed essendomi concesso una passeggiata nello splendido sole primaverile, sono andato in libreria, ho comprato “Prima che la notte” di Michele Gambino e Claudio Fava e – come vedete – l’ho letto tutto d’un fiato. Michele è un uomo difficilissimo, tormentato, una delle persone che stimo di più ma anche da cui a volte mi sono nascosto, perché occupa tantissimo spazio, dev’essere sempre in primo piano ed ha sanzionato per anni la distanza fra lui e chiunque altro con la massima: “Non hai idea di chi mi sia messo contro io”. Leggendo questo libro finalmente lo si indovina, lo si capisce. Michele, come Claudio Fava, si sente allo stesso tempo colpevole di essere sopravvissuto al grande giornalista Pippo Fava, ucciso barbaramente il 5 gennaio 1984, ed anche colpevole di non essere stato grande come lui nel suo modo libero e cosciente di sfidare la morte. Una morte che, descritta finalmente dai due colleghi in modo letterario e preciso, fà un orrore ed una paura che, quando lavoravo con Michele, non potevo capire. Questo libro, che parla di mafia solo a lato, e per il resto è un atto di amore filiale di due ragazzi per il padre che se ne è andato senza (poter) spiegare perché, dice sullo schifo, la putrescenza, il dolore, il marcio profondo della mafia molto di più di tantissime cose che ho visto in una vita da lettore assatanato e giornalista interessato. Per me, ragazzino di una Roma bracalona, allegra e ridicolmente ideologizzata, poi trasferito in Svizzera per trovare lavoro, i “cattivi” erano persone senza volto, le vittime nomi su una lista. Per Michele e Claudio invece si trattava quasi sempre di persone che avevano incontrato sulla loro strada, non foss’altro come clienti della stessa trattoria. Per questo, ora che ho capito, sono rimasto così sconvolto dal gesto compiuto da Claudio Fava in campagna elettorale: andare ad un dibattito televisivo nelle TV di Cianci Sanfilippo… Per questo, ora che ho capito, so perché Michele – proprio lui che ha sempre fatto stragi di ragazze – è rimasto solo. Nella precisissima autocritica compiuta dai due ragazzi de “I Siciliani” (e soprattutto in quella di Michele) c’è una dose di eroismo vero, umano, cosciente, civile, adulto, di cui avremmo tutti avuto bisogno nel 1994, quando seguimmo come pecoroni l’inchiesta Mani Pulite e non capimmo che stavamo facendo il gioco di una parte politica che avrebbe annientato l’Italia che conoscevamo non nella corruzione, ma nella sua capacità di indignarsi. Michele lo dice: eravamo convinti che la rivoluzione stesse iniziando. Chi, leggendo “I Siciliani” e poi “Avvenimenti” ci ha creduto, ci si è rotto le corna. Chi, come Riccardo Orioles, troppo avvitato su se stesso per fare un salto al di là dell’ideologia da operetta che giustifica le sue tenere (ma poi irritanti) timidezze e debolezze, ci è affogato dentro. Claudio Fava lo scrive bene: non eravamo amici, eravamo i figli di Pippo. Quando lui morì, dovettimo cercare di divenire un gruppo. Una cosa che non riuscì mai e che negli anni ha rovinato tanti rapporti umani, purtroppo. La frase più dolorosa e vera la dice Michele: comincio a sorprendermi a temere che Pippo sia morto per nulla. Eppure esattamente in questo anelito all’immortalità sta il difetto. No, Pippo Fava è vissuto pienamente fino alla fine, godendosi la vita. Noi no. La nostra vera colpa non è stata solo nel non aver capito prima che accadesse, nel non essere riusciti a trasmettere il messaggio o nel non aver vinto la guerra in suo nome. La nostra disfatta, semmai, è nel non aver veramente vissuto. Queste 100 paginette di autocoscienza mi hanno commosso fino alle lacrime. Mi viene in mente quella notte a Locarno in cui Micki venne a stanarmi da un giornalino di sottoprovincia e ad insegnarmi a prendermela con i pesci veramente grossi. Mi viene in mente il viso sfranto dal dolore di una Paola, di cui è meglio non parlare. Mi viene in mente quella cretina della mia moglie di allora – che poi giustamente di mestiere ha fatto l’esperta di logistica per il crimine organizzato e l’artista della plastilina – che appone la mia firma su un documento in cui a mio nome sconfessa l’articolo più importante che avessi scritto allora. E soprattutto quel veccio orso di Michele Gambino, che amo da sempre da lontano, e che avrei dovuto abbracciare con tutto il calore possibile molto più spesso, senza perdersi in spiegazioni. Lui mi ha insegnato, tra l’altro, che per essere un grand’uomo non bisogna smettere di essere uomo. Sarà il caso che cominciamo, magari partendo proprio da questo splendido libbricino.

6 aprile 2014 -Spero di capire male. Spero che la malattia mi rincoglionisca. Matteo Renzi avrebbe annunciato che cancellerebbe l’obbligatorietà dell’iscrizione delle società al registro di commercio. Dev’essere una stupidaggine. Il contrario vorrebbe dire che saremmo in una situazione peggiore delle Isole Cayman, paragonabile solo con la Cecenia.

30 marzo 2014 – La morte di Gerardo D’Ambrosio chiude in modo tutto italiano una stagione fondamentale della nostra storia: con la morte di tutti i protagonisti e nessuna risposta alle domande angosciose che rimangono aperte. Con D’Ambrosio ci lasciano possibilità importanti di capire l’assassinio dell’anarchico Giuseppe Pinelli, la Strage di Piazza Fontana, l’omicidio di Roberto Calvi e tutte le orrende porcherie legate alle “disavventure” della Banca Privata Italiana di Michele Sindona e del Banco Ambrosiano, le verità negate di “Mani Pulite” (comprese le morti oscure di Gabriele Cagliari e Raul Gardini), i segreti di Massimo D’Alema e dello scandalo Unipol e – peggio ancora – dei rapporti inesplorati fra una corrente dell’ex PCI dopo la sua fusione con la Democrazia Cristiana ed i servizi segreti più o meno deviati. Gerardo D’Ambrosio, che ha sempre avuto l’aura della brava persona e del coscenzioso magistrato, persino nel suo periodo da Parlamentare, se ne va non solo senza dare risposte, ma senza che nessuno abbia mai avuto la voglia di porgliele. In Italia, quando diventi un Santone, sei di colpo al di là della legge e del giudizio storico. Invece di fare chiarezza, noi ci raccontiamo favolette e ci convinciamo che sarebbe meglio se fossero vere – una capacità di rimozione psicologica collettiva che nemmeno in Argentina, e con ciò sia detto tutto. Restano le conseguenze delle sue scelte e delle sue decisioni: su Pinelli, a causa del verdetto da lui inventato di “malore attivo”, non verrà mai detta una parola decisiva di giustizia. Sull’omicidio Calabresi non si saprà mai a quale punto la magistratura, d’accordo con i servizi segreti e gran parte dell’arco costituzionale (allora lo chiamavamo così, i fascisti erano ancora “cattivi”) dei partiti, abbia deciso di inventarsi le bugìe di Marino e condannare Adriano Sofri e compagni. Su Sindona, Calvi e gli altri morti eccellenti non sapremo mai nulla, come resteremo convinti che sia stato possibile che Cagliari e Gardini si siano suicidati. Non capiremo mai perché il pool milanese diede tutto quel potere ad una figura screditata come quella di Antonio Di Pietro (screditata all’interno del Palazzo di Giustizia milanese, dove si conoscevano i suoi legami con Craxi, Pillitteri ed altri personaggi tutt’altro che simpatici della “Milano da bere”) per gestire politicamente l’inchiesta “Mani pulite”, raggiungendo il risultato di sparecchiare una classe politica e consegnare il Paese in mano a Silvio Berlusconi ed i traffichini della finanza, da Colaninno a Tronchetti Provera – ed aver gridato “resistere, resistere, resistere” mi dispiace, non vale nulla. Fà parte del personaggio e della sua leggenda, non della verità. In Italia la verità non interessa a nessuno – almeno apparentemente. Io stesso, nel mio minuscolo, faccio parte di quella storia, e lo feci accecato dal mio narcisismo. Non a caso ho poi lasciato, schifato, il giornalismo. Un paese che non conosce il suo passato non ha futuro. L’Italia, appunto. Scusatemi quindi se per la morte di Gerardo D’Ambrosio non farò parte dei commemoratori.

29 marzo 2014 – Matteo Renzi. Non ho mai preso in giro il di lei modo di fare. Non ho gridato allo scandalo per il modo in cui Lei è divenuto Presidente del Consiglio, ho compreso fin troppo bene la Sua necessità di ottenere un accordo con Berlusconi sulla riforma della legge elettorale e non mi sono stracciato le vesti quando Lei ha promesso di cambiare il ritmo delle stagioni e la direzione del sole e della luna in sei giorni. Quando il signor Squinzi e la signora Camusso l’hanno attaccata con ridicola, quasi grillinica veemenza, ho pensato: ecco qualcuno che finalmente sembra in grado di spezzare le convergenze demoniche delle destre popolari e imprenditoriali. Ma poi sono arrivate due delusioni terribili: il pasticcio sull’annunciata abolizione delle provincie, che è il suo esatto contrario, ma peggio ancora la figuraccia rimediata al cospetto di Barak Obama. Costui è davvero venuto a Roma per darLe uno scappellotto per aver fatto intendere che avrebbe smesso di pagare gli F35 – un aereo inutile e costosissimo, che per oltre un decennio costringerà il governo italiano ad aumentare ogni anno le tasse e che, se lasciato perdere, permetterebbe di trovare subito i soldi che Lei dice di cercare per rilanciare l’economia e l’occupazione. E Lei, mi scusi la volgarità, ha fatto pippa. Si é messo paura, ha cambiato idea. Così come ha cambiato idea quando il suo esperto per i tagli Le ha detto, esagerando per difetto, che per salvare il Paese bisogna mandare a casa 85mila dipendenti dello Stato. Lei non farà nulla. Quanto agli stipendi da favola dei manager pubblici, lei li ha cancellati tutti tranne quelli di coloro che li hanno: Ferrovie dello Stato, ENI, Finmeccanica, Poste Italiane… Signor Renzi, Lei si sta sputtanando più velocemente di una velina di Retequattro. Per favore, non pretendo nemmeno che Lei ci dica una cosa di sinistra. Ci dica qualcosa che valga più di 48 ore, e la faccia.

25 marzo 2014 – Ho ascoltato a lungo il Ministro dell’Istruzione, la senatrice Giannini, parlare alla radio. Come in altre occasioni, mi trovo d’accordo su quasi tutto ciò che ha detto, specialmente sulla reintroduzione di severe categorie del merito nella scuola, citando il fatto che oggi esistano decine di migliaia di posti di lavoro senza occupati, perché i giovani italiani non hanno le capacità e la preparazione per occuparli. Pur continuando a credermi un cittadino di sinistra, bisogna ammettere che l’annientamento della scuola gentiliana sia stata una catastrofe e che le scuole oggi siano un caravanserraglio in cui bande di ragazzini impazziti terrorizzano insegnanti mal pagati, mal preparati e mal disposti. La senatrice Giannini ha detto con coraggio che bisogna rimettere gli insegnanti al centro del progetto formativo e difenderli. Ed ha parlato del merito che debba sostituire l’anzianità nei criteri di avanzamento di carriera – il che vuol dire anche la fine dello schifo del precariato eterno. Ma ciò che mi è piaciuto di più è stata una dichiarazione ideologica fondamentale: “L’Europa ha conosciuto tre grandi Rivoluzioni foriere di progresso e cambiamento: la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Industriale e l’introduzione del Programma Erasmus”. Brava. Erasmus insegna ai nostri figli che l’Europa unisca e sia grande, il contrario di ciò che propalano i partiti di destra. Qualcuno crede che sia stata dimenticata la Rivoluzione d’Ottobre? No davvero. La senatrice Giannini implica una verità scomoda, ma purtuttavia fondamentale da capire. Non tutto ciò che viene promosso da movimenti che si dicono socialisti è di sinistra. La Rivoluzione Russa non ha prodotto altro se non una dittatura burocratica cieca e disumana che ha soffocato nel sangue ogni proposta di progresso. Capire che l’illuminismo e l’integrazione culturale europea siano il vero progressismo socialista vuol dire portare avanti, a gomitate necessarie e coraggiose, un essere di sinistra fattivo, coerente e consapevole. Grazie, Ministro Giannini.

22 marzo 2014 – Oggi si ricordano le vittime del crimine organizzato, domani ricorre l’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Si tratta di morti, di catene di affetti spezzati, di dolore. Di fronte a questo dolore bisogna chinare il capo. Siamo le persone che amiamo, quando queste muoiono, muore una parte di noi. Quando queste persone vengono uccise, la rabbia è almeno altrettanto grande quanto il dolore. Ma compiamo uno sbaglio. Chiediamo “allo Stato”, o a chiunque altro, che impedisca il ripetersi di certi fatti, e non vediamo che siamo, siamo sempre stati e saremo complici di quel dolore. Quando inneggiamo o giustifichiamo la violenza, quando per pigrizia o paura (o addirittura per tornaconto personale) accettiamo che accadano cose inaccettabili. Poi, marciare quando siamo stati colpiti, oppure affermare che questa o quella categoria sia in se colpevole, non fà altro che ripetere ed amplificare violenza e dolore. La crisi della Crimea ci fà vedere che, di fronte alla paura di morire, siamo pronti non solo a semplificare, ma a rinunciare a compiere un gesto nell’una o nell’altra direzione. Siamo lontani abbastanza per capire la complessità della situazione, siamo vicini abbastanza da non voler esserne coinvolti. Lo dico senza giudizio. Quanto al crimine organizzato, questo fenomeno dimostra un punto chiave della critica marxista al capitalismo, che dovrebbe ancora essere spiegato come si deve: il capitalismo fallisce se non produce plusvalore. Non si produce plusvalore se si producono beni o sensazioni di cui il mercato non ha bisogno. Dato che la vita umana è guidata dalla paura e dalla pigrizia, il crimine organizzato è rimasto la fonte principale di creazione di plusvalore. Il suo fatturato cresce e si mangia i margini destinati al welfare, cresce ogni volta che ne compriamo beni o servizi. Quindi sempre: per pigrizia, per paura, per tornaconto personale. Contro la nostra cecità non aiutano né Papa Francesco, né Renzi, né Berlusconi, né Grillo, non ci aiuta nessuno. E ce lo meritiamo.
21 marzo 2014 – Leggo su “Il Mattino” di Napoli di oggi, che ha ottenuto un’intervista esclusiva con Beppe Grillo. Domanda: Avete valutato che in Europa correte il rischio di trovarvi sul fronte anti-euro con partiti populisti e nazionalisti di estrema destra? Risposta di Beppe Grillo: “Vediamo. Se ci sono piccoli partiti che fanno gruppo e che possono avere punti in comune con il nostro programma non vedo perché no”. Non spiega quali siano i punti in comune, ma il riferimento è l’oceano parafascista della signora Le Pen. I Nazisti del Grillinois stanno uscendo allo scoperto. Era ora.

13 marzo 2014 – Ed alla fine sono riuscito ad andare a vedere “Primi passi sulla Luna” di Andrea Cosentino e ne sono uscito più innamorato che mai e con la certezza del fatto che Andrea sia uno dei più grandi artisti in circolazione nell’area che io sia in grado di seguire. Capisco perché molti mi avessero detto che questo spettacolo fosse la summa di molti altri dei suoi topoi: c’era un po’ di Telemomò (scimmie e tapiri, Barbie spaziali), un po’ dell’Asino all’Asinara (il Mammarella da Viterbo, l’Abruzzese, il Milanese etc), un po’ di “Non ora non qui” (“questo è un non spettacolo” etc etc etc). Ma c’era in mezzo la storia della piccola Daria, partendo dalle deliziose scarpine da tennis e continuando con la parte più dura del racconto: la paura della malattia, la corsa, il silenzio. Esattamente in questo punto Andrea Cosentino raggiunge un traguardo incredibile. Avrebbe potuto fare del pathos, di fare burletta, di usare la forza dei fatti in se. Invece punta tutti su due momenti contraddittori e veridici: la felicità perfetta del momento in cui la famiglia intera (dai bisnonni ai genitori), resasi conto della malattia, ha preso le decisioni necessarie ed ora, sedendo intorno ad un tavolo, esprime il massimo dell’energia sinergica di ciò che una famiglia dovrebbe essere: potenza e consolazione, calma ed imperturbabilità. Sapendo poi del momento difficilissimo che Andrea ed il suo Papà stanno passando, avevo i brividi addosso. Per contro, nel momento in cui i medici annunciano che la bimba è sanissima, Andrea descrive la delusione – una delusione che conosciamo noi tutti, ma che è ovviamente un tabù impronunciabile. Ed in quel momento ci si chiede: perché abbiamo tanto bisogni di tragedie vere ed incontrovertibili? Di dolori insopportabili, di paure stravolgenti? Andrea Cosentino dissemina tutto il suo lavoro di indizi: “prima che nascesse credevo che avremmo giocato, che le avrei raccontato, invece ora non vedo l’ora che si addormenti, sono sempre stanco”. Non vi tedio: abbiamo bisogno di sentirci vivi e di sentirci parte di qualcosa più grande. In un mondo in cui la famiglia ha perso senso senza perderlo affatto (Gaber: “il loro amore moriva come quello di tutti, non per una cosa astratta come la famiglia, ma per una cosa vera come la famiglia”), il dolore ci accomuna, la paura della morte ci fà sentire vivi. Andrea Cosentino, che più tardi mi dice che vorrebbe a volte essere parte di un circo errante in cui tutte le arti dello spettacolo potessero coincidere e convivere in uno spettacolo solo, ora in “Primi passi sulla Luna” trasforma il vecchio clown, il vecchio giullare di corte, il vecchio cantastorie, nel nuovo uomo che dice la verità scherzando. No no niente satira: intelligenza, dolore, paura, amore, senso del ridicolo, empatia… un gigante. Quando applaudo, saluto non solo il grande artista e l’uomo, ma la parte buona di una generazione, che avevo sbadatamente e pigramente accusato di non essere in grado di trovare un possibile erede del lavoro di Giorgio Gaber – Andrea Cosentino, appunto. Da Chieti, dalla Luna, dal centro del nostro cuore, che si trova nel pieno tumulto del nostro cervello.

12 marzo 2014 – La polemica sul Movimento 5 Stelle e con i “seguaci” (rabbrividisco, ma su FB alcuni di loro si definiscono così) del Movimento 5 Stelle è arrivata ad un punto di non ritorno. Il mio professore di italiano e latino al liceo, Silvano Stipcevich, amava ripetere che non esiste nessuna difesa dialettica o fisica contro l’ignoranza che diventa arroganza. Basandosi sul presupposto che chi capisce di politica sia un ladro e chi non capisce nulla sia un santo, Grillo ha riempito di brave persone ignoranti e presuntuose il Parlamento. Poi ha cercato di chiudere loro la bocca – comprensibilmente, perché ne dicono di tutti i colori e dimostrano di non capire nulla degli argomenti di cui parlano. Come ai tempi dell’Inquisizione (i cui metodi sono l’ossatura dell’ideologia grillina), tautologicamente, chiunque si difenda è colpevole, chiunque attacca innocente. Chiunque ragiona è complice, chiunque grida è innocente – tranne quando il Santo Inquisitore decide che anche alcuni di coloro che attaccano gridando in verità, nascostamente, è un bandito. Per espellere coloro che spiccano per intelligenza si usano tre misure: a) vogliono tenersi lo stipendio da parlamentare; b) la base locale non li apprezza più; c) manca la sintonia con Grillo e (soprattutto) Casaleggio e gli ambienti dell’estrema destra finanziaria e del terziario che lo sostengono economicamente. Dato che nel blog si parla solo di questo, la mente di chi lo legge comincia a pensare che siano veramente dei discrimini e rifiuta qualunque argomento estraneo a questo. Così come l’Italia si compone di 50 milioni di allenatori di calcio, Grillo fa credere a quei tifosi che con la stessa preparazione si possano decidere legislazioni sull’economia, sull’ambiente, sull’istruzione etc., partendo dal presupposto che, dato che i partiti classici hanno fallito, qualunque altra cosa sia meglio. Che è una bugìa. Perché i partiti dell’immediato Dopoguerra hanno portato il benessere in Italia – quel benessere distrutto dai loro successori (in armonia con l’elettorato che chiedeva posti di lavoro fasulli e praebende) negli ultimi 20 anni. Ma la storia del nazionalsocialismo in Germania ci insegna che ad un dato momento non ci sono alternative: i rozzi, gli ignoranti, i viziati, i beneficiati traditi devono costruire un olocausto riparatore che poi, alla fine dell’incendio, li stermini. Qualunque sia la fine del Grillismo, questa sarà terribile, perché gli idolatri del comico lo appenderanno per i piedi insieme a sua moglie. Gli italiani fanno sempre così, quando sperano nell’uomo della provvidenza che racconta loro che sia un diritto acquisito smettere di pensare, di lavorare, di rischiare, di studiare, di professare l’unica religione possibile, che è quella del dubbio.

12 marzo 2014 – Alessandra Mussolini vuole mettere in regola le prostitute… pare che il marito avrà parecchie fatture da scaricare.

11 marzo 2014 – Scontro fra Camusso e Landini: Arancia Metalmeccanica

10 marzo 2014 – Sono andato a vedere “Piccole donne” al Teatro Studio Uno a Torpignattara. Non era la prima volta lì, ci torno volentieri, mi piace il posto. Come la prima volta, in scena c’erano Carlotta Piraino, Laura Garofoli e Claudia Salvatore – stavolta però non impegnate in “Strappi”, ma in una tenera rilettura dei due romanzi della signora Alcott. I due personaggi principali della pièce sono l’arte di scrivere e il legame indelebile tra sorelle. Comincio dal primo, che mi è più congeniale. I cinque personaggi che appaiono sul palco sono una metafora di diversi elementi chiave dello scrivere: l’io narrante (Louise), l’io narrato cosciente (Jo), le possibilità scartate dell’io: la tragedia (Beth), l’adattamento alla società (Meg), la leziosità (Amy). Nessuna di loro appare veramente convinta di se, anzi tutte cercano nell’uomo la conferma della loro esistenza o – come fà Beth – muoiono. Frasi belle ed incisive, una recitazione fondata sulle qualitá carattersitiche delle singole attrici (Claudia Salvatore l’avevo già ammirata in “Strappi” come maschiaccio, Carlotta Piraino come piccola smorfiosa è fin troppo perfetta). Il risultato è stato sentirmi chiamato in causa in qualità di Vladislav, ovvero del convitato di pietra della piéce – ed in quanto tale non mi sento che di confermare il giudizio sul testo che avevo da lettore: la letteratura americana prima di John Steinbeck fà rabbrividire. La rappresentazione delle difficoltà scaturite dalla Guerra Civile è ancora più repellente che in “Via del Vento”, come nemmeno nella rappresentazione del comunismo reale – che aveva un suo patetico più collettivo e meno mielosamente personale. Ma naturalmente c’è un altro metatesto: le signore sul palco sono amiche nella vita reale e con la loro recitazione da caratteriste celebrano anche la loro amicizia e costruiscono proprio nella dimensione asessuata della quotidianità di una famiglia in cui persino il padre è stato bandito (per destino) dalla scena. Nel cicaleccio apparentemente fortuito ed invece pieno di frasi intelligenti e profonde c’è la parte migliore, struggente e convincente, del lavoro di queste artiste e della loro rilettura di un testo comunque difficile da trasformare in una piéce contemporanea. Il legame della sorellanza, patetico quanto vi pare, è la parte più credibile e soddisfacente, più vera, più consolatoria. In un’atmosfera costruita con arte in un contesto completamente astorico ed avulso persino dal contesto sociale originario (oramai morto e sepolto persino per Hollywood), in uno scenario quindi enucleato e quindi reso eterno, la paura di non bastare, di non farcela, di non esistere, di non essere viste ed amate, diventano nuovamente temi eterni e celebrati con bravura e pathos. Sicché non mi ha commosso la storia, ma la sua assenza. Non mi ha commosso la recitazione, ma la sua parziale assenza. Mi ha commosso il fatto che, ancora oggi, la sottile violenza del maschilismo riduce anche le donne più in gamba ad una sorta di possibile autocensura. In questo senso “Piccole donne” mi è parso un avvertimento pieno di affetto e preoccupazione a noi tutti. Per me, che ho sempre avuto difficoltà a capire le donne, un dono insperato e di cui sono davvero grato.

9 marzo 2014 – Paura. Ecco come la carta stampata cerca di battere la tv: scrivendo prima che le cose accadano. Qualche giorno fa La Stampa titolava: “Crolli a Pompei, ora tocca a Franceschini”. Ieri Franceschini, nel proprio crollo, ci ha quasi rimesso la pelle. Secondo La Stampa, Renzi gli ha detto: “Stai sereno, ti aspettiamo”. Malocchio puro. Ma da oggi in poi leggerò quotidianamente il quotidiano torinese per sapere in anticipo le tragedie a venire. Oggi: “Luigi, l’italiano morto, solo sulla lista dei passeggeri”. A tutti i miei amici che si chiamano Luigi: nessun viaggio in auto da soli, per le prossime settimane, mi raccomando.

8 marzo 2014 – Il Presidente Napolitano premia Franca Viola, la prima donna che si ribellò, tantissimi anni fa, nel 1965 (aveva 17 anni) al cosidetto “ratto d’amore”. Ricordo come se ne parlò a casa, le difficoltà di mia mamma per spiegarmi il fatto che, allora, un orrore simile fosse legalmente possibile. Ricordo l’avvocato Ludvico Corrao parlare in televisione, dopo la vittoria finale in Tribunale. Allora avevo già l’età per capire cosa stesse accadendo. Oggi, Napolitano, parlando di quei fatti si è commosso, gli si è rotta più volte la voce. Mi sono commosso anch’io. Noi, che abbiamo creduto in un’Italia migliore, siamo diventati vecchi. Al posto dei nostri sogni ci sono bande di gangster che spolpano il patrimonio pubblico e folli adepti di una setta religiosa impazzita e distruttrice, che sta procedendo all’imbarbarimento di tutto. Perché non torni il Medioevo, però, dobbiamo smettere di piagnucolare. Non abbiamo il diritto di in vecchiare. Se le cose sono andate come sono andate, è anche a causa della nostra assenza e debolezza.

7 marzo 2014 – Il Sindaco di Roma Ignazio Marino continua a trattarci come ostaggi. Ha ottenuto mezzo miliardo dallo Stato, ma non è contento. Ora minaccia: azzeramento dei soldi per la cultura ed i servizi sociali. Azzeramento. Diminuzione del servizio di interventi per le strade, l’acqua e la raccolta dei rifiuti, ciascuna per almeno il 30%, azzeramento degli interventi nelle scuole. Azzeramento. Diminuzione delle corse ATAC. Aumento delle tasse comunali, conferma delle tasse esistenti sui servizi che, ha annunciato il Sindaco, non verranno più garantiti. Lo dice con quello sguardo insopportabile con cui aveva invitato i Romani a prendersela con la “casta dei politici” per il possibile fallimento della Capitale – un disturbato mentale, che non si rende conto che la casta politica che ha la responsabilità su Roma è lui, null’altro che lui, insiame al Sindaco ombra Bettini, i suoi assessori, la sua maggioranza. Intanto Riccardo Magi, l’unico a votare costantemente contro ed a cercare di rendere pubblici gli scandali orribili di cui si fà responsabile questa giunta fallimentare, annuncia che Roma è divenuta la capitale della penetrazione della criminalità organizzata nel gioco d’azzardo. Intanto i Vigili Urbani annunciano rappresaglie per il blocco del concorso per 300 nuovi vigli, stoppato dopo che chi controllava si è reso conto che nei 2800 finalisti ci sono tantissimi “parenti di”. Il Sindaco nemmeno reagisce. In realtà c’è solo una possibilità per uscire da questa trappola: votare di nuovo, mandare via Marino e pretendere dal PD la cancellazione della corrente Bettini, oppure la gente voterà Grillino o Fascista. Ma possiamo assistere allo scempio ulteriore di Roma solo per la paura che Casapound ed i suoi camerati vadano al potere? Davvero i Romani sono così pazzi da votare in quel modo? Mi pare che la speranza di alcuni sia di arrivare al commissariamento totale del Comune (che è già commissariato da diversi anni) ed alla nomina di ispettori del governo dello Stato al posto di tutti i politici locali. Sono esterrefatto. Davvero non esiste un nucleo sano di Romani di sinistra furioso e pronto ad impegnarsi personalmente?

4 marzo 2014 – La Stampa di ieri, pagina 10, titolone: “Crolli a Pompei, ora tocca a Franceschini”. Minchia. E dopo il crollo di Franceschini, chi sarà il prossimo?

4 marzo 2014 – Da almeno tre anni non ho più un televisore. Mi ammala, guardo solo la partita della Roma in un bar e nemmeno sempre. Stanotte, in un hotel di Francoforte, aspettando il telegiornale italiano, incappo in una fiction con il Commissario Montalbano, la sua bella moglie, il defunto padre di uno degli ufficiali di Vigata e Montelusa, che però in questa fiction fà il magistrato ccorrotto. La scena è spostata da Porto Empedocle a Reggio Calabria, ma si tratta lo stesso di un caso estremamente pietoso e meschino (così si chiama la fiction) di scopiazzare da un lato Montalbano e dall’altra i vecchi film dell’ispettore Cattani. Il tutto finanziato dalla Regione Lazio, retta dal fratello di Montalbano, al secolo Nicola Zingaretti. Un caso pietosissimo, una fiction penosa, lancinante. Aridatece Catarella. Senza di lui la famiglia Zingaretti assomiglia a una puntata venuta male dei Cesaroni. Che fanno proprio schifo, detto fra noi.

2 marzo 2014 – Scrisse Rainer Maria Rilke: “I poveri non dovrebbero essere disturbati mentre stanno pensando”. Molto nobile, certo. Fà parte dei “Quaderni di Maude Laurids Brigge”, un romanzo il cui epicentro è la frase “questo è il luogo in cui ho scelto di vivere”, intendendo con questo il luogo in cui a chiunque viene dato di morire. Non riesco a leggerlo come una metafora della decadenza, ma come il grido strozzato di un uomo romantico che, solo, diventa amareggiato e cattivo. Come molti di noi, come molti di me. Ma in questi ultimi mesi c’è una persona che, con picchi e tonfi, mi schiaffa ogni volta di nuovo in viso che siamo qui per vivere e che l’amore vince su qualunque sciocchezza ed errore. Si tratta di una frase di mio nonno. Ho avuto bisogno di quasi 50 anni e 100 chili per capirla, ma finalmente ci sono arrivato. I poveri vanno quindi disturbati o lasciati andare. Ma saremo capaci di farlo? Di liberarci delle paure, dei sensi di colpa, dei pesi enormi che ci danno sicurezza, di chi ci fà del male in modo così rassicurante? Ci sarà un giorno in cui, accarezzando la bolla nata dall’amarezza, dal dolore, dalla paura e dallo stress saremo capace di farlo con le labbra invece che con le dita, che sono così lontane da noi?

1° marzo 2014 – Bravissimo Davide Giacalone, una questione su cui bisogna stare attentissimi e che è legata a doppio filo alla questione MPS Monte dei Paschi di Siena: “Il minestrone Banca d’Italia passa da acido a velenoso. L’avevamo detto e scritto, ma è ben magra consolazione. Gli aspetti orridi diventano evidenti anche a chi non ha voluto sentire e vedere. Qui troverete anche quelli comici, in omaggio al motto: castigat ridendo mores (posto a corredo, del resto, di un italico busto arlecchinesco, portato in Francia per volontà di Mazzarino). Cerchiamo anche di capire come se ne può uscire. Partiamo dalle cose divertenti, si fa per dire. Com’è finito l’iter legislativo si sa: a schiaffoni, ghigliottine, fiducia e conversione del decreto. Terminati i ludi parlamentari, però, non è chiaro cosa debbano fare le banche, ovvero come devono trattare, a bilancio, quelle che (come scrivemmo per settimane) erano quote loro intestate fiduciariamente e sono divenute partecipazioni azionarie. L’Associazione bancaria italiana, quindi, ha deciso di chiedere il parere di due professori assai quotati, sia per competenza che per influenza: Piergaetano Marchetti e Angelo Provasoli. Il primo, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore, sostiene chiaramente che non si tratta della rivalutazione delle quote, attribuite nel 1936, ma di un asset, di un bene del tutto nuovo. Ha ragione, letteralmente da vendere. Proprio perché il risultato è un asset nuovo si dimostra quanto fossero fondate le nostre obiezioni e sbagliate le risposte del governo (di allora, ma a votare il decreto è stata la medesima maggioranza che sostiene l’odierno). Il secondo aggiunge: se è corretto che sono asset nuovi, allora possono essere considerati available for sale, in conto vendita. Morale: le banche possono mettere la posta in bilancio già per il 2013, anno in cui fu emanato il decreto, salvo dovere vendere ciò che eccede il 3%. Due professoroni per arrivare dove noi avevamo lasciato i nostri lettori, al modico prezzo di 1,20 euro. Gliecché, però, la Banca centrale europea s’era già indispettita e offesa, per essere stata consultata all’ultimo minuto e perché il decreto era stato emanato prima della risposta. E scrisse che se non si chiarisce in che modo, e a che prezzo, la Banca d’Italia avrebbe dovuto procedere al riacquisto delle proprie quote, quelle non avrebbero avuto alcun valore nei bilanci delle banche. Della serie: tu dici che casa tua vale un milione, ma se non trovi qualcuno disposto a dartelo io non ci credo, e se scrivi che tanto se la riprende il costruttore, devi dirmi come, quando e quanto pagherà. Altrimenti è fuffa. Ora arriva di rincalzo la Commissione Ue, allertata da un’interrogazione di Niccolò Rinaldi (parlamentare europeo dell’Alde, di antica scuola repubblicana), talché il vicepresidente preposto alla concorrenza, Joacquin Almunia, si limita a porre delle domande. Scomode, però. I punti sono due: a. se i soggetti che possono comprare sono solo italiani, come recita il decreto, state violando il Trattato di Roma? b. se pagate con i soldi della banca centrale, quindi della collettività, ciò che prima avevate messo in alcune vostre banche (manco tutte, ma una minoranza), questo turba la concorrenza e concreta un aiuto indebito? Sono solo domande. Ma ti voglio vedere a rispondere, perché sono esattamente i punti per i quali scrivemmo che il decreto era un obbrobrio. La cosa paradossale è che tedeschi e francesi mettono carrettate di soldi pubblici nelle loro banche e nessuno ne chiede loro conto, perché lo Stato è azionista delle stesse, mentre noi finiamo nei guai a causa di quattro presuntuosi arroganti, di cui due presunti banchieri e due presunti governanti. Come se ne esce? Difficile, perché il decreto è legge. Malauguratamente. Ci sono due strade. La prima consiste nel farne oggetto di scontro con la Commissione prima e con la Bce dopo (scordiamoci che la Bundesbank molli l’osso, tanto più che ha ragione). Renzi si carica il cadavere di Letta. Si può spuntarla, ma con notevoli danni, visto anche che, al momento, per metterci una pezza, si stanno coinvolgendo la vigilanza, la Consob e Assirevi, in una scomposta orgia fra consulenti e autorità controllanti e indipendenti, che di tale natura perdono anche la finzione. La seconda strada è dolorosa, ma onesta: se le banche azioniste (sia stramaledetto il decreto) riescono a vendere le loro azioni eccedenti ad altre banche o assicurazioni radicate in Italia, buon per loro, iscrivendo a bilancio il valore di mercato; se non ci riescono, entro due anni, quelle azioni tornano alla banca centrale, ma al valore storico. Come dire che s’è fatto un gran casotto per niente. Ma meglio per niente che per perdere soldi, distruggere patrimonio e prendersi anche dei ceffoni”.

27 febbraio 2014 – Vergogna, Sindaco IGNAZIO MARINO, vergogna. E pensare che le ho dato il mio voto. Lei ha promesso mari e monti ed ha confermato tutte le pastette corruttive di Roma, non ha toccato nessun centro di potere, ma gli si è asservito, ha tagliato in due la città con una modifica del traffico al centro che dimostra solo la sua disumanità o imbecillità, e dopo aver detto per mesi che un buon amministratore i soldi li trova, ora ricatta lo Stato e minaccia di bloccare Roma se il governo non paga i suoi debiti. Vergogna, lei è una vergogna per tutti noi. Noi romani non siamo i suoi ostaggi. Noi paghiamo la tassa sui rifiuti, quindi lei deve continuare a farla raccogliere. Se lei è incapace di gestire una città, e lo ammette lei stesso, se ne vada. Si vergogni, mio Dio, lei sta dimostrando che un cretino è peggio di un bandito. Se ne vada subito, lei è una maledizione del cielo. E non ci minacci. Siamo pigri, tronfi, cialtroni, magari ladri. Ma stavolta, se lei veramente ne combina un’altra, allora anche vecchi ciccioni come me verranno a prenderla in Campidoglio, lei e le sue biciclettine da bamboccio, e le diranno il fatto suo. Abbia un sussulto di dignità: si dimetta.

26 febbraio 2014 – Le misure messe in atto dai Grillini allo scopo di sostenere e promuovere la parte più squallida, incapace e retriva della politica italiana migliorano di mese in mese. Questa ridicola sceneggiata dell’incontro con Matteo Renzi e poi dell’espulsione di quattro senatori del tutto irrilevanti serve a sostenere il governo Renzi ed a far dimenticare le circostanze nelle quali questo governo sia stato costituito. Negli anni del “tanto vale tutto”, le promesse strampalate di Renzi scompaiono dalle prime pagine di fronte alle fesserie filonaziste di Beppe Grillo. Mi delude fortemente l’On. Di Battista, perché per alcune settimane avevo cominciato a pensare che fosse un politico intelligente. Le sue dichiarazioni sulle espulsioni sono in linea con l’Inquisizione spagnola. Intanto cerco disperatamente di contattare qualche renziano che conta (quindi non un ministro, dato che tranne Padoan, che in nome di D’Alema e dei servizi segreti tenterà di gestire lo scandalo MPS ed in nome di Monti e della Goldman Sachs tenterà di portare avanti le dismissioni CDP, gli altri – con l’eccezione della Senatrice Giannini e pochi altri – sembrano marionette) perché vorrei qualche riforma anch’io: a) contro l’obesità; b) l’abolizione di Caterina Caselli e quindi la rivoluzione della musica italiana; c) l’abrogazione di Zetema e quindi il rilancio della cultura; d) la cancellazione della legge Gelmini e la reintroduzione dello studio della storia dell’arte, dell’educazione civica (lo so, i Grillini sono contro, come Berlusconi) e della geografia; e) lo scioglimento della Juventus; f) il commissariamento del Comune di Roma con la nomina di un commissario lappone, islandese, insomma lontano dai pastrocchi della politica locale; g) la convocazione di un concerto in morte di Fabio Fazio, visto che sono decenni che danza sulle morti eccellenti e porta sfiga.

23 febbraio 2014 – Insomma, ce l’abbiamo fatta. Stasera è stato lo spettacolo meglio riuscito. Contrariamente ad altri viaggi fatti insieme alle Osama Sisters, stavolta non percepisco una cesura. Siamo ancora in viaggio. Dobbiamo lavorarci ancora. Alcuni complimenti mi hanno sorpreso tantissimo, andrà a finire che crederò di essere capace di scrivere cose davvero speciali.

22 febbraio 2014 – A Palazzo Santa Chiara una serata bellissima con tanti amici e tante papere ma anche tanti momenti magici. Mi accorgo di come lo spettacolo si stia sviluppando quasi al di là del nostro controllo, prendendo una vita sua. Carlotta Piraino è un’artista straordinaria, un’insegnante dolce, decisa, pignola ed esaustiva, la band suona continuamente nuove varianti: qualche piccolo sbaglio, ma alcuni momenti di grazia assoluta. Per questa estate saremo davvero perfetti. Stasera ho dimenticato il testo di una canzone da me scritta 40 anni fa, incredibile, ma l’alzheimer forse… Ma appena arrivato a casa vengo a sapere dell’incidente che a Zagarolo è costato la vita a Francesco Di Giacomo, il cantante del Banco del Mutuo Soccorso, la più importante band romana degli ultimi 150 anni. Mi sembra una cosa talmente triste, aver cantato ebbro di felicità mentre lui ci lasciava, che ora ho difficoltà a trovare le parole giuste. Per chi non lo conoscesse posto quella che a mio parere è stata la canzone più forte ed importante che lui abbia cantato. Per ciò che mi riguarda, mi sento stanco e turbato. La musica mi circonda, la band è una magìa, ma il mondo al di fuori della nostra nuvola è quello di sempre.

19 febbraio 2014 – Stasera al Circolo D-Sotto di Trieste abbiamo passato due ore di magìa. Ci sono dei momenti in cui sali sul palco e sai che non sei solo, che il pubblico è salito con te, trattiene il respiro, ti prende per mano, ti abbraccia, ti corre intorno come un allegro fantasma della tua vera umanità, ti sorride dal cielo. Stasera a Trieste c’erano amici eterni e persone che non conoscevo – e tutti mi hanno detto che si erano divertiti ed uscivano commossi. Ci hanno detto che una roba così non l’avevano vista e sentita mai. Ora, so bene che alla fine di una serata così abbiamo tutti la tendenza ad essere gentili e complimentosi, ma la verità è che eravamo davvero in tanti, su quel palco, tutti stretti ed abbracciati. Trieste non è una città, ma un sentimento. Molti dei suoi abitanti non lo sanno, ma gli altri regalano energia, emozioni, fiducia, speranza. Dopo questa notte magica e perfetta so che Carlotta Piraino ed io possiamo veramente arrivare a toccare il cuore. Markus Büchel, Eric Kießling, Frank Schlebeck, Chris Hielscher, Emanuele Cannatella Joint Sax, Paolo Acquaviva e Tommaso iacoviello hanno suonato come incantatori di serpenti, come un dono del destino, come l’epifania dei Re Magi. E noi, sul palco, abbiamo vissuto una notte indimenticabile di emozioni fortissime. Oggi so una volta di più che la vita è meravigliosa e sorprendente, che Trieste è un sogno, che gli amici di qui sono un immenso cuore ed un dono incredibile. Grazie.

9 febbraio 2014 – Scrive mio fratello Fabio Fusi sul tema psicologico che caratterizza la sua visita ecumenica a Nairobi e Mombasa: “In Kenya, la mattina, non importa se corre di più il leone o la gazzella: sono cazzi loro. Tu sei in ferie”. Amen

9 febbraio 2014 – Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “Non manca la copertura, manca la vergogna. Il Senato, in sede di conversione del decreto “Destinazione Italia” (nomignoli a misura di vuoto), aveva approvato un emendamento che stabiliva il blocco delle cartelle esattoriali in capo a soggetti aventi, con la pubblica amministrazione, crediti commerciali equivalenti o superiori. Lo abbiamo dettagliatamente raccontato, specificando che l’emendamento era stato presentato dai parlamentari del Movimento 5 Stelle, nonché fatto proprio dai relatori. Avevamo anche spiegato perché si trattava di un passo in vanti, ma non sufficiente. Suggerendo ulteriori modifiche, di buon senso. Invece vogliono cancellare anche quel poco. Lo scempio potrebbe avvenire domani mattina, alla riapertura della Camera dei deputati. E’ successo, infatti, che la Ragioneria generale dello Stato ha eccepito la mancata copertura e, come già avevamo avvertito, che quel meccanismo di blocco avrebbe fatto calare il gettito 2014. Immaginando l’obiezione, l’avevo prevenuta. Ma è obiezione tanto fondata quanto improponibile, perché implica che lo Stato pretenda di non pagare quel che deve e, al tempo stesso, pretenda di avere quel che gli è dovuto. Lo so che è esattamente quel che accade, ma è anche intollerabile. Presuppone uno Stato baro, che usa la forza per violare i diritti dei cittadini e venire meno ai propri doveri. Siccome però, lo ripeto ancora, l’obiezione è fondata, come si può affrontare il problema? Facendo la sola cosa che è comunque necessario fare: tagliare le spese. Rimandando all’infinito il giorno in cui si comincerà seriamente a farlo non otterremo altro che tagliarle tutte insieme e quando non ne trarremo il giovamento correlato. Lo faremo per disperazione e traumaticamente. Invece va fatto (lo si sarebbe già dovuto fare) con gradualità e ponderazione. Ma tagliando, non limando. Quel mancato gettito, determinato dal fatto che lo Stato deve dei soldi ad aziende e professionisti, diventa, a un tempo, testimone di giustizia e preveggenza, innescando la salvezza futura. Cosa hanno in mente di fare? Di imboccare una strada del tutto diversa: fanno saltare il blocco e inseriscono la “compensazione”, che sembra la stessa cosa e, invece, è quasi l’opposto. E’ vero che compensando debiti e crediti si otterrebbe lo stesso risultato, ma si provocherebbe anche il medesimo ammanco. Il trucco sta nel fatto che la compensazione non si potrà fare finché non ci sarà il decreto attuativo, che, del resto, il governo dovrà emanare tenendo conto della necessità di garantire gli “equilibri di finanza pubblica”. E’ un imbroglio. Vedrete che il decreto non arriverà in 90 giorni, ma se la prenderà comoda. Conterrà la necessità di trattare la compensazione con gli uffici del fisco. Poi gli squilibri porteranno alla deroga. Se proprio andrà bene si dovrà pagare subito il dovuto e accettare la rateizzazione o posticipazione del preteso. Ma deve andare bene, perché partirà subito la minaccia delle verifiche fiscali, si entrerà nella vergogna che per potere compensare si dovrà essere sottoposti a esami clinici. Che non solo sono una minaccia in sé, non solo intralciano l’attività produttiva, ma durano mesi. Quindi: 90 giorni (a dir poco) per il decreto; 2 mesi per la trattativa con il fisco; 4 mesi per la verifica. Fanno nove mesi, e visto che siamo a febbraio ne deriva che tutto questo andrà a pesare sul bilancio 2015. Che, lo ricordo agli zuzzurelloni che immaginano di votare, è anche quello in cui si comincia a ballare con l’orchestra del fiscal compact. Due considerazioni finali. La prima: i problemi di finanza pubblica sono reali, mica dei pretesti, e chiunque ragioni con senso di responsabilità deve porseli, non considerandoli solo del governo. Ma se quei problemi si affrontano aumentando le pretese fiscali, per giunta, come in questo caso, sconfinando nell’inaffidabilità dello Stato, vuol dire che al governo non ci sono i buoni o i cattivi, ci sono gli incapaci. Questo genere di stabilità, lo ripeto da mesi, è velenosa. La seconda: il voto deve per forza farsi lunedì perché poi l’aula deve essere pronta a discutere il sistema elettorale, orrendamente denominato “Italicum”. Vedo lievitare uno spettacolare dibattito onanistico, con affermazioni strampalate e destinato a negare l’evidenza: il nuovo e il vecchio sistema si somigliano come i figli della stessa orgia. Ma non è questa la seconda considerazione, bensì: se per liberare il binario all’Italicum si fa passare la descritta porcata fiscale, appena successiva alla stellare maialata della Banca d’Italia, quel treno si chiamerà presto Italicus. Tristemente noto per una strage. Galera ai terroristi bombaroli, ma dal treno vogliamo scendere. Subito”.

8 febbraio 2014 – Ci sono dei film che dovrei smettere di vedere. “Alice’s Restaurant” è uno di questi. L’ho amato da ragazzino perché mi mostrava la vita che avrei voluto avere. L’ho amato da adulto perché mi mostrava la solitudine e lo sfacelo di quella vita che il fato mi aveva evitato di vivere. Lo amo ancora di più oggi, con il dolore e la disperazione di una vita passata a sognare qualcosa che non ci sarà mai ed a vivere la mia incapacità di uscire dal sogno. Ma ora che il sogno è tramontato, che fare? Ora che l’autunno meraviglioso che ha accompagnato tutte le mie speranze si è trasformato in un inverno di tranquilla disperazione? Ora che vedo di non aver mai imparato a vivere, ma solo a lavorare e a sognare? Nel mondo nuovo che sta nascendo, a cosa serve uno come me? Mi sento come Alice, sola, sui gradini della chiesa, dopo che gli invitati al suo matrimonio se ne sono andati. Una delle scene più tristi che abbia mai visto. La festa del Ringraziamento, che è il punto più allegro del film, l’ho avuta quasi cinque anni fa. E ora?

5 febbraio 2014 – Mi ritrovo a mettere insieme notizie diverse ed a trarne delle conseguenze. Il 7 gennaio, in modo assolutamente ridicolo, Christodolous Xiros, il più famoso e discusso “terrorista di sinistra” (sei ergastoli per 23 omicidi etc etc), viene mandato in licenza premio e non torna. Pochi giorni dopo annuncia che la lotta armata riprende contro il Governo e l’occupazione tedesca della Grecia. Pochi giorni dopo arriva in Parlamento la legge che proibirà il partito nazista Alba Dorata, dopo che i suoi capi hanno fatto ammazzare un cantante rap e diversi cittadini stranieri. La risposta dei dirigenti ancora a piede libero è di costituire un nuovo partito, l’Alba Dorata Nazionale, che prenderà il posto del partito preesistente. Nessuno protesta. Nel frattempo la crisi ha raggiunto un livello tale da modificare strutturalmente le relazioni sociali fra i cittadini. Oggi ogni greco si alza per cercare cibo e fonti di calore, il baratto cresce, metodi alternativi di sopravvivenza ritornano – insomma in tutti ritorna la sensazione di resistere all’invasione tedesca e italiana, come nella seconda guerra mondiale. Il Governo non da più segni di sapersi difendere dalla Germania e dall’Unione Europea, guidata (ad Atene come a Roma) dalle mire della Goldman Sachs. Come avvenne per le Brigate Rosse, di Xiros si dice da tempo che avesse contatti e connivenze nell’apparato dello Stato. Insomma, mi pare che si stia preparando una guerra civile fittizia tra i nazisti di Alba Dorata e gli “anarco insurrezionalisti” greci, rappresentati da questo 55enne imbolsito ed un po’ patetico, ma omicida plurimo, di Xiros. In questo modo si permettono leggi speciali che servono per togliere di mezzo ragazzi infuriati, intellettuali dissidenti, concorrenti scomodi sulla piazza economica della Borsa Nera – il libero mercato così come è oggi in Grecia. Molti diranno: e chi se ne frega? Che ci pensino i greci a difendersi. Si tratta naturalmente di un gravissimo errore. La Grecia è un laboratorio. Ciò che funzionerà lì verrà replicato ovunque, prima di tutto in Italia.

5 febbraio 2014 – Matteo Salvini e quattro fessacchiotti di leghisti insultano Napolitano che parla al Parlamento Europeo. La figuraccia è la solita, tutti ci ridono dietro. I leghisti copiano i Grillini, ma solo nelle location in cui i Grillini non ci sono. Una volta ce l’avevano duro, ora invece hanno paura di prenderle. Una marea di pupazzi deficenti votata da noi cittadini smrgiassa in giro per l’Europa senza sapere cosa stia facendo. Se la ride il Nano. I Grillini oramai vengono percepiti in due soli modi possibili: l’Esercito dell’Apocalisse che distrugge i miscredenti in nome del Paradiso in Terra, oppure la prima trasposizione nel reale della gag dei Nazisti dell’Illinois dei Blues Brothers. In ognuno dei due casi, prima o poi l’Italia borghese voterà lui ed Alfano come l’ultimo argine contro il trionfo della volgarità becera, truculenta, arrogante, rutilante e ruttosa dei Grillini. Se Berluscono per 20 anni ha saputo interpretare la pancia dell’Italia, i Grillini ne interpretano parti più meridionali e, come i bovini, emettono metano, guai a chi annusa

4 febbraio 2014 – Meno male che ci sono gli extracomunitari che fanno i lavori che noi italiani non sappiamo e vogliamo più fare. Altrimenti chi mai avrebbe salvato l’Alitalia?

4 febbraio 2014 – Casini torna nel centrodestra. Minchia. Mi ero perso la puntata in cui ne usciva.

29 gennaio 2014 – Con la cosidetta “ghigliottina” il Parlamento ha approvato con 236 voti a favore e 209 voti contrio il decreto detto IMU-Bankitalia. Questa volta solo i Grillini si sono battuti per la libertà, la democrazia e l’Interesse pubblico. Questo decreto è una vittoria di Saccomanni e della Goldman Sachs, un passo importante in avanti per la distruzione totale dell’economia italiana. il PD, che dimostra di essere il moderno partito di destra liberista che l’Italia cercava e di cui Berlusconi e Renzi sono giustamente i leader, ha venduto questa porcata facendo vedere agli italiani che in questo modo veniva annullata la seconda rata dell’IMU. Di cosa viene nascosto altrimenti nel decreto, questo non frega nulla a nessuno. Stavolta non si può accusare i Grillini di non essere stati costruttivi, perché avevano proposto di scorporare la cancellazione dell’IMU dal resto del decreto. Purtroppo l’imbecillità del parlamentare lombrosiano che ha dato del boia a Giorgio Napolitano ha annullato tutto. Con questo decreto si venderà una quota significativa di Banca d’Italia alle banche straniere. Un suicidio che non ha nessun altro esempio al mondo. Una follìa pazzesca possibile solo in un Paese in cui la Goldman Sachs, esprimendo i leader di tre dei partiti maggiori in Parlamento, è in grado di rincretinire completamente l’elettorato. Per giunta, grazie a questo decreto la CDP Cassa Depositi e Prestiti (guidata da un manager della Goldman Sachs) può vendere AL PREZZO CHE VUOLE le proprietà immobiliari dello Stato. Da oggi l’Italia ha raggiunto la Grecia in fondo al baratro. Con la differenza che in Grecia Alba Dorata deve guadagnarsi l’accesso al potere attraverso il voto, mentre in Italia Renzi, Berlusconi e compagnia lettante stanno preparando un’autostrada ad una svolta autoritaria e di estrema destra nel Paese. Questa legge è passata nel silenzio. Quando 50 milioni di cretini capiranno cosa sia successo oggi, allora ci vorranno i morti in piazza come in Turchia ed in Ucraina per rendere questo passo ulteriore in direzione dello scioglimento dell’Italia reversibile

29 gennaio 2014 – Stavolta volevo stare zitto. Ogni anno, nel Giorno della Memoria, si tende a scrivere le stesse cose. Ma alla fine accade sempre qualcosa… oggi il camerata Marcello Veneziani, su “Il Giornale” sostiene che la tematizzazione dell’Olocausto sia un’operazione pubblicitaria degli ebrei per sostituire questa tragedia all’assassinio di Cristo nell’immaginario collettivo, così da ebreizzare i cristiani. Cerco di non scrivere mai parolacce. Poi, per strada, due ragazzetti che discutono: ma che è colpa nostra se 70 anni fa i nazisti hanno sterminato 6 milioni di ebrei? Perché continuate a romperci con questa roba? Allora mi rendo conto che della Shoah non si parla mai abbastanza. Se l’antisemitismo esiste ancora, nonostante l’orrore dell’Olocausto, e per giunta vive una congiuntura favorevole, è colpa mia, tua, tua, tua, di noi tutti. Non ho partecipato alla persecuzione, non ero nato, ma oggi non sto facendo abbastanza per evitare che una cosa del genere possa ripetersi. Perché oggi esiste una quantità immensa di imbecilli sanguinari – e di manipolatori che sono pronti ad usarli – che sarebbero pronti a replicare l’Olocausto, e con soddisfazione. Ognuno è responsabile di questa possibilità ricreatasi nel vuoto di coscienza, istruzione, senso di responsabilità ed educazione che regna in Italia come altrove. Naturalmente esistono scelte dello Stato di Israele che soffiano sul fuoco. Dall’una e dall’altra parte della barricata esistono imbecilli e gangsters. Lo ripeto: non sono antisemita se critico le scelte politiche del governo israeliano, e quindi mi riservo questo diritto. Ma nessuno si azzardi ad alzare un dito sugli ebrei. Nessuno. A qualcuno scoccia se un popolo invochi l’intoccabilità dopo uno sterminio di tali proporzioni? Sapendo peraltro che lo sterminio non venne portato avanti solo dai nazisti, ma che anche nell’Unione Sovietica per decenni essere ebreo era tutt’altro che una passeggiata? Ma siete matti? Sì, siete matti. Vi scandalizzate giustamente perché la criminalità organizzata, a Cassano Jonico, brucia un bimbo. Ma difendete coloro che di bimbi ne bruciarono oltre un milione. Camerata Veneziani, che ti venga un colpo, che ti colpisca un fulmine. Sono obbligato dal mio essere democratico a lasciarti la libertà di scrivere. Non posso usare violenza contro di te. Ma che nessuno alzi un dito contro gli ebrei. Nessuno.

26 gennaio 2014 – Una giornata perfetta, straordinaria, gonfia di allegra malinconia, un sole primaverile, staccato il telefono, nessuno che mi cercasse, solo lavoro, silente, libri da leggere, silenti, musica da godere in pace. La solitudine non è mica una follìa, è indispensabile per star bene in compagnia. Lo dice Giorgio Gaber, ed è vero

18 gennaio 2014 – I momenti in cui amo il Rione Monti. Nonna Pina, vedova di Orazio, mamma di Laura, credo intorno ai 75 anni. Infuriata come una pazza tiene banco fra il casalinghi, l’osteria e il fruttarolo: “Li mortacci sui, li mortacci! Tutto solo pebberlusconi, te lo dico io! Mo siccome che se ne deve da annà ar Creatore, Papa Ciccio che fà? Scambia li comandamenti manco fosse Vertroni co Rutelli. Mo a tu marito je poi mette le corna, te poi da pijà la pillola, te poi risposà, vale tutto, VA-LE-TUT-TO-TE-DI-CO, così che er nano puro va in paradiso. E io? Io che me so scopata solo quer mortancollo de Orazio, che quanno durava trenta secondi cantaveno l’angeli? Io che je so rimasta accanto a mozzicamme la lingua e grattamme la patata? Mo adesso vale tutto? Ma io vado dar Sor San Pietro e je ne dico no quattro, ma quattrocento! Brutte mmerde, una aspetta tutta la vita de morì, e poi ar dunque je cambieno le carte n tavola! E poi se meravijamo de li politici… ma da chi avranno preso? Da DDio, te lo dico io!” Secondo round dopo cena. Laura è venuta a scusarsi per la scenata della madre. Nonna Pina deve essersene accorta, perché è piombata in strada ed ha conciato la figlia per le feste: “Zitta tu, che colle nuove leggi der Papa tu sei la fija della colpa, che è colpa tua si nun me so ddivertita mai quanno c’era ancora quarcuno che me avesse fatto da divertì”

28 dicembre 2013 – A domanda rispondo: non credo alla grande cospirazione. Nemmeno a quella piccola. Credo che, dietro qualunque quinta, chi ha ambizioni e forza sufficiente per farle valere si batta per imporre i propri interessi, costi quel che costi – ma questo non da vita ad una cospirazione, piuttosto accresce la complessità. Fin dall’epoca d’oro ateniese e poi romana, la democrazia è stato l’escamotage trovato per cercare di porre un argine agli effetti nefasti di queste lotte egoistiche. Nominiamo dei controllori e legislatori che creino limiti e, attraverso le leggi e le forze dell’ordine, li facciano rispettare. Ogni x anni, una volta che abbiamo visto i risultati del loro lavoro, gli eletti li riconfermiamo o li sostituiamo. Tutto ciò è stato travolto dal feudalesimo, poi dalle monarchie nazionali e dalle dittature. Alla fine della seconda guerra mondiale abbiamo creduto che l’umanità, stanca di soffrire, avrebbe finalmente accettato regole universali di democrazia, di pace, di equilibrio, di rispetto. Ciò però non ha soffocato la brama di coloro che, avendo ambizione e forza sufficiente, non apprezza tutto ciò. Costoro hanno imparato ad usare le leggi della democrazia per renderla inutile ed inefficiente: prima di tutto con la corruzione, poi con uno sviluppo mirato della distribuzione della ricchezza, che ci riporta ad un nuovo medioevo. Non importa chi sia al governo democratico del Paese, la ricchezza si raggiunge in modo “altro”. Dopodiché, la complessità della società, dell’economia, dello sviluppo scientifico fanno sì che la stragrande maggioranza dei cittadini abbia in mano un voto e nessuna idea di come e perché darlo, perché non capisce nemmeno i risultati che scaturiscono da questa o quella scelta. Tutto è così complicato, difficile, nascosto, faticoso che, come dice il mio amico Lorenzo Zuffi, alla fine a nessuno importa un fico secco di nulla. Questo sviluppo della complessità ha portato il singolo a rinunciare al proprio interesse, persino alla propria sopravvivenza, purché lo si lasci in pace, gli si risparmi di venir tritato dalla macchina della complessità legale, economica, politica, scientifica. Sappiamo talmente tutto, da non sapere assolutamente niente. E questo “nientismo”, che va molto al di là dell’apatìa di Rugantino, è la grande forza del momento. La democrazia, intanto, muore democraticamente. A Bruxelles esiste un gruppo di persone (non una cospirazione, al momento che ciascuno di loro serve interessi diversissimi e concorrenti) che ci dice come vivere e morire. Non li elegge nessuno, nessuno può mandarli via. Nemmeno in economia: era stata fatta la legge, per le grandi società per azioni, secondo cui i manager ogni anno rimettono il loro mandato agli azionisti che giudicano il loro operato. Ma nelle società ad azionariato diffuso ciò ha portato ad una complessità tale, che il management comanda sui soldi altrui senza alcun vero controllo, dato che i controllori sfuggono essi stessi ogni controllo e non vengono eletti. In questa situazione nemmeno il riflusso nel privato funziona. Ci accorgiamo che la vita non funziona, che il nostro partner non ci ama e noi non lo amiamo, che non siamo capaci di dare una vera direzione ed una speranza congrua ai nostri figli, di cui siamo quasi sempre ostaggi. Ma non sappiamo cosa fare. Nessuno ha la forza, l’ambizione, il coraggio e l’intelligenza per opporsi. Nel passato, in queste situazioni una guerra terribile, che falcidiasse l’umanità, ha riportato una parvenza di equilibrio. Mi sa che ci siamo. E ci siamo da soli, lasciamo pochissime persone, forse nessuno, dietro di noi. Forse così sarà più facile mettersi il fucile in spalla – come ha dimostrato l’orribile macello jugoslavo e quelli simili che avvengono indisturbati in Asia ed in Africa.

26 dicembre 2013 – I giorni di Natale sono un tunnel pericolosissimo in cui famiglie devastate, che rifiutano di ammettere il disastro, fingono come attori delle soap opera. Nelle famiglie dolorose, invece, si soffre coscientemente, ma magari con qualche briciolo di allegria. Nelle famiglie felici, e certamente esistono, ben nascoste, ci si lascia andare… in ogni caso, questo è il momento giusto per far saltare il decreto salva-Roma (che era una porcata) e per sperare che nessuno veda che fascisti e piddì sono d’accordo nel mantenere il carrozzone di malaffare, sperpero, corruzione e totale inefficienza dei servizi, innalzando l’IRPEF al di sopra di qualunque altra città del mondo. Nessuno se ne accorge. Quello scemo di Grillo cerca di distogliere l’attenzione attaccando Napolitano, solo Riccardo Magi ed una politica di Scelta Civica, la sig.ra Lanzillotta, cercano di mantenere i piedi nella realtà e di far qualcosa per la città eterna. Due persone per bene, da sole, sono poche. Intanto lo Sceriffo Marino, che in pochi mesi ha battuto Alemanno per corruzione ed imbecillità, mette fuori un manifesto in cui troneggia il suo nome: Tu. Noi. Roma. Tu è il cittadino, solo e spaurito. Noi è l’orco della politica comunale, provinciale e regionale, l’essere demoniaco che dsitrugge ed ingoia tutto. La città è al di là di questo muro. Quel manifesto è il vero programma di questo Sindaco: aumentare la distanza fra la gente e la città. Mettendosi in mezzo. Facendo nulla di quanto promesso sul bilancio e le municipalizzate, e infierendo sui cittadini nel traffico. A Natale avete una famiglia devastata, una colpita dal dolore, una felice? Non importa, il Sindaco Marino, alle vostre spalle, sta tramando contro di voi. E non ci sarà nessuno a difendervi, se non l’amore dei vostri cari. Roma città chiusa, restiamo a casa. Questa è la vera protesta.

19 dicembre 2013 – Luciano Moggi prende 28 mesi in Appello. Ha commentato: certo, ma 30 sul campo!

18 dicembre 2013 – Roma: duemila agenti a fronteggiare i militanti dei forconi. Questa me la guardo, io adoro i derby.

17 dicembre 2013 – Fra qualche ora ci sarà la Marcia su Roma del Movimento dei Forconi. Inutile ricordare il 1922 ad un paese che non ricorda nulla che non sia stato in tv e negli ultimi mesi. Ma bisogna testimoniare delle verità a dispetto di ciò che sta accadendo. PRIMO: Berlusconi è riuscito ad ottenere tre risultati fondamentali: far credere che chiunque non faccia parte della destra sia un comunista (democristiani compresi); far credere che questi comunisti abbiamo instaurato nel 1948 una dittatura mascherata da democrazia che ha impedito alla destra, che gode del sostegno popolare e ne cura gli interessi, di prendere il potere; far credere che l’individualismo egoistico ed il benaltrismo siano legittimi, che le leggi debbano valere per gli altri, ma non per noi. SECONDO: quando la destra estrema (Berlusconi, Grillo, Casapound) inneggia alla lotta anche armata contro la “casta”, nega alcuni fatti: per esempio che i partiti collegati a Berlusconi abbiano avuto in mano il governo per anni, limitandosi a promulgare leggi ad personam per proteggere gli interessi dei faccendieri come Berlusconi, Debenedetti, Tronchetti Provera, Colaninno, Ligresti e compagnia cantante, che hanno contribuito a spogliare il Paese delle sue ricchezze; per esempio che se é vero che la “casta” sia la somma dei cittadini che hanno profittato dalla corruzione e dal malaffare, non solo la destra ne faccia parte in modo preponderante, ma anche noi cittadini ne siamo esponenti di rilievo, perché non c’é probabilmente nemmeno una famiglia in Italia che nell’ultimo mezzo secolo non abbia piazzato parenti in posti di lavoro superprotetti e distruttivi della ricchezza nazionale; per esempio che se loro rivendicano il diritto ad usare la violenza contro i loro antagonisti, come fa soprattutto il Grillismo fondamentalista, danno il lasciapassare a qualunque violenza. Addirittura siamo al punto in cui si pubblicano gli indirizzi di giornalisti da andare a minacciare ed insultare a casa. Berlusconi ed il resto dell’arco filofascista rivendica l’impunità per se e l’eliminazione fisica dei competitori, e lo fa (apparentemente) in nome della volontà “santa” del popolo. TERZO: il pericolo vero non è solo quello della fine della democrazia in Italia, perché qui ci siamo quasi, manca pochissimo e la deriva appare oramai inarrestabile, se non fosse che il popolo italiano, per vocazione, è traditore e anarchico, e quindi potrebbe cambiare idea improvvisamente non appena avesse l’impressione che da una certa tesi politica non ne venisse un guadagno evidente ed in moneta sonante. Il pericolo vero è che l’Italia, seguendo la linea politica di Mario Monti e della Goldman Sachs, venga venduta all’incanto. Visto che non siamo stati capaci a gestirla la diamo via. Tanto peggio, tanto meglio. La debolezza del governo Facta/Letta è il lasciapassare per qualunque incubo. La gente ha dimenticato tutto. Crede che il fascismo fosse uno scherzetto fra amici mentre il comunismo abbia seminato morte e distruzione nell’Italia del dopoguerra. Crede che sia nostro diritto partecipare al banchetto neocolonialista e poi si offende se gli Stati Uniti, armando i fascisti, facciano saltare in aria le banche, le stazioni ferroviarie, i treni, gli aerei. Si arrabbia tantissimo per l’atto criminoso delle BR che massacrarono la scorta di Aldo Moro (giustamente) ma tace sulle migliaia di morti causate da altre fazioni, specie se ad uccidere è il crimine organizzato che, a sempre più gente, appare come il male minore. Siamo un popolo di buffoni, vigliacchi, fascisti e piagnoni. Ma crediamo a qualunque Grillo o Berlusconi che ci dica il contrario. Non resta che seguirli? Non si può. se fossimo persone per bene dovremmo difendere i nostri figli, che in nome del fascismo imperante vengono massacrati nelle strade perché protestano per avere una scuola migliore, più severa, più preparata, più moderna. Se non siete capaci a battervi per il vostro onore e la vostra dignità, a cui avete rinunciato, pensate ai vostri figli.

15 dicembre 2013 – Kenneth Boulding: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista”.

14 dicembre 2014 – “Ghana must go” è una scritta su delle brutte buste di plastica a quadri. Le buste che i Nigeriani davano ai Ghanesi ricacciati a casa. ma di cosa sto parlando, che noi non capiamo nulla di tutto questo? Cosa è l’Africa, che noi consideriamo una cosa unica, come la Provincia di Macerata, ed invece è una galassia di stelle costrette a stare vicine e che sono lontane come il campanilismo nostro centinaia di anni fa? Taiye Selasi ha scritto un libro chiamato “Ghana must go”, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo di “La bellezza delle cose fragili”. Un capolavoro, un libro doloroso e stupendo, che racconta con naturalezza cosa voglia dire essere originari di una non-famiglia in un non-posto, da cui gli uomini non fanno che scappare o restare armati, gelidi come un coltello piantato nella carne. Conoscete la mia forte dedizione al patetico, ed in questo libro tutti piangono molto. Piangono, perché il libro racconta di una mamma Nigeriana e dei suoi figli Americani/Ghanesi che, in qualche modo, si ritrovano ad Accra per portare l’estremo saluto al padre ed ex marito, anche lui fuggito, anche lui abbandonato. Ci sono però pagine di saggezza intollerabile, come questa: “l’unico scopo di una relazione è quello di inscenare, in miniatura, tutto lo stramaledetto dramma della vita e della morte (…) E poi, un giorno, l’amore si raffredda (…) in questo modo l’uomo impara che la morte è la realtà”. Non si tratta di una frase triste o pessimistica, non commettete lo stesso sbaglio dei senza cuore che analizzano erroneamente qualcosa che assomiglia tantissimo all’Epos leopardiano: “quando ci si trova davanti a qualcosa di fragile e perfetto in un mondo che è brutto, terribile e crudele, conviene non dare nomi”. Kweku muore d’infarto. Potrebbe impedirlo, ma non lo fa, e muore. La sua famiglia disgregata ed esplosa per tutto il mondo si sente costretta ad incontrarsi ed andare insieme ad Accra. E mi insegna cose che sapevo sul dolore di essere nato in Africa, l’orgogliosa terra dell’umiliazione perpetua. Abbiamo paura del vero amore, quello intimo e compartecipe, quello che significa accettazione, e passiamo la vita a sfuggirlo spaventato o a metterlo in scena con formalità, ignoranza, aggressività, volgarità ed egoismo. Poi la persona che teneva tutto insieme, e che scappando aveva fatto esplodere l’amore, muore. La sua morte salva tutte le persone che lui aveva amato senza essere capace a farlo. Se mi mancava un consiglio diretto, ora l’ho avuto, ma tanto so bene che sono troppo vigliacco e narciso per metterlo in pratica alla svelta. Buon appetito.

10 dicembre 2013 – Mentre scrivo il primo canale radio della RAI discute con i cittadini di questioni di finanza. Ora viene detto a chiare lettere: a partire dalla primavera 2014 cominceranno ad arrivare a scadenza i bond legati alla crisi finanziaria del 2009, tramite i quali gli Stati nazionali hanno salvato le banche dal fallimento e sostituito, con i nostri risparmi, tutte le altre forme di garanzia sui derivati. Cosa succederà non lo sa nessuno, ma Italia, Spagna e Francia si oppongono con veemenza alla posizione inglese e tedesca: ovvero che, in caspo di disastro probabile, a pagare siano coloro che hanno sottoscritto i bond e, se non bastasse, gli “azionisti” dello Stato: noi. Senza voler passare da Cassandra (naturalmente si troverà una soluzione di compromesso che rinvierà e tenterà di spalmare sul tempo la catastrofe imminente) credo che l’umanità non possa rinviare sine die la fine del capitalismo finanziario che, nel 1973, ha sostituito il capitalismo commerciale. Dobbiamo trovare qualcosa d’altro. Il liberalismo, in questa chiave, è il veleno più pericoloso, perché sostiene che le “leggi dell’economia”, se rispettate, riporteranno tutto a posto. Si tratta della più grande e pericolosa bugìa del secolo. Esistono delle “leggi di natura” che si applicano alla fisica, alla chimica etc – e noi facciamo finta da decenni di poterle ignorare – ma non esistono “leggi dell’economia”. L’economia non esiste in natura, l’abbiamo inventata noi. Come diceva un nonno saggio, é la trasposizione pratica della cattiveria e pazzìa umana. Il liberalista convinto vuole che si accetti la follìa del genere umano come legge naturale per la gestione della realtà. Questa visione, che negli ultimi cento anni è costata la vita a miliardi di persone ed ha messo in ginocchio l’ecosistema, dev’essere sconfitta, oppure faremo strada alla vittoria dell’economia che, come ovvio, funziona perfettamente solo in assenza di deviazioni, quindi in assenza dell’umanità.

9 dicembre 2013 – Non ho intenzione di discutere l’importanza della elezione di Matteo Renzi a segretario nazionale del PD. Non è questo il momento, bisogna attendere alcuni passi ufficiali anche all’interno di altri partiti. Ma la data dell’8 dicembre 2013 ha un significato storico che alla maggior parte dei cittadini sarà sfuggito. Oggi, in occasione della festività, lo IOR (la banca dello Stato Vaticano) ha chiuso tutti i conti correnti appartenenti a cittadini estranei allo Stato Vaticano stesso. Si tratta, secondo la bravissima giornalista Fiorenza Sarzanini (Il Corriere della Sera), di 1200 conti correnti. Altri 19mila conti correnti verranno ora filtrati dalla FIU Financial Intelligence Unit, diretta dallo svizzero René Brühlhart, già alla testa della FIU Liechtenstein, uno dei funzionari dell’anti-riciclaggio più integerrimi, esperti e noti del mondo, uno cresciuto alla scuola dell’attuale Pubblico Ministero Federale svizzero, Mike Lauber, che in questi mesi sta combattendo alcune battaglie fondamentali per la trasparenza della piazza finanziaria e contro l’inquinamento dell’economia da parte del crimine organizzato. Papa Francesco non solo ha dato un segnale precisissimo, ma sta facendo seguire alle parole i fatti. Era dal grande scandalo dell’Immobiliare Roma, alla fine del XIX secolo, che le finanze vaticane si erano offerte come sponda per qualsivoglia crimine e truffa. Papa Francesco sta chiudendo la diga. Ora manca una decisione analoga relativamente alle società ed ai fondi di investimento. Sarò tifoso, ma spero che al Papa riesca anche questo prima che gli diano da bere del veleno o che ce lo facciano ritrovare appeso ad un Ponte di Londra. Naturalmente qui nessuno è fesso. Queste decisioni significano solo che la finanza del Vaticano, APSA in testa, ha cominciato a costruire nuove reti al di fuori della sede papale. Ma era ora che, fra i soldi amministrati dal capo della Chiesa cattolica ed il peggior malaffare del pianeta ci fosse almeno una separazione formale.

5 dicembre 2013 – Asimbonanga, u Mandela thina… non ce lo hanno vedere Mandela, là dove lo tengono. Non c’è più. Il simbolo della pace possibile dopo 500 anni di persecuzioni orribili dei bianchi nei confronti dei neri ci ha lasciato. Non mi importa il fatto che Zuma sia un bandito, non voglio sapere se sua moglie ne abbia fatte di tutti i colori, se l’African National Congress è un sogno pervertito in un incubo. Noi uomini siamo così, distruggiamo tutte le cose belle. Come l’uccello che girava le viti di Haruki Murakami, Nelson Mandela ha atteso, atteso, atteso. Non c’è più. Questo mondo non è più fatto per eroi lenti e pazienti. Non voglio nemmeno pensare a ciò che succede nelle strade die Joeburg adesso. Asimbonanga – della verità non ci fanno vedere nulla, anche perché noi preferiamo non vederlo. Teaching in silence, this is something only great men could do.

29 novembre 2013 – Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “Si voleva la fantasia, ma al potere è arrivata la follia. E’ impressionante il modo in cui è passata l’idea, enunciata dal ministro dell’economia, di far della Banca d’Italia una public company. Sia chiaro a tutti: questo non è un tema economico, un trastullo per cultori, questa è la carne viva di quel che resta della sovranità nazionale. A dar retta a Saccomanni, che va fermato, a star dietro a quel che il Consiglio dei ministri ha deciso (nel mentre giornali e italiani si distraevano con i ludi della decadenza), potremmo presto essere il solo Paese al mondo la cui banca centrale è posseduta da stranieri. Procediamo per gradi e cerchiamo di capirci. L’autonomia delle banche centrali era già nel costume delle economie di mercato. Per gli europei tale principio è scolpito del trattato istitutivo e nello statuto del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc). La condizione di quasi tutte le banche centrali è d’essere possedute, direttamente o indirettamente, dallo Stato. Il solo proprietario che può garantire totale indipendenza. Ci sono, in Europa, due eccezioni: la banca centrale belga, quotata in Borsa, ma posseduta al 50% dallo Stato, e quella greca. Sulla seconda non vale spendere parole. Fuori d’Europa è quotata solo la banca centrale giapponese, ma posseduta dallo Stato al 55%. Era dello Stato anche la Banca d’Italia, le cui quote erano allocate presso banche a loro volta di proprietà o sotto il controllo pubblico. Il guaio, come osservò Enrico Cuccia, si creò quando si privatizzò il sistema bancario, talché il proprietario (divenuto privato) era controllato dal posseduto. Guaio che crebbe con le fusioni e le acquisizioni, al punto che, oggi, Intesa Sanpaolo possiede il 42,2% e Unicredit il 22,1 di Bd’I. Possesso teorico, però, perché leggi e statuto tutelano l’autonomia della banca centrale. Fermiamoci qui per gli assetti e guardiamo la sostanza economica, in modo da capire l’enormità della follia di Saccomanni. Fu Camillo Benso, conte di Cavour, a volere una banca emittente sabauda, allora posseduta da privati. Nel 1936, con la legge bancaria, quelle quote furono assegnate alle banche pubbliche, per un valore di 300 milioni di lire (156mila euro). Da allora il valore nominale non è mai cambiato, dato anche che quelle quote non potevano essere negoziate. Perché si parla di rivalutazione, e perché governo e banche concordano nel farla? Perché aumentando il valore di quelle quote si aumenta il patrimonio delle banche che le possiedono, rendendole più solide e, al tempo stesso, si assegna un dividendo fiscale allo Stato. Pari a circa un miliardo. Qualcuno ha già rivalutato le quote per i fatti propri, come ha bene ricordato il prof. Tito Boeri, tanto che Banca Carige le ha fatte crescere del 180.000%. Si aggiunga che, per coprire il mancato gettito della seconda rata Imu il governo chiede alle banche un anticipo del 130% su Ires e Irap, alzando anche l’aliquota sugli utili, dal 27,5 al 36%. Hanno pensato: diamo qualche cosa in cambio. Ora, a parte il fatto che le banche stramazzano prima del cambio, l’oggetto consegnato, le quote Bd’I, è da matti. Torniamo all’assetto proprietario. Dunque: facciamo della banca centrale una public company. Ma lo sanno, cosa vuol dire? Sono società quotate ad azionariato diffuso, talché non dipendano dalla proprietà, ma dal mercato. Uno dei difetti di tali società, amministrate da gente che, per conservare il posto, devono portare valore agli azionisti, è di avere la vista corta e concentrarsi sul breve periodo. Ha senso, inoltre, solo se le azioni sono negoziabili, il che comporta un valore mobile. Tutto all’esatto contrario di una banca centrale. E non basta: il governo ha fissato al 5% il limite massimo di azioni che ciascuno può possedere, con il prode ministro dell’economia che aggiunge di lasciare “la porta aperta a investitori europei”. Le quote, difatti, il cielo solo sa come distribuite, potranno essere acquistate da banche e compagnie d’assicurazione Ue. Vuol dire che dieci banche e compagnie tedesche possono comprarsi la Banca d’Italia! Si dirà: ma non possono governarla. Ricoverateli, perché gli azionisti avranno un dividendo derivante dal signoraggio (previsto dall’articolo 32.1 dello statuto Sebc), nonché dai guadagni fatti con il mercato dei cambi. Il tutto senza contare che l’oro nei forzieri diventa proprietà degli azionisti e non più bene collettivo. Ma a chi cavolo sono venute in mente queste cose? Per porre rimedio, un giorno, presto, si dovrà procedere al riacquisto delle quote, con il risultato che per 1 miliardo di gettito fiscale oggi si dovrà domani spenderne 50 per riprendersi quel che si rivalutò. In un casotto fra bisogni di cassa e operazioni patrimoniali. Fatemi vedere anche questa e sarò pronto a credere non che gli asini volano, ma che governano”.

27 novembre 2013 – Da figlio, sbagliando, sai bene che stai solo tentando di capire cosa e come fare. Da padre, sbagliando, è più o meno lo stesso, ma giustamente te lo faranno pesare. Da nonno non ti è più concesso sbagliare, per fortuna. C’è qualcun altro che sbaglia per te. Ma per convivere con questa catena interminabile di sbagli c’è bisogno di tanto affetto e rispetto, di capacità (da entrambe le parti) di trasmettere e recepire il senso di responsabilità, di imparare a riconoscere, ammettere e discutere gli errori. I “padri tuoi, come potrei essere io” (per citare Gaber) hanno mancato in queste ultime fondamentali questioni. Il prezzo sarà, per noi tutti, una vecchiaia di solitudine terribile.

25 novembre 2013 – La votazione interna al PD è speculare alla finta spaccatura in seno al PDL. In realtà PD e PDL, messi assieme, equivalgono alla vecchia Democrazia Cristiana con le sue correnti, tant’è che giustamente governano insieme ed i quadri storicamente più rilevanti del PD sono democristiani di destra come Rosy Bindi e Romano Prodi, o dipendenti del Gruppo Mediaset come D’Alema. L’inutilità del voto nel PD è stata dimostrata dal caso Cancellieri. Tutti e tre i candidati (che sommati insieme rappresentano il 100% del PD) si sono espressi chiaramente per le dimissioni del ministro. Ma i gruppi parlamentari del PD, all’unanimità, hanno votato per difendere il ministro Cancellieri, sconfessando quindi tutti i possibili candidati alla segreteria nazionale. Capisco però che da posizioni di estrema destra si possa oggi guardare al PD e gongolare sapendo in anticipo che chiunque verrà eletto, partirà più sputtanato di un ex segretarion nazionale del PSDI. Come a dire che, essendo la finta spaccatura del PDL ridicola, ci consoliamo con il ridicolo PD, con il ridicolo SEL (in cui Vendola avrebbe dovuto dimettersi per lo scandalo delle sue telefonate con i dirigenti dell’Ilva e non l’ha fatto), con la ridicola Scelta Civica (che si spacca in frattaglie senza nemmeno una sola posizione politica, dato che sostanzialmente appoggia la svendita degli assets industriali italiani proposta da PD e PDL) e con il Grillismo, che rispetto al fascismo per ora non ha la violenza fisica, ma ha però quella verbale, l’ignoranza abissale e narcolettica dei suoi dirigenti, l’opportunismo voltagabbana dei suoi ideologi ed il settarismo protoreligioso di chi li vota senza capire cosa vogliano. Ergo, continueremo a votare questi partiti. Perché nel mondo di oggi non è possibile lanciare un’idea senza avere milioni di Euro in tasca ed accordi saldissimi con il potere.

24 novembre 2013 – Ieri sera sono stato al Forte Fanfulla a vedere “Petimus Rogamus” di Lorenzo Montanini con Carlotta Piraino, Daniel Plat, Mersia Valente e Diego Venditti. Ebbene, non ne sono ancora tornato. Il lavoro dura (penso) dai trenta ai trentacinque secondi, è una scheggia impazzita di uno sketch di Carosello su come le promesse di vita, le “magnifiche sorti e progressive”, trasportate in un grand-guignol in cui si mescolano la papessa nana che parla in pseudo-latino, la guardia svizzera che si trasforma in Gene Kelly e canta dell’orologio biologico, e due pupazzi animati della Kellogg’s degli anni 50 che si risvegliano 60 anni dopo a Zagarolo, siano divenute la condanna di un mondo in cui il matrimonio e la sessualità divengano inconoscibili, spaventosi, morbosamente marci. Vi dico subito che questa breve piéce funziona (a mio parere) soprattutto per tre motivi: 1) la straordinaria bravura degli attori, specie di Carlotta Piraino e di Diego Venditti. La Papessa trasforma un farfugliare pseudo latino maccheronico in una danza nuda al palo, in un esorcismo escatologico che invoca l’Olimpo cattolico a mitragliare la terra, in un travet meneghino che parla di morale come se si trattasse di un codicillo del manuale Cencelli. La guardia svizzera è brillantissima, specie quando nella sua “momento Gene Kelly” spiega i lati positivi della solitudine dell’uomo solo (la donna sola no, ci dice il testo): roboante, fisicissimo, affascinante, convincente; 2) la musica scelta dal regista. Si tratta di canzoni che non conosco, ma specialmente la prima, che trasforma il duo Plat-Valente in un delizioso incubo carillon, è assolutamente insostituibile. La scelta di “Deutschland über alles” per simboleggiare il male è un po’ greve, ma lameno non lascia adito a equivoci: tutto ciò che vediamo sul palco è meccanico, disumano, letale, mostruoso; 3) L’inesistenza dei personaggi, la loro assurdità, il loro essere solo sogni del nostro subconscio, parti della nostra memoria, citazioni di citazioni, strumento tutt’altro che duttile di incanalamento della nostra capacità di associare. Il pubblico ha riso tantissimo. Non ho riso mai. Non perché non mi sia piaciuto, anzi. Ma io, di questi mostri qui, ho paura, non do loro il benvenuto nella mia coscienza come fanno molti. Che restino sul palco, dove li posso vedere, e cercare un rimedio apotropaico. Un lavoro straordinario, insomma, una miniatura dell’orrore, un forte richiamo all’attenzione ed all’introspezione, un coraggioso sasso che si tira da solo in uno stagno fin troppo disorientato di umanità.

15 novembre 2013 – Il fatto che il Ministro Cancellieri non venga fatta dimettere è la prova definitiva di cinque cose, tutte ugualmente terribili: primo – in Italia un Prefetto può giocare a fare lo Sceriffo, prendendosela con i poveracci e proteggendo i ricchi. I rapporti di intima ed affettuosa amicizia con la famiglia Ligresti (e presumbilmente altre famiglie dello stesso giro) il Ministro le ha fatte quando era Prefetto, e ben gliene incolse; secondo – l’obbligatorietà dell’inchiesta penale non vale più, altrimenti ci sarebbe un’inchiesta penale sui rapporti lavorativi fra la figliolanza del ministro, la famiglia Ligresti e quegli enti che dovrebbero sorvegliare tali rapporti e non lo fanno; terzo – ad un Ministro della Repubblica è permesso mentire ripetutamente, in pubblico, facendosi scherno della legge, e passarla liscia. Del resto Silvio Berlusconi aveva già sdoganato questi comportamenti. Il fatto sconvolgente è che, in Parlamento, non esistano più forze politiche fedeli alla Costituzione che, per quanto minoritarie, pongano l’indice su certi fatti. Il Ministro Cancellieri se ne deve andare. Non perché il Ministro Idem (persona per bene) si era dimessa per molto meno, ma perché ciò che ha fatto (e continua a fare), oltre alle menzogne raccontate, è inconciliabile con la sua funzione pubblica. In un paese serio le toglierebbero la pensione; quarto – Berlusconi mente quando sostiene che i magistrati ed i politici siano due caste concorrenti. Così come PD e PDL seguono la stessa agenda, allo stesso modo i magistrati ed i prefetti hanno bisogno di questa politica per poter usare il potere che anno per vessare i piccoli e, proteggendo i forti, farsi gli affari propri in barba alle leggi dello Stato. In Italia serve una legge che riformi l’ingiustizia della giustizia, ma questa non verrà mai da chi, come il Parlamento dominato da PDL, PD, Grillini e Scelta Civica fà parte in modo strutturale del sistema che distrugge la giustizia nel nostro Paese; quinto – il Ministro Gelmini, con la sua sciagurata riforma, ha messo il sigillo sulla cosa più grave di tutte. Oggi, in Italia, nessuno sa più nulla, nessuno capisce più nulla. Mi capita di parlare ogni giorno con persone che hanno fra i 18 ed i 35 anni. La loro ignoranza sconcertante, abissale, escatologica, belluina è talmente grande da impedire loro di capire cosa stia accadendo. La scuola italiana ha tolto a tre generazioni l’accesso ai sistemi di apprendimento, per cui costoro non apprendono. escono dall’Università o dal Liceo che non sanno leggere le lancette di un orologio, che non sanno chi fossero Einaudi e Giolitti, che non capiscono la differenza peso e tara, non sono in grado di risolvere un’equazione di primo grado, non hanno letto nessun romanzo se non quelli consigliati dalle TV, sono stati alle Maldive ma non sanno dove siano Chioggia e Maratea, escono da un concerto in cui una band ha eseguito 30 brani dei Beatles ed esclamano: che pizza, non c’era nemmeno una sola canzone famosa. Se non si riparte dalla scuola, il Paese non solo non ha speranza, ma non merita di averla.

13 novembre 2013 – Ho letto in 36 ore “La ricchezza” di Marco Montemarano (Neri Pozza, 2013) perché non c’era niente da fare, era necessario. Questo libro infatti esce adesso solo per causa mia, il Sig. Montemarano, che non conosco, dev’essere stato fulminato dal mio angelo custode e costretto a vergare oltre 200 pagine di storia per rispondere ad una delle domande che più mi assillano da mesi: cosa succede se, passati i 50 anni, si è ancora in corsa, ma non si sa più quale sia il Gran Premio? I miei ricordi mi dicono che alla mia età i miei genitori ed i miei nonni avevano fatto abbastanza per poter acquisire il diritto ad invecchiare. Chi era riuscito a costruire una famiglia, nel bene e nel male, se la è tenuta fino alla fine. Chi invece aveva lottato tenacemente per costringersi alla solitudine, poteva dire con orgoglio di aver raggiunto almeno questo traguardo. E noi? Noi che avremmo potuto fare tutto e che abbiamo fatto moltissimo. ma non basta mai, e che viviamo in sincronia folle passato, presente e futuro? “La ricchezza” è un bellissimo libro perché costruisce in modo straordinario la domanda di cui sopra, seppur fra mille inciampi di stile e di “continuity”, probabilmente perché gli editor di oggi se ne fregano dei difetti dei libri. “La ricchezza” non è un capolavoro perché, nel momento in cui cerca di rispondere alla domanda, oltre alla sacrosante e stupendamente vera frase finale (“la mia vita non esiste”), si incasina, rotola, costruisce un bel capitolo sulla segretaria giovane e carina che salva la sua carriera ma non trova il bandolo della matassa, lasciandomi non a bocca asciutta, ma senza speranza – ed infatti mi ha gettato in una delle mie crisi di sconforto, durante le quali, se il frigo è vuoto, rosicchio gli angoli dei mobili e lecco l’olio dagli scarponi invernali. “La ricchezza” rompe un tabù per me fondamentale: mette in discussione il ricordo. Ci sono successe talmente tante cose, che non si è più precisi. tanto più che ognuno di questi fatti è fondamentale, indirimibile, e noi lo pasticciamo con esagerazioni, proiezioni, determinismi, interpretazioni, fino a quando costruiamo un ricordo falso per un sentimento vero. Perché quel sentimento é talmente doloroso ed ingestibile da necessitare dei fatti epici per giustificarlo. Maddalena è l’amore che non abbiamo mai avuto, che non abbiamo adesso ed abbiamo sempre saputo che non avremo mai. Fabrizio è la forza tremenda della vita che si autodistrugge di cui abbiamo sempre paura e che abbiamo sempre assaggiato solo a morsi piccolissimi e titubanti. Mario è la solitudine cui siamo condannati dal non essere competitivi come il mondo ci vuole avere. La ricchezza è quando queste tre forze, in Argentina, tornano a stare insieme – ma senza di me, io resto condannato per l’eternità non solo alla solitudine più totale ed efferata, ma anche alla lontananza da me stesso, dal mio passato vero e dai miei dolori idealizzati. Per questo motivo leggete il libro. Se non ci trovate nulla, meglio per voi, ma non chiamatemi mai, perché siete tra coloro che consumano la mia energia, deuteragonisti dell’epos, comparse già scomparse. Se vi sconvolge, come ha sconvolto me, vi chiederete: perché sono così? Perché coloro che sono così non vivono insieme in uno zoo o in una riserva indiana? La risposta, credo, l’ho trovata nell’ultimo racconto di Santo Piazzese, “Blues di Mezz’Autunno” (Sellerio, 2013): la Spada dei Turchi, isola infintesimale della Sicilia. Se entro l’anno prossimo non trovo un vero equilibrio interiore per affrontare la voragine di solitudine che mi attende, potrete probabilmente trovarmi là, al Bar Edelweiss…

12 novembre 2013 – Papa Bergoglio ha ricevuto oggi in omaggio la maglietta della Juve. Abolito il settimo comandamento.

27 ottobre 2013 – E’ morto Gigi Magni. Con lui muore, una volta di più, la Repubblica Romana, la voglia di libertà di un popolo oramai sottomesso alla propria pigrizia e protervia. E’ morto Gigi Magni, uno che ha fatto film come gli americani non li avrebbero fatti mai. E’ morto Gigi Magni, romani. Vediamo se sapete, se ricordate, se esistete. E’ morto Gigi Magni, l’ennesima dolorosa tragedia di un tempo senza speranza né redenzione. Piangi, Roma, se non sei rincoglionita dal vendittismo e dagli ipad.

27 ottobre 2013 – Il ministro delle finanze Fabrizio Saccomanni (banchiere di Stato dal 1967) ha annunciato che il Governo sta per vendere alcuni degli assets più importanti del nostro Paese. Accanto ai nomi di ENI, ENEL e Finmeccanica (lo ripete dalla scorsa primavera) ha citato la RAI. La nazione si è risvegliata e si è messa a gridare: la TV di Stato non va ceduta, gridano i giornalisti, i partiti ed i sindacati. Sono esterrefatto. La RAI non vale granché, come asset, specie fin quando il partito di Berlusconi ne influenza le scelte editoriali. La sua indipendenza? Ma fatemi il piacere… Ma perché allora Saccomanni la mette nel pentolone e così tante istituzioni reagiscono così violentemente? Perché così passa in secondo piano il fatto che l’Italia è pronta a vendere ENI, ENEL e Finmeccanica. ENI ha un fatturato di circa 130 miliardi di Euro e dà direttamente lavoro ad 80mila persone. ENEL fattura 85 miliardi di Euro e dà direttamente lavoro a 73mila persone. Finmeccanica fattura (ufficialmente) 18 miliardi di Euro e dà lavoro direttamente a 68mila persone. A questi si aggiungono i 13 miliardi e 44mila dipendenti di Saipem. Si tratta di oltre 110 miliardi diretti di gettito fiscale, più i dividendi che vanno a CDP Cassa Depositi e Prestiti, e la vita per 265mila famiglie più indotto. La RAI invece fattura meno di 3 miliardi e dà uno stipendio (chissà quanti di loro lavorano davvero) a 11mila persone. Chi se ne frega della RAI. Se venderanno gli altri assets, invece, per coprire le perdite fiscali a partire dall’anno successivo (chiunque le comprerà sarà uno straniero e si porterà giustamente a casa il bottino) il governo dovrà aumentare le tasse, tutte, di alcuni punti percentuali, ed un milione di italiani avrà perso il posto di lavoro. Vi prego, usate il napalm per ucciderci, fate presto. Non ce la facciamo più a sopportare lo stillicidio, ammazzateci in un colpo solo, invece di umiliarci perché, stupidi ed ignoranti come siamo, approviamo tutte le vostre mostruose stronzate.

13 ottobre 2013 – Il quotidiano romano “Il Tempo” apre oggi con il seguente titolo: “Basta con l’odio, un funerale anche a Priebke”. L’assassino nazista riempie con il suo giovanile volto sorridente metà della pagina. Questo è l’ennesimo passo avanti di coloro che, quasi innavvertitamente, da anni stanno recuperando fascismo e nazionalsocialismo come pratiche accettabili e come passati che, in fondo, avevano lati positivi. In questo modo si porta coerenza: Beppe Grillo e gli altri nazisti ancora in attività, che sono dell’opinione che si debba sparare sugli immigranti dei barconi, sono gli stessi che chiedono pietà per l’ariano Priebke, responsabile della morte di migliaia di schifosi ebrei. Sono tantissimi, si nascondono ovunque: nella politica, nello spettacolo, nella cultura decadente di questi anni. Li incontriamo nei bar, persino nelle nostre famiglie, non si nascondono più. E’ questa la cose che mi fà più orrore: gli aguzzini che hanno compiuto stragi di ebrei inermi, di oppositori pacifisti, di zingari, nei campi di concentramento, nei lager, nelle foibe, ovunque, vengono oggi celebrati come coloro che hanno trovato (ante litteram) una soluzione efficiente al sovraffollamento, alla globalizzazione, allo sfascio della società sempre meno solidale, sempre più individualista. Costoro ci portano alla guerra. Ma non alla guerra in senso classico, così come non predicano la dittatura in senso classico. La guerra la fanno due eserciti contrapposti. La dittatura è quella di un’oligarchia sulla popolazione, come era in Germania, in Italia, nell’Unione Sovietica, in Jugoslavia, in Cina, in Albania. Questi sono più gelidi e furbi. Questi massacrano senza guerra, di fronte non ci sono eserciti. Tiranneggiano senza dittatura, ma con l’appoggio democratico. Distruggono l’umanità dal proprio interno, usando la cattiveria e la stupidità, la pigrizia mentale e la disinformazione, la rabbia cieca di chi non capisce nulla e, guardando la TV e leggendo “Il Tempo”, “Libero” o “Il Giornale”, crede di sapere cosa accade nel mondo. Possiamo avere pietà per il cadavere di Priebke? Perché per lui si e per i clandestini no? perché per lui si e per gli ebrei no? Perché per lui si e per i ribelli no? L’Italia trabocca di ferocia disgustosa e volgare: un nuovo nazionalsocialismo si fa strada nella mente della gente, che non si accorge che le nazioni hanno esaurito il loro ruolo storico. Non so se sono più furioso o disperato. Soprattutto frustrato, perché credendo nella democrazia non so cosa fare con un 80% della popolazione che, democraticamente, é pronta a farsi ammazzare per ignoranza, paura ed un ipad.

4 ottobre 2013 – Piango per le immagini di Lampedusa. Piango per le immagini che so delle zone di guerra. Piango per la rabbia perché so di quanto sia colpa nostra, del colonialismo, della violenza e dell’orrore che imponiamo nelle loro terre. Piango per l’orrore del fondamentalismo religioso, che umilia, opprime muove all’omicidio ed al suicidio in tutto il mondo. Piango il mio egoismo, la mia paura, il razzismo schifoso di migliaia di righe lette in queste ore. Piango il fatto che, come topi di laboratorio, rinchiusi nel labirinto del nostro pianeta insanguinato ed offeso, lottiamo fra noi invece che cercare una via d’uscita. Piango perché l’essere umano è cattivo, ed io sono un essere umano. Impotente, pigro, stanco, solo, spaventato. Vorrei andare a casa, ma casa, nella società del consumo di oggi, è stata abolita per decreto, con l’appoggio democratico di tutti. Non avendo un luogo in cui andare, quando corro, scappo. Ma, lo ripeto alle centinaia di migliaia di fascisti, razzisti e fautori dell’ineluttabilità del medioevo: le nazioni non esistono, esiste un pianeta, lo stiamo uccidendo – e ci massacriamo l’un l’altro. Non crediate: nemmeno voi siete al sicuro: “Anche se voi vi credete assolti, siete per sempre coinvolti”.

1° ottobre 2013 – Esce una nuova verità dai bilanci del Comune di Roma. Il buco per quest’anno, e solo per quest’anno, è di 867 milioni di Euro. Il debito vero, quello a medio termine, è di 12 miliardi di Euro. Game over. Questo debito non è stato generato dalla Giunta di Ignazio Marino. Questo debito è stato cotruito in oltre 65 anni di governi di qualsivoglia colore: democristiani, socialisti, comunisti, socialdemocratici, berlusconici, piddìni e fascisti. E’ qualunquistico affermare che tutti coloro che hanno gestito Roma sono insieme colpevoli del disastro? E’ populistico affermare che nessuno dei partiti presenti in consiglio comunale sia credibile, quando afferma di avere una ricetta per Roma? Più che populistico, è falso. Non ce l’hanno, la ricetta. Chiedono i soldi allo Stato: 12 miliardi di Euro, ovvero alcuni punti di IVA in più su scala nazionale per alcuni anni – per poi mantenere lo statu quo, ovvero generare nuovi debiti colossali senza risolvere un solo problema e senza tagliare gli sprechi, tagliando solo i pochi servizi rimasti. Eppure Roma, con i suoi 95 miliardi di prodotto interno lordo (circa il 6,7% di quello italiano) è il Comune più ricco d’Italia. A questi si aggiungono 11,2 miliardi di buco della Regione Lazio per l’anno in corso ed un debito a medio termine superiore ai 40 miliardi. Il Commissariamento del Comune di Roma è oramai un atto dovuto, prima o poi bisognerà estenderlo anche alla Regione. Nè Zingaretti né Marino hanno una benché minima strategia, tranne quella di regalare una nuova discarica a Manlio Cerroni in mezzo ad una delle poche splendide zone agricole della città, vicino al Santuario del Divino Amore. Bisogna azzerare tutte le società controllate o partecipate dal Comune, dalla Provincia o dalla Regione. Tutte. Ripartire da zero. Per poi mettere immediatamente mano allo sfacelo della sanità e dell’istruzione. Lo so bene che questo comporta mettere alla fame migliaia di famiglie: se Napoli per anni ha vissuto del contrabbando (e forse ancora oggi è così), dal 1870 ad oggi (e forse anche prima) Roma vive di regalìe illegali, di assunzioni piratesche, di servizi tassati ma mai forniti. Molti cosidetti liberali vogliono vendere assets. Vendiamo Roma, così come è, ad una ditta cinese o russa. Vedrete come cambieranno le cose. Oppure cerchiamo di negare la realtà e di andare avanti così. E quando usciamo di casa, portiamoci un fucile a canne mozze. Ancora non serve, ma è un investimento per il futuro.

29 settembre 2013 – La festa in onore di Gabriella Ferri e Stefano Rosso che abbiamo tenuto sabato al Parco della Certosa insieme al Comitato Certosa è stata per molti versi magica. Adriano Marenco è un poeta profondo e ironico, un giocoliere delle parole che ha reso magico il momento più difficile quando, con due ore di ritardo ed avendo dovuto cancellare quattro acts, Marco Velluti è salito sul palco con la sua voce profonda e le sue armonie straordinarie. Irene Brigitte e Giovanni Settimo hanno incantato, Rosamarina ha esaltato tutti. Un caleidoscopio di colori forti e decisi, di bellissima musica popolare intensa e trascinante, di voglia di vivere e precisione tecnica. Carlotta Piraino e Lucia Ciardo, nonostante le difficoltà tecniche, hanno mostrato una grammatica nuova del musical popolare che univa la rivista di Alberto Sordi e Monica Vitti, la tristezza del teatro di Totò e Peppino, il ruggito di Claudio Villa, l’umanità dolorosa e tragica di Gabriella Ferri. Bellissimo. Andrea Tarquini è davvero la copia conforme di Stefano Rosso, ci ha riportati in una Roma della nostra gioventù cui siamo attaccati come cozze… Piero Brega ed Oretta Orengo, come al solito, mi hanno fatto piangere e gridare e ridere e sentire il senso della nostra vita, della nostra storia, dei nostri sogni ancora in divenire. Bianca Giovannini, Ludovica e gli altri di BandaJorona sono stati unici, irripetibili, commoventi, fantastici. Quando Bianca, una volta passato il limite imposto dalla “legge”, ha chiesto se poteva continuare, sono esploso: Bianca, canta! “Nina si voi dormite” cantata da lei e Piero è stato il momento più intenso. L’Italia fa soffrire, Roma umilia e piega, ma NOI esistiamo, con un cuore ed una voce più grande di ogni dolore e violenza subita. Bianca, ho imparato che tu sei Roma, quando è viva e pulita. Ed il Comitato della Certosa, con tutto il suo sfarfallìo a volte confuso ma sempre gentile ed accorato, è il lucchetto con cui chiudere i momenti e gli spazi più belli di questi anni. Chourmo è il porto alla fine di un oceano, il Comitato Certosa è il popolo febbrile che costruisce la Nuova Atlantide da un sogno creduto proibito. Noi ci siamo. C’eravamo prima di saperlo. Ci saremo. Un bacio gonfio di riconoscenza ed affetto per tutti. Grazie grazie grazie.

28 settembre 2013 – La Giunta Capitolina, guidata dal Sindaco Marino, ieri ha tenuto una riunione di crisi. Mancano quasi 900 milioni di Euro. La proposta della Giunta: taglio TOTALE della manutenzione stradale e dei giardini, taglio TOTALE ai finanziamenti per la cultura e taglio TOTALE all’ATAC, aumento dell’IMU e dell’IRPEF. Ciò che non dicono: questa misura, se adottata, avrebbe un risultato immediato ma creerebbe altri debiti spaventosi, oltre a far collassare alcune migliaia di famiglie. Alla fine della seduta il Sindaco avrebbe gridato un deciso “no” alla proposta ed avrebbe detto che dovrà essere lo Stato a pagare. Un miliardo che non c’è. Ed introdurranno un aumento delle tasse, in ogni caso, senza salvare l’ATAC. Mi rendo conto che dietro questo giochetto delle parti, che prepara una Primavera devastante in cui Roma si fermerà (ma non volevate spendere miliardi per fare le Olimpiadi? Non avevate detto, in campagna elettorale, che con un po’ di onestà le risorse finanziarie si sarebbero trovate?), è causato dal non saper che fare. Ma in politica il non saper che fare è peggio che essere disonesti. Spero che, in Primavera, si possa porre il problema di elezioni anticipate. Roma non può sopravvivere un uno-due alla mascella come Alemanno e Marino. Sono dieci anni di devastazione incontrollata e folle. Il guaio è che non si vede chi possa prenderne il posto. Se a livello nazionale i politici sono ignoranti, sciocchi, vanesi, ignoranti, arroganti, spesso disonesti, ignoranti e incapaci, la situazione a livello locale è di molto peggiore.

25 settembre 2013 – Ha ragione chi dice che Telecom ed Alitalia siano due aziende private. Costui tace però che lo sono divenute perché i partiti (TUTTI) hanno spinto su una falsa privatizzazione che si è tramutata in spoliazione. La svendita di Telecom (che nel 1990 era la più grande azienda di telecomunicazioni d’Europa) e di Alitalia sono la logica conseguenza di 25 anni di politica inetta, ladra, stupida, bugiarda. Ciò che temo più di ogni altra cosa è che si tratti di un esperimento: come reagisce l’opinione pubblica? Non reagisce. Ed allora svenderanno ENI, ENEL e Finmeccanica? Molti cosidetti liberisti e rigoristi dei conti pubblici plaudono a questa soluzione. Mentono. La vendita di Alitalia e Telecom porterà una diminuzione radicale del gettito fiscale di queste aziende, perché evidentemente chi le compra ne ucciderà la possibilità che concorrano sui loro stessi mercati. Quindi diminuiranno gli addetti, l’indotto, ed ancora gli introiti fiscali. Ammettiamo che le si venda per un miliardo. Uno solo, che prendiamo subito, poi basta. La cifra che l’economia italiana e lo Stato perdono nel medio periodo è oltre venti volte superiore. Ma non lo dice nessuno e la gente non capisce. La gente è scioccamente superstiziosa e per un motivo a me incomprensibile crede che un’azienda straniera farà i nostri e loro interessi. Non accade mai. Diventiamo colonia come l’Africa Nera. Se si vendessero anche ENI, ENEL e Finmeccanica c’é da stare sicuri che queste verrebbero (giustamente) depredate e chiuse. Senza quella tre aziende l’Italia vale il 25% in meno (ed ha introiti fiscali del 25% più l’indotto minori). Mio Nonno mi disse una volta, quando gli dissi che sposarsi comportava avere spese potenzialmente maggiori e che quindi forse era un errore: “Se non scopi sei triste. Se sei triste spendi a casaccio. Se la tua vita costa più di quello che guadagni, lavora di più”. Ma lui era un uomo serio, di sinistra, venuto a piedi a Roma dalla campagna quando era bambino, che ha tirato su una famiglia durante la guerra e l’ha portata, insieme a mio papà, al benessere, passando giornate di ben oltre dieci ore a trasportare su per le scale ed a montare termosifoni. Noi figli ne saremo per sempre orgogliosi, giustamente. E non possiamo accettare che l’Italia, che ha anche avuto un paio di Nonni per bene (e non solo Andreotti ed i malavitosi fascisti che brigavano con i servizi segreti), venga regalata per pigrizia, superficialità, imbecillità. Solo perché da destra a sinistra si accetta che JP Morgan, che grazie a Mario Monti ha preso molte posizioni chiave nella politica, nella finanza e nell’industria (ed anche nella CDP, che controlla gli assets di Stato), gridi che il deficit si risolve svendendo tutto, non si può guardare inermi lo scempio che sta per iniziare.

23 settembre 2013 – Ritengo che Angela Merkel, nel momento in cui ha capito che la coalizione CDU/CSU non avrebbe avuto da sola la maggioranza dei seggi nel Parlamento Federale, abbia tirato un respiro di sollievo. La distanza fra il suo opportunismo pragmatico e le posizioni particolaristiche della CDU (ad esempio con il ritorno al nucleare e l’introduzione dei pedaggi autostradali) è maggiore dei distinguo di facciata fra CDU ed SPD. Le differenze fondamentali fra Germania ed Italia appaiono tre. Uno: il leader del centro-destra è un’opportunista populista in entrambi i Paesi, ma la signora Merkel non è un pregiudicato ed ha un atteggiamento luterano alla gestione del potere, lontanissima da quella dei Berlusconi, Formigoni, Cicchitto e compagnia cantante. Due: visto che anche in Germania il centro-sinistra, privo di una linea politica propria, usa le disfatte elettorali per regolare conti interni, che sono anche lì più importanti della direzione da dare al Paese, almeno in Germania la SPD è pronta a pagarne le conseguenze. Tre: lo sbarramento al 5%, che cancella persino la folcloristica FDP di Rösler e Brüderle, evita che il proliferare di partitini (in Germania erano quest’anno decine, come ultimamente da noi) indebolisca la responsabilità di chi ha vinto. Fin qui la cronaca sportiva. Ora Angela Merkel deve trovare una linea politica e convincere la SPD che uscirà dal bagno di sangue interno a seguirla. Sono certo che ci riuscirà, perché la sua mancanza di punti fermi è, come sempre, l’asso migliore nella sua manica. Continueranno nella loro opera sistematica di distruzione dell’Unione Europea in nome del tentativo cieco di salvare la Germania contro i propri alleati, non insieme. Le cose continueranno ad andare male. Attendiamo la batosta per maggio. Insomma, queste elezioni, da cui ci attendevamo tanto, non ci hanno dato nulla. In Germania, come in Italia, vince la totale mancanza di una strategia efficiente per uscire dalla crisi. Non visto, il cuore pulsante del capitalismo occidentale di sposta verso l’Est europeo. Laggiù la mancanza di democrazia e di protezione sociale esiste da sempre, nessuno se la prende a male. Laggiù la distruzione dell’ambiente è ancora considerato pubblicamente il male minore. Laggiù la fame ha da sempre la maggioranza sulla dignità. Alla fine saremo noi a divenire come loro. Democraticamente.

21 settembre 2013 – Essere liberi è possibile. Sempre. Bisogna solo essere pronti a pagarne il prezzo senza fiatare.

20 settembre 2013 – Il Sindaco Marino ha spezzato Roma. Chi non ci vive forse non può rendersene conto. Promise mari e monti come tutti e nessuno gli credette, ma così vanno le cose: dopo il camerata Alemanno, pensammo tutti, c’era bisogno di una scossa. Questo signore, scacciato con onta dalle Umiversità americane e ricicciato in Parlamento in base a chissà quale accordo, quando ha capito di non capirci nulla, di non essere in grado di affrontare nemmeno uno dei problemi della capitale (in cima a tutti quello dell’ATAC, ma poi l’ACEA, lo scandalo dei pullman turistici, quello dell’AMA e la questione della discarica ma anche della raccolta differenziata, la spiaggia di Ostia, la truffa di Maccarese, la violenza ed il degrado delle periferie etc etc etc), ha puntato tutto su una carta sola: la cosidetta chiusura dei Fori Imperiali. Questa esisteva già, la domenica, ed è una delle cose belle della vita al centro o di quella del turista – ma di domenica, quando non c’è il traffico legato alle occupazioni quotidiane. Ebbene, costui (lo scrivo per chi non ci vive) ha trasformato Via Labicana in un’autostrada a senso unico, aggiungendo dei blocchi immensi di cemento per impedire che chicchessia parcheggiasse, e obbligando i 30kmh. Lo stesso ha fatto con Via Merulana. I Fori Imperiali non li ha chiusi: restano aperti per i taxi, l’ATAC, i bus turistici, coloro che hanno un permesso speciale, quelli che ne hanno uno specialissimo, le auto blu – insomma: tutti. Ma nel frattempo ha scaricato sul Lungotevere e sulla sopraelevata l’intero traffico di coloro che devono attraversare la città da Est ad Ovest, affogando definitivamente Via Cavour, bloccando Corso Italia, respingendo la colonna fino a Piazza Mazzini. Laggiù, mettendo ovunque i sensi unici, ha completato l’opera: non si passa più. Nelle ultime due settimane, mi spiegano i tassisti, i tempi di percorrenza media fra Piazza Mazzini e San Giovanni sono di 90 minuti. 90 minuti per guidare 6,8 km. Alternativa? Non l’autobus, perché il Sindaco non ha affrontato il problema immenso dell’ATAC post-Alemanno, quindi l’autobus non c’è. Non c’è! Non passa, non arriva, non c’è!!! Ora, festeggiando questa idiozia criminale, il Sindaco annuncia che a maggio 2014 introdurrà il weekend “Roma a pedali”. Sarà proibita la circolazione in automobile ovunque all’interno del Raccordo Anulare. Il PD sta quindi compiendo un importante esperimento biologico e zoologico. Quanto ci vuole prima che la popolazione inferocita ammazzi questo burbanzoso ed arrogante cicisbeo che finge di fare il Sindaco, distrugga qualche palazzo, incateni i pizzardoni svogliati che sorvegliano il disastro. Magari cominceranno i 45 proprietari di negozi di Via Labicana che, grazie a Marino Sindaco, sono stati costretti a chiudere.

11 settembre 2013 – Quaranta anni fa, più o meno a quest’ora, gli aguzzini fascisti di Pinochet, armati e pagati dal governo degli Stati Uniti d’America su ordine di Richard Nixon ed Henry Kissinger, ammazzavano il presidente democraticamente eletto del Cile, Salvador Allende. Non contenti di questo, costoro, negli anni della dittatura, ammazzarono circa 70mila persone e ridussero in schiavitù un popolo intero per dare un segnale al Sudamerica: che nessuno provasse mai ad avere governi democratici e non allineati al giogo fascista americano. Quando venne eletto, nel 1970, Salvador Allende era il primo marxista mai eletto democraticamente alla guida di un Paese. Un giornalista americano andò ad intervistarlo e, invece di fargli delle domande, lo coprì di insulti. Allende, calmo, rispose: “Noi partiamo da diverse posizioni ideologiche. Per voi essere un comunista o un socialista significa essere totalitario, per me no… Al contrario, io credo che il socialismo liberi l’uomo”. Oggi gli Americani ricordano la strage delle Torri Gemelle a New York. Ne hanno tutto il diritto. Io, da antifascista, ricordo che i morti di New York non ci sarebbero mai stati senza la catena di odio, orrore, distruzione e morte con cui gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Cina e le altre grandi dittature hanno cercato di tenere sotto controllo il Pianeta. Io, da antifascista, ricordo che la caratteristica primaria del fascismo e del nazionalsocialismo sia quella di chiedere l’eliminazione dei diversi, degli obiettori, dei liberi, dei pacifisti, degli intellettuali. Salvador Allende era il simbolo di tutto ciò in cui avremmo potuto credere e venne annientato. Oggi, quaranta anni più tardi, il sistema di disinformazione fascista proprio della politica degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica ha cancellato non solo la libertá dal mondo, ma anche il suo concetto, rendendoci consumatori invece di cittadini. Ed ora, dopo che il sistema capitalistico ha mostrato di condurre l’essere umano alla rovina ed all’estinzione, si va avanti alla cieca, sapendo che nessuno di costoro che sono al potere ha la minima idea di cosa fare. Il marxismo non esiste più – ma non credo che sarebbe utile, poiché si basava su una critica interna al sistema del plusvalore, che non ha funzionato. Ma il sogno di libertà e tolleranza, di uguaglianza e fratellanza, che dall’Illuminismo francese trovò nel Cile di Allende una nuova speranza, è vivo solo in alcuni anziani, come me, la cui voce trema di rabbia nel ricordo. Aspettando il crack dell’economia globale che fra otto mesi spazzerà via i minchioni ridicoli che ci governano, prepariamoci ad un nuovo 1973. Chi può, si salvi, o si prepari a battersi.

27 agosto 2013 – Silvio Berlusconi sta per dimostrare una volta ancora di essere al di sopra della legge. Sta per dimostrare che la legge e gli organi dello Stato sono una burla che serve a mettere in riga i poveri. Lui, da ricco, è come il monarca, ex legibus solutus. Ma questo è reso possibile dal fatto che: a) TUTTI i partiti siano da venti anni complici di Silvio Berlusconi nello sgretolamento totale dello Stato di diritto; b) la magistratura spesso non sappia fare il proprio lavoro e quindi, nella tradizione dipietrista, esercita vendette invece di amministrare la giustizia; c) la popolazione guarda a questo teatrino come ad una soap opera nella quale gode del fatto che, in un Paese umiliante ed umiliato, almeno uno riesca a farla al sistema e farsi beffe di tutto. Non c’é soluzione né speranza. Tornare a votare non cambierebbe nulla. Bisogna purtroppo attendere che Berlusconi, Vendola, Grillo, D’Alema, Maroni, Bersani e tutti gli altri completino il lavoro iniziato da Mario Monti: annientare economicamente il Paese, scacciare le industrie, annullare le garanzie democratiche, sequestrare i beni della popolazione per donarli alle banche, riportare l’Italia, come la Grecia e l’Afghanistan, al Medioevo. I superstiziosi cittadini italiani non ci credono, comprano telefonini e vanno al mare. Si dicono: non permetteranno che si arrivi così lontano. Per fortuna, quando arriverà il botto, io sarò altrove, mia figlia anche. Barack Obama sta cercando di completare l’unica operazione possibile per allontanare (non evitare) la prossima catastrofe finanziaria globale attaccando la Siria. L’Italia su questo ovviamente non ha né una posizione né una strategia. La gente non sa e non capisce, i politici sono la gente, oramai, il cretinismo volgare e l’ignoranza endemica resi sistema. Grillo ha sfondato l’ultima porta, nel nome di Berlusconi e Bersano ha sfatato l’ultimo tabù. Non si può fare più nulla. Bisogna andarsene, almeno burocraticamente in Italia non si può più esistere. Ora arriva l’autunno con un vertiginoso aumento dei licenziamenti ed una drammatica crisi di liquidità, poi a gennaio la crisi totale del credito, in aprile il colpo finale: ogni due famiglie italiane, una sará sul lastrico e, una volta comprato l’ipod, non avrà da mangiare. Vedremo, purtroppo.

11 agosto 2013 – Davide Giacalone tocca un argomento delicatissimo, ma a mio parere dice cose condivisibili. Rimane sempre il problema aperto di come trasformare una posizione di principio giusta in un sistema efficiente. Ma far finta di nulla non migliora la situazione… “Quei sei corpi sulla spiaggia di Plaia, a Catania, listano a lutto il tempo e il luogo della vacanza. Sono partiti in troppi, tutti lanciati a violare la legge italiana, si sono arenati vicino alla meta, ma abbastanza lontano perché a taluni sia stato fatale. Una tragedia. Si sprecheranno le frasi di circostanza, scarseggeranno quelle di sostanza. Quei morti sono un dolore umano, che solo la truce scorza della xenofobia può attutire. Ma sono anche un lutto per la nostra politica dell’immigrazione. Come per quella (inesistente) europea. Quando i migranti fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni vederli morire in quel modo sancisce il fallimento dell’Onu e delle chiacchiere sul diritto al rifugio. C’è chi ci ha fatto carriera, con quelle chiacchiere, chi ne ha fatto mestiere e reddito, ma c’è chi ne muore, per l’incapacità internazionale di organizzare e indirizzare quanti hanno diritto a essere ospitati altrove. Quando i migranti affrontano il rischio della vita, affidandosi alle mani di organizzazioni criminali, inseguendo il miraggio dello sbarco in un mondo che offra loro, e ai loro figli, un benessere che non trovano a casa, quando si lasciano buttare nel mare, sperando di non affogare, si muovono perché sanno che il rischio più grande è nel viaggio. Una volta approdati in Italia, in un modo o nell’altro, le cose si sistemeranno. Ed è quella la nostra colpa, il non chiarire a tutti questi esseri umani che no, in Italia da clandestini non si entra. E se si entra si è costretti a tornare indietro, avendo rischiato la vita e dilapidato quattrini del tutto inutilmente. In Italia l’immigrazione serve. Nessun Paese può chiudersi in sé. Non sopporto la gnagnera di quelli che si disperano perché dei nostri giovani vanno a cercar fortuna nel mondo. Non sopporto neanche la solfa secondo cui gli immigrati toglierebbero lavoro o ricchezza agli italiani. La creano. Ma a condizione che siano regolari e regolati. Non abbiamo nessun bisogno di ministeri e ministri per l’integrazione, perché è garantita dal lavoro. Uno strumento inclusivo straordinario, che funziona dall’estremo sud all’estremo nord. Funziona benissimo e senza bisogno di predicozzi, dato che gli italiani non sono e non diventeranno razzisti. Ci serve, semmai, una netta politica dell’immigrazione, perché i problemi di rigetto si creano a causa di una clandestinità troppo diffusa e troppo tollerata, da chi dovrebbe combatterla e dalle leggi. E’ la cieca cattiveria del buonismo untuoso che genera norme capaci solo di moltiplicare il fenomeno. Una clandestinità che presta manodopera alla malavita, ma che anche agevola non pochi consumi poveri, grazie al mercato nero. Ciò, però, specie in periodi di crisi, crea sacche d’inumano degrado e di discesa ai limiti della sussistenza. E non è accettabile. Grazie alla globalizzazione i poveri, nel mondo, sono enormemente diminuiti. Ma gli squilibri di reddito e tenore di vita restano alti. Nessun Paese “ricco” può permettersi di trasformare la politica dell’immigrazione in festival dell’accoglienza, perché ne sarebbe travolto e disfatto. Dobbiamo programmare e dobbiamo anche scegliere, affinché gli ingressi coincidano con i bisogni del mercato. Non è cinismo, ma la cosa più umana che si possa fare. Al tempo stesso, sempre per umanità, occorre che sia noto a tutti che in Italia non si entra di soppiatto. La legge lo proibisce e lo stato cerca di impedirlo. Quando non ci riesce (nessuno Stato ci riesce del tutto) provvede a reprimere e cacciare i clandestini che scova. Più chiaramente sarà detto e meno vite saranno messe a rischio nel mare, meno innocenti abbagliati dall’impossibile affogheranno. Così come deve essere immediatamente evidente che in Italia valgono le leggi italiane, non essendo minimamente disposti a tollerare costumi e condotte che contrastino con quelle. Anche quando pretendono d’avere radici religiose. Spesso ce ne dimentichiamo anche noi, come dimostrano le ottusità sull’omofobia o il femminicidio, ma la libertà e la sicurezza hanno a che vedere con i diritti e i doveri (si dimenticano sovente, i doveri) dell’individuo, non dei gruppi, delle etnie o dei generi, sicché non si può limitarle supponendo possibili sotto-insiemi di umanità particolare. Chi non accetta o non tollera le nostre libertà, quindi i diritti e i doveri da noi vigenti, se ne stia a casa propria”.

9 agosto 2013 – Sto lottando per finire il nuovo libro di Luis Sepulveda. Si tratta del terzo che leggo. Mi spiegate per cose sia famoso questo vecchio trombone che, con toni da Mario Merola, parla solo di tre temi: a) Dio quanto sono rilevante; b) Dio che amici rilevanti che ho; c) che vita rilevante che ho avuto. Non riesco a sopportarlo né a trovarci nulla. Sembra uno che pubblichi su un libro la raccolta delle sue minchiate su Twitter, commovendosene. Sapendo con ghigno di essere talmente rilevante che un cretino come me ed altre migliaia sparse in tutto il mondo glielo compereranno, contribuendo alla sua sicumera e ad imbandire la sua tavola. Aridatece Bolaño.

7 agosto 2013 – Sono stato a Trieste a vedere “L’onda dell’Incrociatore”, tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Quarantotti Gambini, di cui finora avevo letto soltanto “La calda vita”, trovandolo estremamente attento al riflesso adolescenziale nella vita degli adulti, una sorta di Tommaso Landolfi rovesciato, comunque un degnissimo rappresentante della scuola di romanzieri italiani che comprende anche Parise, Pavese ed arriva fino al grandissimo Dino Buzzati. Una letteratura che usa i principi e la lingua eroica (quindi niente Verga, niente Pirandello) e la usa come fosse viva e non il frutto di un’immensa operazione politica. Per questo amo quella letteratura, perché come il cinema di Fellini ci da un’idea dell’Italia popolana che vive la propria minuscola realtà locale come se fosse parte di un armonico insieme nazionale (non nazionalista) in cui la povertà, l’emigrazione, l’oppressione politica e culturale, la miseria solo apparentemente dignitosa delle città opposte alla morente cultura contadina. Senza questa letteratura non ci sarebbe il neorealismo italiano del dopoguerra, per intenderci. Ma perché prendere un romanzo del 1948, che mette in scena la Trieste popolana degli anni 20, e metterlo in scena oggi, con un immane travaglio drammaturgico e scenico, perché un romanzo non è mai scritto per il Teatro, ma per la Vita. La risposta è già nella domanda. In questi mesi penso spessissimo a “Non ora, non qui” di Andrea Cosentino, che secondo me è (in nuce, perché il lavoro l’ho visto due volte, ancora incompiuto) la summa summarum di un percorso culturale di un’intera generazione. Oggi il Teatro, relegato ad arte minore, diventa Vita per sopravvivere. Il lavoro messo in scena da Maurizio Zacchigna ed i suoi più vicini amici e collaboratori esce dal Teatro, nei momenti più intensi, per farvi ritorno con la cornice, il ruolo di Ario adulto, una sorta di Virgilio disperato che, avendo capito che Dante Alighieri fosse stato nulla più che un’invenzione propagandistica, cammina da solo per l’inferno, sapendo che non ci saranno le gambe di Lucifero su cui arrampicarsi per raggiungere il Purgatorio. “Io sono un assassino”, dovrà ammettere alla fine. Ario adulto vede, piange, si angoscia, ma non proietta. Perché la straordinaria bravura degli attori lo renderebbe impossibile. Massimiliano Borghesi nella parte di Eneo è allo stesso tempo un simbolo, come l’Asso di Elsa Morante, ma il segno della sconfitta della generazione che nel ventennio credette nei soldi facili, nel mito americano, nella furbizia e nella violenza, nella sessualità come forma di potere. Inutile dire che Eneo ricorda in senso positivo i bicipiti che la destra di oggi non ha. Fascista, ma uomo, non Brunetta. Bandito, ma integro, non Cicchitto. Sciovinista ma non impotente. E l’attore ha un ghigno d’uscita che popolerà le mie notti: cattiveria autoimposta, paura di fallire, paura dei propri sentimenti. Negli incontri nella Moana con Lidia si intravede un altro Eneo, che farà il fuochista, perse la gioventù, il vigore, il fascino, la speranza. Lidia, ovvero Paola Saitta, è perfetta. Mentre la guardavo mettersi il rossetto, passare da bimba a donna, essere travolta dall’assenza di tutto ciò che rende la vita degna (affetti e speranze) nel gorgo della sessualità come forma di potere, mi ha fatto pensare ad Anna Magnani. Ma non Mamma Roma, ma l’Anna che lavorava con Dario Niccodemi – un contemporaneo fondamentale di Quarantotti Gambini ed a cui faceva la corte Paolo Stoppa… una ragazzina dai capelli corvini, magrissima, che si accorge che da se sprigiona una forza di cui ancora non conosce nulla, che la ottunde, e che solo molto più avanti nella vita saprà capire – come la mamma di Ario, sua tragica rivale in “amore”. Lorenzo Zuffi è Berto, il fratellastro di Lidia ed il compagno d’infanzia di Ario. Costituisce la cattiveria della falsa cultura cattolica e bacchettona: vigliacco, opportunista, invidioso, che si crede furbo e poi si appassione per ogni piccola cosa. L’attore riesce a mettere in scena una sorta di ingenuità rabbiosa insieme a questa violenza nemmeno nascosta, frustrata dall’età e dal sacro rispetto dei ruoli, rotto solo dagli intrighi. Sarà lui a spingere Ario all’omicidio, così come a torturare Lidia in modo disumano, a consegnare le prove della sua perduta verginità alla madre, a tenerla ferma mentre il patrigno ne controlla l’illibatezza con una violenza orribile degna di quella società in parte fortunatamente dimenticata, in parte riportata in auge dalla cultura della destra leghista e berlusconiana. Lorenzo ha tanto del Marlon Brando adolescente, della sua presenza fisica e scioltezza espressiva. E’ così naturale che non si vede la grande prestazione attoriale, insomma. Ma Ario (Roberta Colacino), è il centro dell’uragano, come il protagonista di “Mignon è partita ” di Francesca Archibugi. L’adolescente vero, sincero, martoriato dalle contraddizioni, dall’insicurezza, dall’allegria esplosiva, dalla mancanza di affetto. Non avevo mai visto recitare Roberta Colacino, se non in una particina ne “L’Eredità dell’Ostetrica”. Ora so che è una delle più grandi attrici che io abbia mai visto sul palco. Mai fuori dalle righe, specie quando commuove. Mai fuori dal ritmo, specie quando corre e salta ed esplode di rabbia, di gioia, di disperazione, di semplice gioventù. In lei c’é la somma del capolavoro di Quarantotti Gambini: l’unico personaggio sincero verrà corrotto a compiere un atto criminale. Per amore, per gelosia, per il bisogno di appartenere ad un mondo molto più gretto di quanto lui sarà mai. Ario è l’essere umano umiliato dal fascismo, che obbliga al bestiale ciò che c’è di più tormentato: l’anima. Ho fatto tanti chilometri per vedervi, amici miei, ed ho sofferto per la parte di pubblico cialtrone che invece era venuto per farsi vedere. Siete magnifici, magnifici, magnifici.

6 agosto 2013 – Oggi, 21 anni fa, a quest’ora lasciavo l’appartamento dei miei suoceri di allora, a Roma, presso i quali io, mia moglie Adriana e mia figlia Valentina stavamo trascorrendo alcuni giorni di vacanza insieme. Il mio matrimonio era già alla fine, Adriana abitava a Zurigo, io e Valentina a Gordevio, vicino a Locarno, dove mi ero trasferito per lavorare al quotidiano ticinese “La regione”. Insieme ad alcuni amici di allora sono andato (non lo sapevo, ma sarebbe stata l’ultima volta) al Teatro Brancaccio, in Via Merulana, a vedere una delle ultime repliche stagionali dello spettacolo che Giorgio Gaber portava in giro già da dieci mesi. Non ne sapevo nulla, sui ccontenuti. Come sempre, da Gaber ci si andava a scatola chiusa, per essere sorpresi. Per cercare qualle parte di noi stessi cui cercavamo inutilmente di nasconderci. Dopo una mezz’ora ero abbastanza deluso: Gaber era sul palco con una band, pochi monologhi, tutte canzoni più o meno conosciute, ma che importa? Erano quasi cinque anni che non ero riuscito a vederlo, non ero mai mancato tanto a lungo… Poi finalmente cose nuove, ed un monologo sull’eskimo, e la foto di Che Guevara. Tutti ridiamo, di noi stessi soprattutto. Siamo lì per questo. Poi Giorgio si fa serio: “Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre”, ma no, questo non lo si deve mai ammettere, “Qualcuno era comunista perché si sentiva solo”. Ecco fatto, ho pensato. Pure questo mi tocca distruggere, ecco fatto… “Qualcuno era comunista perché Giulio Andreotti non era una brava persona”, Va meglio, sì, certo “Qualcuno era comunista perché Ustica, la Stazione di Bologna, Piazza Fontana eccetera eccetera eccetera” e sono lì col pugno alzato, insieme a centinaia di pugni alzati. “Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualche altra cosa”, da un lato l’uomo umiliato dalla propria debolezza, dall’altro l’uccello pronto a spiccare il volo per cambiare veramente la vita. Ma cosa ne sapevo io, allora, di cosa fosse la vita? Quante frasi fatte? Quante bugie, spesso dette da me a me stesso, per mascherare la paura? Quante cose difficili da capire, da costruire, quanta solitudine inattesa… “Ed ora?” grida lui. Anche ora, come in due, da una parte l’uomo quotidiano che si umilia e dall’altra l’uccello, senza più nemmeno l’intenzione del volo. La fine della nostra sciocca superstizione movimentista l’ha cancellato: “Due miserie in un corpo solo”. Da allora, e sono passati oltre vent’anni, quando sento questa frase piango. Di me stesso e di voi tutti, ma soprattutto della mia sconfitta. Posso aver raggiunto qualunque cosa nella professione, e Dio sa se l’ho fatto. Ma l’amore per me stesso, dopo la morte del volo, non so nemmeno cosa sia. E me ne sono ammalato, come una bestia in cattività. Non so più come fare. E lui non c’è più, a spiegarmi, una volta all’anno, le cose a cui non avevo ancora mai pensato. Sono adulto, so fare da solo. Solo, appunto. Solo. Come tutti, dopo il gennaio 2003, anche se non lo sapete.

4 agosto 2013 – A causa della mia professione ho conosciuto personalmente alcuni “pregiudicati”, ovvero persone che erano state condannate in forma definitiva o erano arrivate ad un pelo dall’esserlo. Queste persone condividevano una posizione centrale della ideologia di Silvio Berlusconi: quella di considerare lo Stato il “nemico”, le leggi “una gabbia ingiusta”, le autorità democratiche un peso insopportabile alla realizzazione dei propri sogni e interessi. Parlo di Karl-Heinz Dellwo, Adriano Sofri, Licio Gelli e Pietro Valpreda. Il primo venne arrestato a 24 anni per la sua appartenenza alle RAF e per due omicidi perpetrati nella sua qualità di terrorista ed é stato condannato a due ergastoli. Il secondo, da innocente, è stato condannato alla fine di un processo kafkiano a 22 anni per l’omicidio del Commissario Luigi Calabresi – uno degli impuniti responsabili dell’assassinio del povero Pino Pinelli. Il terzo, Gran Maestro della Loggia P2, è responsabile di talmente tanti crimini orrendi ed ha sulla coscienza talmente tante vite umane da non potersi descrivere in poche righe. L’ultimo, da perfetto innocente, come poi dimostrato processualmente, ha vissuto tutta la sua vita da adulto entrando ed uscendo dal carcere. Contro di lui, al contrario di Berlusconi, venne scritta una Legge che permetteva di raddoppiare il carcere preventivo senza forti elementi di prove per persone sospettate di terrorismo. Ebbene, nessuno di costoro fece minacciare dai suoi scherani la guerra civile. Nessuno di loro ha chiesto la grazia. Ognuno di loro ha continuato, senza una lira in tasca, a difendersi per decenni contro quasi l’intera stampa contro. Nessuno di loro ha mai fatto battute sconce sulle donne, sugli stranieri, sui meridionali, su nessuno. Sono persone serie. La vera novità di Silvio Berlusconi, che da il vero segno ai nostri tempi, è la pochezza umana. La sua disgustosa volgarità ed ignoranza, la sua totale mancanza di un ideale politico a parte quello del mantenimento del potere attraverso la corruzione – una strada su cui lo hanno seguito tutti. Ha insegnato che, nel dibattito, non si discutono le idee altrui (che spesso non si capiscono o nemmeno interessano) ma si tira merda sulla persona che ti sta di fronte. Non mi importa di sapere se gli Italiani sono come lui, anche se ho il sospetto che molti lo siano, specialmente nei politici presenti oggi in Parlamento in tutti i partiti. Mi importa di sapere che rivendico l’orgoglio di appartenere ad una generazione di uomini e donne vere, che si sono battuti (spesso sbagliando, spesso commettendo cose orribili ed inaccettabili) ed hanno accettato la sconfitta, che credevano nell’essere umano, se non nello Stato, che hanno rispettato, però, come avversario. Come disse Dellwo ad un convegno che organizzammo a Zurigo nel 1999: “Se ti batti contro qualcuno o qualcosa, vuol dire che gli dai un riconoscimento. Quindi, se sei sciocco, volgare, superficiale, pavido, vigliacco, opportunista nello scontro, svaluti te stesso, non il tuo avversario”. Ditelo a Bondi ed alla Santanché – o a Cicchitto e Berlusconi, che lavoravano per Licio Gelli e vengono oggi da lui giudicati con estrema severità.

1° agosto 2013 – Silvio Berlusconi ha vinto ancora. Se si votasse oggi, credo che il suo partito sfiorerebbe la maggioranza assoluta. Il movimento di Grillo e l’immobilismo del PD hanno ottenuto il risultato che si prevedeva. Mentre scrivo, Bruno Vespa sta facendo una trasmissione a senso unico che nemmeno nei tempi dello Stalinismo sarebbe stata possibile. I filmati ed i contributi dei “giornalisti” sono un’oscenità disgustosa. La condanna del cittadino Silvio Berlusconi è divenuta la vittoria del Cavaliere Silvio Berlusconi. Nessuno ha mai tentato di sconfiggerlo politicamente, credendo che la magistratura lo avrebbe spazzato via. Oggi abbiamo la certezza che – come abbiamo scritto oltre la noia – la magistratura l’ha reso immortale ed intoccabile. Forza, Italia, andiamo avanti così, facciamoci del male. Caro Francesco Degregori, purtroppo le cose giuste che dici non le capisce nessuno. Nelle mie orecchie una giornalista del TG1 adorante nei confrontio di Silvio con toni che non avevo mai sentito nemmeno ai funerali di Alberto Sordi o Vittorio Gassman. Mi viene da piangere.

29 luglio 2013 – Ed ecco l’altra faccia della Germania, quella che pochissimi conoscono. Ho partecipato ad una riunione preparatoria per il lavoro della Commissione Parlamentare Federale sulle Finanze, nel giorno in cui viene fatto sapere che Loscher, il capo della Siemens, è stato fatto fuori con una congiura interna all’azienda guidata dal presidente del collegio dei sindaci, che era stato l’artefice dell’arrivo di Loscher quattro anni fa. La situazione della Germania è tutt’altro che rassicurante. Il ministro della difesa Thomas De Maizière (che è stato anche l’ultimo presidente del consiglio della DDR) ha bloccato il programma di sviluppo ed acquisto dei droni da ricognizione aerea perché sarebbero costati almeno 700 milioni di Euro in più rispetto a quando promesso all’inizio, ed ora è sotto il fuoco incrociato dei partiti, della stampa, delle lobbies industriali. Le banche e le assicurazioni, che dopo il disastro sui derivati ed i crediti subprime del 2009 erano state costrette ad accettare leggi più severe su quei mercati, si sono gettate sul credito facile per le navi ed hanno accumulato (in tre anni) crediti inesigibili per una cifra prudentemente stimata in 27 miliardi di Euro. La HSH Nordbank, che era in bancarotta come il Monte dei Paschi o la Banca Marche da noi, era stata salvata con un intervento statale che è costato oltre 2500 posti di lavoro nella pubblica amministrazione – solo che laggiù nessuno strilla. Sembrano storie diverse, ma sono la stessa questione. In Germania nella politica (e quindi nella giustizia, dato che i procuratori vengono nominati dai partiti), nelle banche, nelle assicurazioni e nei quadri dirigenti della Pubblica Amministrazione ogni manager ruba in media 1,15 milioni di Euro. Noi italiani, diciamocela tutta, siamo delle pippe, al confronto. Come fanno, senta che se ne sappia nulla? la giustizia, come è detto, è nominata dai partiti, e non esiste l’obbligatorietà dell’inchiesta. Nello scandalo della HSH, per esempio, la relazione finale recitava che “le responsabilità penali di quanto accaduto sono di un numero immane di persone nella banca, nelle assicurazioni, nella politica e nella Pubblica Amministrazione. Perseguirli tutti costerebbe troppo all’erario e taglierebbe la testa ai vertici dello Stato di Amburgo, creando una crisi irrisolvibile. Sicché si é deciso di archiviare”. Ma perché la gente non si incazza? Perché la Germania è andata molto al di lá di quanto abbiamo fatto noi. Da noi il politico trova il posto di lavoro fittizio ai figli scemi degli elettori. In Germania li paga per stare a casa e garantisce loro uno Stato, una burocrazia ed una sanità eccellentissimi, velocissimi, quasi perfetti. Quindi stanno tutti zitti. Anche perché sono orgogliosi di essere tedeschi e non vogliono che si sappia in giro che rubano tutti come gazze con il Ballo di San Vito. Però questo “miracolo” si regge su alcuni presupposti che non possono essere toccati: 1) tutti pagano le tasse, sicché lo Stato sa quanto può spendere; 2) Lo Stato paga i propri debiti a 30 giorni ed ha diminuito le tasse sulle aziende a livelli ridicoli; 3) L’intera politica e la diplomazia sono fatte di professionisti che vendono i prodotti tedeschi all’estero costi quel che costi, chi se ne fregano di come ed a chi; 4) Rubando bisogna fare attenzione a non trascinare l’azienda in rosso. Oggi, però, segretamente, tutte queste regole sono state violate. Per questo il Governo Merkel ha bisogno di schiacciare Grecia, Italia e Portogallo come schiacciò la DDR. Per questo la Germania paga profumatamente politici italiani che accelerino la dismissione dei nostri assets migliori, che perseguano Finmeccanica ed ENI, che dichiarino guerra alla Pubblica Amministrazione. Peccato che la protesta in Italia sia stata monopolizzata da quel cretino ignorante ed eterodiretto di Beppe Grillo ed al Governo abbiamo due nullità come Letta, Alfano e Bonino. Avessimo dei politici con i coglioni, come sessanta anni fa, ci sarebbe da divertirsi.

27 luglio 2013 – Germania. La luce, i colori, lo spazio, la gente. Sembra tutto più giusto, più consono, più armonico. Nessuno strilla. Ma si vede il cattivo umore che cova sotto la superficie: sono ancora in Germania Ovest. Ma domattina, se Dio vuole, sarò a Lipsia, in una splendida giornata di sole. Il mio amico Helmut compie 70 anni, avrà intorno una sterminata famiglia di fallimenti, disastri, cose non dette – insomma una famiglia – legata da un affetto sovrumano e da una cultura che in Italia hanno in pochi. Lui, l’intellettuale che per tutta la vita ha lavorato in una fonderia e la sera ha letto romanzi e giocato a carte e discusso di politica, è un uomo di una generazione completamente diversa dalla mia. Quando si sono incontrati lui e mio padre i due mondi erano completamente incomunicabili. E così sono io, con le mie due radici, il coatto di Primavalle e lo snob di Erfurt, che non si parlano mai. Come dice giustamente il grande artista Andrea Cosentino, qualunque cosa sia la messa in scena della vita, la sua caratteristica principale è di essere non ora, non qui. Quando tornerò a vivere in Germania, e dei miai anni romani ricorderò l’immane fatica, il dolore, le inutili umiliazioni, l’impossibilità di capire e farsi capire, il mio farmi fregare da chiunque. Ma per lasciare Roma ed i romani devo smettere di essere incazzato con loro. Come dice Sara Buzzurro, con la saggezza che è propria delle donne, bisogna attendere con pazienza il momento in cui la misura è colma, quando si può andar via senza rimpianti, senza aspettare di essere trattenuti o inseguiti, dimenticando ancora prima che perdonando – i miei errori, le vite altrui. Ho imparato che solo sul palco si scende dal palco. Molti di coloro che ho conosciuto a Roma non lo sapranno mai e fanno dell’affettazione, della confusione di ruoli e limiti, della mancanza di senso di appartenenza e di responsabilità, il sale di un professionismo del comportarsi che trasformerebbe un chiunque in un artista. Poi si aspettano che questa prestazione venga riconosciuta ed onorata. Ora sono ancora troppo arrabbiato, stanco ed umiliato, non posso ancora andare via. Ma essere di nuovo in Germania mi da la sensazione che, per fortuna, ci sia un posto in cui andare, quando cadrà il velo della menzogna e di Roma e dell’Italia resterà solo il meritato orrore.

26 luglio 2013 – Vittorio Sgarbi e Giovanni Allevi sono due gemelli. Non capisco nulla di pittura. Di Allevi posso dire che, da mediocre pianista e compositore infantile e maldestro, è riuscito a contrabbandare la propria pochezza tecnica come stile naive. Con il tempo, da Keith Jarrett dei poveri, si è trasformato in una sorta di Gigi D’Alessio senza canto – e fin qui chi se ne frega. Ma lui e Sgarbi, per guadagnaris da vivere, dicono bestialità e cattiverie incomprensibili su persone di cui non posseggono né l’ingegno, né le capacità tecniche, né la statura artistica. Così come Sgarbi fin dai tempi di Maurizio Costanzo trovava la sua giustificazione artistica nella macchietta che ne fa Corrado Guzzanti, il miglior Giovanni Allevi (anche tecnicamente) è quello fatto da Checco Zalone. La gente che compra i dischi di Allevi, non capendo di musica (e non è un reato) si illude di partecipare al banchetto della fusion fra jazz e classica, mentre invece è semplicemente vittima di un’operazione commerciale – e fin qui chi se ne frega. Ma se Allevi, come Sgarbi, comincia a parlare di politica culturale ed insulta Beethoven, allora non resta che consigliargli, come prima vittima dell’epurazione, Giovanni Allevi. Uno che, se non ci fosse, non se ne accorgerebbe nessuno.

22 luglio 2013 – Buongiorno Governo Letta! Il Parlamento boccia di fatto la riduzione micromillesimale delle spese della politica. Il Parlamento, le Commissioni e la Corte dei Conti bocciano, punto per punto, il Decreto del Fare. Relativamente al Decreto del Dire, Alfano non si dimette e Bonino chiede che forse magari può essere ma non troppo rispettosamente umilmente si dovrebbe dimettere l’Ambasciatore Kazako, reo di eccessiva efficienza. Relativamente al Decreto del Baciare, una manifestazione pacifica dei No Tav viene venduta per un attacco pellerossa a Fort Apache. Intanto abbiamo sfondato con il debito pubblico il muro del 130% del PIL. Silvio Berlusconi, che finora aveva il record europeo di sfondamento del debito pubblico (i suoi governi erano riusciti a battere persino le leggi di bilancio dell’Estonia e della Grecia nei peggiori anni della loro crisi), ha perso quello che era l’unico risultato tangibile della sua meteora politica – aver preso più di tutti i soldi dalle tasche degli italiani per poi peggiorare il bilancio dello Stato. Letta ed Alfano lo hanno battuto. Licio Gelli ha ragione: questi ci sfottono, vogliono vedere fino a che punto siamo capaci di abbozzare. La risposta la diede Totò: e che siamo noi Pasquale?

21 luglio 2013 – A roma nubifragio e chicchi di grandine del diametro di un pugno, domani sembra che tocchi alle cavallette. la lotta sulla riforma dello ior si sta facendo veramente dura.

20 luglio 2013 – Ho appena finito di leggere “Shantaram” di Gregory David Roberts. Il libro è in circolazione, anche nella versione italiana, da oramai dieci anni ed è senza dubbio un romanzo di grande successo, nonostante la versione cinematografica non sia ancora stata realizzata. E’ il libro autobiografico ed agiografico di un gangster australiano che racconta i suoi anni avventurosi a Bombay all’inizio degli anni 80. Ci sono paragrafi sublimi, ma anche tante ripetizioni e cose scontate. Come in un poema epico cavalleresco, l’eroe ne vede, sopporta e vince di tutti i colori. In pratica Lin-Baba vive da protagonista tutti gli eventi salienti di quegli anni, compresa la guerra in Afghanistan. Gli mancano solo il viaggio sulla Luna, il crack della Barings Bank a Singapore e la Coppa del Mondo di calcio. Ed in fondo in fondo, il filo rosso che tiene insieme il romanzo è la storia d’amore impossibile fra Karla e Lin-Baba. Ma allora perché ne parlo, se non mi è piaciuto? Prima di tutto mi è piaciuto. Mi sono piaciute le spiegazioni dei conflitti padre-figlio (tranne quando il percolato di pathos e retorica inquina pagine e pagine che si sarebbero potute risparmiare), mi è piaciuta la descrizione dell’impossibilità dell’amore se non tra i deboli ed i debolissimi, credo di aver imparato nozioni interessanti su quel caleidoscopio impazzito della razza umana che è Mumbai. Ho riconosciuto cose di me stesso, ma soprattutto del me stesso eroico che, nella realtà, non è mai esistito. Insomma, il finale triste da tipico romanzo borghese, che contraddice l’epos delle mille pagine precedenti, ci stava tutto. Credo che “Shantaram” sia un passo importante che renda credibile l’idea che, prima o poi, in qualche parte del mondo, qualcuno scriva il vero grande romanzo della nostra epoca. Un romanzo in cui si sia più amarezza che amore, più sangue che sesso, più lealtà che idealismo, più confusione che certezze, più pessimismo che ottimismo, più rassegnazione che propaganda. Un romanzo che parli dell’intreccio fra guerra, economia, politica e società come sono oggi. Peccato non essere capace di scriverlo io. Del resto non ho mai giocato a calcio come Pelé, né risolto grandi problemi della fisica o della medicina. Un antieroe borghese, insomma, che se scrivesse sarebbe sarcastico e patetico. Ma da qualche c’è, colui che supererà persino Murakani Haruki. Lo aspetto.

20 luglio 2013 – Mancano alcuni dati altrettanto raccapriccianti sull’aumento del nostro debito con l’estero nonostante il Made in Italy stia continuando a crescere ed il nostro debito energetico stia calando. Sono le cose che la coalizione di fatto fra PD, PDL, Fascisti e Grillini non dice. Sono le cose che ci stanno portando non solo alla miseria, ma alla guerra civile per fame. Gli scopi di questa politica sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli: a) far pagare ai cittadini il crack completo del sistema bancario, compreso il fatto che, per finanziare il crack, le banche hanno affossato il sistema di scambi industriali e commerciali – che negli altri Paesi si sta fatiocsamente riorganizzando a prescondere dalle banche, da noi no; b) non cambiare la politica di fidelizzazione dell’elettorato, che ottiene posti di lavoro inutili e costosi anche e non solo nella Pubblica Amministrazione (ma anche nelle banche, nelle industrie, in tutti gli enti economici che in cambio di questi posti di lavoro hanno ottenuto regalie dallo Stato o la protezione cpontro la giustizia per i propri misfatti; c) non costruire un cittadino nuovo, figlio del Secolo dei Lumi, che sappia, studi, si interessi e sia responsabile – il contrario del popolo di tifosi sciocchi e vanesi che siamo. Oggi a pranzo parlavo con una persona a cui voglio molto bene, profondamente impegnata in politica. Mi parlava, come spesso accade, di nuove aggregazioni. Ma di progetto politico non se ne parla. Lei stessa, che vive la quotidianità del Parlamento, quando le chiedo del progetto politico non sa nemmeno di cosa stiamo parlando. E mi chiede preoccupatissima se il suo posto di lavoro è in pericolo. Cosa diavolo dovrei rispondere?

Debito pubblico: record a 2.074 miliardi, veleggiamo verso il 130% del Pil; – Debito aggregato di Stato, famiglie, imprese e banche: 400% del Pil, circa 6mila miliardi; – Pil: atteso un altro -2% quest’anno. Si aggiunge al -2,4 del 2012; – Rapporto deficit/Pil: 2,9% nel 2013. Peggioramento ciclo economico Imu, Iva, Tares, Cassa integrazione in deroga lo portano ben oltre la soglia del 3%; – Prestiti delle banche alle imprese: -5% su base annua nei mesi da marzo a maggio. In fumo 60 miliardi di prestiti solo nel 2012; – Sofferenze bancarie: a maggio sono salite del 22,4% annuo a 135,5 miliardi; – Base produttiva: eroso circa il 20% dall’inizio della crisi; – Ricchezza: bruciati circa 12 punti di Pil dall’inizio della crisi. 200 miliardi circa; – Entrate tributarie: a maggio -0,7 miliardi rispetto allo stesso mese di un anno fa (a 30,1 miliardi, -2,2%). Nei primi 5 mesi del 2013 il calo è dello 0,4% rispetto ai primi 5 mesi del 2012; – Gettito Iva: -6,8% nei primi 5 mesi del 2013, un vero disastro; – Potere d’acquisto delle famiglie: -94 miliardi dall’inizio della crisi, circa 4mila euro in meno per nucleo; – Disoccupazione: sfondata quota 12,2%, dato peggiore dal 1977; – Disoccupazione giovanile: oltre il 38%; – Neet: 2,2 milioni nella fascia fino agli under 30, ragazzi che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, totalmente inattivi; – Precariato: contratti atipici per il 53% dei giovani (dato Ocse); – Ammortizzatori: 80 miliardi erogati dall’Inps dall’inizio della crisi tra cassa integrazione e indennità di disoccupazione

18 luglio 2013 – La percezione della solitudine è così profonda, che nemmeno la carezza del braccio più lungo può toccarla. E’ eterna, calma e lucente come i ghiacciai del Polo. Ma come questa crolla in pochi secondi al calore della speranza, che distrugge tutto ciò che è vivo e spirituale ed eterno e perfetto. Giacomo Leopardi e Giorgio Gaber ce lo hanno ripetuto milioni di volte, l’oceano insensibile e demente dell’umanità in cui il gelo si mortifica li ha definiti: pessimisti della ragione. Mi glorio invece di appartenere alla loro vera passione: l’illogica speranza. La certezza dell’amore e della sua ineluttabile solitudine. Leggete in proposito la meravigliosa descrizione di Carson McCullers in “La Ballata del Caffé Triste” (Edizione tascabile Einaudi, Torino 2013, pagg. 28-30). E poi abbracciate il vostro orso, come imparò ed insegnò “Shantaram”. Siate ginestra, non gerani. Coraggiosi, non pusillanimi.

18 luglio 2013 – Credo che tirare in mezzo sempre Berlusconi sia gravemente fuorviante. Lui è un sodale di Putin, quindi NON E’ un amico di Nursultan Nazarbayev. E comunque, anche se fosse, chi se ne frega. Non siamo qui a valutare telefonate fatte ai Carabinieri per salvare una ragazzina dall’arresto… e non è nemmeno vero che il caso Shalabayeva aiuti l’ENI, una semplificazione idiota e compltamente infondata. Per gli italiani il Kazakistan è un Paese esotico – dunque c’è il petrolio e l’ENI. L’ignoranza che diventa arroganza, avrebbe detto il celebre filosofo istriano Silvano Stipcevich. Il problema dell’ENI in Kazakistan é che le autorità locali hanno mentito sulle prospezioni geologiche ed ora ENI sta buttando miliardi nel Caspio per cercare di tirar fuori qualcosa di utilizzabile – il tutto mentre la Polonia in testa, e poi piano piano gli altri Paesi EU che fecero parte del Patto di Varsavia stanno convertendo tutto sullo shale gas (torba). Le aziende italiane che hanno i maggiori interessi in Kazakistano sono tutte aziende dell’area di Parma, compreso l’interporto – comunque tutte aziende di aree in cui l’amministrazione politica è in mano ai grillini, alla Lega o al PD. Alcuni esempi: La Bonatti è la più grossa azienda di engineering energetico laggiù e lavora non solo per l’ENI, ma per tutti gli operatori internazionali. Poi ci sono la Skema (Lombardia) e la Tozzi Sud (Ravenna), che forniscono e montano cavi elettrici e tutto ciò che necessita per l’alta tensione ed altre aziende italiane di eccellenza ma che pochi conoscono. Poi la Birra Moretti, che è la seconda birra straniera più venduta in Kazakistan – ed infine Unicredit, che investe moltissimo nei Paesi nati dall’esplosione dell’Impero Sovietico. Volete farmi credere che il direttore generale della Tozzi Sud di Ravenna telefona ai servizi segreti e chiede loro di espellere la signora Shalabayeva? La questione è più complessa e molto più grave. Tutti coloro che sono implicati in questa storia brillano per non sapere nulla del Kazakistan. E’ vero che laggiù i cosidetti dissidenti sono per la maggior parte ex sodali di Nazarbayev che sono scappati con la cassa, ma le loro mogli e le loro figlie non possono essere usati come scudi umani e metodo di ricatto con l’aiuto dello Stato italiano. Il Sen. Giarrusso ha ragione. I criminali si estradano, non si espellono. In questa faccenda, finché restiamo sul piano formale, si arriva ad una sola soluzione: Alfano e Bonino devono dimettersi, se hanno un briciolo di dignità. Non lo hanno, e quindi dobbiamo ragionare su altro. Ma il centro del problema è che 20 anni di politichetta alla Pacciani gestita a braccetto da Berlusconi, Prodi, D’Alema ed i rimasugli della P2 hanno cancellato il Parlamento e raso al suolo l’efficienza dei ministeri. Persino la burocrazia è piena di gente che ha fatto carriera col televoto e considera la lettura di un sussidiario di geografia per le scuole medie un testo difficile come un trattasto di Wittgenstein. Il cancro che sta distruggendo in Italia è arrivato talmente in profondità da mostrarci una cosa su cui i Grillini dovrebbero ragionare senza vaffanculi e deliri religiosi. Non si può fare una rivoluzione se la burocrazia é completamente marcia. Perché la rivoluzione, come accadde con “Mani Pulite”, spazza via i politici ma lascia i burocrati. Persino la Germania postnazista si é tenuta i burocrati nazionalsocialisti fino al loro pensionamento. Ma li fece trottare con l’obbligo di rispettare regole e direttive. da noi non ci sono più né le prime né le seconde. E siamo tutti d’accordo, nel segreto dei nostri cessi, che le cose rimangano come sono, perché crediamo che ci faccia comodo.

16 luglio 2013 – “SENATO martedì 16 luglio 2013 – Informativa urgente del Ministro dell’interno sul caso di Alma Shalabayeva e conseguente discussione (ore 17,57) – PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Informativa urgente del Ministro dell’interno sul caso di Alma Shalabayeva» (…). Ha facoltà di parlare il vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’interno, onorevole Alfano. ALFANO, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’interno. Signor Presidente, onorevoli senatori, oggi mi è stata consegnata la relazione del Capo del Dipartimento della pubblica sicurezza, nonché Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, relativa alla nota vicenda delle due signore kazake, la mamma e la figlia (…). Le ricerche del latitante kazako Ablyazov Mukhtar hanno preso l’avvio nel territorio nazionale il 28 maggio su input dell’ambasciatore Adrian Yelemessov (ILLEGALE: queste cose si fanno per Europol e con una rogatoria, ma Alfano che ne sa?). Il processo messo in moto da questa informazione si esaurisce in una fase operativa di polizia giudiziaria consistente in due perquisizioni nella villa di Casal Palocco indicata come nascondiglio del latitante, nel sequestro di denaro, materiale elettronico e di un passaporto, nella denuncia per il reato di falso a carico di Shalabayeva Alma, senza che il Mukhtar fosse rintracciato. Dall’operazione di polizia giudiziaria scaturisce poi un procedimento di natura amministrativa relativo all’espulsione della moglie del latitante. (…) È evidente che (…) andrà verificato anche se tutti i funzionari di polizia coinvolti fossero a conoscenza che il ricercato kazako fosse anche un dissidente politico nel suo Paese (…) Va ribadito che in nessuna fase della vicenda, fino al momento dell’esecuzione dell’espulsione con la partenza della donna con la bambina, i funzionari italiani hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov, marito della cittadina kazaka espulsa, fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakistan e non un pericoloso ricercato in più Paesi per reati comuni (…). Anzi, la documentazione fornita dall’ambasciatore kazako, diplomatico ufficialmente accreditato presso il Governo italiano, lo segnalava come elemento collegato alla criminalità organizzata ed addirittura al terrorismo internazionale (MA SIETE PAZZI??? MA COSA VOLETE CHE DICESSE? VI PREGO DIFENDETE QUEST’UOMO, IL PRESIDENTE NAZARBAYEV E’ UN PAZZO DITTATORE SANGUINARIO?). Segue l’elenco lunghissimo e dettagliato degli uffciali della Polizia italiana che prendono ordini direttamente dall’Ambasciata del Kazakistan – ma nessuna notizia di fatti criminosi che sarebbero stati commessi dalla Signora Shalabayeva o da sua figlia. A questo si affianca l’azione inesausta che il Governo porrà in essere nei confronti del Governo del Kazakistan per assicurare che i diritti umani non vengano violati e che, qualora ci siano le condizioni, le cittadine kazake possano essere libere di tornare in Italia. È questa l’azione che sta svolgendo il ministro Bonino e che ha svolto l’intero Governo. Concludo dicendo che farò tutto quanto è nelle mie possibilità e tutto quanto è mio dovere fare per procedere ad una riorganizzazione in maniera che tutto questo non accada mai più e che mai si possa dire che un Ministro ed un intero Governo non siano a conoscenza di quanto accaduto. Tutto questo lo dico nel profondo rispetto, che voglio ribadire a questa Aula certo di trovare condivisione, di quei 100.000 poliziotti che ogni giorno servono il Paese garantendo la sicurezza dei nostri concittadini. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, SCpI e GAL). Al contempo il Senato votava a maggioranza l’acquisto degli aerei da guerra che costano due anni e mezzo di IMU. Con i voti dell’alleanza di sempre: PD e PDL, a braccetto, come fanno da vent’anni. Uno schifo.

13 luglio 2013 – Stanotte hanno incendiato il Liceo Socrate alla Garbatella. Due ipotesi: uno o più deficenti che si sono “vendicati” per essere stati bocciati. I Nazisti di Casapound che puniscono una scuola che si era più volte dichiarata contro l’omofobia e per questo motivo era stata fatta ripetutamente oggetto di attacchi. Prima considerazione: queste due ipotesi in realtà sono una. In Italia è stata restituita alla destra fascista, ignorante, volgare, violenta, una dignità che speravamo fosse stata spazzata via dalla Seconda Guerra mondiale. I milioni di fascisti italiani hanno ottenuto, grazie a Berlusconi, che passasse il principio secondo cui la violenza di destra e quella di sinistra sono uguali – anzi, quella stalinista è peggiore ed è stata taciuta troppo a lungo. Il che vuol dire che decine di milioni di italiani, che sanno di storia solo ciò che leggono sulla stampa e vedono in TV, ritengono che il bolscevismo ed il titismo siano due forme della sinistra. Berlinguer è più morto che mai. Nessuno ricorda più che, morto Togliatti, lui sì connivente con Mosca, il PCI aveva condannato tutti gli atti di violenza del PCUS ed era sfilato in piazza contro Gomoulka e Jaruzelski, per una Polonia libera. Le foibe sono finalmente divenute quella tragedia ed orrore che furono – allo stesso modo delle stragi staliniste. Ma ciò non ha nulla a che vedere con l’utopia socialista e comunista, e soprattutto non giustifica il fatto che in Italia fascisti e nazisti hanno il diritto di distruggere e ferire con il consenso popolare, mentre ai ragazzini che sfilano per strada con i loro genitori si augurano sangue e botte. Il fascismo è divenuto una bagatella. Qualunque suo atto osceno viene annacquato con il benaltrismo, una delle malattie più in voga. Perché il fascismo semplifica, laddove la realtà è complessa. Perché il fascismo da il diritto di essere branco, laddove le teorie illuministe e persino la religione cristiana pretendono che ciascuno sia responsabile personalmente. Oggi, dietro la fascismo, si nascondono la rabbia e la frustrazione di coloro che non capiscono la complessità dei problemi, coloro che hanno paura del diverso (l’omosessuale, il tedesco, l’intellettuale). Berlusconi é il simbolo di tutto questo. Per questo, chiunque lo difenda, é un pericolo fascista. Dall’intera dirigenza del PD, che da anni lo sostiene, a Mario Monti ed i suoi accoliti, corrsponsabili impuniti della crisi globale. Dai piduisti come Cicchitto ai pazzi come Santanché, Fassina e Brunetta. Dai coglioni come Alfano e Bersani alla Santa Inquisizione Grillina. Tutto ciò che semplifica, mente, aggredisce, minaccia ed insulta é fascismo. Berlusconi ci naviga su. Andrebbe sconfitto politicamente, ma nessuno lo vuole. Quindi i ragazzini bruciano le scuole. Fra l’altro. E noi zitti.

7 luglio 2013 – Il silenzio terribile sulla Turchia. Il silenzio imbarazzato sull’Egitto. La mancata risoluzione dei problemi con la Libia e la Nigeria. La sudditanza dagli Stati Uniti e dalla Russia. Nursultan Nazarbayev che si permette di guidare un esercito di 50 picchiatori fascisti in uniforme che, in nome del Popolo Italiano, rapiscono, ingiuriano e rimandano a casa la moglie e la figlioletta di un avversario del regime kazako. Emma Bonino Ministro degli Esteri? Angelino Alfano Ministro degli Interni? Solo Frattini era riuscito ad essere più sciocco, ignorante, assente ed esecrando. Ma se da Alfano non c’è altro da attendersi se non il pestaggio degli innocenti in piazza, Emma Bonino è una delusione cocente, l’ennesimo insulto in tutto ciò in cui credemmo di credere. Spero che si dimetta. O è incapace, o è correa.

2 luglio 2013 – Il modo con cui la Polizia ha assalito i manifestanti a Piazza Venezia parla da se, il video del Corriere della Sera non può essere stato manipolato. Come nelle altre manifestazioni cui ho preso parte negli ultimi tre anni, la Polizia picchia per annientare, se possibile donne, bambini ed anziani. Gli altri, gli scalmanati veri, fanno paura. C’è una questione morale indirimibile che ha secoli di storia di repressione della rabbia popolare, ma adesso non è che non valga, è che non permette di vedere i fatti nella loro prospettiva vera. Già negli anni 70, il piduismo e la burocrazia giudiziaria, due retaggi della dittatura mussoliniana mai cancellati dal ritorno della fragile tregua fra destra e sinistra, sancita con le truffe politiche del 1948 e del 1953, lo scopo di questa violenza era di spostare il fulcro dello scontro da quello politico vero alla guerra tra poveri. Il disoccupato contro il povero Carabiniere. Ci risiamo, e non abbiamo ancora imparato nulla, anzi. Dato che si è persa la memoria storica dei fatti e vent’anni di collusione fra berlusconismo, prodismo e dalemismo hanno cancellato la cultura critica e gli strumenti della sua percezione dal cervello dei cittadini, oggi ci si picchia senza nemmeno capire che si è tutti strumento dello stesso orrore. Un orrore che Beppe Grillo per primo santifica: l’incapacità di decidere e di capire la realtà assurto ad ideale positivo. Allora gridavamo come cretini: Il Potere all’Immaginazione. Oggi si grida: Il Potere all’Approssimazione. Ma le vittime sono le stesse. Svegliamoci, coglioni che non siamo altro.

1° luglio 2013 – Apparire, in una società che scompare, è già tantissimo. Essere, poi, è un’illusione.

30 giugno 2013 – Davide Giacalone ha ragione. Del resto si tratta dell’ennesimo passo in avanti di una tendenza in atto dal 1973 e voluta (o supinamente accettata) da tutti i governi, compresi quelli delle grandi potenze. Sono sei anni che dico. il peggio deve ancora arrivare, e vengo preso per i fondelli. Ripeto: credete che sia arrivata la crisi. Non avete ancora visto nulla: “Non per fare l’allarmista, ma sono allarmato. Il sommarsi del satanismo fiscale italiano e delle idee europee sui fallimenti bancari (in Italia rilanciate con superficialità estrema e trionfalismo a capocchia) gettano una luce spettrale sui nostri conti correnti. La materia è complessa, ma i tecnicismi servono solo a renderne inaccessibile la comprensione. La sostanza è che i correntisti, quindi tutti i cittadini che abbiano una anche solo minima attività economica o un lavoro o risparmi, sono chiamati a rimetterci nel caso in cui la loro banca fallisca. Significa che i soldi non sono più al sicuro. Si obietta: vale solo per i depositi superiori a 100 mila euro. Non è così: non solo il rischio diventa collettivo, ma impostando le cose in questo modo lo si rende concreto. Cipro non ha insegnato nulla. L’accordo raggiunto a Ecofin (ministri dell’economia e della finanza dell’Unione europea) stabilisce che prima dell’intervento dei fondi europei, gestiti dall’Esm (meccanismo di stabilità europeo), in caso di fallimenti bancari devono prima risponderne i privati. Concetto giusto, cui mi piacerebbe aggiungessero il management, magari anche con restituzione dei premi milionari che sono soliti autoattribuirsi. Ma chi sono i “privati”? qui c’è la trappola. Sono: a. gli azionisti, vale a dire il capitale di rischio (giusto); b. poi gli obbligazionisti, vale a dire quanti prestarono alla banca il loro denaro, in cambio di un tasso d’interesse prestabilito (giusto, un po’ meno, ma ancora giusto); c. i correntisti con depositi superiori a 100 mila euro. E questo non è solo ingiusto, ma devastante. Capace di rovinare anche chi ha depositato solo 100 euro. Tale previsione si basa su un principio classicamente accettato, ma concretamente falso, ovvero quello secondo cui chi apre un conto corrente crede di mettere i propri soldi al sicuro, in una banca, avendone sempre l’immediata disponibilità, ma, in verità, li sta prestando all’istituto di credito, con la promessa di averli indietro non appena lo chieda. Se presti troppo al soggetto sbagliato, quindi, è una tua colpa. E paghi. Solo che il presupposto è falso, giacché avere un conto corrente non è più una scelta, ma un obbligo. La stessa campagna contro l’uso del contante presuppone l’essersi piegati a quell’obbligo. Perché dovrei correre un rischio avendo fatto ciò cui lo Stato mi ha obbligato, oltre tutto minacciandomi di sanzioni anche penali? Poco male, si crede, perché la cosa riguarda solo i ricchi. Falso: intanto perché anche i ricchi sono sottoposti a quell’obbligo e l’essere ricchi non dovrebbe essere una colpa (se la ricchezza è accumulata lecitamente); poi perché un ricco onesto, che paga le tasse, i soldi per l’F24 li tiene sul conto corrente, sicché si suppone, nuovamente, che debba pagare per avere voluto adempiere a un obbligo imposto dallo Stato; ma, ed è questione decisiva, se comunico che sopra i 100 mila non c’è sicurezza il solo effetto che ottengo è l’immediato trasferimento di quelle somme verso banche e paesi che non comportino rischi, il che equivale a vedere immediatamente fallire tutte le altre banche, con travolgimento anche dei correntisti minuti. A Ecofin hanno messo in piedi una trappola mortale. Se un cittadino o un’azienda hanno ottenuto un prestito da un milione e, in attesa di utilizzarlo, decidono di acquistare un’obbligazione di quella stessa banca, in virtù del trappolone Ecofin, in caso di fallimento, succede che il milione che ho investito lo perdo in buona parte, ma il milione di debito devo pagarlo tutto, e con gli interessi. Alla medesima banca. Una follia. Quel meccanismo non funziona perché si ostina a non volere prevedere un prestatore di ultima istanza, vale a dire una banca centrale che copra il rischio non per le banche male amministrate, ma per i cittadini incolpevoli. Non coprendo quel rischio si dischiude l’abisso del rischio sistemico, vale a dire dell’implosione generale. C’è un aspetto positivo, negli accordi di giovedì scorso, e consiste nel sottrarre alle autorità locali il controllo sulle banche che chiedano aiuto, attribuendolo alla Bce. Può bastare? No, per niente. Primo, perché i tedeschi non hanno ancora detto in modo chiaro che sottometteranno a questa regola le loro Landesbank. Secondo, perché in virtù del trappolone riusciranno ancora a nascondere la pericolosa sottocapitalizzazione delle loro grandi banche, visto che non pochi depositi lasceranno le banche spagnole, italiane o francesi, per riversarsi nelle filiali spagnole, italiane e francesi di quelle tedesche. Così procedendo non facciamo che covare un disastro incalcolabile. Spero tanto di sbagliarmi, come spero che quell’accordo sia rivisto. Ma circondato da superficialità imperdonabili, sentendo parlare governanti che sono dei marziani, pur non amando l’allarmismo non posso che dirmi allarmato“.

29 giugno 2013 – Bellissima la svolta imposta da Papa Francesco sullo IOR. Ma ora: dopo il caffé di Michele Sindona, l’acqua di fiume di Roberto Calvi e la tisana di Papa Giovanni Paolo i°, quale sará la bibita dell’estate?

29 giugno 2013 – Davide Giacalone, con questo scritto, ci costringe ad alcune riflessioni ed a vedere certe cose che, per decenni, abbiamo guardato schematicamente, da una prospettiva diversa: “Cesare Battisti è un assassino. Prima ha trovato ospitalità in Francia, quando una manata di terroristi italiani furono considerati al pari dei martiri. Poi, però, i francesi lo usarono contro di noi, dislocandolo in Brasile nel mentre erano in corso gare per forniture militari. Ora lo condannano perché ha falsificato i timbri sul passaporto. Rispetto al resto, è un peccato veniale. Ma per i brasiliani è un problema, giacché ripropone la domanda: che ci fa un così nel nostro Paese? E’ una storia con molti aspetti istruttivi. I francesi accolsero una comunità di nostri pretesi rivoluzionari (rigorosamente comunisti), considerandoli vittime di persecuzione giudiziaria. C’era del vero, in quel loro pregiudizio, perché la legislazione emergenziale si prestava a più di un rilievo liberticida. Attaccata dal terrorismo, a sua volta sostenuto dai servizi segreti dell’est comunista, l’Italia non poté portare la guerra sul piano strettamente militare, perché questo avrebbe creato problemi internazionali in epoca di guerra fredda, ma neanche stravolse le proprie regole interne fino a cancellare i diritti dei cittadini. Con il senno di poi, ce la cavammo bene, considerato il calibro e gli intenti dei nemici. Resta, comunque, che in quell’epoca (siamo alla metà degli anni 70), il legislatore, quindi la politica, decise di delegare alla magistratura il compito di “combattere” quella guerra. L’arma fu il reato di “banda armata”. In linea di principio, quindi, i francesi non avevano tutti i torti. Non nel caso di Battisti, però, che è un assassino che ha ucciso nel corso di una rapina. Per lui non ci sono scuse che tengono ed è intollerabile quel che i francesi hanno fatto. Da qui, però, si trae una prima lezione: fu la politica a trasformare la magistratura in organo “combattente”, reiterando la scelta anche per quel che riguarda la mafia, salvo poi accorgersi di avere creato un mostro, ovvero un corpo separato e autoreferenziale, capace di combattere anche la politica. La giustizia francese, ad un certo punto, cominciò a soffrire per la protezione offerta a Battisti. Non era un rifugiato e un perseguitato, ma un omicida. Fu arrestato, a Parigi, e prima che i giudici di quel Paese ne consentissero l’estradizione in Italia fu aiutato a espatriare. Qui si apre un capitolo diverso: perché scelse il Brasile, dove si rifugiavano, semmai, i criminali fascisti? Si può rispondere che al potere c’era Lula, un compagno. Ma è deboluccia. Ho sempre pensato che a scegliere il Brasile non fu lui, ma i francesi che lo aiutavano. E fu scelto perché in quel momento era aperta una sfida commerciale assai importante, fra italiani e francesi, per la fornitura di navi alla marina militare di quel Paese. Gettarci fra i piedi un motivo di aperto conflitto fu sleale, ma vincente. Le autorità italiane abboccarono al volo, cominciando a rilasciare dichiarazioni ostili nei confronti dei brasiliani, ove non ce lo avessero restituito subito. Intervenne, in tal senso, anche il presidente della Repubblica. Risultato: non ce lo restituirono, fummo umiliati e perdemmo la gara. Un capolavoro autodistruttivo. Seconda lezione: al contrario di altri paesi l’Italia non si comporta come un sistema capace di difendere i propri interessi, ma quasi gode a fregare interessi interni usando sponde esterne. Di quella fornitura militare i francesi andavano fieri, noi ci vergognavamo a parlarne. Sugli F35 non è molto diverso. Terminata la partita, resta Battisti in Brasile. Aveva timbri falsi? Non mi è mai capitato d’immaginarmi latitante internazionale, ma credo che, se lo fossi, avrei qualche difficoltà a falsificare dei timbri. Per farlo Battisti fu aiutato, giunse in quel Paese con una rete già pronta. Quell’assassino non è un frescone qualsiasi, è una pedina ripetutamente utilizzata contro l’Italia. E ora? Ora la mia opinione è ben poco accalorata: sono problemi dei brasiliani. Se decidono di tenerselo se lo meritano. Se decidono di buttarlo fuori lo restituiscono a chi glielo ha dato: alla Francia. C’è una condanna da scontare nelle nostre galere, ma è troppo facile restituire a noi il limone, dopo che è stato spremuto. Se ne lecchino la scorza. Piuttosto siano le nostre autorità a non perdere l’occasione per far rimarcare, nel silenzio della comunicazione pubblica e nell’efficacia di quella diretta, quanto questo gioco sporco ora ha bisogno che non si sia noi a insistere. Ragionare d’interessi può non sembrare nobile, ma assai più interessante che ragionare di quell’individuo”.

27 giugno 2013 – Sanità privata a Roma. L’eccellenza. Il professore, per un colloquio in base al quale dovrebbe decidere la strategia sulle analisi di cui ho bisogno per poi accedere alle semifinali e quindi un giorno ipotizzare una cura, mi stabilisce un appuntamento in un Laboratorio privato supermegamulti in Via Nomentana 550. Alle 16:15, senza fallo, che alle 16:30 c’è un altro paziente che attende. Costo. 150 Euri. Trenta minuti e 20 Euri di taxi per arrivare alle 16:12. Dentro la “struttura” conto 15 hostess, ma bisogna prendere il bigliettino. Ci sono dodici varianti lunghissime. le signore anziane davanti a me le schiacciano tutte e raccolgono ciascuna un mazzetto di biglietti. Le hostess non sono lì per aiutare. Il mio biglietto è E042. Mi chiedo perché, dato che ho un appuntamento precisissimo alle 16:15. Con un minuto di ritardo entro nella sala d’aspetto per coloro che hanno un biglietto con la E. Si respira l’aria delle celle alle frontiere in uscita dalla Thailandia quando ti hanno preso con mezzo chilo di hascisch in tasca. In più ci sono vecchiette a valanga, che vengono qui a passare il pomeriggio al fresco. Una prosperosissima signora che tratta affari come intermediatrice di assicurazioni con i clienti, passando dall’arraposo adipico (con i maschi) all’ingiuntivo sprezzante con le donne. Aspetto. Ci sono quattro hostess che litigano. Alle 16:23, preoccupato, mi rivolgo a quella con i bicipiti più imponenti, e le chiedo del mio appuntamento. “Ha fatto la regggistrazzione?” Quale? Avete il mio nome nella lista degli appuntamenti precisissimi ed ho pure preso il tagliandino! “Quello è ppe pagà! Avete pagato?” Nossignore, non ho ricevuto il servizio. Cosa è la questione della registrazione? “Ahò ma che ve credete che stamo a ggiocà? Nu lo vede che ccasino che ciavemo?” Alle 16:40 finalmente riesco a fare la registrazione. Aspetto. La gente suda, soffre, telefona. Almeno non fuma. L’eccellenza, appunto. Alle 17:25 chiedo a che punto siamo. “ma che vvoi? Che tt’ho chiamato? Er dottore nun é ancora arivato”. Quanta gente prima di me? “E che ci ho la sfera de cristallo? hai pagato?”. Me ne sono andato. Mi ha gridato dietro: “Ah Ciccio, che lo voi n’antro appuntamento?” L’eccellenza, appunto.

25 giugno 2013 – La decisione del Tribunale di Milano non è una decisione politica. E’ Silvio Berlusconi a considerarla tale – e purtroppo migliaia di persone, che sognano che finalmente costui si tolga di mezzo. Lo ripeto ancora: non è con le decisioni della magistratura che si batte il berlusconismo, la cui fonte principale di consensi è legata all’odio inveterato degli italiani per la legge e la burocrazia. Non solo. Berlusconi la farà franca comunque, perché la sua rilevanza nel sottilissimo equilibrio politico attuale (non ho dubbi sul fatto che, se si andasse a votare oggi, il PDL vincerebbe le elezioni) è tale da convincere il PD, se mai ce ne fosse stato il bisogno, di votare leggi ad personam per proteggerlo. La condanna di Milano rende Berlusconi più forte, più inattaccabile, ancora di più ex legibus solutus. E mentre noi ci accapigliamo su queste sciocchezze, si vedono i primi risultati del decreto del fare: l’istituzionalizzazione della reazione immediata della giustizia civile (con pignoramento) in caso di debiti tra privati (lo Stato continuerà a non pagare) sta creando una serie di risultati straordinari: l’aumento verticale dei fallimenti individuali, l’accelerazione dei fallimenti delle piccole e medie imprese, la messa all’asta di migliaia di immobili, il che farà crollare ulteriormente quel mercato, un colpo secco ai consumi, l’aumento vertiginoso dei procedimenti legali che, some uno tsunami, si abbattono su una magistratura già inacpace di far fronte al pregresso. Siamo all’anarchia, e quindi all’Esercito in piazza che spara sui civili, mentre Grillo ordina ai suoi di farsi ammazzare in nome della Sua Santa Chiesa. Il governo Letta ce la sta mettendo tutta per battere Monti. Se va avanti così raggiungeremo la Grecia prima di Natale. Ed a quel punto, carissime e carissime, chi se ne frega se Berlusconi avrá scopato con una tunisina in più o in meno, peraltro consenziente. Benissimo ha fatto Josefa Idem a dimettersi ed a mostrarsi nella propria integrità, a non mischiarsi con questa marmellata di criminali condannatio che, invece di sostenere un Paese, stanno rosicchiando le ossa già spolpate da altri.

22 giugno 2013 – Ascolto Elton John, come in quei pomeriggi e le sere di 40 anni fa, esattamente 40 anni fa. Non sono cambiato affatto, dentro. I sogni sono gli stessi. L’unica differenza: allora credevo che il mondo fosse troppo ostile per permettermi di realizzarli. Oggi so che io sono stato troppo ostile per poterli realizzare. Il risultato è lo stesso. Mi piacerebbe allora parlare al Paolino di allora e tranquillizzarlo, come allora nessuno poteva, e dirgli che “invano” è una parola immensa, che copre meglio dell’acqua e della polvere tutto ciò sogni, che fai, che sei.

18 giugno 2013 – I fatti di Turchia sono lo specchio di una contraddizione profonda delle democrazie contemporanee, basate sulla dottrina Bismarck e quindi sul peccato originale di aver imparato dai moti del 1828 a spacciare per democrazia una gestione populistica dell’ignoranza. Nessun dubbio sul fatto che i veri democratici sono i disperati che si fanno ammazzare per strada, dato che non hanno alcuna speranza contro la Polizia ed ora l’Esercito. Come nel recente passato a Budapest (1956), Praga (1968), Atene (2012) etc etc etc si lasciano massacrare per dare un segnale – che nessuno pare raccogliere, ma che nel segreto semina e perpetua di generazione in generazione una minoranza di democratici e di illuministi. La bugìa è sempre la stessa, da Washington a Pechino, da Mosca ad Atene, dal grillismo al neonazismo. Abbiamo votato. La maggioranza dei votanti dà ai rappresentanti politici la giustificazione “democratica” per l’uso della violenza indiscriminata e della corruzione sistematica al fine di perpetuare il proprio potere. I cittadini scelgono la semplificazione invece della complessità e votano o per il potere per paura, o per i finti ribelli per rabbia. Nessuno che pensi. Ma allora è meglio la tragedia turca, con la gente scannata sulla pubblica piazza, o quella italiana, in cui la gente per bene che non ne può più, accortasi di essere caduta nell’ennesimo tranello ascoltando Giannino e Grillo, e non va più a votare? Non lo so, sono tendenzialmente un fifone. Il potere medievale veniva garantito dalla riscossione di tasse impossibili (che servivano a pagare i cortigiani) e la violenza dell’Esercito. Quindi siamo in pieno medioevo, e la gente ci vive bene, da sempre. Non so più che fare. Andare ad Istanbul e ad Atene a farmi pestare in nome della mia coscienza di vigliacco che grida di dolore per la sofferenza altrui? Aspettare che lo Stato italiano, dal gellismo al grillismo, dal PD ad Alleanza Nazionale, venga a cercarmi a casa per punirmi della mia eterodossìa?

17 giugno 2013 – Ho atteso con fiducia. Ho letto il contenuto dei Decreti del Fare. Emozionante. Ora attendo con nervosismo i decreti del Dire e soprattutto quelli del Baciare.

14 giugno 2013 – Non ci sono dubbi, Gesù Cristo è nato a Roma, non in Palestina. Le prove: è rimasto a vivere a casa dei suoi fino a 30 anni, credeva che sua madre fosse vergine e lei credeva di lui che fosse Dio. Sicuramente è vecchia come il cucco, ma non la conoscevo è mi è piaciuta.

12 giugno 2013 – Non ce la si fa più. L’isterìa religiosa dei Grillini è peggiore di quella dei tifosi del calcio. Avete avuto un’occasione. Siete stati degli incapaci. Basta. Vi prego, tornate alla Chiesa cattolica. Uccide come voi, ma senza quel ghigno orrendo.

6 giugno 2013 – Lo scandalo sulla sentenza contro i funzionari dello Stato che presumibilmente hanno ammazzato di botte Stefano Cucchi va al di là dei gestacci delle famiglie di coloro che hanno evitato una condanna, persino al di là delle dichiarazioni deliranti di Carlo Giovanardi. Non ci si può accorgere dal mancato funzionamento della giustizia solo quando questo crea una sentenza dolorosa ai danni dei familiari di una vittima trasformata quasi in carnefice. Del resto non conosco le carte del processo. Ma se le conoscessi, sarei più tranquillo? No. Per motivi professionali analizzo circa un centinaio di sentenze della giustizia penale, civile o amministrativa dello Stato italiano ogni anno. La quasi totalità è stata redatta da semianalfabeti, da persone che evidentemente non solo hanno scarsa conoscenza della legge, ma che hanno una difficoltà immensa nel costruire un apparato logico. Insomma: generalmente una mandria di incapaci mette insieme una caterva di dettagli senza essere capace di valutarli, senza creare concatenazioni logiche, senza dimostrare mai alcunché. I miei amici tedeschi ed inglesi credono che i magistrati italiani siano corrotti. Io credo che siano per la maggior parte incapaci, non particolarmente intelligenti, resi pusillanimi dall’esperienza della propria debolezza: in aula gli avvocati li fanno puntualmente a pezzi. Finché ci ostineremo a mettere in posizioni chiave della società (insegnanti, magistrati, banchieri, medici) persone stolide, incompetenti, insicure, arroganti ed inefficienti, nessuna legge sarà mai in grado di risolvere il benché minimo problema del Paese. Qui bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare da capo. Altrimenti di casi Cucchi ce ne saranno migliaia, come migliaia sono i casi insoluti. In Italia manca la certezza del diritto. E su quest’onda, da vent’anni, Silvio Berlusconi ed i suoi sodali (da Dell’Utri a Prodi e D’Alema) cavalcano la distruzione delle nostre vite. E noi lì a fare il tifo o ad arrabbiarci col singolo poliziotto: che coglioni.

29 maggio 2013 – Anche Franca Rame è morta. L’orrore di queste morti è legato al fatto che, dietro di loro, non c’è nessuno. Solo in Italia accade che il testimone della cultura moderna, sociale, pacifista, non sciovinista, intelligente, colta, controversa, sofferta, rimanga in mano a persone che hanno 80 anni. Dietro di loro c’è il nulla. Il nulla, creato dal piduismo di Licio Gelli e dal suo epigono Bettino Craxi, la TV disumana di Silvio Berlusconi e degli altri piduisti come Maurizio Costanzo ed Emilio Fede, dei politici protofascisti come Cicchitto, Amato, Prodi, D’Alema, la cancellazione del senso delle parole, la trasformazione della politica in burla, della violenza in comunicazione, della morte in spettacolo, dell’intelligenza in tifo sportivo, lo sdoganamento del fascismo, il nazionalismo da operetta che sostituisce e cancella la storia, confonde le parole, ingarbuglia le menti. Nessuno sa più di non sapere, tutti strillano, persino le persone a me più care sono talmente confuse da affogare nel delirio, nella rabbia e nella frustrazione… Ma loro, gli epigoni del mondo complesso, ci lasciano. Per stanchezza, per vecchiaia, perché hanno orrore e si sentono impotenti di fronte a ciò che accade. “E pensare che c’era il pensiero” diceva 20 anni fa Giorgio Gaber. Pensate: c’era un tempo in cui potevo dire che il Teatro di Dario Fo e Franca Rame non mi piacesse, perché c’erano cose migliori e politicamente più condivisibili. Ah, che tempi meravigliosi…

28 maggio 2013 – Se mai avessi creduto che Beppe Grillo ed il suo movimento fossero altro che un tentativo di stile ottocentesco di resuscitare politicamente Berlusconi (peraltro riuscito), mi meraviglierei ora del loro risultato elettorale. Di Berlusconi hanno la strategia (basare tutto sull’identificazione del nemico), il livello dei quadri (pochissime persone in gamba, trattate pure male, moltissimi banditi e coglioni semplici), la linea politica VERA (chiunque ce la può fare, il successo è come la Ruota della Fortuna, può premiare persino Crimi, non conosce criteri se non il caso). Nella settimana in cui i grillini avevamo in mano la chance di cambiare il Paese, con il PD in ginocchio a supplicare, si sono ritirati sull’Aventino – il colle da cui Mediaset riesce tuttora a controllare la città. Ma ora Berlusconi è resuscitato, Grillo sputtanato, possiamo tornare alla normalità. Restano le migliaia di talibani senza cultura, senza senso dell’umorismo, senza idee chiare, che avevano gettato tutto, con violenza e disperazione, sull’altare del grillismo. Una risata li seppellisce, ma ora saranno più umiliati. Carne da cannone per i disordini violenti che prima o poi arriveranno.

24 maggio 2013 – “I sicari di Trastevere” di Roberto Mazzucco (Sellerio 2013) è uno straordinario romanzo storico che racconta i segreti nascosti dietro l’omicidio del giornalista Raffaele Sonzogno, che con i suoi articoli aveva inutilmente lottato contro uno dei primi grandi scempi edilizi che hanno colpito la capitale: quello tra il 1870 (la Breccia di Porta Pia), quando Roma aveva 250mila abitanti, ed il 1888, quando Roma superò ampiamente il mezzo milione. Il libro non è un giallo, ma è emozionante come se lo fosse. E’ di un’amarezza discreta ed implicita e pone l’accento su uno dei temi ancora irrisolti della nostra storia: cosa avvenne di Garibaldi e dei garibaldini dopo la fine delle guerre di indipendenza. La descrizione dei Romani e dei Burini coinvolti è persino migliore e più fedele di quella di Gigi Magni, ancora troppo legato all’epos eroico. Pagine affettuose e tenere sulla giovinezza sordida di una Roma capitolina amata nonostante il suo essere orrido ed i suoi segreti schifosi. Non è un caso che lo legga adesso. Dopo essermi immalinconito sul capolavoro di Elsa Morante, “L’Isola di Arturo”, che mi ricordava il perché la mia gioventù sia andata come è andata, avevo bisogno di qualcosa per prepararmi a domenica ed a ciò che verrà dopo. Come sapete, voterò per Riccardo Magi – perché lo stimo e perché amo la mia città sporca, cattiva e mignotta. Perché so che con lui, anche nei prossimi anni, sarà possibile continuare ad imparare dal passato, a combattere per il presente, ad immaginare il futuro. Con onestà ed efficienza, con la forza dell’immaginazione che, noi Romani di sinistra, avevamo nel 1848, nel 1870, nel 1915, e dobbiamo far risuscitare ora. Per non essere cornuti e mazziati come sempre- Mazzucco ha scritto dei lavori teatrali sulla Banca Romana. Li cercherò. Ma voi leggete i suoi “Sicari di Trastevere”. Coraggio.

23 maggio 2013 – Sono riuscito a fare cose difficili, a volte difficilissime. Ho trovato strade dove non sembravano essercene. Ma mi sono dimenticato di fare le cose facili e facilissime, per timidezza, pigrizia e per paura, e queste, ora, paiono divenute impossibili.

19 maggio 2013 – Ho sentito Simone Cristicchi cantare del trauma di Trieste. Una canzone venuta male, perché ci ha messo l’anima e lui, per vocazione, è un clown triste. Ma va bene lo stesso, si giustifica tutto nella frase finale: “non dimentichemo!” Per me, che ho visto ed amato il lavoro di Maurizio Zacchigna e che porteremo a Roma a gennaio, Trieste è divenuto il simbolo del nostro cuore diviso. Non più fra pensiero ed azione, non più fra passione e ragione, ma fra panico e rassegnazione. Quando sono in Piazza dell’Unità e mi perdo, guardando il mare, sognando le spiagge di “Onda su onda” di Paolo Conte, il vento mi ricorda che devo essere presente a me stesso. In un’Italia squassata dallo schifo dei suoi politicanti ottocenteschi, da D’Alema a Grillo, da Berlusconi a Vendola, tutti uguali ed ugualmente dannosi… in un’Italia umiliata dalla pochezza dei suoi abitanti, vittimisti e viziati, spacconi e bugiardi… in un’Europa di furbetti e assassini, pronti a cancellare la Grecia dal Pianeta come 25 anni fa venne cancellata la Repubblica Democratica Tedesca e domani, forse, Italia, Spagna e Portogallo… non resta che un’emozione, un anelito, uno slancio, una speranza. Non dimenticare. Imparare chi siamo, da dove veniamo, spogliarci delle bugie della propaganda, capire le nostre origini ed i peccati originali, di cui non vogliamo sapere nulla, ma per i quali paghiamo salatamente. Il “Magazzino 18”, così come “L’eredità dell’ostetrica”, è tutta la nostra vita. Non moriamola così, battiamoci per la verità, anche se dolorosa.

12 maggio 2013 – Domenica. Me sveijo tardi, ce stà er sole. Er vento cardo, li turisti seminudi colle cianche bianche. Li sampietrini evaporeno, l’uccellacci pare che so iti tutti ar Tevere. Ho in mano “L’Isola di Arturo” di Elsa Morante, in gola er senso der tempo annato, nell’occhi sonno de na vita a corre. Chebbello! Ar baretto, da Claudio, acqua frizzante co er limone, e finarmente me mpegno cottùtto er core affà la cosa pe ccui semo nati noi Romani, da ggenerazzioni e ggenerazzioni. Gnente.

6 maggio 2013 – Muore Giulio Andreotti. Dopo aver visto la nascita del Governo Letta, il Signore gli ha concesso di lasciarci. Ora c’è un posto per un senatore a vita. Non so se sia più giusto Licio Gelli o Emilio Fede. Ma io penso alla vedova Borsellino, a Rossella Falck, ad Anna Proclemer, al boss della RAI, a tutti quegli imprenditori di cui è vietato parlare nei necrologi sulla stampa. L’Italia sana e malsana muore, uccisa o suicida. Resta l’orrore grillino e chi lo ha causato, coltivato, pagato e coccolato. Fuoco alle Polverini, prima di morire anche noi.

3 maggio 2013 – Leggo la cronaca politica con un senso di estraneità. Molto bello il commento di Stefano Rodotà, pubblicato oggi da La Repubblica. Ma non serve a nulla. Quando era giovane mio nonno, l’accordo sotterraneo fra monarchici, liberali e socialisti aveva trascinato l’Italia in guerra e poi alla fame, tutto per evitare di affrontare i nodi strutturali di una società sgretolata dalla povertà, dall’analfabetismo, dalla morsa terribile della Chiesa Cattolica, dalla violenza dei sabaudi e di chi si contrapponeva a loro. Tanti ragazzi se andarono e cercarono fortuna oltre oceano. Quando era giovane mio padre, il fascismo, con un accordo sotterraneo con la Chiesa Cattolica, trascinò un’Italia disorientata, povera ed umiliata da coloro che erano i suoi alleati nella Grande Guerra, in un nuovo conflitto disperato – per evitare di affrontare i nodi strutturali della povertà, dell’analfabetismo, della religione, dell’esistenza di un capitale industriale capace di funzionare solo rubando soldi delle tasse. Quando ero giovane io, il PCI e la DC, eredi di tutto ciò che di orribile e meraviglioso era accaduto nei 150 intercorsi dal Congresso di Vienna, si battevano apparentemente per una società che superasse quei problemi – e persero, pur mantenendo una società libera (anche se corrotta fino al midollo), democratica (anche se pugnalata ripetutamente da tentativi dittatoriali), indipendente (anche se schiacciata dagli interessi Americani e Sovietici, che delle nostre frontiere se ne sono sempre fregati). Quando era giovane mia figlia, tutto questo è finito. Il mondo uscito dal Congresso di Vienna, basato sull’equilibrio dei poteri militari, economici e sociali contrapposti, è crollato in uno sbuffo ed uno sberleffo di polvere. Oggi non resta più nulla. Ci si divide ancora fra entusiasti (che vogliono farsi ammazzare assaltando un palazzo senza più potere) e realisti (che si suicidano). Non ci sono più nemmeno i giovani. Non c’è il futuro, il passato è stato riscritto in modo tale da risultare un’evidente barzelletta, il presente è far finta che tutto vada avanti, di modo che in effeti, in qualche modo, qualcosa va avanti. Ma ad un prezzo altissimo: la libertà, la società, la coscienza di se e degli altri, il senso di responsabilità e di opportunità, la democrazia, la pubblica opinione… tutto finito. Resta la Chiesa Cattolica, l’idra onnivora e tentacolare che si nutre di morte e la propaganda come la grande speranza. O le sue copie transgeniche e velenose: il grillismo e la Juventus. Io ingrasso, come sempre. Che imbecille.

30 aprile 2013 – Un manovale disoccupato compra nel 2010 ad Alessandria una pistola con la matricola abrasa per poi usarla tre anni dopo per sparare ad un Carabiniere da poco vedovo a duecento metri ed in direzione opposta a Montecitorio. Il governo viene sostenuto in aula anche dai più riottosi ed ottiene una larga fiducia. Stiamo migliorando (o peggiorando, dipende dai punti di vista). Non devono abbattere un grattacielo con due aerei di linea, far saltare in aria la Stazione di Bologna o rapire per poi uccidere il Presidente del Consiglio incaricato. I padroni di Grillo trattengono il mastino, che usa toni più concilianti e impedisce che i suoi diano l’assalto al palazzo. Il ventennio non è affatto finito. Il peggio sta iniziando adesso. E non c’è più nemmeno il PCI per garantire una parvenza di equilibrio.

27 aprile 2013 – Di programmi non se ne parla, e si fa bene. Chi ha la memoria storica più resistente di quella di un pesce rosso non ha bisogno di sentirsi dire cosa mai il Governo Letta sarà chiamato a fare. La lista di ministri e sottosegretari è, come ai tempi della DC, l’unico argomento di diatriba. Ma stavolta quella lista parla molto più di mille pagine di promesse: stabilito il fatto che: a) Berlusconi ed Andreotti, per motivi diversi, non possono e forse non vogliono farne parte; b) che il prefetto Manganelli, gli ex capi dei servizi Broccoletti e Finocchi (sic!), Francesco Cossiga, Bettino Craxi e Pietro Longo sono impediti da impegni inderogabili in cielo; c) Cicchitto, Gelmini, D’Alema, Letta stesso, Saccomanni, Brunetta, Fassina ed Amato non mancheranno, resta solo un punto incomprensibile. Una vergogna, uno scandalo, un’ingiustizia, una scelta disumana. Perché mai Licio Gelli, padre e creatore, ispiratore politico e di vita, padrino e sponsor finanziario di tutti costoro, non ha un ministero? Perché Emilio Fede non è candidato almeno ad un posto di sottosegretario? Oppure siamo ancora alla semifinale: Travaglio, Santoro, Casaleggio (o chi li comanda), Gelli, Uckmar, Cerroni ed i padrini della burocrazia amministrativa statale saliranno al potere subito dopo. Dopo che la crisi avrà spazzato via costoro che sono una sorta di nazionale dell’orrore degli ultimi 30 anni di vita politica italiana. In confronto al potere in mano a D’Alema, Berlusconi e gli altri piduisti e vaticanisti, perfino la dittatura fa meno paura. Gaber commentava sarcastico: “E pensare che c’era il pensiero”. Siamo oltre, troppo oltre. Questo governo sarà un’umiliazione fisica, personale, intima, cocente e senza redenzione dell’intero popolo italiano. Ci mostrerà per secoli per ciò che siamo: una banda di coglioni ignoranti, volgari , gretti e disonesti, e soprattutto SERVI.

21 aprile 2013 – Essere intelligenti non ci fa evitare di fare stronzate. Ce le fa fare coscienti di farle. Tutto qui.

21 aprile 2013 – Scrive Davide Giacalone, ed io condivido completamente: “Ci sono due cose che sono incompatibili con la ditta Casaleggio&Grillo: la legalità democratica e la democrazia interna a una forza politica. Non è la prima volta, nella storia, che una minoranza determinata e priva di freni inibitori s’infila nel sistema democratico e, negandolo, conquista spazi elettorali. La pretesa è sempre la stessa: siamo noi i soli rappresentanti del popolo vero. Cambiano i colori, i simboli, le modalità devozionali al capo, ma sono sempre e solo movimenti antidemocratici. Quando prendono la maggioranza s’avvera la tragedia, ma quando questo accade non è mai merito loro, bensì colpa di chi non ha saputo contrastarli. Nella storia li si riconosce subito, e fin dall’inizio. Se continuano la loro marcia devastatrice è perché qualcuno dei vecchi soggetti pensa di usarli contro i propri avversari. Questi cancri delle democrazie, in fondo, devastano solo i corpi devastati. Casaleggio&Grillo non hanno inventato niente. Solo chi non sa quel che dice può credere alla galattica minchioneria della “piattaforma liquida”, al partito che si forma dal basso e ad altre rozzezze che ricalcano i vecchi moduli del populismo e della sopraffazione. La vestizione digitale può confondere solo i creduloni analogici. Quei due si sono trovati nel posto giusto al momento giusto, facendo surf su anni e anni d’inconcludenza politica e di televisione demagogica. Nel corso della loro ascesa hanno detto tutto e il contrario di tutto, ma rilevarlo è inutile, perché la coerenza e la credibilità non sono certo le doti con cui attirano i fedeli, attratti dalla dirompenza e dall’aggressività. Ieri sono passato alla manifestazione, convocata contro l’elezione del presidente della Repubblica. Ai bordi ho trovato un vecchio conoscente, che fu nelle segreterie di Bettino Craxi e Giuliano Amato. Lo saluto e gli faccio burlesco: sei venuto a manifestare? Lui mi risponde seriamente, dice di essere del movimento e mi mostra anche l’apposita pecetta. Me ne spiega il motivo: Davide, è ora di farla finita con i ladri, si deve mandarli via. Guarda, gli ho risposto, che il ladro saresti tu, nonché gli uomini con i quali ti vantavi d’avere lavorato. M’ha guardato come se fossi stato un marziano. Vive in un talk show senza memoria. E capita così, in questi movimenti: c’è l’imprenditore che non ne può più di tasse e il disoccupato che vuole il reddito di cittadinanza, s’incontrano e chiedono che il mondo di oggi vada sulla forca, ma non s’accorgono d’essere fra loro incompatibili. Casaleggio&Grillo non hanno inventanto nulla neanche nel linguaggio. Quando la Lega parlava di “fucili” o sventolava il cappio alla Camera non solo si tollerò, ma si teorizzò che erano parole buone per la propaganda. Non si ritenne fossero incompatibili con il prendere il ministero degli interni, dove Maroni è andato anche bene. Quando la sinistra dice d’incarnare “l’Italia migliore”, si fa finta di non capire che l’altra sarebbe l’incarnazione della peggiore. Non idee diverse, ma opposte moralità. Sono anni che le parole perdono significato. E sono anni che, dalla televisione alla scuola, dalla famiglia allo stadio le uniche parole forti sono turpiloquio. Ci s’è fatta l’abitudine. La parolaccia isolata può essere maleducazione o sberleffo, le parolacce dilaganti sono pensieracci imperanti. Il parlare alla radio, dove si deve essere sintetici e la gente non ti guarda in faccia (ma adesso c’è la radiovisione), mi ha abituato ad ascoltare le reazioni del pubblico, via mail, sms o twitter. Non so quante volte mi son beccato del “servo di Berlusconi”, ma anche del “comunista” (giusto ieri ho detto che lo sfarinamento del Pd non è da festeggiare, e vai con “servo di Bersani”). Va bene, ci sta. Ci sono anche commenti positivi. Ma quando parlo dei pentastelluti la reazione è monocorde e plumbea: stai zitto, vergognati, sparisci. Anche quando sostenni, e ne sono convinto, che si deve essere loro grati per avere dato forma elettorale a un malessere profondo. Ma lo dicevo senza l’opportuna sottomissione. Grillo&Casaleggio accarezzano questa roba, come anche ieri hanno fatto a Roma, contro il Parlamento. Poi candidano Prodi alla presidenza. Dureranno poco e sporcheranno molto, ma sono continuatori di fenomeni radicati e duraturi. Hanno conquistato il conformismo salottiero e quello sgancherato, si tolgano dalla testa di far tacere le persone libere.

13 aprile 2013 – Buonanotte Trieste… che giornata indimenticabile! Scena Verticale è riuscita a trasformare una giornata piovosa in un caleidoscopio di musica e passione, i testi sulla disoccupazione ed il disorientamento sociale sono vestiti di musiche splendide e di testi intelligenti ed una recitazione commovente. I ragazzi di Sonemo hanno dimostrato di nuovo, come dicevo ad Omar Soffici, che l’hip hop funziona solo con testi di vero valore, e questi ragazzi li hanno. Irene Serini è stata cataclismatica, sconvolgente, la fisicità totale trasformata nel simulacro leggiadro della fine dell’imbarazzo, dell’inizio dell’onestà, di una nudità sana, dell’anima e non del corpo, in cui il dolore è rielaborato da una malinconia intelligente ed una vitalità irrefrenabile. Il suo spettacolo mi ha traumatizzato e mi ha detto più sull’essere donna di tantissimi discorsi anche intimi. Meraviglioso. Marco Velluti è una grande scoperta come musicista, come amico, come intellettuale – mai sopra le righe, intenso, raccolto. Lanciaspezzata un miracolo come sempre, mentre Mattatoio Scenico è stata una vera e propria sorpresa – in Italia ci sono delle produzioni che sono veramente avanti. La gioia di vedere Alessandro Orlandi di nuovo sul palco non la posso descrivere, perché è così privata ed è legata a tante vicissitudini difficili e dolorose… bravo Ale, che grande che sei. Ed alla fine ti senti a casa in ogni dove, Adriano marenco e Carlo Gori sono due clown veri, intelligenti, sensibili, surreali, attuali e sardonici, bravissimi. Tra Patrizia Piccione e Rossana Precali ho l’impressione di ricevere un regalo immeritato, un affetto speciale, un’intimità naturale, spontaneo, come se fossimo venuti su insieme. E poi Maurizio. Maurizio Maurizio Maurizio. Maurizio. Ed anche Maurizio, poi Maurizio, Maurizio, Maurizio.

5 aprile 2013 – Vivo a Trieste da oramai quasi una settimana e mi sembra di non essere mai stato altrove. Questo microcosmo gelido ed affascinante è popolato da spettri diurni ed una meravigliosa genà di folletti notturni fantasmagorici e allegri che piovono da tutte le parti: Francoforte, Napoli, Frosinone, l’epico mondo slavo, la mistica Lucania, l’intemerato Nordafrica e la Sassonia più profonda. Se esistono, i triestini veri si nascondono benissimo, oppure sono divenuti fulcro di questo meraviglioso circo di culture e sinapsi umane che sembra sul punto di esplodere per passione ed allegria. Di colpo capisco perché qui Umberto Saba, Sergio Endrigo ed Italo Svevo, ma anche perché qui la famiglia Gaberscik no. Chi viene a sud di Sgonico per fare il burocrate ha due possibilità: o lotta per il potere fatuo del potere per il potere, o diventa uno degli eroi di una Antivienna allegra e sofferente, dolorosa e stupenda, infima e geniale, sordida e generosa, così lontana dalla volgarità umidiccia e spesso putrescente di Roma…

29 marzo 2013 – Anche Iannacci. Per favore basta, non ce la facciamo più.

27 marzo 2013 – Comincio ad innervosirmi osservando l’attività concertata di Michele Santoro, Marco Travaglio e Beppe Grillo. A mia memoria non c’è nessuno che abbia danneggiato la funzione sociale della TV come Santoro, il giornalismo come Travaglio e la politica come Grillo. Perché hanno sdoganato il fatto che la mancanza di riscontri e di contraddittorio sia una cosa buona. Finora, leggendo le bugìe volgari e deliranti con cui vengono riempiti “Libero” ed “Il Giornale”, si poteva dire: va bene, questi sono i quotidiani per i cittadini che hanno spento il cervello ed acceso la pancia, per coloro che non vogliono sapere la verità e sono refrattari al ragionamento. Berlusconi ed i suoi avevano sdoganato il fascismo, la violenza e la volgarità. Quanto alla disonestà ed alla furberia, quella in Italia non ha ami avuto bisogno di chi le sdoganasse. Ma oggi Santoro, Grillo e Travaglio, considerati “contro” e quindi in qualche modo alternativi, rivoluzionari, diversi (e quindi tautologicamente puliti) distruggono volutamente ciò che resta della società. Se Berlusconi racconta che Ruby è la nipote di Mubarak, si ride, perché Berlusconi mente e lo sanno tutti, lui stesso non ne fa mistero. ma se gli autonominati Paladini del Giusto, in quanto tali, si sottraggono al confronto ed al riscontro delle loro affermazioni, la democrazia è finita. L’unica volta in cui Travaglio e Santoro hanno accettato una vera sfida, da Berlusconi, hanno rimediato una figuraccia epocale. E difatti oggi Travaglio, che ha trasformato il giornalismo d’inchiesta in uno spettacolo comico alla Gigi Proietti o alla Beppe Grillo e va in tournée come Brignano e Johnny Groove, si rifiuta di confrontarsi con le persone che insulta. Santoro nemmeno lascia parlare. Grida santanchescamente come se fosse Mosé che apre le acque del Mar Rosso, ma non ha un modello da offrire, solo supponenza, il mito di essere santo perché cacciato da Berlusconi dalla RAI. Beppe Grillo, infine, rifiuta le trattative con il PD nel momento in cui questo partito é pronto a mettere in pratica l’intero programma grillino -e che in parte condivido. Perché non lo fa? Per lo stesso motivo di travaglio e Santoro. Non gli conviene nel gioco delle parti della politichetta. Se costringe il PD a fare un governo con il PDL può sperare di raccogliere ancora più voti alla prossima elezione. In questo modo si é sbugiardato. Anche per Grillo il programma non conta nulla, conta solo il potere per il potere. Quanto all’imbecillità media dei suoi, questa non mi pare sioversa dagli imbecilli degli altri partiti, per cui non mi interessa. ma sta di fatto che questi tre signori, che nell’immaginario collettivo si sono furbescamente ritagliati il ruolo dei Cavalieri del Bene, siano invece traffichini da Prima Repubblica, attenti solo al proprio vantaggio personale. Nessuno sconto per Grillo ed i suoi soci: se avessero voluto salvare il Paese, adesso avevano l’occasione per farlo. Ci riportano ad un’elezione prossima a venire in cui Berlusconi potrebbe stravincere. Siccome non credo nel complotto, penso che Grillo sia pazzo, Travaglio un furbino democristiano e Santoro un narcisista andropatico. Non sono né furioso né spaventato. Questa é una farsa, le cose serie verranno quando questi scaramacai saranno spazzati via dalla contingenza e Crimi resterà una barzelletta per la TV dei piccoli.

22 marzo 2013 – Nel traffico intenso e caotico della politica italiana, ce n’è uno che ha sempre ragione. E’ Massimo D’Alema: non importa chi gli si pari davanti, D’Alema viene sempre da destra.

21 marzo 2013 – Lo dico con autoironia. Lavoro tantissimo, troppo, sono un privilegiato. Eppure ci sono momenti come stasera, in cui il mio cervello è talmente esausto da farmi anelare l’imbecillità. Non abbastanza da comprarmi un cane, non abbastanza per guardare la TV, ma abbastanza per star seduto in poltrona con un bicchiere in mano e pensare ai bei tempi andati della noia adolescenziale. Come disse una volta Paolo Villaggio, l’adolescenza ed il ricordo che ne abbiamo sono generalmente la migliore medicina contro la paura di invecchiare, ma a volte l’idea di essere nudo su una spiaggia a dormire sotto il sole e la brezza oceanica… magari solo un’oretta…

16 marzo 2013 – Ogni volta che parla Vendola, un complemento oggetto muore.

15 marzo 2013 – Un anno fa oggi, stroncato dal cancro, moriva un amico, Roberto Morinini. Non lo vedevo da molto tempo, per cui la notizia mi aveva raggiunto tardi, più di una settimana dopo. Per questo motivo ne scrivo soltanto oggi. Divenne un amico perché, quando iniziai a scrivere di calcio e lui era il giovanissimo allenatore del FC Locarno, io mi entusiasmai per la cavalcata con cui sfiorò la promozione – avendo in mano sostanzialmente una squadra di giocatori non eccelsi ed un senatore, Paul Schönwetter, che come Willy Gorter a Lugano aveva sprecato gli anni migliori di una classe cristallina nel club sbagliato e, prima di incontrare Morinini, si era praticamente spento. Allora i procuratori creavano simili disastri, e la tua carriera era fregata. Mi entusiasmai per come trattava i calciatori, per come riuscisse a dare loro del Lei ed a farli sentire stimati e degni di affetto. E mi aiutò, perché invece di mandarni a quel paese per articoli scritti senza capire la partita, ogni tanto si metteva lì a spiegarmi cose che non avevo capito sui movimenti, i tagli, le ripartenze. Guardando le mani di Roberto ed i suoi occhi neri spalancati, un pareggio a reti bianche diventava un magico racconto di scontri fra druidi, in cui creature alate (chi si ricorda del mitico Omini? O del primo gol in carriera di Olivier Neuville, con la mano, a Baden, contro il mio buon amico Peter Mäder?) volteggiavano in un carosello medievale in cui persino il marmoreo giudice Giani pareva trasformato in Armando Picchi. E’ stato il primo ticinese cui ho sentito criticare il Ticino con amore e lo sguardo tagliente di un intellettuale europeo. Dopo di lui ho conosciuto naturalmente persone di grande spessore, ma nessuno, in quegli anni difficili di praticantato e con il mio matrimonio in crisi, aveva tanto tempo da dedicarmi, sorrisi complici. In Ticino o in compagnia di ticinesi mi sono spesso sentito un intruso, un nemico, un pària. Roberto Morinini leggeva libri, discuteva di politica (con la prudenza apotropaica propria di ogni ticinese), chiedeva interessato l’opinione altrui, rispettava chiunque, rideva allegro nelle sconfitte, prendeva tutto con una serietà assoluta dal punto di vista professionale e segretamente giocoso dal punto di vista umano. Alcuni anni più tardi andai a trovare lui e il FC Lugano in ritiro a Roma. Era all’apice della carriera. Mi disse che non era stupito, era troppo impegnato a capire ed imparare, “lo stupore presuppone un pregiudizio”, mi disse, “non permettertelo mai”. Ma era felice. La sua Svizzera, la sua Europa, il suo calcio erano quelli della speranza di un mondo nuovo di espansione, empatia, tolleranza, saggezza, curiosità, allegria, rispetto. Diceva che “per ogni politico ticinese o di qualunque altro Paese che umilia la sua gente nascono mille ragazzi che, umiliata l’intelligenza, si salvano con il romanticismo – ed il calcio può essere la sintesi fra intelligenza e sentimento”. Era sempre tranquillo, anche quando non era più sereno. Dopo il cosidetto suicidio di Helios Jermini anche lui dovette ammettere che le speranze che la nostra generazione di europei aveva riposto nella fine della Guerra Fredda fosse stato stolto, improvvido. Il calcio svizzero non era più lo stesso. Mi parlò con fatica estrema di Avellino, poi gli ultimi anni erano stati uno stillicidio. “Non tengo mai la bocca chiusa, nemmeno quando taccio”, mi aveva detto una volta. Ma che io mi ricordi non ha mai detto una sola parola cattiva su nessuno. Se necessario faceva un sorriso sghembo, allargando le braccia, o diceva una battuta. Mi ha insegnato la calma, la disciplina, l’applicazione, ad astrarmi da chi mi grida intorno per concentrarmi sull’essenziale di ciò che devo fare. Quando salvò il Bellinzona dopo una cavalcata quasi impossibile, mi dissi: è ancora lui. Quello che quando gli chiesero quali sarebbero stati i giocatori giusti per il Locarno disse: “quelli che ho, perché sono uomini. Di calciatori non mi interesso”. Sono già passati tre anni, sembra ieri… Di Roberto non resta nemmeno il profilo wikipedia in italiano, i ticinesi non l’amavano. Mi viene da dire che i ticinesi non amano nessuno, seguono come segugi ciechi il mastino che odora di sangue, ma non apprezzano la pacatezza o la saggezza. Di Roberto restano quindi le righe di rispetto e cordoglio della stampa svizzera tedesca, ma alla fine, che importa? Restano i ricordi di chi gli voleva bene. Nel mio piccolissimo, e senza voler disturbare chi lo conosceva meglio e lo piange con più dolore, mi pare che il mondo senza di lui sia ancora più vuoto e più vano. Roberto, non il calciatore, non l’allenatore, non il ticinese, l’uomo.

7 marzo 2013 – E’ morto Giuliano Bignasca. Il fondatore della Lega dei Ticinesi, lo scalpellino cocainomane che il padre, che lo viziava, definiva un buono a nulla (e lui soffriva), l’uomo che si permise di entrare in Parlamento a Berna, neoeletto, in ciabatte e calzoncini corti militari. Un uomo di un’ignoranza abissale e voluta, una volgaritá congenita, acuita dal forte consumo di droga, e sfogata con una rabbia ed una xenofobia da caricatura fumettistica. Ma anche il “Nano”, l’ometto solo, con evidenti problemi di potenza maschile ed un disprezzo congenito per le donne, che si faceva prendere in giro da tutti – e specialmente da Flavio Maspoli. Ha fatto la fortuna di faccendieri come Marco Borradori, il figlio del grande Elio (e nipote del mitico Giordano), decano dei riciclatori ticinesi degli anni eroici – fighetti di una Lugano “bene” infigarda, tronfia, meno che provinciale, che odia i Lumbard come una sottospecie di subumani meridionali parenti (e per questo serpenti). Ha creato dal nulla (e sostenuto nel loro vuoto di contenuti) la carriera politica e professionale di tantissima gente che, sfruttando la sua immensa popolarità e le sue idee geniali (come bloccare contemporaneamente la cantonale e l’autostrada a sud di Lugano, all’altezza di Melide, dove non esistono strade alternative, per chiudere l’Italia fuori dall’Europa) ha svoltato una vita insipida in una carriera nazionale… Ne scrivo con pietà ed affetto, perché lo conoscevo personalmente. Ho lavorato per anni come cronista sportivo per il suo settimanale, “Il Mattino della Domenica”, una sorta di “Libero” ante litteram, di cui il Nano scriveva da solo quasi la metà. La gente lo adorava o lo odiava perché diceva tutto apparentemente senza pensare, con la difficoltà di chi, a causa della droga, non riesce a pronunciare bene le parole – e poi ti accorgevi della mente sveglia e strategica che stava dietro. Fregava tutti, disonesto fino al midollo, ma capace di una generosità sorprendente. Un uomo travolto da tutto che, grazie ad un’intelligenza vivace, ha fatto ciò che poteva, divenendo genio del male per la paura di non poter essere mai accettato come uomo buono. Era difficile arrabbiarsi con lui, perché era talmente trasparente… il simbolo dei nostri anni inquieti di frustrazione impotente, di dipendenza malinconica. Nano Bignasca non aveva bisogno di millantare lauree, non era uno squallido accoltellatore alle spalle, era uno che costruiva, che era stato appunto scalpellino e ne era giustamente orgoglioso. Fra tutte le canaglie, ladri, assassini, politici ridicoli che fermano il declino o rivoluzionano civilmente, che saltano di partitino in partitino con la moda dello scilipoting, che ho incontrato (cazzabbubboli, direbbe Rugantino) Giuliano Nano Bignasca è stato altra classe: un datore di lavoro, avversario politico, cinico ticinino, omino buffo delle favole, che ricorderò con affetto. Era così sputtanato che non si sputtanava mai. E ti guardava dritto negli occhi. Mentre mi giunge la notizia della sua morte, leggo che il Prof. Zingales è pronto a prendere il posto di Oscar Giannino alla guida di Fermare il Declino. Che senso di vomito. Ma non è un’epoca di leoni, la nostra. Per questo il Nano ci ha lasciato. Ed ora vediamo cosa fanno le decine di fascisti di merda, nullafacnti boriosi e trepidi della schifosa Lega dei Ticinesi, che lui manteneva in vita, per sentirsi meno solo.

6 marzo 2013 – Ho contrastato il Movimento 5 Stelle come ho potuto, puntando l’indice sulla mancanza di trasparenza e democrazia interna al partito, discutendo le contraddizioni gravissime e preoccupanti di Beppe Grillo, di Casaleggio e dei loro padroni, mi sono agitato per il legame fin troppo forte con “Il Fatto Quotidiano”. Sono andato a sentire Grillo per essere sicuro di non aver scelto per semplice antipatia, ma adesso basta. Non cambio la mia idea sul M5S, ma ora costoro sono in Parlamento e fanno politica come possono. A chi li sfotte perché non sanno nulla di nulla, ricordo che le Iene avevano fatto fior di trasmissioni dimostrando che i Parlamentari della Seconda Repubblica non solo non sapevano nulla di politica, come i grillini, ma dichiaravano allegramente di essere a Montecitorio o a Palazzo Madama solo per i soldi, si vendevano per un piatto di lenticchie e non sapevano nulla ma di nulla di nulla di nulla! Cito a memoria: dove fosse l’Argentina, il nome della Regina del Regno Unito, chi fosse Richard Nixon, se a Roma ci fossero mai stati i Giochi Olimpici. Non c’è nessuna differenza, nella preparazione e nella cultura generale, fra grillini e scilipotoni. Ma i primi dicono di voler imparare. E sono stati eletti democraticamente. Ora bisogna trattarli come tutti gli altri. Se decidono di non fare un’alleanza, non vuol dire che mangiano segretamente i bambini (quello lo fanno i comunisti), che li violentano (quello lo fanno i cattolici), che li bruciano (quello lo fanno i fascisti), che li viziano (quello lo fanno i pochi che restano). Vuol dire che sono contrari ad un’alleanza. Chiedono riforme precise. Se continua così, finirete per farceli diventare simpatici. Ma soprattutto sapremo che hanno ragione a volere la gran parte di ciò che vogliono per salvare il Paese.

3 marzo 2013 – Si può gioire per il fatto che Francesco Totti abbia segnato il suo 300° gol, il 225° in serie A, ed in questo modo sia divenuto il secondo più grande attaccante di sempre dopo Silvio Piola? Si ha il diritto di commuoversi per questo ragazzetto, il cui fisico smentisce i 37 anni, che dalla borgata ha realizzato il sogni di diventare il simbolo della sua squadra del cuore? E’ puerile ricordare gli anni in cui gli arbitri avevano cercato di mortificare la Roma con degli arbitraggi sconvolgenti e Francesco Totti, prendendo a pallonate i portieri avversari fin da centrocampo, teneva insieme la squadra quasi da solo? Mi si perdona di aver dubitato di lui negli anni dopo il suo gravissimo infortunio e sembrava non poter più tornare quello di prima, per poi dover accettare con allegria che il Totti di poi non ha la stessa brillantezza del ragazzino, ma una voglia ed una bravura tattica difficili da commentare senza retorica? Il calcio è marcio, il campionato largamente deciso a tavolino, anche in questo Roma-Genoa sono successe cose dell’altro mondo – ma Francesco, con la sua apparente ingenuità, con la sua gioia incontenibile, l’allegria del popolano che con un sasso ha colpito la testa del signore feudale, rende tutto umano e giusto. Grande Franceso, grandissimo, unico. Nel corso della mia vita non ci sarà mai più nessuno come te. Immenso, glorioso, simbolo del mondo come dovrebbe essere, Peter Pan e Mago Merlino al contempo, cavaliere della tavola rettangolare, dove regnano l’iniquità ed il tradimento e lui, pulito, esce come un tassinaro da film di Alberto Sordi con la saggezza che gli ha fatto dire, alla prima domanda dei giornalisti: ahò. Francesco! Siamo tutti i tuoi indiani. Chi ama il calcio non può non volergli bene. Tanti auguri, ragazzino. Mille di questi istanti.

26 febbraio 2013 – Scrive Davide Giacalone, e concordo pienamente: “Finita la stagione delle promesse elettorali si apre quella dei lenti passaggi istituzionali. Con ogni probabilità farà prima il conclave a eleggere un nuovo papa che l’Italia ad avere un nuovo governo. Ora che le urne sono state svuotate si devono fare i conti con il sistema produttivo, che si sta svuotando. Ora che non serve più propagandare la cancellazione dell’Imu sulla prima casa e la restituzione di quella già pagata, possiamo permetterci di dire una cosa banale: è stata trattata come una tesi demagogica ed eccessiva, in realtà è assai meno di quel che serve. Chi non ci crede rifletta sui dati che seguono. Unimpresa, associazione di piccole e medie imprese, non divise fra terziario, manifatturiero o agricolo e comprendente anche società cooperative (81.900 iscritti, 60 sedi territoriali), ha svolto una ricerca presso i propri associati e ne ha ricavato che il 63% delle aziende si sono indebitate per pagare le tasse. Fra queste l’Imu, che ha sottratto alle aziende 6,3 miliardi, di cui circa 4 presi in prestito. Un dato impressionante, che resterebbe tale anche se fosse pari alla metà. Le conseguenze sono drammatiche, perché le imprese che s’indebitano per onorare il fisco o rinunciano a investire in innovazione e sviluppo, quindi a scommettere sul futuro, oppure sono costrette a ulteriore indebitamente che però, a quel punto, diminuendo gli attivi patrimoniali e l’affidabilità, sarà concesso (ammesso che venga concesso) a tassi più alti. Il fisco, insomma, è divenuto arma di distruzione di cassa. Preludio alla distruzione del sistema produttivo. Altro che Imu sulla prima casa! Qui si devono cancellare anche le patrimoniali sull’attività produttiva, perché fin quando si fa coesistere la crisi dei mercati con il prelievo sul patrimonio immobiliare (Imu) e sul patrimonio del lavoro (Irap) non solo si spingono le aziende al fallimento, ma si suggerisce all’imprenditore d’essere saggio e chiudere i battenti prima di arrivare alla canna del gas. E’ vero che in questo modo aumenta la disoccupazione e precipita ancor di più il pil, ma se a questi problemi non pone attenzione lo Stato perché mai dovrebbe sentirsene responsabile l’impresa, che in un sistema sano punta al profitto, mica a finanziare la spesa pubblica dissennata. Lo Stato, del resto, non si limita a osservare lo scempio, ma vi partecipa con sadico entusiasmo: se un’azienda vanta crediti nei confronti della mano pubblica, in una qualsiasi delle sue infinite articolazioni, se ha fatture inevase, sulle quali già pagò l’iva (quella per cassa è arrivata dopo), e, per disgrazia, non dovesse avere liquidi per pagare l’Inps, o l’Imu, o l’Irap, o la tassa sulla spazzatura, o una qualsiasi di queste sottrazioni di ricchezza, automaticamente le viene contestata evasione e, da quel momento, lo Stato cessa di pagare i propri debiti. E siccome sei evasore proprio perché lo Stato non ti paga, quindi non hai i soldi per pagarlo a tua volta, è evidente che tale meccanismo serve a mettere i genitali nel frullatore e azionarlo con voluttà. Un sistema fiscale che tassa le imprese a prescindere dal profitto, togliendo risorse agli investimenti, ha deciso di suicidarsi. La forza del nostro sistema produttivo, che ancora ci tiene fra le grandi potenze economiche, non illuda circa la possibilità di continuare con questo andazzo. Molti si convinsero che il conflitto fosse tra capitale e lavoro, sbagliando. S’avvedano, che il conflitto è fra produzione e tassazione. Capitale (sano) e lavoro (vero) sono alleati”.

25 febbraio 2013 – L’Italia intera è incollata alla TV, così come una volta, la domenica pomeriggio, gli uomini restavano attaccati alla radiolina ad ascoltare Niccolò Carosio prima, Sandro Ciotti poi. Fra exit poll e risultati ufficiali è più emozionante di una partita di calcio, nella quale oramai gli agenti esogeni hanno deciso il risultato prima che la si giocasse. Qualunque sia il risultato finale, Beppe Grillo ha sbaragliato il campo, mentre né Bersani, né Berlusconi né Monti se ne sono accorti. Sono anzi offesi dal voto degli italiani. Ma da tutte le parti ciò che sento maggiormente è questa sensazione di offesa. Ma come? Nessuno ha votato Ingroia? No, nessuno, non c’era motivo di votare una forza vecchia, i cadaveri della Prima Repubblica ed i figli dei figli degli errori tragici del Pool Mani Pulite. Ma come, così pochi hanno votato Fini e Casini? Certo, perché i pochi che hanno votato per il suicidio del nostro Paese hanno dato il voto direttamente al killer, Mario Monti, e non ai suoi passivi scherani. Di Fermare il Declino, per carità di patria, non parliamo: se quello di Beppe Grillo sarà il primo partito al potere guidato da un comico, FiD è stato il primo partito annientato personalmente da Mago Zurlì. Attenzione, non sto qui a dire: ve lo avevo detto, perché sono sorpresissimo da questi risultati. In positivo. La gente ha gridato: basta. Per farlo non ha votato nessuno dei finti partiti nuovi, ma Grillo, per essere sicura che la politica sentisse il messaggio forte e chiaro. Bersani e Berlusconi già chiedono nuove elezioni. Della Destra non mi importa nulla, facciano ciò che reputano opportuno. Ma della cosidetta sinistra mi importa. Allora, ragazzi, l’avete capita o no che con il vostro pragmatico anti-pragmatismo, col vostro PCI senza comunismo, PSi senza tangenti, DC senza chiese – insomma senza uno straccio di progetto credibile, gestito da persone nuove e credibili – non si va da nessuna parte? No, non l’avete capita ancora. Leggo commenti offesi e trasecolati di amiche ed amici che non si riconoscono nel proprio Paese, e non si rendono conto del fatto che sia il Paese, da oltre vent’anni, a non riconoscersi in loro!!! Cantavano gli Aeronauten già 20 anni fa: “Ci piace ricordarci dei bei tempi in cui i cattivi erano cattivi, bastava andare nella direzione opposta per trovarsi con i buoni, ma ora si comportano tutti insieme come imbecilli e non la smettono di sputtanarsi: con l’età è destino che l’essere umano si interessi per la musica country”. Fra Bersani e Berlusconi da una parte (dato che sono omologhi) ed Ingroia, Diliberto e Di Pietro dall’altro, c’è solo la differenza fra i banditi tradizionali e la cricca di Amici Miei trent’anni troppo tardi, quando le zingarate non fanno più ridere, ma pena. Noi tutti abbiamo una responsabilità seria. O costruiamo una sinistra vera, di programma, nuova e credibile, orizzontale, non dogmatica, che combatta l’unico partito che parla veramente di politica (Beppe Grillo) sul suo terreno, o teniamo la bocca chiusa e ci vergogniamo in silenzio. Di noi stessi. Perché oggi l’Italia, votando l’opposto di ciò che ho votato io, mi ha dato una lezione di voglia di politica e di democrazia. Ora sta ai grillini dimostrare di avere meritato i voti. Ma se dall’altra parte resta ciò che c’è oggi…

24 febbraio 2013 – Fino al 3 marzo a Milano va in scena Maria Laura Baccarini con lo spettacolo “Gaber, io e le cose”, e già dal titolo, chi mi conosce sa perché ne parlo. ma qui non si tratta del fastidioso scimmiottare di Neri Marcoré o di un evento celebrativo, no davvero. Ricordo di aver visto questo spettacolo per caso, nell’estate del 2011, avendo una sera libera lontanissimo da tutto, essendo particolarmente triste e preoccupato. Ricordo che Maria Laura Baccarini aveva con se soltanto un violinista ed una scarna base elettronica che mi ricordava la musica francese di un decennio fa. Ricordo che ero pronto ad odiarla, a considerare uno stupro ed un insulto qualunque cosa le avrebbe fatto dei testi sacri. Nessuno può imitare Giorgio Gaber, se non da solo, davanti al fuoco, per pochi amici in una notte speciale. Maria Laura Baccarini mette in scena anche la notte speciale, la solitudine efferata e snaguinante di Loreena McKennitt ma senza quella voce esagerata da aliena. Maria Laura Baccarini è una Mariangela Melato che, con il piglio di una militante del partito dei sentimenti controversi, che purtroppo non c’è, invece di gridare srotola le frasi, le parole, dando loro una nuova metrica, sottraendo, sottraendo, sottraendo proprio là dove credevamo che Gaber fosse arrivato al nocciolo duro ed indivisibile del dolore, ed inventa una nuova inaccettabile allegria: ci dice che siamo ammalati, perché sappiamo, ricordiamo, ma non possiamo fare altro. Esistere con questa coscienza dentro, che ti nutre e ti divora al contempo, che ti riempie di slanci e ti trattiene nelle passioni. Col viso coperto di lacrime, come al solito di fronte a tanta bellezza, sono uscito prima della fine. Per credere che altrove, uscito io, Maria Laura Baccarini continuasse, per sempre, a ricordarmi che sono vivo, e perché. Andateci, ve ne prego.

22 febbraio 2013 – Beppe Grillo ha appena finito di parlare. Tutto il Centro di Roma è pieno, immobile sotto la pioggia. Quando Lui ha chiesto di chiudere gli ombrelli, la gente l’ha fatto. La stessa gente che spense la Tv quando glielo chiese Celentano. Non ho mai visto tanta gente. I grillini dicono 800mila. So solo che Piazza San Giovanni, la piazza retrostante fin oltre la chiesa, Piazzale Appio, Via Merulana, sono fitte di persone che ascoltano in silenzio. Alcuni hanno il viso rigato di pioggia e lacrime – come se la Roma avesse appena vinto lo scudetto. Non c’è niente di politico in questa massa commovente e commossa. Non c’è nemmeno violenza, anche se c’è l’Esercito schierato ed io sono finito qui perché volevo andare a vedere Alessia Berardi a Testaccio – impossibile. C’è l’Italia che crede che si sia arrivati ad un appuntamento con la Storia ed ha voluto esserci, mi pare. Dopo stasera sono convinto che Grillo prenderà più del 20% dei voti e sono convinto che, quando si rivoterà in un Paese distrutto dalle banche, dal Montismo, da vent’anni di schifosa correità di Silvio Berlusconi, Piefrancesco Casini, Roberto Formigoni, Umberto Bossi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Romano Prodi e compagnia cantante (gli altri, irrilevanti, non ha senso menzionarli), Grillo prenderà la maggioranza relativa. Per farne cosa davvero non so. Il suo programma politico è splendido nei temi ecologici, di un moralismo calvinista e beghino nel voler fare religiosamente piazza pulita dell’Italia (l’unica Italia credibile, infatti, è quella senza italiani, così come l’unico capitalismo finanziario che funzioni è quello che ha abrogato gli esseri umani), fascista nell’economia e nel sociale, ignorante e volgare nella cultura. Ma è un programma politico. Sono gli altri l’antipolitica, lui lo sa bene, e gioca bene questa carta. Ma non so cosa intenda fare davvero. Non mi importa nemmeno sapere se crede davvero a ciò che dice. Ha messo la gente qualunque a dirigere un movimento di milioni di persone: ha ragione? Ha torto? Lo farà davvero? In questo momento sono altre le cose che contano. Beppe Grillo ha colpito nel segno nel proclamare sante le seguenti idee: a) gli italiani odiano l’Italia e si rifiutano di considerarla come una cosa di propria responsabilità, vogliono che qualcuno spazzi via tutti ma non si interessano tanto del dopo, credono che bastno buona volontà ed onestà – che certo sarebbero un bell’inizio; b) che gli Italiani credono che la responsabilità di tutto sia dei politici, non di coloro che li hanno votati, non di coloro che negli ultimi 65 anni hanno barattato i propri diritti e doveri democratici con uno stipendio spesso pagato a fronte di nessuna prestazione; c) che gli Italiani hanno bisogno di un capocoro, di un capocomico, di un capopopolo. Grillo non parla di merito, ma di dirittio acquisiti ed inalienabili. Sei vivo, italiano, diplomato? Hai il diritto di essere trattato come se tu facessi qualcosa di responsabile, di utile, di onesto, di necessario, di solidale, di efficiente, di innovativo, Basta con i sacrifici, è l’ora di Lucignolo. Quanto schifo e quanto a lungo hanno governato i mostri, se ora persino coloro che da loro sono nutriti e drogati si rivoltano contro? Le Tv diranno che non è vero nulla, o taceranno questa serata. E se il voto non sarà uno schiaffo sufficiente, il prossimo sarà più forte. Ma noi? Noi che crediamo nella complessità, nel senso di responsabilità, nella necessità di capire, di osservare sotto diverse prospettive, di tollerare, di imparare, cosa possiamo fare? Noi che sappiamo che Mario Monti ed i suoi accoliti di finta destra, finto centro e finta sinistra sono solo i complici che, al contrario degli adepti di Grillo, l’Italia allo sbando ce la portano coscientemente e con gusto? Non mi dite Bersani, per favore. Non siamo mica qui per votarlo per poi poter dire: ve l’avevamo detto che si sarebbe legato e venduto mani e piedi. Ve lo diciamo ora.

20 febbraio 2013 – La vicenda di Oscar Fulvio Giannino, purtroppo, insegna molte cose cui finora avevo sperato di non dover pensare. In questa elezione si confrontano due dinosauri, il PD ed il PdL, che dal 1994 monopolizzano la scena politica senza essere in grado di fare altro se non leggi ad personam, promettere cose mai mantenute, distribuire posti di lavoro, fingere di difendere il cittadino per poi difendere gretti interessi personali e di cordata. Stavolta, si pensava, ci sarebbe stato qualcosa di diverso. Un rappresentante gretto, arrogante ed egotico del mondo delle banche, che come la Troika in Grecia è lì per ammazzare il paziente Italia il più velocemente possibile, è una novità. Una volta gli interessi americani erano filtrati dalla Democrazia Cristiana, da Gladio, dalla P2. Ora quelle forze sono esse stesse ostaggio della finanza internazionale, che a partire dal 1973 ha scardinato il sistema degli Stati Nazionali. Quindi c’è spazio per altro. I cittadini chiedevano merito ed hanno ottenuto tre divi della TV: uno Scaramacai intelligente e spiritoso che ha fatto carriera giostrando in un equilibrio pericolosissimo fra giornalismo, politica ed industria (Oscar Giannino); uno di quei magistrati che, non avendo mai vinto un processo, petrché in Italia la preparazione della magistratura inquirente è spaventosa e quindi i procuratori, generalmente, non sono in grado di vincere i processi (Antonio Ingroia); un comico che crede di essere Dio, guidato come una marionetta da degli esperti di marketing (Beppe Grillo). I primi due hanno venduto una merce che in Italia è rarissima: il diritto ad avanzare per merito anziché per appartenenza. Come sempre, in Italia si usano le parole a sproposito. Merito è stato confuso con “titolo universitario”. Così Oscar Giannino se ne è inventato qualcuno per giustificare il fatto di essere capace e di avere delle idee, Antonio Ingroia non ne ha inventati, ma sostiene di poter essere un vero comunista perché da magistrato non ha avuto meriti – ovvero non ha vinto nulla – ed in nome di questo titolo di studio in giurisprudenza, mai tramutato in capacità, essendo avanzato nella carriera per meriti di parte, ora sostiene di essere il campione dei puliti e dei meritevoli, portando con se gli scarti della Seconda Repubblica degli “onesti” come Antonio Di Pietro ed altri mostri sconcertanti. In questo calderone mi piace anche citare Zeropositivo di Piercamillo Falasca, partito come splendido progetto per far spazio ai giovani in un’Italia liberale guidata dal merito, e poi trasformato in poche settimane nello squallido ascensore con cui tre ragazzetti neolaureati, con l’unico merito di avere una spocchi simile a quella di Monti ed un titolo universitario mai messo alla prova dell’esperienza lavorativa (Falasca fa il politico di professione, in diverse organizzazioni politiche, da quando era all’Università), si sono venduti al primo che ha offerto loro un posto in lista con un minimo di speranze di essere eletto. In questo disastro il “merito” scompare, perché non si capisce più cosa sia. E si torna ai provlami religiosi: chi vota Ingroia o Fermare il declino vota spesso con lo stesso atteggiamento fideistico di chi vota Grillo: di pancia, senza sapere, senza poter giudicare, pregando che si tratti della Divinitá giusta che porterá fertilità. Il merito è il grande sconfitto di queste elezioni. Ai ragazzini che, avendo preso una laurea, credono di essere il nuovo, rispondo: fateci vedere cosa sapete fare e tornate fra cinque anni, dicendoci cosa avete fatto. Io non ho finito l’Università – per pigrizia e perché mi offersero un postoi di lavoro come. Ho redattore di un quotidiano, coperto di soldi. A 30 anni ero all’apice della carriera. Oggi Giannino ha 52 anni, Ingroia 53, Grillo più di 60, Falasca una trentina, ed a parte lavorare in Centri Studii di partito non ha fatto nulla. Dico di più. I Zingales, che merito hanno, a parte di esser stati capaci di fare una carriera universitaria? Mi spiego: il fatto di essere un accademico in gamba vuol dire che si è politici o amministratori in gamba? No, e nemmeno significa il contrario. Il Prof. Zingales però si é giocato la sua partita contro Giannino senza pensare alle decine di migliaia di persone che si stavano battendo per FiD, e le ha lasciate volutamente in mutande – perché sostanzialmente, come Monti, Berlusconi, Grillo, Ingroia e compagnia cantante – se ne infischia altamente della gente, anzi la disprezza, la usa, se ne bea quando applaude. Io non faccio il politico. Ho orrore di tutti costoro. Avrei voluto che ci fosse in Italia lo spazio per un partito orizzontale, nuovo, in cui il merito si misura in idee, non in ambizioni e pezzi di carta. In cui il diritto di rappresentare la gente ölo siguadagna dimostrando sul campo, in cambio di niente, di saperlo fare. Non sembra possibile. Non voiterò nessun partito di tifosi urlanti o preti adoranti, non voterò professorini dal culo che aspira a divenire di pietra e che in Parlamento cercano il posto di lavoro sicuro, non voterò fascista, non voterò per chiunque potrebbe aiutare Mario Monti a finire di distruggere l’Italia. Non voterò, consegnerò la scheda in bianco. Per non tradire la memoria di chi è mporto per darmi il diritto di votare. Per non rendermi complice di chi si candida in queste che sono le elzioni più scoperamente schifose da quando sono nato.

17 febbraio 2013 – Venerdì sera sono stato a vedere l’Amleto di Antonio Bilo Canella al Cineteatro di Via Valsolda 177. Scrivo solo ora perché ho dovuto pensarci su molto. Non si tratta di teatro, o forse sì, ma va al di lá di qualunque cosa io abbia visto finora – tranne le Costellazioni Familiari, cui ho preso parte in un periodo importante della mia vita, presso l’Accademia di Stefano Silvestri Dharam Singh, a Roma. Sulla scena, chi agisce segue l’onda energetica che viene dal pubblico e, come per un miracolo, riproduce non solo parte degli stati d’animo, ma addirittura parte delle storie personali dei singoli componenti del pubblico, che infatti (come me, ma eravamo in tanti a dire lo stesso) escono dallo spettacolo sudati, spossati, sconvolti. In questo senso ripetere i momenti più brillanti di 100 minuti squassanti di improvvisazione suona quasi un insulto, eppure ce ne sono stai di esilaranti (il ballo esageratamente saffico fra Antonio ed il manico di scopa, culmimante nella percossione di un cadavere), la realtà, trasformata in ghiaia, che vola da tutte le parti inseguita da un Amleto giovane, perplesso, edipico e poi invece stravolto anch’egli dalla potenza evocativa della maggior parte del pubblico che, atterrita, cercava di schernirsi. Il centro della serata è stata la diatriba “da soli vs insieme”, nella quale sono stato coinvolto direttamente e pesantemente, sorprendendomi a ribadire il contrario di ciò che affermo in pubblico. Perché la performazione, agendo sul sostrato, tira fuori da te, se accetti il gioco, ciò che sei e non ciò che interpreti – soprattutto il bimbo più o meno spaventato e l’adulto fin troppo umiliatio e rassegnato. ma non si tratta di una terapia. Antonio Bilo Canella apre le ferite (anche le proprie, per chi come me lo conosce e lo ha visto urlare a volto trasfigurato nella rappresentazione di un suo odio/amore invivibile eppure indirimibile) e le cosparge di sale, non lenisce il dolore – lo mette in scena, si offre come veicolo, te lo mette lì, ai piedi, come un cocker scodinzolante, ma che poi viene risucchiato dal gorgo dell’accadere, cadere, pervadere, invadere, crollare. Andateci, se potete, a mente aperta e col cuore in mano. Oppure scegliete Pasolini, che è il contrario di tutto ciò. Il teatro di Bilo Canella, fatto di tantissima tecnica e pignoli dettagli, é l’opposto dell’intellettualizzazione del teatro indipendente di certa Italia. La corporeaitá della sua performazione è l’opposto della sessualizzazione: anzi, è puro dolore animale, atavico, primordiale, universale. Evviva, vuol dire che c’è ancora una speranza.

11 febbraio 2013 – Scrive Alessio Giannone, in arte Pinuccio, e condivido pienamente: “Nonostante tutti i tentativi di condurre campagne politiche sul web, queste elezioni si giocano su altri terreni, e chi lo ha capito è proprio Grillo. La sua campagna è impeccabile, il movimento nato sulla rete è sceso in piazza usando le piattaforme virtuali solo per comunicare e mostrare gli eventi. La sua campagna è la migliore, ed è l’unico che non risulta ripetitivo poiché non va in tv. L’altro politico molto seguito sul web è Vendola, ma la sua campagna si è appiattita dopo l’alleanza con Bersani, così il web ha risposto male alla sua comunicazione. Non a caso le percentuali di SEL sono in netto calo. Bersani ha deciso di usare una campagna sobria su twitter, direi moscia e, attraverso alcuni manifesti, ha provato ad essere simpatico, ma la simpatia del PD è vecchia, fuori luogo e ha lo stesso effetto delle barzellette poco efficaci. Il PDL sul web non raccoglie un voto, ha adottato la tattica di incassare la satira e di rigirarla a suo favore in alcuni casi, ma la mancanza di contenuti è la prima cosa che il popolo del web ha riscontrato. Monti ha poco da giocarsi sul web, risalire in pochi mesi le critiche che il web ha rivolto al suo operato è impossibile. Rivoluzione Civile (Ingroia) ha avuto un buon inizio, il nome della lista e Ingroia hanno attirato molta attenzione, ma dopo la presentazione delle liste la “rivoluzione” non è stata più percepita, e la loro comunicazione sul web è praticamente rivolta soltanto a chi ha aderito al movimento, ma non fa proselitismo. Così i leader hanno scelto la tv, con una sovraesposizione mediatica che ha logorato gli indecisi che, quasi sicuramente, premieranno chi ha comunicato meglio e chi ha usato la propria immagine in maniera giusta, o non voteranno”.

11 febbraio 2013 – Comunicato Stampa del nostro Partito Ddeppiù: “Oggi, dopo aspre preghiere e durissimi scontri fra diverse truppe episcopali, Papa Benedetto XVI ha rinunciato al trono. E’ arrivato per la Chiesa il momento di cambiare, di riunire gli scismi, di saldare i legami tradizionali ed al contempo dare una svolta. Per questo motivo Ddeppiù candida a Papa (col nome di Pierbenedetto I, in ossequio alla sua parentela con l’Unto Del Signore, Silvio Berlusconi) nientemeno che Georgios Kyriakos Panagiotou. Costui, noto soprattutto con il suo pseudonimo George Michael, scrive canzoni giuste per Radio Maria, è greco-cipriota (quindi è nato nella Chiesa Ortodossa), è stzato naturalizzato britannico (entrando nella Chiesa Anglicana) per poi convertirsi al Cattolicesimo. Con l’encliclica “Excitabit ante vos ire” (Wake me up before you go) Pierbenedetto I ha posto dei limiti all’intromissione degli assistenti personali del Papa, che tanto avevano creato problemi col veleno nel pontificato di Giovanni Paolo I e rubacchiando documenti pronti per il ricatto con Benedetto XVI. Con l’enclicica “Neglegentem sussurri” (Careless whisper) Pierbenedetto I aveva stigmatizzato fin dall’inizio la tendenza allo spionaggio ed alla chicchiera dei vertici del Vaticano. Ma la sua opera religiosa è naturalmente concentrata in “Fides” (Faith), con cui Pierbenedetto I ha dato una direzione nuova ed originale al Papato, accettando come un dono l’omosessualità e l’esibizionismo, rinunciando ai vincoli storici della verginità ecclesiale ed ammettendo che, per fare il prete nelle alte sfere, a volte bisogna sniffare qualcosa di un po’ più forte del chinotto. Evviva Papa Pierbenedetto I, evviva la Santa Romana Chiesa Cattolica ed Apostolica!”

11 febbraio 2013 – Papa Benedetto XVI ed Anna Oxa, due modi diversi di uscire di scena, due reazioni diverse di fronte all’esclusione dal Festival di Sanremo

10 febbraio 2013 – Grazie Giovanni Salonia. “Il Fatto Quotidiano”, il quotidiano dei grillini. lo leggo molto di rado, se non lo avessi segnalato tu non me ne sarei accorto. L’articolo ha qualcosa di mostruoso e spiega benissimo l’accordo che Bersani, Monti e Berlusconi hanno raggiunto sul sistema bancario: rafforzare la Banca d’Italia come garanzia (verso l’estero, soprattutto) della solvibilità del nostro Paese. Dovremmo esserne contenti? Guardate la composizione della proprietà azionarioa di Banca d’Italia (che NON appartiene allo Stato) e vedremo: Intesa Sanpaolo 30,3% (50 voti), UniCredit 22,1% (50 voti), Assicurazioni Generali S.p.A. 6,3% (42 voti), Cassa di Risparmio di Bologna 6,2 % (41 voti), INPS 5,0% (34 voti), Banca Carige 4,0% (27 voti), BNL Banca Nazionale del Lavoro – Paribas 2,8% (21 voti), MPS Monte dei Paschi di Siena 2,5% (19 voti), Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli 2,1% (16 voti), Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza 2,0% (16 voti). Insomma, la Banca d’Italia è controllata dalle banche che dice di voler controllare. E se la Banca d’Italia scopre un buco grave, chi è che paga, garantendo per il sistema bancario? Lo Stato, cioé noi, secondo un accordo siglato durante il governo D’Alema da maggioranza ed opposizione all’unanimitá ed ora rafforzato dal governo Monti. E noi andiamo a votare questa roba, ovvero la nostra democratica (e cieca) rinuncia ad ogni controllo democratico

10 febbraio 2013 – Negli ultimi 50 anni avrò letto alcune migliaia di libri ed ogni volta mi sono chiesto come dovesse essere il romanzo perfetto da scrivere. Non ci sono mai riuscito, anche la mia biografia di Elio Borradori, più che un testo unico, è una serie di piccole storie, un capitolo dopo l’altro. In questi 50 anni ho letto libri meravigliosi ed indimenticabili. Molti. Ma pochi credo lasceranno un segno duraturo nella mia vita come “La Pazzia di Dio” di Luigi De Pascalis, edito dalla Lepre in Roma nel 2010. Innanzi tutto perché si tratta del “controromanzo” di una delle mie letture di ragazzino, “La Bella Avventura” di mio nonno, Enzo Jemma, che lo aveva pubblicato nel 1932. Se mio nonno descriveva la Grande Guerra, in linea con la linea fascista, come una grande avventura romantica con alcuni risvolti un po’ fastidiosi, De Pascalis racconta il Piave, Caporetto, l’Isonzo in pagine di una crudeltà breve, precisa, mai patetica, parlando di odori e colori, di sangue e vomito, della routine dell’orrore, della follìa omicida dei generali di ogni Esercito che se ne fregavano di mandare a morte centinaia di migliaia di cittadini in una battaglia di posizione impossibile da vincere, conclusa solo perché dall’Austria non arrivavano più truppe nuove – noi italiani eravamo di più e c battevamo per difendere le nostre famiglie, ma De Pascalis lascia che il suo protagonista abruzzese, Andrea Serra, incontri D’Annunzio, Francesco Baracca, ma non come eroi, ma come uomini. Eppure in questa bailamme di dolore, cui segue l’epidemia della spagnola che decimerà i sopravvissuti, Andrea Serra perde (quasi) tutto ciò che amava in modo irrimediabile, per sterminio, e perde una parte insostituibile di se stesso. Ma lo salvano le amicizie, il caso, l’educazione (quando resta da solo, vivo, per caso, solo perché non gli viene in mente di scappare, nel momento in cui la sua linea viene travolta). Lo salva il lupo che è nato dentro di lui, un lupo fatto di ombre, routine, spossatezza, stordimento, freddo, fame, dissenteria. Un lupo fatto di morte che lo aiuta a restare in vita. Un lupo che tiene la gioia come il più segreto dei peccati: “Non impiegai molto a capire che quella specie di brivido che provavo nel disegnare non lo provava nessun altro. (…) Insomma era una cosa solo mia, che mi allontanava dagli altri. Più tardi capii che questo succedeva non perché mi piaceva disegnare più che agli altri bambini ma perché mi incantavano cose del mondo per cui (gli altri) (…) non provavano il minimo interesse. Avevo scoperto la solitudine. Ho speso la vita ad abituarmici”. Insomma, il talento speciale che ti tiene in vita in un mondo che si sgretola ti rende solo. Una cosa che conosco benissimo, l’impossibilità e l’inutilità di comunicare alcune cose fondamentali della propria vita. E qui De Pascalis crea un miracolo consolatorio, facendo incontrare padre e figlio proprio in quel territorio inconfessabile, in un ospedale militare, a cavallo fra due vite, l’una che volge alla fine e l’altra che non riesce ad iniziare. Non sono la üpersona giusta per sostenere che “La Pazzia di Dio” sia un capolavoro assoluto. Sta di fato che se non esistessero “L’Uccello che gira le Viti” Marukani Haruki, “Storia della ragazza cattiva” di Vargas Llosa e questo libro stupendo di De Pascalis, io non saprei più chi sono io. E quanto sia profondo ed orribile il baratro che abbiamo di fronte. Chi oggi si prepara per ignavia e cecità alla nuova Grande Guerra deve leggere questo libro. E se non sa piangere, che muoia pure, perché gli anni a vaneire non risparmieranno la vita dei vecchi ciccioni come me e dei coglioni come loro.

9 febbraio 2013 – Scrive Davide Giacaloneed io concordo: “Quando Silvio Berlusconi descrive la Corte costituzionale quale consesso politicamente orientato e schierato con la sinistra, nonché pronto ad accogliere i ricorsi promossi da aderenti a Magistratura democratica (corrente di sinistra delle toghe), provo fastidio. So che la raffigurazione è realistica, ma i toni pulp contrastano con l’idea che ho delle istituzioni. Quando, però, trovo sui giornali pubblicità elettorale pagata da un presidente emerito della Corte, il quale chiede voti per sé e per “Bersani presidente”, oltre tutto facendo finta di non sapere che la Costituzione vigente esclude che qualcuno si candidi a presiedere il governo, quando vedo Giovanni Maria Flick far campagna elettorale proprio alludendo ai nove anni passati presso la Corte, avverto una certa nausea. Sto forse sostenendo che un ex giudice costituzionale non dovrebbe candidarsi? Sì, esattamente. Conosco a memoria la gnagnera sui diritti costituzionali che sono uguali per tutti, al punto che ci sono non solo candidati, ma oramai partiti dei magistrati, per giunta chiamati al voto laddove la legge esclude che possano essere eletti, ma conosco anche l’esito di tale improponibile disinvoltura: il massacro degli equilibri costituzionali. Piuttosto credo che molti non conoscano il dettato dell’articolo 135 della Costituzione, ove non solo si descrive il perimetro dei potenziali giudici avendo cura di sceglierli fra quanti si sono dedicati al diritto e non alle contese politiche, ma si aggiunge che non possono essere nominati una seconda volta. Perché? Non certo per non dare loro troppo potere, ma per renderli totalmente liberi nelle loro decisioni, talché non debbano in nessun modo compiacere chi (Parlamento o presidente della Repubblica) possa domani riconfermarli. Il giudice costituzionale deve essere totalmente libero, anche solo dal dovere pensare al proprio futuro. A tale scopo, oltre tutto, una volta uscito dalla Corte lo Stato gli garantisce il benessere e non pochi privilegi a vita. Ancora una volta: per riconoscenza? No, per evitare che pensi, nel giudicare, di doversi conquistare la riconoscenza di altri. Tutto questo va a gambe all¹aria se uno di questi emeriti prende i soldi che riceve per essere indipendente e li usa per gettarsi nella più naturalmente faziosa delle carriere, vale a dire quella politica. Non conta il giudizio sulla sua indipendenza odierna, conta, e moltissimo, quello sulla sua indipendenza passata. Come faccio a credere che lo sia stato se in lui batte il cuore di chi si schiera apertamente? Giovanni Maria Flick, inoltre, raggiunse la sfacciataggine di farsi eleggere presidente della Corte il 14 novembre del 2008, salvo decadere il 18 febbraio 2009. Il che non solo viola il citato articolo 135 (ove si stabilisce che il presidente rimane in carica per tre anni), non solo dimostra che pur di essere emerito è stato disponibile a far finta di fare il presidente, per soli tre mesi (Natale compreso), ma esclude che con questo straordinario curriculum sia persona che possa in alcun modo porre questioni sui privilegi altrui. Anzi, aspira a sommare quelli propri a quelli del parlamentare. Intanto vi annuncio il mio: dato che si candida in ben due collegi, Lazio e Piemonte, quale elettore nel primo avrò il privilegio di non votarlo. Lo condivido volentieri con i piemontesi”. Davide ha ragione, ma l’esempio di Flick è solo il passo successivo alla candidatura Ingroia, che pone solo apparentemente meno problemi di natura legale, ma a parte questi, è una mostruosità dal punto di vista dell’opportunità. Chi si è battuto per anni come magistrato come Silvio Berlusconi non può candidarsi contro di lui politicamente, oppure si da ragione a chi sostiene che la magistratura italiana sia politicizzata e che le inchieste contro il nano fossero a sfondo politico. Sapete che ne penso? Chi vota Ingroia lo fa coscientemente, da tifoso o membro di setta religiosa, sperando che öle toghe fossero davvero rosse. La prima volta che verrà fermato perchè passeggiava accanto a dei dimostranti si accorgerà, troppo tardi, del suo tragico errore.

9 febbraio 2013 – Beppe Grillo, in un’intervista al quotidiano genovese “Il Secolo XIX” (aggiungo io, uno dei migliori quotidiani italiani), annuncia la sua cooperazione con il fiscalista Vittorio Uckmar. Grillo se ne vanta e spiega che sarà Uckmar a disegnare la nuova finanza ed il nuovo sistema fiscale italiano. Prima considerazione, sei mesi fa Uckmar era un fondamentalista del governo Monti che diceva che bisogna pagare e tacere (http://www.lindipendenza.com/uckmar-evasione-rendite/), quindi ci pare coerente da parte di Grillo quello di prendere il fiscalista più “di destra” che c’è sul mercato e fare proprie le sue idee. Ma questo non basta: in un Paese che dimentica oggi ciò che è stato sei mesi fa, è necessario ricordare più precisamente chi sia Vittorio Uckmar, uno dei genovesi più potenti degli ultimi 50 anni. Per tantissimi anni è stato colui che verificava e certificava (da solo) i bilanci delle squadre professionistiche del calcio italiano. Ma queste sono inezie. Per decenni il suo studio fiscale è stato il corrispondente italiano della Fidinam di Tito Tettamanti (e per questo motivo diverse volte il suo nome, quello di Uckmar, è apparso nelle carte delle inchieste di Tangentopoli). Chi sia Tettamanti, ovviamente, oggi non lo sa più nessuno, anche perché questo ticinese di 83 anni nel frattempo ha sposato una donna giovanile ed intelligente e si è spostato a Montecarlo, dove sta passando i suoi ultimi anni in pace ed è scomparso dalle pagine dei giornali, a parte qualche apparizione politica in Svizzera quando prende posizione su qualche referendum. Tito Tettamanti è colui che ha fondato la Fasco AG di Vaduz, la società di Michele Sindona con cui il banchiere, fino al caffé che lo spedì al creatore, gestiva gli affari della mafia dei Due Mondi e del Vaticano. Tito Tettamanti, da ministro ticinese, venne colto sul fatto e costretto a dimettersi per corruzione. Tito Tettamanti è stato coinvolto (come maggiore azionista) nella bancarotta della Weisskredit Bank e di altri istituti bancari ticinesi, tutti legati con il contrabbando. E’ stato coinvolto nelle inchieste sulle forniture d’armi al regime argentino, nelle inchieste sui greenmail (una sorta di ricatto finanziario) alla United Airlines ed altre grandi compagnie americane, attraverso la sua società sono passate la maggior parte delle tangenti dello scandalo Enimont, persino Berlusconi e i clan di maggiore tradizione della mafia siciliana e del traffico di rifiuti tossici internazionali sono passati per le sue stanze. Tito Tettamanti, per oltre 40 anni, è stato l’uomo che risistemava i problemi finanziari ed aiutava in quelli giuridici tutti coloro che, in Italia, ne avevano davvero bisogno. Tracciare una linea che lega Beppe Grillo a Tito Tettamanti significa per me non solo confermare ciò che temevo (ovvero che Casaleggio & Associati sia un’organizzazione di estremismo di destra pericolosa e molto più aggressiva di una sgallettata come Alessandra Mussolini o di un ladro di polli come Storace), ma significa inserire (l’ignaro, credo ancora) Beppe Grillo nello stesso Gotha della storia italiana in cui seggono Licio Gelli, Giulio Andreotti, il cardinale Marcinkus. Ciò non di meno tantissima brava gente gli crede e si batte per lui. Non so dire se ho più pena per costoro o schifo e paura per ciò che Casaleggio e Grillo faranno una volta dovessero riuscire ad entrare nelle stanze dei bottoni – e ci riusciranno, se i loro avversari sono vecchie zitelle come Bersani o vescovi balbuzienti di sette religiose oramai estinte come Ingroia. Lo dico da mesi, e non da solo. Si rivota prima di natale, con il paese stremato, in ginocchio, sull’orlo della Guerra Civile – e tutto perché la gente per bene, per pigrizia e superstizione, continua a votare a cazzo e ad impedire la creazione di movimenti politici veramente nuovi ed indipendenti.  http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2013/02/08/APD9qzgE-grillo_mesi_rivota.shtml

7 febbraio 2013 – Ieri sera sono finalmente riuscito a vedere “Gli Ebrei sono Matti” di Dario Aggioli, interpretato dall’autore insieme all’inseparabile Angelo Tantillo. Si tratta di uno spettacolo apparentemente semplice: in una stanza di un manicomio piemontese, due personaggi. Enrico ripete ossessivamente frasi del Duce ed insegue il fantasma dell’infermiera Luciana, cui ha toccato il sedere e che quindi non gli viene più a dare i bacetti sulla fronte. Angelo cerca di imitare Enrico, ma non è matto. E’ un intellettuale ebreo, il famoso insegnante di teatro Ferruccio, fuggito da Roma che i medici hanno nascosto sotto falso nome, Angelo appunto, per evitare che soccomba alle leggi razziali del regime. Vi avverto subito: chi, come molte anziane signore impellicciate ed apparentemente presenti, si aspetta di ridere. Non si ride, o si ride a denti stretti. Chi, come me, perennemente travolto dalla burbanza del suo pathos, si aspettava un’alluvione di lacrime, sia pronto ad accettare che Aggioli e Tantillo riescono a porre la conversazione impossibile fra i due personaggi ad un livello di umanità disperata e disperatamente sola, incomunicabile, in cui l’orrore del nazismo diviene un aspetto di questa solitudine, di questa mancanza di comunicazione. Mentre i due personaggi lottano contro i propri limiti per cercare di costruire una relazione di amicizia (“ti regalo un segreto, e quel segreto sarà tuo, perché i regali non si danno mai via”), il personaggio di Enrico, quando soffre troppo per i limiti della sua balbuzie ed incapacità di focalizzare, indossa delle maschere. Protetto dalle meschere riesce a dire frasi che altrimenti lo sormontavano, lo annichilivano – cita Mussolini a memoria. Questo è, a mio parere, il centro di questa piéces sull’incapacità di dialogare intimamente, di parlarsi DAVVERO. In un mondo dominato dal fascismo non c’è scampo nemmeno nella pazzìa, perché anche la pazzia, come estrema forma dell’interazione umana, viene combattuta. Alla fine vengono i tedeschi, uno dei personaggi verrà deportato, l’altro, che nel frattempo ha assunto tutti i metodi espressivi anche del suo compagno di cella, resta sovrumanamente solo. Ma non si piange. Si ammette, dopo aver visto un gioiello di teatro, di metafisica resa accessibile a chiunque con grazia e senza spocchia, e vera umanità, che la vita potrebbe essere bella e semplice, se papà e mamma venissero a trovarci, se fossimo stati buoni, se Luciana mantenesse la promessa di un bacio vero, se le bombe della guerra, arrivando in silenzio, liberassero invece di opprimere – si ammette che la vita sarebbe degna di essere vissuta. Ma nel manicomio criminale in cui tutti noi siamo rinchiusi l’affetto è scomparso. Restano solo le voci stentoree ed i messaggi di volgare violenza della politica. E due possibili matti che non solo non salevranno l’umanità, ma nemmeno se stessi, rinviando il tutto al pubblico. Enrico lo vede ancora, in sala, cerca di conversare anche con le persone. Angelo, invece, non ci crede più, non vede nulla, La rassegnazione gli ha uccios la speranza della pazzìa – proprio come succede a noi in questa disgustosa campagna elettorale fatta da criminali confessi, proprio come succede a noi in questa Italia in cui nemmeno sotto la cenere sembra più covare una rivolta che non sia cieca e quindi inutile.

6 febbraio 2013 – Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “Qualcuno crede sia possibile tassare i soldi che gli italiani tengono in Svizzera, non accorgendosi che oramai, con la folle pressione fiscale raggiunta in Italia, conviene andarci a vivere, nella Confederazione elvetica, mica solo nasconderci i soldi. I quali soldi, del resto, se sono nascosti non risiedono in Svizzera e quindi, anche in caso di (improbabile) accordo non per questo verranno tassati. Nel 2010, con lo scudo fiscale, si potevano prendere i soldi detenuti all’estero e riportarli in Italia, oppure lasciarli dove si trovavano e regolarizzarli. Costo dell’operazione il 5 o il 6%. Dopo di che si poteva scegliere di mantenere l’anonimato, oppure farli emergere e spenderli liberamente. Nel 2013 si pretenderebbe di lasciare i soldi in Svizzera, regolarizzarli pagando dal 20 al 40% (le idee sono così chiare che l’aliquota è leggermente ballerina), per poi pagare annualmente le tasse su quel che rendono. A fronte di questo costo, però, non puoi disporre liberamente dei soldi, perché se ti metti a spenderli arriva il redditometro e ti piomba addosso una verifica fiscale. E ti voglio vedere a spiegare l’arcano. Spenderli tutti in contanti, pagando amanti slave e incontrandole in Romania, può essere disagevole e faticoso. Tre anni fa, con il 5%, ottenevi molto di più che oggi, con il 40. Fatemeli conoscere, quelli che acconsentono, così provo a convincerli a seminare i dobloni e attendere che fruttino altre ricchezze. Si dirà: ma non devono aderire, perché facciamo l’accordo con la Svizzera e li becchiamo con i fondi all’estero, i disgraziati. Sì, lallero! Sono mesi che se ne parla, e se ne parlerà ancora per molto, tempo nel quale i soldi o sono spiccioli, o appartengono ai morti (gli svizzeri sono specialisti nel nasconderli agli eredi e papparseli), oppure se ne sono andati o se ne andranno. Funziona così: l’inguattatore italico li aveva portati a Lugano, nascondendoli nelle mutande, così poteva parlare l’idioma natio con il cassiere; al momento del pericolo, però, quei soldi vengono affidati a una gestione, il che consente di parlare sempre in italiano con chi te li custodisce, ma aprendo un conto nella filiale estera della medesima banca; quindi, al momento dell’accordo fra i due stati, il cliente va a prelevare comunque in Svizzera, ma i soldi si trovano a svernare ai tropici. E tassare si tassa un tubo. Nel mentre ci si scervella per capire come si fa a spremere gli esportatori clandestini, però, capita che valanghe di quattrini finiscano in Svizzera sotto gli occhi di tutti. Anzi, fra gli applausi. Come si fa? Come hanno fatto quelli del Monte dei Paschi di Siena: comperando titoli equivoci che vengono intermediati da soggetti luganesi che, sono pronto a scommetterci, o non esistono o risiedono in due camere e cucina, perché sono fasulli. Si paga la commissione per il lavoro mai fatto e si crea un tesoretto. Di nascosto? Ma quando mai! Sta scritto nei prospetti e nelle descrizioni dei titoli acquistati, regolarmente depositati presso le autorità (si fa per dire) di vigilanza (si fa per ridere). Sono elefanti per non vedere i quali, alla frontiera, si deve essere motivatamente distratti. E i nostri malefici industrialotti? I professionisti ricchi? I tanti indicati quali affamatori del popolo? Avranno i loro soldi in Svizzera, non è vero? Ci trovi direttamente loro, in Svizzera. E mica i piccoli, ci trovi anche i grossi. Chiedete a Carlo De Benedetti? Tutto regolare e alla luce del sole: non solo in Italia si pagano tasse più alte, ma dall’altra parte vige l’ordine e la pulizia e se qualcuno non ti paga il tribunale lo fa secco in un paio di mesi. Quindi non passano la frontiera di notte, con la valigetta nascosta, ma di giorno e con il camion dei traslochi. Questo è il risultato del fisco demoniaco, cui, come sempre, non sfuggono quelli che hanno troppo poco da nascondere. O non hanno nulla, oltre le tasse. Infine: se tassiamo i capitali all’estero (aridaje) usiamo quei soldi per restituirli agli italiani. Forse non è chiaro: il debito pubblico cresce e i tassi d’interesse cresceranno, quei soldi, quindi, li butteremo dove abbiamo buttato gli altri, finanziando gli investitori che scommettono contro la nostra capacità di comprimere la spesa e abbattere il debito. Vale a dire finanziando i nostri ricchi (e quelli altrui) a carico dei nostri poveri. Sicché ho una proposta: non facciamo nessun accordo ed esportiamo in Svizzera la classe dirigente tassaiola e spendacciona, incapace di fare la metà di quel che serve, la chiudiamo in una cassettona di sicurezza e la lasciamo agli amici dei pascoli, degli orologi, del cioccolato e dei soldi ammucciati. Lo scudo lo usiamo per ripararci, nel caso tornino indietro”.

3 febbraio 2013 – La diatriba fra Mario Monti e Maurizio Crozza ha mostrato una faccia dell’ex Presidente del Consiglio che era giusto che gli italiani vedessero. Ha mentito, Monti, mentito in modo ridicolo, e Crozza lo ha sbugiardato. Per mettere in crisi Berlusconi da 20 anni decine di giornalisti indagano senza sosta. Per sbugiardare le menzogne di Monti basta un comico. Lo ripeto. Il governo dei tecnici è uno slogan pubblicitario. Costoro hanno semplicemente fatto pedissequamente gli interessi delle banche, dando il colpo di grazia al Paese. Guardate con chi si presenta. Casini, Montezemolo, poi uno stuolo di giovani arrivisti da Seconda Repubblica da far spavento. Mario Monti, se eletto, sarà il terminator dell’Italia. Ha aumentato le tasse oltre ogni limite di sopportabilitá, non ha risolto nessun problema nella macchina della pubblica amministrazione, della giustizia, dell’istruzione o delle pensioni ma anzi, ha creato gli esodati ed ha fatto aumentare il debito pubblico. Con le sue menzogne villane, arroganti, burbanzose e spettrali ha rivalutato l’immagine di Silvio Berlusconi risuscitandolo e facendone una vera alternativa. Ma questa é la situazione oggi. O votare come un hooligan partitini senza programma e/o sette religiose, o far finta che Bersani ce la farà senza dover fare un accordo con il Moloch delle banche. Non so se sono più disperato o furibondo.

2 febbraio 2013 – Non era Benito Mussolini che diceva: “Allenare la Roma non è solo impossibile, è inutile”?

27 gennaio 2013 – Scusate se ci ho messo tanto a parlarne. Circa una settimana fa Fabio Fazio, il necrofilo della musica italiana, colui che organizza i concerti dei morti per fare carriera, ha fatto una puntata su Giorgio Gabernel decennale della sua scomparsa. Una marea di cose che sarebbe stato meglio non fare, quasi nessuna delle canzoni fondamentali. Luciana Littizzetto ha letto un testo importante, gli altri continuano l’opera di banalizzazione dell’opera gaberiana iniziata già al suo funerale. In questa serata Fazio ha invitato Paolo Rossi a declamare “Qualcuno era comunista”. Lui l’ha fatto insieme a Walter Veltroni e Fausto Bertinotti. Mi mancava l’aria per la rabbia, la frustrazione, l’orrore, il dolore. Mi sono sentito male guardandolo, mi girava la testa. Io non so cosa questo nostro Paese abbia capito di Giorgio Gaber. Probabilmente poco. Giacomo Leopardi, l’ultimo immenso poeta prima di lui, è ancora banalizzato oggi, oltre 180 anni dopo la sua morte. Ma per un gruppo di ragazzi come me, che si rifiuta di invecchiare dentro, Gaber è stato, con tutti i suoi dubbi, la misura del mondo. Vederlo stuprato, commercializzato, quasi ridicolizzato in questo modo è un delitto, reso possibile solo perché la sua famiglia lo lascia accadere. Mi viene da pensare che Ombretta Colli debba averlo odiato infinitamente, il marito, o non l’ha amato e capito mai. Scusate se ci ho messo tanto a postarlo, ma questo è uno spartiacque. Se Bertinotti e Veltroni fanno proprio Gaber, a noi non rimane più nulla di pulito. Vi prego, Dalia Gaberscik ed Ombretta Colli, voi che avete scelto di lavorare per Silvio Berlusconi e far politica nella Leganord: ora basta, dimenticatelo, lasciatelo riposare in pace. Lasciate che noi lo si pianga in pace. Non permettete più a Fazio e ad altri mostri di trasmettere questa roba schifosa: http://www.youtube.com/watch?v=b2KplBfId6w

25 gennaio 2013 – Lo scandalo del MPS Monte dei Paschi di Siena, sommato allo scandalo di AdR Aereoporti di Roma, mostra una faccia nuova di Mario Monti e della sua direzione politica. Quest’uomo, che da 15 mesi tiene sotto ricatto tutti, non solo è il responsabile maggiore, cosciente e volontario della crisi strutturale che sta scuotendo l’Italia dalle fondamenta, ma è anche corresponsabile di alcune scelte politicamente inaccettabili e forse persino illegali. Non si è fermato davanti a nulla pur di ricapitalizzare le banche, stremate dai loro stessi errori e corruttele, contribuendo a far pagare a noi cittadini tutto il costo della crisi bancaria internazionale, ma ha anche giocato sporco, usando denari pubblici per creare situazioni di turbativa del mercato (senza l’aiuto del governo Monti MPS non esisterebbe più, ed il PD ed il PdL sarebbero alla sbarra degli accusati per aver contribuito ad affondare la più antica banca del pianeta) ed usando i decreti legge per permettere operazioni illegali (come la cessione da parte di Benetton dei propri terreni di Maccarese ad AdR nonostante ciò fosse esplicitamente impossibile ed inaccettabile, prendendo per giunta questa decisione dopo lo scioglimento delle Camere, quindi in una situazione di incostituzionalità). Torniamo ad una questione più volte sollevata. Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema e Romano Prodi hanno gestito in maniera pressoché univoca e concorde il Paese per quasi 20 anni, portandolo allo sfacelo. Non riuscendo gli uni a prevalere sugli altri, Berlusconi è stato combattuto sul piano morale – mai sul piano politico, perché su quel piano PD e PdL sono sempre stati correi (pappa e ciccia, insomma). Monti è arrivato come il Terminator e gode apparentemente di impunità non solo giudiziaria (come il PD) ma anche morale (come il PdL), mostrandosi come la sintesi dei difetti peggiori della partitocrazia della Seconda Repubblica. Mai come oggi, per dare una spallata a questo sistema, ci vorrebbe fantasia. Invece noi abbiamo una setta religiosa di fanatici in parte filofascisti (Beppe Grillo) e poi decine di sigle di piccoli satelliti dell’esplosione dei grandi pianeti, pieni di riciclati innominabili. Come voteremo? Come votano sempre gli italiani: con il voto di scambio. Alla fine la maggior parte degli indecisi voterà seguendo le promesse di posti di lavoro, specialmente al Sud. Mario Monti, qualunque sia il risultato, continuerà a ricattare tutti, la crisi peggiorerà. Dobbiamo inventare qualcosa di veramente diverso, pazzesco, fuori dagli schemi, per salvare la democrazia senza spargimento di sangue ulteriore. Perché dico ulteriore? I dati vengono segretati. Dal gennaio al dicembre 2012 oltre 300 imprenditori e commercianti si sono tolti la vita per i debiti. Debiti contratti perché lo Stato esigeva da loro tasse per introiti che non avevano incassato – o perché le banche avevano smesso di dare loro le fidejussioni promesse. In un anno sono scomparse 350mila piccole imprese, oltre 3 milioni di posti di lavoro. Questo è il sangue degli italiani, versato per salvare le banche ed il sistema dei partiti della Seconda Repubblica e dell’orrore della finanza globale.

11 gennaio 2013 – In queste ore lo hanno scritto in tanti. Silvio Berlusconi ha ridicolizzato Santoro e Travaglio. Questo perché i due sono dei vecchi tromboni presuntuosi e non si aspettavano che Berlusconi fosse in grado di giocare sul loro stesso terreno (quello dell’ironia) e che avesse in più una carta che i cosidetti giornalisti di “Servizio Pubblico” non hanno: sa parlare delle cose della politica. L’unico momento in cui Berlusconi era VERAMENTE in difficoltà è stato quando una bravissima giovane giornalista lo ha incastrato sull’affare Bundesbank / Deutsche Bank. Santoro è stato rancoroso, collerico, fastidioso. Travaglio era travolto dalla commozione ed è stato, da ciellino quale è nel profondo del cuore, cattolicamente moralista. Siamo alle solite. Silvio Berlusconi non va sconfitto per le sue vicende giudiziarie, non ce la si farà mai. Va sconfitto sul terreno della politica, mettendolo di fronte alle proprie contraddizioni, alle promesse non mantenute, all’umiliazione del Parlamento. Va dimostrato che esistono idee diverse e migliori delle sue. Mostrare 77 dipendenti che verranno spostati da Roma a Cologno Monzese per simboleggiare la marea di licenziamenti della Fininvest (che da lavoro ad oltre 20mila persone) è ridicolissimo, se si pensa a ciò che sta succedendo nel nostro Paese. Quasi tutti gli attacchi portati da Santoro e Travaglio si sono trasformati in assist e loro hanno perso il controllo sui propri nervi. Quando se ne è accorto, Berlusconi ha stravinto. La scena di lui che abbraccia Santoro o pulisce la sedia su cui si è seduto Travaglio è da storia della commedia all’italiana, un grandissimo numero da genio del palcoscenico. Santoro e Travaglio sono l’antipolitica, reazionaria e arrogante, di un mondo che deve sparire, se vogliamo liberarci di Berlusconi.

23 dicembre 2012 – È un anno molto duro per tutti, quello che si sta concludendo. Il prossimo sarà di gran lunga peggiore. La maggior parte di noi, per pigrizia o superstizione, rifiuta di prepararsi. Mi piacerebbe poter affermare, megalomane e paternalista come sono, che sarò qui ad aiutare, ma sarebbe una bugia. Sarò un pesciolino come voi, perso nel panico in un oceano risucchiato dopo che un tappo immane è stato tolto alla vasca che conteneva le nostre vite. Dirò cose cattive, farò cose sbagliate, agirò per collera e per disperazione, per vanità e vittimismo, per orgoglio e paura – come farete voi. Rovisterò istericamente nel paniere delle mie idee malpreparate ed assorte alla ricerca della formula magica che salvi me e le persone a me care dal disastro, e non le troverò. Penserò ancora di scappare, di andare a vivere in Portogallo e dimenticare questi ultimi anni vorticosi – e poi resterò qui, perché la scimmia della curiosità non impara mai dai propri sbagli, li dimentica. Una mia amica del cuore mi ha scritto della mia bulimia socializzante, dovuta alla paura del nulla che avanza, e mi ha aggiunto una bellissima citazione di Eva Pierrakos: “Molti sono consapevoli, alcuni in modo anche acuto, del fatto che nel profondo della loro anima esista uno struggente desiderio di essere amati. Quando tale desiderio raggiunge la coscienza, esso viene spesso confuso con la capacità di amare”. Come è vero. E non solo quando guardo me stesso. Eppure l’affetto è tutto ciò che ci resta, l’unica arma che avremo in mano quando l’economia crollerà, la politica dichiarerà la resa, la violenza riempirà le strade. Chi, per allora, non avrà davvero imparato ad amare sarà fottuto. Gesù disse: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Povero Gesù, quanto tempo… oggi nessuno ama più se stesso, e quindi è meglio che non ami gli altri allo stesso modo. Oltre il 90% delle persone che incontro per strada, leggendo questo testo, non ne capirebbero nemmeno una riga. Sono completamente alienate, fuori di testa, fuori da se stesse, incoscienti in senso clinico. Ma gli altri soffrono, la differenza è lì. Io non sono che un pesciolino, come lo siamo tutti. Rieccheggia una canzone popolare: “Teniamoci per mano in questi giorni tristi”. Perché il sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi, sarà chiamato ad un nuovo tributo, e noi dobbiamo imparare a resistere, reagire, essere solidali, difendere noi ed i nostri affetti. Violeta Parra ringraziò la vita mentre stava per lasciarla. Io ringrazio voi, perché siete il motivo per restarci attaccato coi denti.

20 dicembre 2012 – Tanto tuonò che piovve. Sono andato a vedere “Fratto X” di Rezza e mi è quasi piaciuto. Sono addirittura tentato di chiuderla qui, ma chi mi legge sa quanto io sia innamorato della mia logorrea. Le scenografie dello spettacolo sono meravigliose, cose mai viste oppure già viste ma mai così belle. Il robot col palloncino che ha uno dei ruoli principali è indimenticabile, così come la trovata di avere un attore deuteragonista ma Rezza che parla per tre: per se, per l’attore ed il robot. Grandissima la scena finale con la lente che fà rimbalzare la luce degli spots sui visi degli spettatori: Maurizio che è uno stronzo, Scott che si chiede se esista ancora la spensieratezza, e via di seguito. Tantissime trovate divertenti, tutte costruite con lo stesso unico sistema del sillogismo. Se l’affermazione X è vera e l’affermazione Y è vera, allora da queste due concause ne consegue che debba esistere una Z che sia vera anch’essa, logica deduzione di X ed Y. Ma dato che X ed Y sono follìa pura, Z è verosimile solo perché il sillogismo afferisce metaforicamente ad una quarta forza della logica aristotelica, che è l’usanza, la regola sociale. Togliete questo e la grande fisicità, restano solo le grandi scenografie, che già da sole giustificherebbero il prezzo del biglietto. Rezza dice cose facili facili, non usa mai il congiuntivo, non esprime mai opinioni controverse, cerca nel pagliaio della banalità l’ago che nessun altro sarebbe stato capace di trovare, e poi gioca con la nostra percezione del tempo e dello spazio con una maestria incomparabile per farci credere che esistesse un motivo per trovare qull’ago – quando un motivo vero, dicono immediatamente dopo i suoi personaggi, non c’era mai stato. Lo sketch su Mario, che si svolge in gran parte lontano dal palco, è grandioso, fenomenale. Dopo lo spettacolo torno a casa alleggerito, allegro. Sì, caro Rezza, esiste ancora la spensieratezza. Sei tu, anche se la butti giù un po’ complicata per farcelo capire. E da domani torniamo a discutere e soffrire per cose serie e più noiose, purtroppo.

20 dicembre 2012 – L’avevo scritto a novembre dell’anno passato, quando Berlusconi venne fatto dimettere. Non gioite, perché il suo passo indietro e la nomina di un governo di tecnici leale alle banche avrà un solo risultato: il peggioramento della situazione ed il ritorno di Berlusconi al potere. Ancora oggi pochissimi credono che ciò possa accadere, ma non si può non vedere che lui appaia come “mondato di tutti i peccati”. Come se non avesse un passato, come se fosse stato dimenticato tutto. La campagna elettorale che ha lanciato è la più violenta dei suoi 20 anni di regime. Oggi si attacca il giudice del Caso Ruby perché ha gettato una cicca di sigaretta a terra. Berlusconi è dapertutto e dice cose straordinarie – non tanto dal punto di vista politico, anche se ne dice, ma dal punto della violenza verbale e della menzogna. Non si ferma più dinnanzi a nulla. Ma allora, vi prego, per una volta almeno, cerchiamo di mantenere la calma e cercare di dire la verità noi. Noi che vorremmo sottrarci alla berluscloroformizzazione che stabilisce che Rosy Bindi ed i giudici milanesi siano “comunisti” ed altre sciocchezze del genere. Prima cosa, che è valida da sempre, ma nessuno la vuole ascoltare. I governi vengono giudicati per ciò che hanno fatto politicamente, non per il comportamento sessuale dei suoi ministri. Silvio Berlusconi dovrebbe restare a casa perché in 18 anni non ha fatto nulla di ciò che ha promesso. Ha solo fatto approvare leggi ad personam che lo proteggessero dalle inchieste penali o che procurassero un vantaggio sleale alle sue aziende. Ma se lui, contemporaneamente, avesse risolto la crisi del bilancio, quella della sanità, quella della ristrutturazione industriale in senso della ecosostenibilità e dell’alta tecnologia, se avesse restituito competitività al mercato italiano, sostenuto ed incoraggiato la cultura, migliorato l’istruzione (che invece ha affossato), e soprattutto riordinato la giustizia, che non funziona, che non da nessuna garanzia ai giusti come agli ingiusti, se lui avesse fatto tutto questo, allora vi dico: che vada a letto con tutte le ragazzine che crede, io avrei fatto il tifo per lui. Ma Berlusconi non ha fatto nulla di tutto ciò, e lui lo sa. Lui dice: non si può fare, in Italia, se non hai il 51%, ed io non l’ho avuto mai, ho sempre dovuto fare alleanze con partitini che mi ricattavano, la Lega prima di tutto. In questo modo, cari deficenti del PD, avete ottenuto che la gente comincerà a credergli. Anche perché quando siete stati al governo voi non avete abrogato nemmeno una delle leggi ad personam e non avete fatto nessuna delle riforme necessarie – nemmeno voi. Politicamente, quindi, Berlusconi ha ancora qualcosa da sostenere, voi la buttate sul dileggio moralista. Perderete. Seconda cosa: la sinistra non ha un programma politico alternativo. Il motivo per cui a Mario Monti ed alla sua squadra di dilettanti spacconi è riuscita l’operazione di affossare l’economia italiana, umiliando la società e procedendo ad una barbarizzazione dei costumi superiore a quella del regime berlusconiano (perché Monti ha sdoganato il principio che il furto, se gestito aristocramente, sia giusto, ma questo é un altro tema lunghissimo da spiegare), è che il PD ed i suoi alleati non hanno nulla di credibile ed efficiente da opporre. L’unico che aveva tesi sostenibili, Matteo Renzi, è stato combattuto perché evidentemente non comunista, perché probabilmente eterodiretto, antipatico, saccente. Ma resta l’unico con un programma, e tutti noi sappiamo che erediterà il PD dopo la prossima sconfitta, che è molto più vicina di quanto si creda. Terza questione: Berlusconi aveva rotto quasi tutti gli argini, costruiti in oltre 50 anni di mediazione democristiana, fra l’italiano e la sua natura volgare, fascista, egoista. Berlusconi ha restituito all’italiano ignobile e mostruoso la dignità di sentirsi nel giusto. Il fascismo elettronico di Beppe Grillo e del suo movimento ha superato Berlusconi. Dopo la campagna elettorale di Grillo in Sicilia e la sua gestione pubblica del proprio partito, le vecchie questioni berlusconiane appaiono una minchiatina fra adolescenti. Insomma. Berlusconi ritorna perché ancora una volta, forse, é lui ad avere le carte migliori in mano. E magari vincerà. Ma quello che gli italiani non vogliono capire è che scegliere fra Berlusconi e Bersani non è scegliere. Ricandidare Monti è come risaltare dal parapetto del ponte dopo che i vigili del fuoco ti avevano tirato su a stento. Finché non esisterà un movimento vero ed onesto con soluzioni efficienti, Berlusconi resterà la risposta più ovvia e persino più convincente per la maggior parte dell’elettorato che decide con la pancia invece che col cervello. La cosidetta sinistra suggerisce di votare col cuore invece che con la pancia. Ma del cervello non parla, perché non lo ha. L’avevo detto un anno fa, sta succedendo, purtroppo. Siamo nei guai più di prima, Berlusconi ritorna, noi non sappiamo che fare.

18 dicembre 2012 – Scrive Davide Giacalone: “Marco Pannella è tornato a gettare la vita, anzi, la propria morte, dentro al piatto vuoto delle chiacchiere politicanti. Conosce a menadito l’arte della politica e sa bene che comporta una dose massiccia di cinismo, cui non si sottrae. Sa, dunque, che la sua decisione può essere commentata sia come ricatto, come sceneggiata, che come ostinazione, prima o dopo, a incontrare la fine nel corso di una battaglia. Non solo l’ha messa nel conto, ma forse ci conta. Spero che non accada, ma non per altruismo, bensì per egoismo, giacché, in quel caso, resteremmo noi a morire di sete e di fame, non fisicamente e non per volontaria privazione, ma civilmente e per generale imposizione, che, oramai, la politica non ha più nulla di commestibile, né è più deglutibile. Accanto al cinismo, che lo rende imperturbabile innanzi al pericolo più immediato, Pannella incarna un disperato candore. I suoi scioperi si sommano nel tempo, tanto che taluni fanno confusione su quale sia la causa del giorno, la battaglia per la quale s’incammina ancora verso l’ipotetico non ritorno, ed è questa la cosa che mi colpisce di più: in un’Italia che ha cancellato la malagiustizia dall’agenda politica, che l’ha soppressa anche nella cronaca, con un mondo politico oramai appecoronato al più bieco giustizialismo, diffuso come sifilide fascistoide per ogni dove, fra i legittimi eredi del fascismo come fra gli eredi della sinistra comunista, che fuori dai confini del comunismo realizzato fu garantista, accompagnata, quella politica, da un giornalismo che ha traslocato nelle pagine nobili le mentalità ignobili del rotocalchismo da parrucchiere, nel mentre il Parlamento si occupa di giustizia solo per varare un immondo riordino dell’ordinamento forense, che chiameremmo controriforma se solo qualcuno si fosse prodotto in una riforma, negli stessi giorni in cui il centro destra attacca il governo Monti (un attimo prima di offrire a Mario Monti la guida del centro destra medesimo) perché non rispetta i patti sulla giustizia, intendendosi per tali non una radicale riforma che restituisca diritto all’Italia, ma una leggiucola che cambi, in modo inutile e sbagliato, le regole delle intercettazioni telefoniche, quando i magistrati che imbastiscono inchieste farlocche vanno a sostenere l’accusa presso la cassazione televisiva, in un’Italia in cui tutti si sono scordati che senza giustizia non c’è mercato, ma solo mercimonio, Pannella che fa? prova a crepare per la sorte dei carcerati. Prova a far diventare pietra il proprio sangue e vetro il proprio piscio per denunciare il girone infernale delle carceri italiane, laddove la gran parte dei nostri concittadini sono pronti a rantolare sbavando che al Tizio o al Caio, nonché a tutta intera la classe dirigente, null’altro si può augurare se non la galera. Ovviamente senza processo e sulla base della sola accusa, perché questo è il grado d’inciviltà cui il popolo bue è stato condotto per mano, a cura di qualche vacca sacra, con o senza toga. Chiedo alla sorte un privilegio: scrivo la sera di lunedì e conto che la mattina di martedì possa giungere a Marco Pannella il mio dissenso: sono contrario all’amnistia. O, meglio, sono favorevole. Sappiamo tutti benissimo che solo l’amnistia potrà evitare il crollo definitivo della giustizia italiana, e chi lo nega non è neanche un ipocrita, ma un falso nel midollo. Ma l’amnistia dobbiamo farla per salvare una seria riforma dallo stramazzare sotto al peso di decenni senza diritto, senza diritti e senza giustizia. Non dobbiamo farla per far sfiatare la pentola a pressione carceraria. Anche Pannella sa bene che se ci limitassimo a quello non faremmo altro che rinviare il problema, inevitabilmente destinato a ripresentarsi tale e quale. E, del resto, ciò è esattamente quanto scrissi quando un Parlamento di bugiardi sostenne di varare l’indulto per rendere omaggio alle parole di un pontefice. Previsione azzeccata. E non ci voleva niente. L’amnistia è un provvedimento d’enorme ingiustizia, perché lascia senza giustizia i colpevoli come gli innocenti. E’ un prezzo altissimo, che può essere pagato solo innanzi a un valore più alto. Quindi dovremo pagarlo, per onorare il diritto e rimettere la giustizia in cammino. Non possiamo pagarlo lasciandola violentata e boccheggiante, preda delle bassezze corporative e in balia delle cordate corruttive. Chiedendo l’amnistia qui, ora e in queste condizioni Pannella sostiene quel che non condivido. Né mi fa cambiare opinione l’agitarsi della sua morte. E nel mentre lo scrivo, nel mentre spero che gli giunga il rispetto e l’ossequio di tale dissenso, penso alla disgraziata Italia in cui possiamo, anzi dobbiamo litigare fra noi, che della giustizia abbiamo un’idea la cui altezza la rende irraggiungibile dai tanti guitti che s’agitano per sé, con sé e per avere a sé. Non gli chiedo di smettere, perché tanto ha già deciso (qualsiasi cosa abbia deciso) e neanche Giove gli farebbe cambiare idea. Testone egocentrico ed esasperante. Guarda a cosa s’è ridotta la politica italiana e non gettare una perla nella palta”.

16 dicembre 2012 – Scrive Davide Giacalone, e condivido in ogni singola riga: “Aumenta la pressione fiscale e aumenta il debito, che sfonda la soglia dei 2000 miliardi. Il tutto dopo il succedersi di avanzi primari che nessun altro Paese europeo ha. Lungi dal prendere atto che la ricetta fin qui applicata non funziona, il dibattito politico s’interroga su come garantire la continuità. Riecco, allora, l’Italia che non sa guardare ai propri punti di vantaggio e preferisce soffiare sul fuoco dell’invidia sociale. La solita fregola pauperistica ha suggerito un sostanziale capovolgimento dei dati resi noti dalla Banca d’Italia, strillando: il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza nazionale. E via con i muggiti di rabbia, contro i ricchi. Più profondo è il muggito peggiore il risultato, per tutti. Laddove, invece, quei dati contengono una mappa per riprendere la via dello sviluppo. Intanto non è il 50, ma il 45,9%. Che non è una piccola differenza. Ma si devono tenere presenti due elementi: primo, la concentrazione della ricchezza è più alta in altri paesi sviluppati e occidentali; secondo, ancora più importante, la concentrazione aumenta mano a mano che cresce la recessione. La ricetta di giustizia sociale, quindi, non consiste nel tassare, ma nel lasciar sviluppare. Ci arriviamo subito. Prima serve un altro dato, per capire a chi arriva la coltellata se si tassano i “ricchi”: la ricchezza netta delle famiglie ammonta a 8.619 miliardi, circa l’85% di tale ricchezza consiste in case. Quando si tassa la ricchezza, mediante una patrimoniale come l’Imu, si tassano i possessori di case, cioè le famiglie. Tutte, o quasi. Se si applica la patrimoniale senza scorporare (o modulare diversamente) l’immobile che si abita ne deriva che anche i poveri sembrano delle immobiliari. Per non parlare dell’assurdo di chi ha un mutuo ancora da pagare, sicché paga in virtù di un patrimonio che, in realtà, non possiede. Questo è il lato folle. Veniamo a quello bello: le famiglie italiane sono indebitate assai meno di quelle di altri paesi, come Francia o Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti; inoltre hanno un patrimonio finanziario netto pari a 3.541 miliardi. Dunque: ci stiamo svenando per un debito pubblico pari a 2.000 miliardi, ma abbiamo un patrimonio privato di 5.980, una ricchezza finanziaria di 3.541, di cui il 71% liquido, cui si deve sommare un patrimonio pubblico, in immobili e terreni, che ammonta a circa 640 miliardi (a sua volta da sommare con quello dell’infinità di società pubbliche, quindi assai più alto). Escluso che si possa mettere ulteriori patrimoniali (a meno che non siano compensative di analogo gettito restituito, sotto forma di equivalenti sgravi delle tasse sui redditi), potremmo portare il debito sotto il 100% del prodotto interno lordo (servono 450 miliardi, secondo un interessante ragionamento svolto da Enrico Cisnetto) usando un mix di: a. vendite pubbliche; b. sgravi fiscali per gli investimenti, talché sia la crescita a restituire vivacità al gettito. A quel punto, con il nostro avanzo primario, siamo il più solido Paese dell’area dell’euro. Tutto sta a tagliare la spesa pubblica corrente. Smettiamola di tassare per trasferire ricchezza agli acquirenti del nostro debito, con il risultato d’impoverirci e vedere il debito comunque in crescita (è questo il fallimento, che non potrà essere nascosto da nessuna processione salmodiante: Monti, Monti, Monti), e cominciamo a mettere al lavoro quell’enorme liquidità. Facciamo divenire conveniente investire in Italia, anche da parte degli italiani, altrimenti continuerà l’incubo di famiglie che risparmiano investendo in prodotti finanziari che allocano all’estero il denaro e, con il guadagno, pagano le tasse che servono a finanziare quegli stessi speculatori cui si affidano i risparmi. Piantiamola di alimentare il gioco fesso, e disgustosamente populista del “dagli al ricco”. Ci serve legalità, meritocrazia e competizione, non pauperismo”.

16 dicembre 2012 – Volevo andare a vedere Rezza, ma poi mi sono ricordato che all’Hoolahop, solo per stasera, avrei potuto vedere “Pulp-ami” di Dario Aggioli con Alessandra Della Guardia, e quindi sono andato là. Ho fatto bene. Il locale è molto carino, coloro che lo guidano sono davvero carini e simpatici, invogliano a tornarci per andare a bere qualcosa in compagnia. Ma veniamo alla piéce. Prima di tutto al testo. Dario Aggioli, a mio parere, fingendo di fare metateatro ottiene un risultato molto ma molto più importante: smaschera la squallida e triste metacomunicazione fra uomo e donna di questo tempo – autoreferenziale, anaffettiva, spaventata. La storia d’amore (o di sesso), così come la racconta Aggioli, è solo finzione (e purtroppo credo che fin troppo spesso ciò sia vero), viene messa in scena, viene vissuta come uno strappo dalla finzione primaria quotidiana di una socialità affettata ed egotica. L’impotenza allo stato puro. Dato che abbiamo imparato dalla TV a fingere emozioni, dato che non abbiamo più la competenza lessicale e affettiva per definire ciò che abbiamo dentro, ogni crepa nel quieto incedere della noia e della masturbazione sociale diventa una ferita con cui non si può mediare, di cui non si riesce a venire a capo. Siamo “personaggi non scritti fino alla fine”, ma non siamo persone, perché esistiamo solo sul palco. Un’intuizione grandiosa, che da sola giustifica l’intera opera. L’immagine che l’autore in scena suscita di se è quella di un commediante triste, un Pierrot solitario ed avulso, che gioca secondo le regole e continuamente segnala a “Lei” che quelle regole sono una prigione, che l’amore potrebbe essere altrove. Ma “Lei” rifiuta l’esperienza in quanto tale, perché “teme il rifiuto”. Ma dato che la controparte dichiara il proprio amore, il rifiuto di chi? Qui Aggioli é straordinario. Il rifiuto è quello della dissocietà, del gruppo dei pari, della comitiva, della comunità estetica predittiva che circonda ciascuno di noi. “Lei” ha paura che abbandonarsi all’amore (che del resto non sa se prova, perché la propria incompetenza sociolinguistica non le permette di disambiguare le sensazioni e quindi è lontanissima dal sapere che l’amore non sia una sensazione, ma una costruzione di alta ingegneria…) sia di per se mettersi in pericolo, costringersi ad essere invece di apparire. Lei ha paura di essere rifiutata dal Non-Io. Come tutti gli egotici, capisce solo la differenza fra se ed il resto, non é in grado veramente di disambiguare fra diverse personalità fra coloro che la circondano. La semplificazione dei secoli del berlusconismo distrugge la realtà e l’anima. Ed alla fine “Lui” viene bandito dalla scena, cui non appartiene. Lui diventa un extraplanetario, un Non-Io che non è nemmeno Altri. Lei, invece, si rimette gli occhiali e si rituffa nella quotidianità. Ma il testo di Aggioli avverte. Fino alla prossima cotta. I bisogni, più li reprimiamo, più emergono imperiosi. E l’amore è un bisogno. Alessandra Della Guardia impersona la contraddizione fra donna, personaggio, membro della dissocietà ed amante mancata con una grazia e passione sconvolgenti. All’inizio la sua passionalità è talmente forte da suscitare sospetto. Ma è un baleno. Di colpo Della Guardia diventa al contempo una Dea della Bellezza, una Tempesta di Nevrosi, un Uragano di Freddezza Scomposta, un’immagine terrificante di sensualità e autocontrollo, un compromesso credibile ed affettuoso tra romanità, hunzikerismo, passione e paura. Quando il personaggio di “Lei” dice: sono un buco nero, i grandi occhi corvini dell’attrice si riempiono di una commozione mesta. Non siamo più alla donna che si fa scegliere e poi non sa più cosa pensare. Siamo alla donna che non sa nemmeno se abbia scelto o no, se le coppie esistano per un gioco arbitrario dei computer del destino. Si accorge dell’esistenza di ciò che suppone potrebbe essere un sentimento solo quando la persona che ne aveva tematizzato l’immanenza scompare. Alessandra Della Guardia impersona con bravura e partecipazione la donna italiana del ventunesimo secolo. Senza appartenenza vera, solo appartenenze effimere. Né ceto, né religione, né ideologia, né ambizioni, né sensazioni. Tutto è un vuoto, un vuoto che l’uomo (l’autore) promette di riempire per poi lasciare l’opera incompiuta. Il personaggio messo in scena da Della Guardia è insicura con grandissima padronanza, timida con infantile allegria, sensuale con efferata assenza ma anche disperato anelito, anaffettiva per pragmatismo e paura – sperando che un autore, un regista, un uomo riempiano di significato i campi semantici del calore. Insomma, da spettatore si ha l’impressione che la donna sia molto più “compiuta” del personaggio che interpreta, ma senza l’aridità dell’amarezza, ancora con la passione della scoperta. Ed é questa la nota che fa amare “Pulp-ami”: che sia un lavoro di grazia e leggerezza di due bambini eterni, innocenti, pieni di dolcezza, che hanno imparato con dolore le regole stupide del mondo dei grandi, ma che mantengono una propria verginità affettiva immensa. Ve ne innamorerete subito.

15 dicembre 2012 – Scrive Davide Giacalone: “Chi si fascia la testa per l’anticipo elettorale, sostenendo che con un paio di settimane in più si sarebbe fatto chissà cosa, mena scandalo per il nulla. In questa fase vale il contrario: meno dura e meglio è. Il dramma arriva dopo, quando gli italiani dovranno scegliere fra una ricetta tradita e una sbagliata. Cui se ne aggiunge una terza, fallita. Complice la faziosità italica, complice un sistema dell’informazione che la ingigantisce, già s’apparecchia l’ennesimo banchetto fra berluscofagi e berluscapoti. In uno scontro di tipo antropologico. Roba tribale. Purtroppo gli italiani che hanno creduto nell’opportunità di avere più disponibilità e meno fisco, più libertà e meno burocrazia, più investimenti e meno spesa pubblica corrente, sono stati traditi. Due volte. Si può discutere a volontà su quali siano le cause della disillusione, ma resta il fatto. La cucina antagonista, quella di sinistra, del resto, propone sempre la stessa ricetta, radicalmente sbagliata e oggi incarnata dal condizionante asse Vendola-Cgil, che fa rotta sulla (ulteriore) patrimoniale. Non ci credono neanche loro che si possa governare in quel modo, eppure hanno fretta d’incassare una vittoria che danno per scontata. La cucina montiana non è una reale alternativa, anche perché ha sui fornelli una ricetta fallita. Il fallimento non consiste nel non avere cambiato l’Italia, giacché quello non solo non è possibile in breve tempo, ma è anche un obiettivo a sua volta allucinante. Consiste, invece, nell’essersi prestata all’adozione di una forsennata purga fiscale, a esito della quale il debito pubblico non è dimagrito, mentre s’è smunto il sistema produttivo. Questo è il fallimento. Perché, allora, è così difficile sostenere le cose ovvie, mentre la corazzata del Corriere della Sera pompa alla grande l’ipotesi montiana? Perché il confindustriale Sole 24 Ore avverte dell’errore ma chiede di continuare? Perché il centro casiniano, raccoglitore di vari relitti politici, non attira voti, non essendo (giustamente) considerato alternativo. La roba montezemoliana si presenta con le insegne della concertazione, vale a dire una delle cause dei nostri mali. Mentre i transfughi “montiani” del centro destra (gente che deve tutto a Berlusconi) c’è la fondata sensazione che non spostino neanche i loro voti. Quindi sarebbe Mario Monti a far la differenza. Per cosa? Per una sola cosa: essere sicuri che nessuno vinca. Che le elezioni siano inutili. Che l’Italia continui a essere commissariata. La sinistra ha provveduto a far fuori la possibile alternativa, coagulatasi attorno a Matteo Renzi. Se uscisse da lì prenderebbe la maggioranza, ma non uscirà, preferendo attendere e raccogliere i cocci. Ammesso che rimangano. La destra rimane appiccicata al suo vincitore di ieri, oggi sulla scena come miglior perdente. Sicché chi punta su Monti non lo fa perché vinca, ma perché eviti che altri vincano. Il che, nel nostro sistema, equivale a evitare che ci sia una maggioranza al Senato. Oppure, ed è l’ipotesi avallata ieri da Berlusconi, Monti si mette a guidare un fronte ampio, capace di puntare alla maggioranza alla Camera. Nel qual caso Berlusconi sarebbe superato, dopo essersi ritirato. E dopo? Si andrà a una coalizione, sperando che sommi i pregi, ma temendo che sommi i difetti delle tre ricette. Si può sfuggire, a questo incubo? Sì, se ci fosse consapevolezza del dovere cambiare schema istituzionale e impalcatura costituzionale. La sinistra che fa le primarie e gioca al presidenzialismo, dovrebbe essere matura. La destra che crede nel leader lo dovrebbe essere da tempo. Tocca a loro concordare il cambiamento. Conosco le due obiezioni: a. se non sono capaci di poco figurati di tanto; b. ora no, perché si devono prendere voti. Rispondo: 1. meglio cimentarsi su cose grosse che affogare in una pozza, come sta loro accadendo; 2. credo che i voti li prenda proprio chi sappia ammettere che con quelle ricette ci stiamo prendendo in giro”.

14 dicembre 2012 – “Non qui non ora” di Andrea Cosentino è grandioso, maestoso, festoso, trascinante, allegro, preciso come una lama, è la prova del fatto che esiste una riserva universale di non detto cui solo Andrea pare attingere e che chi legherà alle poltrone per decenni. Un piccolo esempio. Quando parla dello spettacolo che farà, che sarà sull’economia, dice di aver capito che la finanza (e quindi la sopravvivenza di noi tutti) è legata alla fiducia. Chi sono quindi sti cretini che hanno smesso di fidarsi e ci hanno gettato nel baratro? Ma non si tratta di battute o crasi apodittiche più o meno spassose. Andre Cosentino ci accompagna insieme ai suoi personaggi nel tempio del metateatro e nella dicotomia fra narrazione e performance. Lasciamo perdere il fatto che nella parte di spettacolo in cui si scimmiotta Marina Abramovic l’intero pubblico abbia le lacrime agli occhi per le continue risate (Andrea Cosentino bravo almeno quanto i Monty Python degli inizi). Cosentino smonta pezzo per pezzo l’illusione della spontaneità del gesto, dell’immanenza dell’arte, dello statement in se. La sua è una lunga, esilarante, impercettibilmente rabbiosa resa dei conti con l’insegnamento classico del teatro non classico. Tutto, smonta tutto, sempre più veloce, in una baraonda di regole spezzate, preconcetti lessi, sarcomi di sarcasmi (ed è così che si deve trasmettere la passione senza mai essere patetici), per tornare alla fine alla parola primigenia, dipinta con il ketchup sul palco. BUA. Il metateatro fa male, il teatro moderno fa male, il teatro performativo fa male. “Basta che io ci metta una pausa e voi vi credete: wow, chissà che cazzo avrà mai detto”, invece Andrea Cosentino parla velocissimo “così io dico cose fighissime ma voi non ve ne accorgete e ve lasciate scorrere sopra come acqua”. L’insegnamento è nel titolo. Non é qui, non é ora. Il teatro é lì ed è allora. Solo Andrea Cosentino é in entrambi i luoghi e tempi, per farci vedere la grande risorsa del cervello umano, quando é strettamente collegato al cuore ed ha qualcosa da dirci, altro dal piangersi addosso. Meraviglioso.

10 dicembre 2012 – Vedo Francesco Guccini, gli occhi gonfi di emozione, ad un millimetro dalle lacrime, salutare tutti dalla trasmissione di Fazio. L’ultima Thule, dice, è l’ultimo disco. Non è un caso che a celebrare questo ennesimo funerale ci sia Fazio, che già era lì a ricordare Fabrizio De André e Giorgio Gaber. “Ma non è di questo che si vuol parlare, ma piuttosto del cuore…”, perché io resto qui, nudo e solo, a sopportare questo stillicidio. La mia generazione non solo ha perso, come cantava Giorgio nelle ultime ore del suo male, la mia generazione sta sopportando l’imbarbarimento, lo schifo, la volgarità, la paura, lo sconcerto, la solitudine, mentre ad uno ad uno se ne vanno tutti… tutti… e ci lasciano ancora più soli, più vuoti, più disperati. Le canzoni di Guccini, Gaber e De André sono state l’epicentro di migliaia di esistenze appassionate, il sogno di un riscatto non eroico, ma umano, quotidiano, sofferto, incespicato più che marciato. Come si può vivere in un Paese in cui gli attuali mostri orrendi della politica, dell’incultura, della televisione, del giornalismo, dello sport petulano tronfi e l’Italia artigiana della speranza, dell’amore, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dell’intelligenza, di quella religione del dubbio che abbiamo da sempre professato e che oggi è dimenticata e disprezzata, cede… un frammento alla volta, alla vecchiaia, alla stanchezza, al silenzio. Caro Francesco Guccini, noi non ci incontreremo mai. Al Gianicolo, nel 1977, ero al concerto con mio fratello Fabio, 8 anni, sulle mie spalle, ed ero io a gonfiarmi gli occhi di commozione al grido di “una locomotiva, come una cosa viva, lanciata bomba contro l’ingiustizia”. Io c’ero anche a quello che è stato il tuo ultimo concerto a Roma, con Francesco Piccioni, e migliaia di ragazzini ballavano e cantavano in coro. E non mi sentivo più così solo. Ma non è colpa tua. È colpa mia, nostra, che non siamo stati capaci di riempire da soli il vuoto. Da un lato perché ciò che avete scritto era così bello da intimidire. Dall’altro perché la pigrizia ti distrugge quando sei giovane, ma ti scopre annientato proprio quando avresti bisogno di tutte le tue forze. La mia vita scorre, la solitudine cresce, come la dolorosa percezione di far parte di un mondo scomparso e dover far finta, ogni mattina, di riuscire a far parte (e di combattervi) in quello di adesso. Ma questo sarà domani. Questa notte Paolo Fusi, questo ciccione patetico ed autoreferenziale, tanto per cambiare, nudo nella sua stanza di lavoro, solo come lo è stato tutta la vita, ascolta “Vorrei” e piange. Sulla strada della sua, nostra, inevitabile ultima Thule.

10 dicembre 2012 – Straordinaria battuta in TV del mio amico Mike Müller e del comico elvetico Viktor Giacobbo!!! “La Svizzera è l’unica nazione al mondo che sia mai stata capace di perpetrare crimini di guerra senza aver mai partecipato attivamente a nessuna” GRANDE, e come é vera maledizione!!!!

7 dicembre 2012 – Scrive Davide Giacalone: “La notizia non è la maggioranza che salta, annunciando la fine di quel che è già finito, ovvero la legislatura. La notizia, descritta da tempo, ma pur sempre notizia, è che la politica impostata dal governo Monti è fallita. Il gettito fiscale che sale del 4,4%, con il gettito dell’iva che cala, pur a fronte di un aumento dell’aliquota, e nel mentre l’Italia è e resterà in recessione, senza che questo dissanguamento serva a diminuire il debito pubblico, che aumenta in termini assoluti e pesa sempre di più in rapporto al prodotto interno lordo, è la certificazione di quel fallimento. Il resto è sceneggiata, compreso il fatto che si vorrà mettere quel fallimento sul conto di chi non ha disertato un voto fiducia (dopo averne votato una caterva, anche quando è servito a confermare leggi improvvide). Questo passaggio è accompagnato dalla consueta orgia propagandistica. Stiamo ai fatti: la legge di stabilità non è in dubbio, sicché ogni speculazione sull’affidabilità dell’Italia è fuori di luogo. Compreso il solito uso dissennato dell’andamento dello spread. Ma stiamo ai fatti anche per quel che riguarda la realtà economica: non è possibile continuare a seguire una ricetta che porta all’impoverimento non solo dei cittadini, ma del nostro sistema produttivo. Il centro destra corre un rischio, in questo passaggio, consistente nel subire l’attrazione gravitazionale delle più cieche, e nocive, posizioni anti europee. C’è una dialettica, all’interno dell’Ue, ove non deve mancare il ruolo sovrano dell’Italia. Ma deve restare dialettica interna ad un’area il cui obiettivo rimane la federazione, non la disgregazione. Il centro sinistra, del resto, ha già scelto la via della conservazione, colorandola con il buio del moralismo fiscale. In questo modo accentuando non solo le cause della recessione, ma soffiando sul fuoco delle divaricazioni interne e della rabbia sociale. Gli uni e gli altri, almeno fra quanti sono dotati di raziocinio, sanno quanto quelle posizioni siano sbagliate, ma a quelle cedono in omaggio alla concorrenza elettorale. Gli uni e gli altri, in realtà, portano su di sé la colpa d’essere stati a rimorchio del più potente partito italiano, il Pusp. Il Partito unico della spesa pubblica. I conservatori, a destra come a sinistra, sono ancora seguaci del Pusp, cercando di metterne l’insopportabile costo sulle spalle dell’Italia che produce e compete. Se alle prossime elezioni si presenteranno un Pusp di destra, con venature antieuropee, e un Pusp di sinistra, con istintualità da satanismo fiscale, la competizione sarà fra due tipologie di suicidio assistito. Che molti voti defluiscano verso l’astensione o verso la sterile vendetta della scheda beffarda, ne è solo l’inutile conseguenza. Il governo commissariale ha da tempo dimostrato la propria inadeguatezza, essendosi esaurito nei provvedimenti iniziali. Chi ne loda il costume è segno che non riesce a lodarne altro. Prenderne atto ha senso solo se si ha qualche cosa di diverso da dire e da proporre, affrancandosi dalla sudditanza al Pusp, proponendo l’abbattimento del debito mediante dismissioni, lavorando alla diminuzione della pressione fiscale che trovi compensazione in tagli severi e strutturali della spesa pubblica. Ogni altra cosa non sarebbe cinica e furbesca, ma pietosa e ottusa”.

3 dicembre 2012 – Scrive Davide Giacalone: “E adesso, Matteo Renzi, che fa? Non è questione che riguardi (solo) la sua sorte personale, il modo in cui vorrà continuare la sua partita politica. Se questo fosse il dilemma si potrebbe comodamente attendere. Fatti suoi. Ma non è così, perché Renzi è la più vivace ed efficace novità sulla scena, sicché sapere se intende fare il bravo ragazzo del Pd, oppure l’irregolare che scassa tutti gli equilibri, interni ed esterni a quel partito, ha rilevanza generale. Se chiude la stagione con la partita delle primarie, fidando che il patrimonio di consensi accumulato possa tornare in campo nel campionato successivo, rischia fortemente di fare la fine di Mario Segni: aveva il biglietto vincente della lotteria elettorale, ma non andò a incassarlo, lo tenne in tasca, fin quando scadde. Ha fatto bene, il giorno prima delle primarie, a dire che non ci sarebbero stati ricorsi e polemiche, da parte sua e dei suoi sostenitori. Perché le primarie italiane sono un “fai da te”, prive di regole valide per tutti e prive di effettiva sostanza istituzionale. Si designa il candidato a un posto che non esiste, e questo basti. Fare ricorsi, ammesso che ve ne sia ragione e che servano a qualche cosa, significherebbe immiserire tutto dentro al Pd. Non è il caso. Non ha senso. Neanche, però, si può non vedere che, con la vittoria di Pier Luigi Bersani, il Pd non sarà il depositario di un programma capace di puntare, per ragionevolezza ed efficacia, alla maggioranza relativa degli elettori, ma il polo attorno al quale si tesseranno alleanze in grado di puntare a quello stesso risultato. Sono due cose profondamente diverse. Il centro sinistra di marca bersaniana sarà ancora figlio della seconda Repubblica, utile solo a contrapporsi agli avversari (ammesso che il centro destra si riabbia e si metta nelle condizione di rappresentare un avversario credibile), ma inutile a governare. Possono dirla e metterla come pare a loro, ma dentro quella coalizione ci saranno forze non solo disomogenee, ma fra loro conflittuali. Non si tratterà, in futuro, di tenere assieme Casini e Vendola, perché quello è facile: basta avere del potere da spartire. Il guaio è che si dovranno tenere assieme gli interessi che in loro si sono incarnati (in mancanza di alternative), e si dovrà farlo senza cambiare niente, altrimenti salta il rapporto con gli interessi della conservazione, che trovano nel Pd il loro maggiore aggregante. Ebbene, questo esercizio è impossibile. Non è riuscito a nessuno, nella seconda Repubblica, né riuscirà. Il centro sinistra di marca renziana sarebbe stato una cosa diversa. Gli sarebbe bastato tenere duro sui programmi (a parte i soldi da dare ai redditi più bassi, segno che uno scivolone demagogico non si nega a nessuno) e non mollare sulle alleanze. Vale a dire: non farle. Gli sarebbe bastato questo per raccogliere le urla di dolore di non poca parte degli apparati di sinistra, ma il consenso di una fetta rilevantissima dei voti di sinistra, al tempo stesso accedendo al forziere incustodito di quelli di destra. Non è andata così. La sinistra ha scelto la propria continuità post comunista. Con un gruppo dirigente che fu interamente comunista, che non ha mai condannato quell’odioso passato, e che ancora crede sia un approdo di modernità la socialdemocrazia. Quindici anni dopo il primo governo Blair, quattordici dopo la cancelleria di Gerhard Schröder, devono ancora fare il congresso di Bad Godesberg, che i socialdemocratici tedeschi fecero nel 1959. Questa è la sinistra italiana. Cosa fa, Renzi, aspetta che vinca le prossime elezioni, poi aspetta che fallisca, quindi si ripresenta come alternativa? Quel giorno saremo in condizioni del tutto diverse, anche perché sarà definitivamente collassata la destra attuale. No, non è un disegno politico ragionevole. Il fatto è che noi già conosciamo le tappe successive del purgatorio italiano. Sappiamo che voteremo e che le urne non consegneranno a nessuno, non consegneranno a questa sinistra, una maggioranza tale da potere governare autonomamente. Potranno fare un colpo di mano per la presidenza della Repubblica, ma sarà, ancora una volta (è già successo) l’inizio della sua fine. Poi giungerà a maturazione la crisi dell’euro, rimettendo in difficoltà il finanziamento del nostro debito. Quindi si verificherà l’incapacità del governo di far fronte alla situazione e, dunque, si passerà ancora a un governo commissariale. Non uguale a quello Monti, ma comunque con lo stesso incipit: visto che non siete capaci, fatevi da parte. E se la prima fu emergenza, la seconda è malattia della democrazia. Lo sappiamo già. Se non si vuole rassegnarsi si deve porre mano alle regole costituzionali, il che richiede una condivisa consapevolezza che senza un governo governante, chiunque vinca, siamo destinati a marinare nelle imposizioni che arrivano da fuori, perdendo competitività e strangolandoci di tasse, senza che siano utili a pagare il debito. Se di questo Renzi è consapevole si renderà conto che attendere è perdersi. Anche senza avere vinto le primarie, un prodotto politico alternativo può essere proposto agli elettori. Basato sulla consapevolezza di quella necessità e mettendosi in anticipo laddove anche gli altri dovranno arrivare. Ma deve trovare il coraggio e la forza di rompere. Altrimenti resterà solo il bel ricordo di una gara inutile. I capponi di Renzo si beccavano nel mentre andavano a morire, magnifica simbologia manzoniana dell’Italia. Quelli di Renzi … speriamo non sian capponi”.

2 dicembre 2012 – Sono andato a vedere Donatella Mei in Via La Spezia nel suo lavoro “Non sono Sharone Stone ma qualche uomo l’ho avuto anch’io”. Ci sono andato pieno di curiosità, anche perché il sottotitolo era “ridere al femminile” – una cosa che ritenevo essere sarcastica, perché avevo pensato che nessuno, nel 2012, possa attirare il pubblico con una frase del genere. Come spessissimo accade, mi sbagliavo. C’era tanta gente, ed è soprattutto di loro che voglio parlare. Se posso, con calma. Prima cosa: il “teatro” è in una sezione del PD di fede bersaniana. La responsabile della serata annuncia trionfalmente che, dato che stasera c’è teatro e la sezione è piena, il bar è chiuso. Ovunque profumo di Monti-bis. Donatella nel suo spettacolo lo tematizza con arguzia. La gente ridacchia perché capisce che ce lo si aspetta. Alle pareti foto “artistiche”. Una vista del cuppolone dal Tevere di notte dal titolo: riflessi paralleli. Una paperella di plastica fotografata accanto a un uovo: mo me lo covo. Foto orribili, didascalie agghiaccianti, una donna invasata che gridava frasi oscene e scalpitava come una mandria di bufali alla vista dell’acqua alla fine del deserto. Smanacciava gente, sbaciucchiava vittime, gridava roca e ochesca, delirante, ossessiva, dolorosa. Durante lo spettacolo si è seduta dietro, ha spostato la sua sedia nel mezzo bloccando il passaggio, urlando “a cafoni che nunlo vedete che nce vedo gnente?” e poi commentava come se ruttasse, uno schifo, nemmeno pena. Dal momento che mi lamento del fatto che ho sete e non c’è acqua da bere, un toro paffuto con la chierica, che presumibilmente ha appena girato un remake di Don Camillo e Peppone, chiosa: “votate Renzi, vedrete poi come cambieranno anche i bar delle sezioni”. Non so cosa ho risposto. So che a lui l’acqua l’han data. Così come i Riva dell’Ilva hanno dato i soldi a Bersani, ma solo a lui. E quando Donatella, dal palco, ha chiesto, come vi definireste, voi uomini, lui, tronfio: “pescatori di stelle”. Non stiamo mica qui a raccontare di pensioni a Peter Pan, ho pensato. E veniamo allo spettacolo. L’attrice è brava, si vede che non è sicura sul testo, ma ha una grande brillantezza ed una bella padronanza del corpo. Il suo personaggio è un clown disperato, la si direbbe una diplomata al classico al Vivona poi quasi laureata a lettere, interrotta per una delusione d’amore con un calabrese ed una conseguente crisi esistenziale, da allora impegata alle poste e frequentatrice di cinema per zitelle. Insomma, Donatella recita una donna che per tutta la vita non si è nemmeno fatta scegliere, come molte, si è fatta respingere. Tutto lo spettacolo ruota ossessivamente intorno al sesso, e del resto quella stanza piena di piccoloborghesi di borgata che votano PD, sessualizzano l’automobile, sognano le veline, vedono le mogli ingrassare o tradire, si assopiscono, la domenica portano le pastarelle a casa e leggono apotropaicamente “La Repubblica” (e qui Donatella li coglie sul fatto, e loro, per l’unica volta, capiscono che forse i presi per il culo sono loro) – tutta quella stanza è un ospizio di anime mai nate, un limbo della maggioranza silenziosa. Li guardo sbalordito e mi dico: questi, se vedessero uno spettacolo vero, non capirebbero nulla, ma proprio nulla. Ridono ad ogni allusione sconcia con grassezza biblica, monumentale, idiota. Applaudono ad ogni silenzio, compiti perché non capiscono, o sguaiati perché pensano a qualche battutaccia postcoitale da Baretto delle scommesse clandestine di Tor Pattume. Uno di loro alla fine scrive: “Mamma mia che spettacolo!!! Mi vengono ancora i brividi lungo la schiena…” Mi dispiace, cerco di concentrarmi sul lavoro, ma mi rendo conto che sia stato scritto per costoro. L’Italia che guarda Zelig, vota Bersani, passeggia in Via del Corso o a Frascati, compra al mercatino cinese… insomma è moralista, reazionaria, benpensante ma si crede di sinistra. Completamente umiliata dalla storia e dalla berluscloroformizzazione, crede che moralismo e PD siano progressismo. E qui Donatella mi piace meno, perché strizza l’occhio a questa melma, dà l’impressione di potervi appartenere, si fa deglutire e digerire – sto parafrasando una delle sue poesiole in rima baciata sul maschio e la defecazione, che sono i temi portanti dello spettacolo. Le cose migliori non le vede nessuno. Una poesia vera, sull’essere dentro e non sotto, recitata quasi in un soffio alla fine, quando i Gargantua e Pantagruel di questa serata di Magnaccioni sono oramai fuori controllo. Alcuni giochi di parole che presuppongono che, osservando l’essere umano solo nello spazio intercorrente fra lo stomaco ed i genitali, ne vada perso qualcosa. Un vero peccato, perché Donatella Mei è intelligente, brava, e recita la parte della depressa cronica con grande padronanza e senza scadere mai nel patetico o nel grottesco.

27 novembre 2012 – Ieri era la giornata scelta per attirare l’attenzione dei cittadini su uno dei fenomeni più orribili del nostro tempo: la violenza contro le donne. Ho aspettato che venisse mezzanotte per non unirmi al coro stereotipato dei media e di quella che i tedeschi chiamano a buona ragione Betroffenheit (colpitismo, ovvero fingere di essere colpiti da qualcosa che crediamo non ci riguarda). Scrivo il meno possibile. Una sberla ad un figlio o ad una figlia, a mio parere, é a volte una cosa necessaria e che risparmierà loro una vita di errori. Una sberla. Non un pugno, una legnata, un calcio. Ma questo non vale tra adulti. Una sberla ad una moglie, la minaccia di una sberla ad una fidanzata, è il segno di chi non ha idea di cosa sia l’affetto ed è, comunque, un soggetto pericoloso. In queste ultime settimane ne ho viste, di queste cose. Un uomo che, ritenendo di essere stato trattato con abbastanza deferenza dalla fidanzata negli ultimi 18 mesi (costei non mostrava in pubblico di appartenergli) ha iniziato ad insultare e minacciare tutti coloro che gli capitavano a tiro – la fidanzata per prima, che ora ha paura a lasciarlo. Un uomo che, tradito dalla moglie, invece di lasciarla e di toglierle il saluto (come sarebbe suo sacrosanto diritto), paga una prostituta per venire a casa sua e, insieme a costei, usa violenza sessuale nei confronti della moglie, che si vergogna a denunciare il fatto. E ci sono le oltre 100 morte assassinate, e le migliaia di donne stuprate, molte delle quali bambine, figlie, nipoti. In una societá in crisi, il maschio, invece di uscire di casa ed uccidere il coniglio per cena, essendo lui stesso coniglio, fà male alle persone che milioni di anni fà avrebbe dovuto proteggere. Vent’anni di berluscloroformizzazione hanno fatto passare l’equazione amore = possesso. Nei miei concerti mi capita di finire a schiaffi con uomini fuori di testa che ritengono che l’emancipazione femminile si esaurisca con il loro diritto di andare a lavorare. Ci vogliono leggi? Forse. Ci vuole rispetto ed imparare il senso della parola affetto. Quindi ci vuole responsabilità. Responsabilità responsabilitá responsabilità. La stragrande maggioranza dei maschi che conosco sono dei bambini perpetui, violenti e capricciosi, insicuri e patologici, che non potendo dimostrare a nessuno il proprio valore, perché non valgono nulla, puniscono le sole persone che li accettano così come sono: delle nullità. Una nullità non è un uomo che non ha successo nel lavoro, questa è una stronzata della nostra cultura cattolica. Una nullità è un uomo che non ha successo come essere umano: non ama, non dà, non fà, non ama, non partecipa, non capisce, non si impegna, non ama, non conquista, non lotta, non ama, ma pretende pretende pretende. Crede che possedere asciugherà la sua sete. Costoro, prima ancora che commettano crimini tali da meritare la prigione, vanno emarginati. Se non li emarginiamo, siamo complici, voi, io tutti. Diventiamo adulti, una buona volta!

25 novembre 2012 – Seguo sui RAItre il dibattito sulle primarie del centro-sinistra ed allibisco. La rabbia malata, le grida, gli improperi che vengono dagli esponenti della burocrazia interna del PD sono esattamente gli stessi del berlusconismo. Questa trasmissione è il più grande spot elettorale in favore di Matteo Renzi che io abbia mai visto. Da Rosy Bindi in poi, passando soprattutto da una sconcertante Bianca Berlinguer, che in una sera sola perde (per ciò che mi concerne) tutta la credibilità guadagnata in decenni di giornalismo, un coacervo di mastini ringhiosi e frustrati interrompe gli altri invitati, li insulta, cerca di affossarne la partecipazione al dibattito. Viene chiamato in causa un comico, il quale non solo non si sottrae a questo circo di pazzi, ma lo celebra e lo amplifica. Paolo Mieli ha ragione: il PD non può essere riformato. Ma lo dico da tempo: tutti i partiti reazionari che sorreggono il governo antidemocratico guidato da Mario Monti debbono sparire. Dal PD a SEL, dalla teocrazia grillina alla IDV, dal PdL al FLI, dalla UDC ad Alleanza Nazionale, questi partiti hanno alcune caratteristiche che li rendono uguali: l’insofferenza contro la democrazia, il dispregio per la popolazione, la mancanza di progetti credibili per uscire dalla crisi, la difesa dei loro privilegi personali, il personalismo teocratico, l’uso dello stomaco per evitare di pensare, il populismo, la disonestà intellettuale, la menzogna, la voglia di reprimere propria di tutte le forze reazionarie ed antidemocratiche. Mi dispiace, ma fra il PD di Rosy Bindi e Alleanza Nazionale vedo pochissime ed irrilevanti differenze. Fra il berlusconismo triste del dalemismo e Bersani ed i toni da Santa Inquisizione dei Grillini l’unica differenza è che i primi hanno (ancora) la guida delle Forze di Polizia. Matteo Renzi, non è né di destra né di sinistra, ma é l’unico che proponga ricette vere (molte delle quali le disapprovo) e che accetti la dialettica democratica. Non è un motivo sufficiente per votarlo, ma è più che sufficiente per guadagnarsi il mio rispetto e la mia ammirazione. Quanto a RAItre, che schifo, che delusione, che peccato…

24 novembre 2012 – E venne la sera in cui una parte di me, da cui fuggivo, mi raggiunse. Un pugno dritto nel cuore con due firme: Piero Brega ed Oretta Orengo. Non so cosa aspettarmi, temo musica etnica e vecchie ballate del tempo che fu. Invece ora sono così sconvolto che faccio fatica a fare ordine nei miei pensieri e nelle cose urgenti da dirvi. Per prima cosa: la musica. Canzoni nuove, molte delle quali stupende, cantate con allegria ed una tecnica straordinaria, testi profondi e pieni di umorismo, mai banali – insomma, non si applaude a noi stessi mémori, ma ad un meraviglioso caleidoscopio di colori e tensioni, di emozioni e abbandono. La musica di tutta una vita, nuova, nuovissima. Piero ed Oretta sono riusicti a digerire nel canone romanesco ottocentesco il rock’n’roll, il calypso, il klezmer, il pop inglese, ci sono dei momenti din cui ti sembra di sentire Robert Fripp che lavora con i fratelli Giles sulla musica di Renato Rascel, altri in cui senti Degregori prima della nascita, altri ancora in cui i fratelli Nocenzi vanno ancora a scuola, e la chitarra di Rodolfo Maltese è l’abbozzo di ciò che Piero ha già cambiato, rivisto, fatto proprio. Mi accorgo che tutto nasce da noi, prima della musica nera, e ritorna in noi, dopo esserci bagnati sulle rive di Babilonia, del Tamigi e del Mississippi ed aver capito che noi c’eravamo prima, che siamo più stomaco e cuore di tutto. Anche quando nascono canzoni nuove. La seconda cosa: l’appartenenza. Ti sbagli Oretta, ci sono ancora quei festival. E la memoria va a Rudolfstadt, pochissimi anni fa, io sul palco con Carsten e Steffen e Frank, cantando Sag Mir Wo Du Stehst e mostrando il pugno mentre migliaia di persone ballano in coro con noi. E piango, Oretta, che quella canzone su Neruda me la ricordo. Non piango di dolore, ma per riconoscenza, e penso a noi al Festival sotto Francoforte a cantare “cuando se muere la carne l’alma busca su sitio dentro de una amapola o dentro de un pajarito”… Non è finita, Oretta, siamo noi italiani che abbiamo perso il contatto, che non ci chiamano più. Ma i nostri fratelli, le nostre sorelle, ci sono ancora, belli e strabelli e bellissimi come sempre. Anche se Tamara Danz ci ha lasciato. Anche se Rio Reiser non c’è più. Anche se i più famosi di allora si sono sputtanati. Ma ci sono altri, nuovi, veri come voi. Il mondo non finisce, si rinnova. La terza cosa: la gioventù. Certo, mi ricordo… Piero sul palco, giovane giovane, io a pensare che mai e poi mai potrò suonare con gente così in gamba, che resteranno per sempre lontani un milione di chilometri dal piccoletto de Primavalle che sono, che se non passa più il 46 non sa come farsi i dieci chilometri che lo riportano a casa. E tutto, suonare a Piazza Navona, la pizza a San Lorenzo, le ragazze stupende, altezzose e inarrivabili di Via dei Volsci, la tromba di Garibaldi, giocare ai coralli a Villa Pamphili, l’autostop d’estate, il sacco a pelo. Ma che fregatura, pensate: non sono passati che pochi minuti. Non invecchiamo mai, siamo sempre più belli. Mentre Piero ha il volto segnato dagli sbagli accettati e dalle fatiche quotidiane, Oretta ha l’allegria di una donna talmente bella da non mostrare nessuna età, ma solo splendore e allegria, allegria, allegria. Piero ed Oretta non sono la gioventù perché mi ricordano qualcosa, no no no… sono la gioventù ma perché sono l’autunno meraviglioso e struggente da cui rinasce la vita, la musica nostra, la passione politica, la voglia di andare incontro al futuro. Insieme, ancora adesso, fanno a stento trent’anni. Poi l’ultima cosa: l’amore. Quello sognato tutta una vita, fatto di condivisione, complicità, musica, passione politica, intimità, carezze senza toccarsi, un’allegria naturale e mai affettata, la gola libera nel canto che racconta la gioia di esserci. E se io quell’amore lì non l’ho avuto mai, è per i miei sbagli. Piero ed Oretta dimostrano che il sogno e l’ideale è vero, giusto, possibile, sensato. Nessuna invidia, anzi. Piero, ti prego, insegnami ad essere un cazzone infernale come te. Oretta, fammi capire da quale sorgente magica nasca quella gioia che ti inonda. Come per incanto, per due ore, la vita non conosce stanchezza, il passato è tutt’uno con il presente ed il futuro. E la vita, come il marinaio senza mare, la donna matata sia che trabaja che se non trabaja, come il barbone che fá la scala mobile alla rovescia, come noi, figli vivi di una madre bandita dal mondo di merda che c’è fuori… la vita trionfa. Se piango, non è per tristezza, ma per gratitudine.

23 novembre 2012 – Scrive mio padre, Marcello Fusi, e condivido completamente: “Il ragazzo di quindici anni che si è tolto la vita perchè i suoi compagni (cretini) lo prendevano in giro, ha sollevato un coro di appelli per una legge contro l’omofobia. A me piange il cuore quando un ragazzo cosi giovane muore, in particolare per questi motivi: ma non abbiamo bisogno di una legge, abbiamo bisogno della cultura del rispetto; tutti (o quasi) quelli che gridano allo scandalo, su fb offendono con ingiurie le persone e ridono dei dileggi che gl altri fanno, poi si scandalizzano quando un gruppo di deficenti (quindicenni) si comporta come loro; l’esempio è sempre il modo migliore per insegnare…” Aggiungo solo che questo mese di Novembre 2012 lo ricorderò per il grande dolore, per i tanti, troppi morti, le botte, la violenza presente in tutto, anche e soprattutto nei discorsi, il mio senso di impotenza, l’orrore di fronte alla brutalità ed alla cieca volgarità. L’assalto ai tifosi inglesi nel pub di Campo de Fiori ha segnato l’ennesima pagina assurda, di sangue, di questa mia città. Siamo stanchi, delusi, soffocati. Il questore sostiene che non dobbiamo temere per la violenza antisemita. Domani c’è una manifestazione dei nazisti di Casapound e contemporaneamente altre manifestazioni di studenti. Qualcuno si farà male, e non servirà a nulla. Ma la risposta non è stare a casa. La risposta è uscire e dare l’esempio, come dice mio padre. Esserci, invece di nasconderci. Esserci per far vedere che esiste un’alternativa non violenta, ragionata, empatica. Domani ci sarò anch’io, con i miei 170 chili, e farò il contrario. Mi metterò lì fermo. Non mi muoverò, né quando correranno i ragazzini disperati, gli sfasciatori ubriachi della propria idiozia, i nazisti, i poliziotti deviati, i figli del popolo in divisa. Bisogna esserci e stare fermi. Fermi con le nostre idee, passioni, convinzioni. Accettare la responsabilità. Ma ho paura…

16 novembre 2012 – Scrive Davide Giacalone: “Lo hanno chiamato “sciopero europeo”, ma non è vero. Gli scioperi ci sono stati nell’Europa che affoga, non in quella che galleggia o nuota. Ci sono stati dove i morsi della crisi hanno già strappato le carni, come in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Nelle lande della transnazionalità recessiva. Altrove qualche manifestazione o raduno. Se fosse stato “europeo” sarebbe stato un buon segno, tutto sommato, perché, che si condividano o meno gli slogan della protesta, avrebbe messo in luce un comune sentire e la necessità di un comune interlocutore. Invece le proteste si sono concentrate sulle conseguenze della crisi, indirizzandosi contro i governi nazionali che ne sono i gestori contabili. Con l’assurdo che si sono paralizzate le città epicentro della recessione, così amplificandone le dimensioni. Protestare e scioperare è lecito, in democrazia, ci mancherebbe altro. Spero sia lecito anche segnalare la confusione mentale e culturale della protesta. Da una parte non si vogliono i tagli alla spesa pubblica, dall’altra si assaltano le banche che non prestano i soldi e strozzano i clienti. Ma per finanziare la spesa pubblica le banche hanno ricevuto soldi dalla Banca centrale europea, con cui comprare titoli del debito statale. Nel momento in cui scarseggia, o diventa troppo caro, il credito internazionale i soldi o li metti a finanziare la spesa pubblica o li metti nel circolo della vita civile, per imprese e famiglie. E siccome la spesa pubblica è largamente improduttiva, siccome i tagli a quella hanno effetti recessivi inferiori all’aumento della pressione fiscale, le proteste europee dovrebbero chiedere il contrario di quel che urlano: basta con la spesa pubblica, basta con le tasse troppo alte. Se i portatori d’interesse non conoscono i propri interessi diventano interpreti d’astratti furori. Che non portano a nulla, o portano a credere che si è tanto più convincenti quanti più cordoni di polizia si forzano. Così finisce male. Meglio dirlo subito: nulla può giustificare lo scendere in piazza come se si andasse in guerra. In Italia i protagonisti della protesta sono stati gli studenti. Hanno di che protestare, eccome. Ma non ho sentito chiedere una scuola più selettiva e meritocratica, nonché più vicina al mondo produttivo. Non ho sentito reclamare università capaci di osmosi con le imprese. Ho sentito la solita gnagnera de: la scuola pubblica non si tocca e no ai tagli. E’ grazie a questo genere di idee che ci troviamo con i peggiori risultati comparati, in quanto a preparazione degli studenti. E’ grazie a quel genere di diplomificio fine a sé stesso che il numero dei laureati è ridicolo. Mica scappano perché è difficile, se ne vanno perché è inutile. Gli studenti dovrebbero chiedere tagli alla spesa pubblica corrente e cancellazione della scuola ottocentesca, fatta di libroni, quaderni, gesso e lavagne. Dovrebbero far vedere che il cellulare, e spessissimo lo smartphone, lo hanno in tasca, sicché si potrebbe utilizzarlo non solo per la socialità, ma anche per la didattica e l’interazione amministrativa. Da anni i governi rinviano la scuola digitale, cedendo alla lobby degli stampatori. Non m’è giunta notizia di proteste. In uno striscione, retto da giovanissimi, ho letto che le ore d’insegnamento non devono essere più di 18, con evidente riferimento al (fallito) tentativo governativo di portarle a 24. Ma il loro interesse non è mica quello di avere la classe docente più affollata della media europea, salvo essere la meno pagata al mese e la più pagata a ore. Il loro interesse, semmai, è che la meritocrazia si faccia valere anche fra le cattedre, che i bravi professori siano premiati e che i tanti somari, specie all’Università, siano cacciati. Sono proprio quei lavativi cattedratici, quegli ignoranti che insegnano a gioire della difesa a spada tratta del modello pubblico, così passeranno direttamente dall’esamificio alla pensione. A spese di quelli che oggi protestano e domani reclameranno ancora spesa pubblica, per pagare la pensione degli altri. Certo che servono una coscienza e una protesta europee. Come serve un’autorità, democratica, europea. Ma quelli visti ieri sono i brontolii di un corpo messo a troppo ridotta dieta, non assistiti dall’intelligenza che avverta il veleno dell’ingrasso precedente. Se non ci fosse l’Unione europea ciascun Paese conterebbe meno, e se non ci fosse l’euro si potrebbe sì svalutare, ma rodendo con l’inflazione i redditi familiari che mantengono i manifestanti. Non serve a nulla neanche avere ragione, se non si conoscono le proprie ragioni e si marcia difendendo i torti”.

15 novembre 2012 – C’è una sola cosa al mondo più dolorosa ed estenuante di rincorrere un fantasma, ed è – raggiuntolo – credere che a ingannarsi siano le mani, non gli occhi

15 novembre 2012 – Sia ben chiaro: condivido i motivi per cui migliaia di persone oggi sono scese in piazza a Roma. Ancora più chiaro: la violenza spaventosa della Polizia non mi ha stupito, mi stupisce che non siano ancora riusciti ad ammazzare nessuno, a creare una nuova Giorgiana Masi. E non ci nascondiamo dietro un dito: coloro che hanno tirato sassi o si sono lasciati andare ad atti di vandalismo speravano anch’essi che la Polizia avrebbe messo in atto una rappresaglia sanguinosa. Gli uni volevano l’avvertimento, gli altri il martire. Ma non è per questo che si andava in piazza: chi ci è andato o non glie ne fregava abbastanza, o si é fatto strumentalizzare. Il che non vuol dire che la protesta sia ingiusta. Il che non vuol dire che in un Paese civile non dovrebbe essere possibile manifestare senza finire nel sangue. Ma in Spagna, in Portogallo, in Grecia, in Slovenia, oggi, ovunque la Polizia ha cercato il morto ed i gruppuscoli più emarginati hanno cercato il martire. Ebbene? Ebbene il prezzo di questa strumentalizzazione si può pagare solo ad una condizione: se le migliaia di persone in piazza sono onestamente pronte a cambiare il Paese. Se sono pronte a dimezzare i dipendenti della Pubblica Amministrazione, a far cancellare il sistema occulto del finanziamento parabancario e tutti gli altri rivoli della corruzione e della furbizia che, evitando la legge, sono la vera ripartizione della ricchezza in Italia: una ripartizione che avviene per taciuta ed omertosa illegalità. Dal 1948 almeno. Non fate ora i buffoni: i partiti sono come sono perché noi siamo come siamo. Siamo tifosi e non critici, siamo pronti a tagliare qualunque cosa purché non tocchi i nostri privilegi. Gridare abbasso Monti e poi appoggiare uno dei partiti reazionari come il PD, il PDL, l’UDC o compagnia cantante che protegge il nostro piccolissimo orticello personale è suicida. Difendere i “diritti acquisiti” dei lavoratori contro l’umiliazione e l’emarginazione dei disoccupati è egoista e suicida. Credere che cambi qualcosa se Grillo andrà al governo (o Renzi, o Bersani, o Montezemolo!) è una bugìa che raccontiamo a noi stessi. Siamo un Paese di gattopardi pronti a ringhiare se poi la Polizia ci promette che ce le darà di santa ragione e ci impedirà, a manganellate, di pensare e di prendere in mano la nostra responsabilità. Dimostrare non basta più. Pensiamo. Immaginiamo. Controlliamo. Studiamo. Proponiamo. Diventiamo tanti, ma tanti per poter cambiare – con la democrazia, nella democrazia, quindi cacciando tutti i partiti reazionari. TUTTI, compreso il fascismo teocratico di Grillo. Ed impariamo a conoscere i nostri alleati non dal colore della maglietta, ma dalle idee. E quando saremo in piazza non ci picchierà più nessuno, ve lo garantisco

14 novembre 2012 – Oggi, 78 anni fa, è nata la mia mamma. Fino da quando ero ragazzino la settimana di novembre in cui lei è nata è stata il teatro di avvenimenti estremamente intensi nella mia vita, e quest’anno, proprio oggi, la tradizione si è confermata.Se lei fosse qui le parlerei di questo e di altro, di tutte le cose enormi che sono accadute al suo bambino da quando non c’è più. Se lei fosse qui avrei il tempo di vedere se veramente ho reciso il cordone ombelicale, o se ancora mi nutro della sua energia. Se lei fosse qui la vedrei non solo come madre e donna, ma anche come bimba, cosa che allora non ero in grado di fare. Se lei fosse qui, forse sarebbe possibile fare pace con tutte quelle parti di me che gridano di rabbia, dolore, abbandono, e con tutte quelle parti di lei che capisco solo ora, che ho più di 50 anni. Ma la vita continua, un passo dopo l’altro. Anche quando sembra impossibile. In serate come oggi, dopo la giornata pazzesca e dolorosa che ho alle spalle, mi guardo allo specchio e penso che c’é ancora spazio, tempo, energia, entusiasmo. Ripenso alla splendida notte del 5 gennaio 2012 ed ai ricordi di migliaia di ore e minuti e secondi, al miracolo di una vita piena e fortunata. La gratitudine cancella il dolore, la stanchezza. Il 14 novembre torna ad essere, come è giusto che sia, un giorno di festa. Tanti auguri, mamma. http://www.youtube.com/watch?v=tVMwTx9X9iQ

11 novembre 2012 – L’esperienza di LeAli alla Sicilia ci ha mostrato la strada giusta, l’unica possibile. Le elezioni Comunali di Roma del 2013 porranno i laici di fronte ad un bivio: esserci o scomparire. Scegliere la strada giusta sarà duro. Bisognerà dimostrare di aver appreso alcune severe lezioni della Storia, prima fra tutte quella che Ugo La Malfa ha insegnato in tutta la sua vita: un risultato pesantemente minoritario ottenuto praticando la linea politica giusta non è una sconfitta, ma una testimonianza necessaria e fondamentale. In questo momento i laici, come tutti coloro che si ritengono di sinistra, devono disimparare ciò che negli ultimi 20 anni li ha avvelenati: la questione delle alleanze come chiave di volta delle scelte, l’obiettivo dell’elezione di questo o quel rappresentante come obiettivo politico. Questo modo di pensare ha cancellato il progressisimo dall’ultimo quarto di secolo di storia d’Italia. Ora bisogna avere idee vere sui temi veri e sulla base di queste idee cercare non alleanze con partiti e movimenti, ma adesioni di singole persone disposte a lavorare anche a lungo termine per un’idea ed un ideale, sapendo che gli eletti potrebbero non esserci. Bisogna imparare di nuovo ciò che La Malfa aveva insegnato: i consensi non li si cerca solo tra coloro che paiono essere i nostri simili, ma ovunque. Se un’idea è giusta, questa è giusta ovunque: tra i manager lombardi come tra i baraccati campani, fra i disoccupati pugliesi e sardi come tra i funzionari delle grandi città, tra i liberi professionisti ed i militanti dei centri sociali. Pensare di poter essere votati per appartenenza ad un ceto, in un’epoca in cui la crisi globale e la sua gestione scellerata hanno cancellato il “contratto di complicità” fra la politica (che sperpera denaro pubblico per comprare voti) ed il cittadino (che si vende per un posto di lavoro più comodo e protetto), è follìa ed è dannoso per l’Italia. Chi crede di continuare in quel modo, dal PD ad AN, non è solo un conservatore, ma un pericoloso reazionario. Per questo i progressisti veri non sono né con Berlusconi né con Fini. Né con Casini né con Alfano. Né con Montezemolo né con Marcegaglia. Né con Bersani né con Vendola. Né con Grillo né con Di Pietro. Sono al di là di questo, lottano per l’Altra Italia, che ancora non c’è, che è men che minoritaria, che non mette la politica al servizio di un leader, ma gli uomini al servizio delle idee. I progressisti veri non hanno il tempo per ricordare e piangere divisioni personalistiche, non insultano e non litigano come oche starnazzanti, ma costruiscono insieme, come avrebbe dovuto essere sempre, insieme a persone di cui nemmeno immaginavano l’esistenza, ma che sono oramai gli unici compagni di strada possibili – fuori dai partiti della Seconda Repubblica. Tutti.

6 novembre 2012 – Grande frase dell’ex ministro rutellico Paolo Gentiloni: “Matteo Renzi è il primo bambino che s’è magnato i comunisti!”

4 novembre 2012 – Berlusconi chiede scusa agli italiani. Prego, figurati: a chi non capita di mettere in ginocchio un paese?

2 novembre 2012 – Nel nuovo mondo che dobbiamo costruire insieme non c’è spiù spazio per le divisioni fra la classe operaia e gli intellettuali. Non possiamo fallire lì dove fallimmo 30 anni fa. Forse abbiamo modi diversi di vestire, a volte di esprimerci, ma la musica (e l’arte più in generale) dimostrano che esiste una strada per parlarsi. Ricordate le parole di Slavoj Zizek: Negli anni 70 intellettuali ed operai non si parlavano. Oggi, la crisi pilotata dal potere finanziario li spinge insieme nella stessa miseria, toglie ad entrambi la libertà e la voce. Vi dico: gettiamo alle ortiche i nostri pregiudizi da vecchi e parliamo di tutto con tutti. L’abito non fà il monaco, e nemmeno il compagno 29 ottobre 2012 – Bisogna avere pazienza ed aspettare i risultati ufficiali. Ma il fatto che in Sicilia solo poco più del 47% degli aventi diritto abbia votato, questo è un dato di fatto incontrovertibile. Pare che oltre il 20% di coloro che hanno votato abbiano scelto il Movimento 5 Stelle – quindi la protesta contro i partiti consolidati che sono (tutti insieme) responsabili del disastro non solo della Sicilia, ma di tutta l’Italia. Ma questo non mi importa adesso. Mi interessa il 53% dei siciliani, perché credo che percentuali simili di cittadini anche nel resto del Paese resteranno lontani dalle urne. Non raccontatemi che sono sfiduciati, perché lo sappiamo da cent’anni. Non raccontatemi che sono scandalizzati, perché lo sono da mille anni. La verità è che quasi la metà degli italiani, dal 1948 ad oggi (e forse era così anche prima) ha scambiato il suo voto con un posto di lavoro e la certezza di essere infastidito il meno possibile mentre eludeva le regole, sapendo benissimo che molti degli eletti fossero completamente marci – e quindi utili a perpetuare questo sistema del do ut des. La crisi in cui ci troviamo sta cancellando questo rapporto di dipendenza reciproca. Nessuno può più promettere alcunché. O se lo fà, in pochi gli credono. Quindi non c’è bisogno di andare a votare. Grillo non è quindi l’antipolitica, ma il grido d’allarme estremo di chi nella politica crede. L’antipolitica, da che mondo è mondo, è la maggioranza silenziosa, piena di fiele ed invidia, di timore piccolo borghese ed astuzia contadina, di grettezza e stolidità, che astenendosi dal voto non ha dato un segnale alla politica, si é semplicemente limitata a registrarne uno, di segnale: la festa è finita. Ora tocca a noi. Noi, se crediamo di avere delle risposte serie e non religiose. Beppe Grillo è il Gesù immolato di una setta, è il Mussolini che a torso nudo falcia il grano o con un corpetto nero attraversa a nuoto lo stretto di Messina. Ma Gesù ha fatto e detto ben altro, predicando una società solidale e generosa. Mussolini aveva una sua idea dell’Italia che ha tramutato in realtà passando sui cadaveri della gente – avendo imparato a disprezzare il 53% degli italiani, che vota solo in cambio di moneta sonante. Beppe Grillo è solo un comico con una grande facilità di battuta, un uomo che riesce a vendere la collera di un isterico come la rabbia di un giusto. Sono coloro che sono dietro le quinte a fare paura. Noi, ora, subito, dobbiamo fare dei fatti in positivo. Come aveva tentato Davide Giacalone in Sicilia. Dobbiamo trovare il modo di dare delle Ali a chi è pronto per volare, che sia di esempio a chi nemmeno sapeva che il cielo esistesse.

20 ottobre 2012 – Stasera “Veronica” al Teatro dell’Orologio, di Fabio Massimo Franceschelli e con Cristina Aubry. Un lavoro che stavamo aspettando tutti con trepidazione e che aveva già fatto discutere alcune delle persone che leggono le righe che scrivo. Chi si aspetta che, dopo aver visto la piéce, vi parli di Silvio Berlusconi e di Veronica Lario, resterà deluso. “Veronica” non parla di loro. Vengono citati come totem, appaiono più volte come possibili referenti, ma “Veronica” tratta di tre grandi temi che hanno pochissimo a che fare con questi personaggi: la vecchiaia, il giudizio e la morale cattolica, la schizofrenia come via di scampo da una vita in cui un Io si attendeva qualcosa che l’altro Io non é stato capace (o non ha voluto) vivere. La vecchiaia è un mostro che ha lo stesso colore che Veronica definisce il simbolo dello stupro: il bianco. Il bianco, che domina tutto il lavoro teatrale, sia nei vestiti che nelle scene che nelle luci che negli abiti, è vecchiaia, perdita di identità, una resa condizionata dal rosso dei colori spruzzati su una tela e del vino, contrappeso all’assenza dell’altro personaggio, in una trilogia dissociativa in cui accanto a Veronica il Vino ed il Giudice appaiono la vera traccia della narrazione, su cui Veronica intesse i suoi commenti, le sue emozioni, le sue grida, la sua onnipresente affettazione – un’affettazione così grande ed immanente da rendere veri e palpabili gli altri Io, che sembrano più veri e veridici. La vecchiaia ha già vinto, è già il castigo. Quando Veronica entra in scena l’omicidio è già stato compiuto, il plot è già passato, ora si tratta di elaborarlo. È come se Fabio Massimo Franceschelli, cone “Veronica”, avesse scritto una postfazione fortemente emotiva a diversi dei suoi lavori precedenti, che a volte sono stati giudicati (a torto, a mio parere) più freddi ed intellettuali. Veronica dice tanto, tantissimo, ma risulta più credibile quando cede, quando mormora la parola tabù: vecchiaia. Sono vecchia. O ricorda le corse in auto, il vento sul viso. Ora invece c’è l’assenza, la stasi. Siede. E dato che la vecchiaia ha già vinto, la piéce tratta del giudizio morale (fortemente cattolico) che Veronica traccia su di se. La frase migliore: “verremo ricordati come la feccia di questa nostra era”. Siamo noi tutti a dirla. Veronica lo spiega, spiega come ci si senta delusi in punto di morte, non importa come noi si sia vissuto, siamo sempre delusi. C’è sempre un giudice, che è quella parte dell’Io che si aspettava chissà che – ma senza formularlo mai – e che per anni ha visto e sottolineato impetoso tutte le nostre debolezze, i nostri tradimenti, la pigrizia e la pavidità, che ci racconta che siamo stati tirchi con l’energia vitale e quindi abbiamo perso l’attimo – e non sapremmo nemmeno dire come, quando e perché. In questo senso il personaggio messo in scena da Cristina Aubry è un tripudio di morale cattolica, ma anche di come Veronica, ora che è vecchia e vive serenamente la propria dissociazione, abbia poco rispetto e nessuna paura di questo giudice interiore, che per primo ha fallito, perché i suoi valori erano fasulli – fasulli come tutto ciò che è stato vissuto, tranne la giovinezza. Il giudice è scuro come la scena, odora di muffa, è gonfio e lento, non ferreo ed intransigente. A volte sembra quasi che quel giudice e Lui (Berlusconi o chi per lui abbia costruito la gabbia in cui Veronica si é chiusa così volentieri) siano la stessa cosa, l’immagine della stessa menzogna, dello stesso fallimento. Ma per fortuna, in questo scenario di tregenda, arriva e trionfa la schizofrenia – le goccie di vernice spruzzate a casaccio sulla tela che colano, e che diventano più volte metafora nel testo di Franceschelli ed ombra negli occhi di Cristina Aubry. La pazzia salva ciò che resta della nostra vecchiaia, ci convince di piccole falsità credibili ed accettabili, paragona le corna di una donna che, nella realtà, probabilmente era grata di non essere più l’oggetto degli appetiti sessuali di Lui, alla Muraglia Cinese: un momumento millenario, una cosa, quella sì, finalmente fatta per durare – anche oltre la vecchiaia. Dietro l’elogio della schizofrenia, implicita presenza nel Vino (che é una delle grandi costanti di Cristina Aubry quando mette in scena una parte di sé), che resta l’unico piacere fisico ancora genuinamente possibile, per cui non ci si sforza, non si finge, per cui si possono abdicare la dissociazione e la disperazione. Per me, che forse sono più vecchio di quanto vorrei credere, Veronica è apparso come una sorta di Hotel California in cui perdersi per non uscirne più. Per me, che sono più giovane di quanto temo, Veronica ha svegliato la rabbia del mio rifiuto, di quel mostro morale, moralista, bigotto, che teme la propria impotenza, che divora tanta parte della mia anima. Non bevo Vino, non parlo col giudice. Scelgo donne come Veronica. Che infatti promettono, per mantenere, che faranno una sola cosa nella loro vita apparentemente vuota: distruggere l’uomo. Me. Noi. Me tra noi. Una sentenza appellabile solo con la fuga nella misoginia. Terribile nella sua giustizia.

11 ottobre 2012 – Tramonta il sole su un’Italia furente e sbigottita e noi, al centro di Roma, ci prepariamo per quella che (temporale permettendo) potrebbe essere una giornata peggiore del 15 ottobre dello scorso anno – la peggiore dai fatti della Scuola Diaz al G8 di Genova. Un anno fa le unità speciali della Polizia avevano trasformato una manifestazione pacifica in un massacro mirato di cittadini inermi, salvo poi lasciare San Giovanni in Laterano in balia degli hooligans deficienti di una finta ala movimentista che voleva in quel modo pubblicizzare il proprio diritto ad esistere, se non a parole (dove non saprebbe come e per dire cosa) a pugni e cercando di ammazzare un Carabiniere lasciato colpevolmente isolato dal resto della sua unità. La caccia all’uomo che seguì il 15 ottobre, diretta non contro chi aveva picchiato a San Giovanni in Laterano ma contro i cittadini qualunque che cercavano di nascondersi dalla follia, non è servita a far scappare il morto. Poche settimane dopo il governo Berlusconi fu costretto a dimettersi, e per le strade la gente cantava e ballava come dopo la vittoria nella Coppa del Mondo. Ancora follìa. Un anno dopo, il governo antidemocratico e suicida di Mario Monti ha portato l’Italia in una situazione ancora più disastrosa, riuscendo in dodici mesi là dove vent’anni di ruberie e deliri dei vari governi succedutisi dopo la fine della Prima Repubblica non eranbo riusciti a portarci. Una crisi peggiore di quella del 1929, senza prospettive, senza speranza, senza modo di ribellarsi democraticamente. Lo Stato sta preparando la giornata di domani con cura: tra Ilva, Carbosulcis, Italcementi e compagnia cantante domani è riuscito là dove nemmeno il sindacato confederale negli anni 70 era mai riuscito: migliaia e migliaia di persone verranno a Roma pronte a tutto per la disperazione. A Padova la Polizia entra in classe e rapisce, picchiandolo e trascinandolo per terra, un ragazzino di dieci anni. L’IVA viene aumentata dopo che per mesi era stato promesso il contrario. Un italiano su quattro è senza lavoro. Le banche non solo hanno risucchiato tutti i risparmi fatti a causa delle misure di Monti, ma hanno ripresa oa giocare con i derivati. Chi non fà parte dei circhi della volgarità infame ed intoccabile delle Regioni (di destra, di sinistra, di centro), dove si gettano miliardi davanti al ventilatore per cose disgustose ed impensabili, è alla disperazione: non ha i soldi per pagare le prossime tasse, le piccole aziende crollano (oltre il 15% in otto mesi, non era accaduto nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale), la gente va in bicicletta (per la prima volta dal 1942 la vendita di bici ha superato quella di auto). E la Polizia si prepara. Io prego tutti i cittadini italiani, domani, di restare a casa. Non venite, vi stanno aspettando. Non vi permetteranno di manifestare civilmente e democraticamente. Stavolta hanno davvero bisogno del morto. E se gliene darete la possibilità, si prenderanno con la consueta stupidità animale, ferocia inusitata, cattiveria sordida ed arroganza paleodemocristiana ciò che vogliono. A Padova ce l’hanno fatto vedere. Non si fermeranno nemmeno di fronte ai bambini.

4 ottobre 2012 – Sono stato a vedere Alessandra Magrini in “Se questo è un operaio, viaggio nell’inferno Ilva” e, come spesso accade, ne sono tornato scombussolato. La struttura è semplice ed intelligente – uguale all’arte socialista ed al teatro operaio, per molti versi, con in più una parte televisiva su cui tornerò. Alessandra descrive la vita e la morte nella fabbrica di Taranto ed intorno ad essa: i buoni sono buoni, i cattivi sono mostruosi, qualunque concessione all’intellettualismo ed alla metafora è lasciato ad una sola scena in cui Alessandra, vestita da Cat Woman, legge dal Piano di Rinascita Nazionale della Loggia Massonica P2 e poi balla sulle note di “Tanti auguri” di Raffaella Carrà. L’effetto straniante è grottesco, perché l’operaia goffa si trasforma in una gatta veramente sexy, aumentando il senso di colpa di noi uomini che guardiamo e, durante tutto lo spettacolo, saltando dalle immagini di dimostrazioni del G8 di Genova e in strada a Roma nel 1977, sentiamo crescere la consapevolezza della nostra assenza, della nostra latitanza, di non aver preso fino in fondo in mano la responsabilità che ci competeva ed ancora compete. Qui tutto è semplificato, ogni gesto è portato all’essenza, alla meccanicità. La rappresentante della legge interna alla fabbrica ha un improbabile accento da tedesco di operetta, ma una maschera riuscitissima di violenza. I filmati tratti dalle vecchie famose pellicole sull’annullamento della personalità in fabbrica, più i cartoon alla Pink Floyd, suggeriscono ancora l’esigenza di cancellare ogni metafora, di dire dritto per dritto, ad un pubblico non smaliziato. Il percorso che lo spettatore è chiamato a compiere non è tanto estetico, ma fatalmente politico. Le parole degli operai cui Alessandra dà voce sono da documentario, strazianti, mai mediati. E finisce così, senza plot, perché il plot sei tu che guardi quanto te ne torni a casa: Alessandra, in tuta da operaio dell’Ilva, che dopo aver raccolto l’applauso guarda al cielo e mostra il pugno sollevato, ci richiama appunto a noi stessi. Dove siamo, ora che ce ne sarebbe urgente bisogno? Dove eravamo tutti questi anni? Perché abbiamo lasciato che tanta gente morisse di tortura, di altoforno, di ignoranza, di cattiveria? Come é possibile che abbiamo lasciato in funzione per 60 anni una fabbrica che da sola produce un quarto di tutta la diossina sparsa nell’aria di tutta l’Europa, un terzo del mercurio che inquina ed uccide il Mediterraneo, una macchina di morte da 1200 tumori all’anno? Lì Alessandra Magrini si dimostra molto più che coscienza politica, ma vera attrice. Non attrice contro, come lei si definisce, ma attrice pro. Una giovane donna, un meraviglioso e consapevole fascio di nervi con certezze, ambizioni, obiettivi, una direzione già intrapresa senza aspettare che noi ci svegliassimo. Nel bel mezzo di una festa di partito spenta e matusalemitica, l’attrice e la donna strapazzano la sala senza gridare, usando frasi semplicissime, senza costruzioni apodittiche. No no, non é teatro di denuncia, ma denuncia teatrale – come in un’autocoscienza collettiva Alessandra ci restituisce una possibilitá di noi stessi cui avevamo rinunciato. Un’estetica del gesto (l’attrice) e della sostanza politica (la donna). Con gli occhi gonfi ed il cuore pieno di rispetto, mi sono alzato per abbracciarla e dentro di me ho pensato ciò che non si può più dire, perché il senso di certe parole è stato troppo stravolto, ma è ancora dentro di me: compagno Fusi, presente. Con tutti i distinguo, le paure, le cerebralità, l’esperienza della vecchiaia, la consapevolezza dell’irrepetibilità, della necessità di trovare una strada più efficiente. Ma qualunque cosa il mio cervello inventi come scusa, per stasera almeno, torno sempre qui, e scusatemi per questo. Il personale è politico. Almeno per una notte non vigliacca. Compagno Fusi, presente. Grazie Alessandra.

3 ottobre 2012 – Li abbiamo temuti come invasori ed immigrati, derisi come candidati all’Unione Europea, emarginati come partner commerciali, stigmatizzati come illibertari – ed oggi Istanbul, in pieno boom economico, con un Paese in pace e che non vuole più far parte dell’Europa, i turchi scendono in piazza contro le banche ed a sostegno dei disoccupati portighesi, spagnoli, italiani e sporattutto greci. Una lezione di solidarietà, mentre noi ci occupiamo di Batman e le Regioni italiane sono scosse da scandali escatologici. Grazie, Istanbul.

2 ottobre 2012 – Lunga notte di lavoro, solo due piccole isole di sonno nervoso, sulle spalle la pressione dell’urgenza di consegnare. Ora quello stato malinconico e magico che ricorda l’ora dei cornetti caldi dopo una notte a suonare a Piazza Navona ed aspettare inutilmente che Lei esistesse. Per questo credo che sabato sera sarò a Campiglia Marittima, al Teatro dei Ricordi, ad ascoltare Claudio Lolli che suona con gli stessi musicisti di allora le stesse canzoni di allora. Gli zingari felici. Immagino Daniele che sbuffa, certo, ma molto di più l’immagine di un’intervista: “Ho vissuto a cavallo fra il 1974 ed il 1978. Dopo non so”. Lo sappiamo noi, che c’eravamo allora e ci siamo ancora. Già. Vado a salutare il bimbo di allora, nascosto tra le pieghe del mio grasso. Solo al mondo come allora, inconoscibile. Non ho nulla da dirgli che non sapesse già allora. Solo sedersi accanto e ascoltare Lolli cantare di quelli come noi, quelli come noi, quelli come noi. Noi. Già… http://www.youtube.com/watch?v=_RpwYE3QT_k

19 settembre 2012 – Il Governo Monti ha rivisto al ribasso le stime del PIL (prodotto interno lordo), valutando ora realistica una riduzione del 2,4% invece del previsto 1,2%. Prevede oggi un 2013 con una decrescita dello 0,3% ed una ripresa dell’1,1% nel 2014. Dato che queste cifre hanno la virgola, non potete nemmeno giocarvele al lotto. Ma sono ugualmente cifre senza senso e senza nessun rapporto con la realtà. Con la stessa autorevolezza possiamo sostenere che, dato che l’Euro ha perso oltre il 10% del valore sulle altre principali divise nel corso dell’anno in corso, e visto che i debiti obbligazionari contratti dal nostro Paese sono al di lá di qualunque limite che permetta la sopravvivenza di un’economia, il calo reale del PIL sia molto ma molto peggiore. A ciò si aggiunga che i soldi dati alle banche per evitare il loro fallimento hanno accresciuto il PIL. Non indosso giacche multicolori e quindi non dico cifre pese con leggiadrìa, ma non ce n’è certo bisogno per capire che, come annunciato già un anno fa, le misure del governo dei tecnici abbiano sprofondato l’Italia in una crisi industriale, sociale ed occupazionale senza precedenti. Non voglio discuterne le cause, le conosciamo. Così come conosciamo il fatto che le riforme strutturali che Monti avrebbe dovuto fare si sono dimostrate inattuabili perché la maggioranza partitica che lo tiene in carica non le avrebbe votate, perché la popolazione non le avrebbe accettate, perché il conglomerato di interessi (il sistema bancario) che sta dietro Monti le avrebbe con successo boicottate. Abbiamo perso un altro anno, la situazione è sempre più grave. Gli scandali come quello della Regione Lombardia, della Regione Lazio, delle ruberie sul finanziamento pubblico ai partiti compiute dalla Leganord e dalla Margherita non solo non vedono i responsabili politici ritirarsi, ma li vedono affermarsi sulla stampa complice come i John Belushi di “quando il gioco si fà duro, allora i duri cominciano a giocare”. Intanto Monti spara cifre a casaccio. Il PIL continuerà a precipitare, lo spread a mantenersi al di lá della soglia di tolleranza, il debito pubblico a crescere, la disoccupazione e la miseria travolgeranno l’Italia come la Grecia. Cosa fà allora Monti, sospinto dalle cosidette forze sane dei credenti nel libero mercato? Svende il patrimonio immobiliare ed industriale – ovvero le poche cose rimaste su cui, se fossimo persone serie e le banche non fossero decise a stroncarci per coprire la voragine delle perdite plurimiliardarie dei derivati, potremmo offrire garanzie creditizie o realizzare prodotti per ripartire. In Grecia la troika d’occupazione tedesca lo ha già fatto. Ha sottovolatutato l’insieme di quei beni ad un prezzo inferiore di oltre un quarto di quello reale, li ha cartolarizzati per la metà del valore reale, li svende per tre quarti di meno, i soldi li dà non al Paese, ma alle banche. La popolazione perde gli ultimi barlumi di speranza e briciolo di patrimonio comune, le banche fanno un altro giro di giostra. Poi toccherà alla Spagna e, prima o poi, a noi. La svendita dell’Italia è un crimine dal punto di vista economico e politico, ed è un crimine dal punto di vista storico. Ci lamentiamo del fatto che la FIAT si trasferisca negli Stati Uniti e siamo pronti ad accettare che il Colosseo e gli altri beni monumentali, ambientali ed industriali vengano dati via al prezzo d’incanto, senza nemmeno beccare una lira del prezzo pagato. Ma stiamo ancora zitti. Perché abbiamo ancora un parente che lavora alla pubblica amministrazione, un lavoretto in nero, un tesoretto nascosto. La vendita del nostro Paese ci sembra irrilevante finché non si toccano i mobili di casa nostra. Poi, quando venduti quelli, ci si stupisce della mancanza di solidarietà degli altri italiani, speculare a quella che noi avevamo dimostrato fino ad un attimo prima. Come diceva Ugo La Malfa nel 1943, in Italia non funzionano né il libero mercato (che da noi è l’anarchia apparente gestita dalla criminalità organizzata, il latifondo ed il potere cattolico) né la statalizzazione (che è corruttela pura del sistema politico consociativo). Se esistesse ancora Ugo La Malfa, ci vorrebbe una nuova politica dei redditi, basata su un rigidissimo controllo dei prezzi, chiave per una redistribuzione, e la chiusura delle banche in sofferenza all’interno di un sistema di salvataggio dei correntisti – vendendo cioé non le nostre industrie, non i nostri monumenti, ma le nostre banche insolventi, semmai, per rifondarne di nuove con vincoli reali contro la speculazione finanziaria. Un sogno? O questo, o l’ellenizzazione dell’Italia mentre Monti canta vittoria come Nerone sulle rovine fumanti della città che brucia, accompagnato da Berlusconi al piano, da Fini e Casini alla lira e da Bersani al tamburo – quello con cui si batteva il ritmo per gli schiavi nelle triremi romane.

18 settembre 2012 – Oggi, a Catania, è accaduto un fatto gravissimo. C’era un dibattito in TV fra tutti i candidati alla presidenza della Regione Sicilia, registrato in un Teatro catanese, che poi stasera è andato in onda in Antenna Sicilia, una delle più potenti emittenti siciliane, di proprietà di Mario Ciancio Sanfilippo – uno degli uomini più potenti della Sicilia, proprietario di quasi tutti i media dell’isola, con assets azionari anche in Espresso-Repubblica, in La7 ed altre testate nazionali, addentellati vari in ogni tipo di attività imprenditoriale. Non stiamo qui a commentare il fatto che un uomo, il cui nome ovviamente è stato più volte accostato alla famiglia mafiosa dei Costanzo e di Nitto Santapaola, le cui aziende perdono annualmente circa 50 milioni di Euro, gestisca l’informazione in Sicilia in modo completamente indisturbato – inutile giocare a fare le vergini offese. Le cose stanno così. Gli unici che mai si opposero a questa situazione furono i coraggiosi giornalisti della rivista “I Siciliani”, diretta da Giuseppe Fava. Il 5 gennaio 1984, in un attentato disumano, la redazione della rivista venne fatta esplodere, Giuseppe Fava venne assassinato. Oggi suo figlio Claudio Fava si è recato senza il benché minimo sussulto a parlare a quel dibattito – nonostante lui stesso, negli ultimi 30 anni, abbia scritto più volte dei possibili legami di Mario Ciancio Sanfilippo e sia tra i giornalisti che un paio d’anni fa avevano scoperto che fosse sotto inchiesta per ipotizzati rapporti con la mafia (inchiesta nel frattempo archiviata). Claudio Fava e Riccardo Orioles hanno giustamente pianto, il gennaio scorso, la morte del giudice Geri, che era stato l’unico, dopo il massacro del 5 gennaio 1984, a legare la morte di Giuseppe Fava agli interessi dell’imprenditoria catanese legata a doppio filo con Ciancio Sanfilippo. Oggi tutto ciò sembrava dimenticato. Claudio Fava ha parlato di malasanità. In tono educato, quasi scusandosi per l’intrusione. Chi non si é scusato affatto, invece, è Davide Giacalone, che difatti è stato escluso con violenza (due energumeni l’hanno buttato fuori a spintoni) dal dibattito. Claudio Fava non ha fatto nulla. Nulla. ha abbassato gli occhi e, bravo bravo, ha svolto il suo compitino, lasciando ad un peronsaggio della bassezza di Micciché la gloria di andarsene dalla trasmissione sbattendo la porta. Avendo lavorato io per anni ad “Avvenimenti”, che idealmente è stata la rivista nata dal fumo delle bombe che uccisero Giuseppe Fava, mi sono permesso di scrivergli personalmente la seguente lettera: “Ciò che è accaduto oggi a Catania mi lascia esterrefatto. Capisco andare a parlare ad Antenna Sicilia, siamo in campagna elettorale. Anche se Antenna Sicilia, come quasi tutti i media, appartengono a quel Mario Ciancio Sanfilippo di cui tu e tuo fratello, e Michele, Antonio, Riccardo e tutti avete scritto e riscritto e riscritto ed i cui legami con coloro che sono dietro i fatti del 5 gennaio 1984 sono nelle cose. Mi fà male ma lo capisco. Ma poi accettare che Davide Giacalone venga escluso dal dibattito mi sembra veramente preoccupante. Come puoi candidarti ad essere la Sicilia pulita se ti sottometti alle regole di coloro che uccisero tuo padre e non difendi coloro che, nel dibattito democratico, da costoro vengono combattuti? Se ci fosse stata la possibilità di inviarti questo messaggio personalmente, e non sulla bacheca della tua campagna elettorale su Facebook, l’avrei fatto. Magari mi avresti dato una risposta. Temo che di questa “piccola” cosa nessuno chiederà mai contezza. Temo che né te né Giacalone abbiate la benché minima chance di divenire presidente della Regione Sicilia. Ma qui si tratta di mettere una pietra su cui costruire il futuro. Proprio tu, nell’attimo in cui metti quella pietra a Catania, nel bel mezzo di un verminaio, commetti una leggerezza simile? Come si può credere che un giorno ciò che nasce dalla tua candidatura potrà cambiare il volto alla Sicilia dei Ciancio? Cosa ne penserebbe tuo padre, di ciò che è accaduto oggi? Cosa ti sarebbe costato opporti, dire che non avresti partecipato al dibattito senza Giacalone? Perché hai dato a Micciché la carta di uscirsene sbattendo la porta? Perché così dimesso? Non c’è bisogno di dire che so con certezza che non sei compromesso in alcun modo con quella gente. Ma allora, se la vita ti offre un’occasione di dimostrare integrità, coerenza e coraggio, perché buttarla via così?”

17 settembre 2012 – È il capodanno ebraico. Prima di tutto tanti auguri a tutte le amiche ed amici di una vita che vivono la religione ebraica, che sia prr tutti loro un anno di pace e con meno paura. Che sia un anno di conciliazione e non di divisioni. Che sia un anno di coesione e non di diatribe. Come in tutte le crisi (specie di carattere economico) costruite da venti secoli in seno alla cristianità, più complessa appare la realtà, più cresce la rabbia cieca e folle contro l’ebreo. Non dobbiamo mai dimenticare la violenza che abbiamo inflitto noi nati cristiani ai seguaci di altre religioni, come mai dimenticheremo le violenze che altre religioni infliggono ed hanno inflitto ai cristiani. E non dimenticare che cristiani, ebrei e musulmani erano insieme come soci nel traffico di schiavi nell’Africa Nera. Perché siamo tutti uomini e compiamo atti orrendi tipici della razza umana. Non dobbiamo mai dimenticare l’orrore incomparabile dell’Olocausto, ma non solo di quello perpetrato dal nazismo, ma anche quello segreto dello stalinismo e di alcuni governi fondamentalisti arabi. Così come non dobbiamo mai dimenticare le morti assurde di bimbi e donne arabi uccise nelle rappresaglie dell’esercito israeliano. Non si tratta di mettere allo stesso livello questi e quelli, non mi piace fare la classifica dell’orrore. La mostruosità della Shoah, ovviamente, è il suo essere burocratico, una ferita più terribile di tutte le altre. Ma lo stesso dobbiamo tutti fare uno sforzo di riconciliazione e non dobbiamo dimenticare nessuno, perché tutti erano esseri umani. Né cristiani, né ebrei, né musulmani possono più esimersi dall’ammettere questa verità incontrovertibile. Siamo tutti esseri umani, apparteniamo ad una sola grande famiglia. I tre popoli del Libro, una faccia, una razza. Nessuno delle migliaia e migliaia di persone morte nella guerra imbecille e bugiarda contro l’ebraismo è caduto giustamente – sono tutti vittime. Vittime di una violenza stupida, inutile e strumentale, spesso vittime di una propaganda che li accompagna dalla culla e non li lascia liberi. Perché l’orrore vero è la mancanza totale di libertà, a Gerusalemme come a Gaza, e ovunque, fino nei quartieri romani in cui un bimbo ebreo deve aver paura uscendo per strada, con i cani di Alemanno e di orde barbariche filonaziste, senza controllo e senza freno, sguinzagliati e sciolti e pronti a far parlare il sangue, in assenza di cervello e di cuore. Dico questo con l’ansia e la paura che il tempo della Shoah stia tornando. Io non sono ebreo. Credo nel Dio di Abramo ma detesto le Chiese, queste organizzazioni paramilitari e faziose che lanciano i più inermi di noi a morire in nome della loro mancanza di umanità. E voglio essere libero. Voglio essere libero di gridare che la politica del governo israeliano è sbagliata, che gli intrighi sulle fonti petrolifere offshore sono un suicidio incomprensibile ed economicamente insostenibile, che la corruzione dilaga. Che l’integrazione di centinaia di migliai di esuli russi ha cambiato Israele in peggio. Che l’estensione in barba ai trattati degli insediamenti israeliani é ingiusta e criminale. Voglio essere libero di dirlo senza essere tacciato di essere antisemita. Ma voglio gridare che sono stanco del fatto che accettiamo dal mondo politico e militare islamico (c’é ancora una differenza?) qualunque orrore, eccidi e attentati, solo perché abbiamo dei sensi di colpa anche nei loro confronti, perché ci serve il loro petrolio e le risorse naturali nascoste nelle loro terre e ci fà paura che siano pronti a morire (ed ucciderci uno per uno) per un’idea che a noi pare ridicola. Voglio poter dire che noi premiamo dei film che mettono in discussione la nostra religione, loro massacrano a casaccio per una battuta. Le forze che promuovono questi massacri lo fanno per non far capire al cittadino arabo, strumentalmente, che la sharjah come teoria economica non funziona (e nemmeno viene veramente applicata, se non per truffarsi a vicenda fra faccendieri), e che il benessere, con quei governi corrotti ed antidiluviani, non ci sarà mai. La crisi dell’economia e della società secolarizzata – creata peraltro soprattutto dall’applicazione dell’estremismo religioso alla politica ed all’economia – sta rigettando ovunque milioni di persone nelle braccia dell’oscurantismo religioso. Ma questo non è cattolicesimo, non è ebraismo, questa è, da ovunque venga, propaganda sciovinista e militarista: fascismo. L’ebraismo, quello vero e fonte di passione ed impegno, per noi romani, è quello del coraggio e dell’intelligenza quieta di Rabbi Toaff, delle centinaia di intellettuali ed artisti che hanno contribuito a cambiare l’umanità, ma soprattutto di Ernesto Nathan, di cui il 5 ottobre ricorre il 167° anniversario dalla nascita. Se, da umile figlio di Primavalle, posso permettermi un augurio sincero alla Comunità, è quello di spendere almeno un minuto per ripensare a lui ed alla sua opera, alla sua fede genuina, ma alla sua intransigenza di intellettuale, politico, progressista – il sindaco che ha combattuto la Chiesa ed i proprietari terrieri, la corruttela della politica e la mendacia. E lo ha fatto in pace. Tanti auguri, popolo della Torah e della Shoah, per un anno in cui insieme, finalmente, si possa mettere mano alle bugie della politica di ogni dove, un anno in cui Israele possa vivere in pace come ogni bimbo ebreo in ogni luogo, un anno in cui, con il contributo di idee e di civiltà della parte migliore e più onesta e genuinamente credente (senza orpelli propagandistici) dei Tre Popoli del Libro, questo Pianeta in pericolo possa avvicinarsi alla salvezza. Pace, per tutti, riconciliazione. Una faccia, una razza. O la fine di tutto.

16 settembre 2012 – Ancora una volta un bel commento di Davide Giacalone: “Tenere in Italia la produzione di auto è conveniente o meno? Se lo è, o lo può essere, Fiat faccia quello che crede, decida eventualmente di andarsene e il suo posto sarà preso da altri. Se non lo è allora non serve a nulla star a frignare fuori dalla porta di Sergio Marchionne, manco fosse il capo della protezione civile, giacché occorrerebbe rispondere a un duplice, ulteriore quesito: è conveniente pagare il differenziale di convenienza, sussidiando la permanenza? chi lo paga? Domande retoriche, perché la storia c’insegna che non è conveniente, le norme europee ce lo proibiscono e, comunque, non c’è un soldo da sprecare. Invece di chiedere chiarezza alla Fiat il governo dovrebbe chiederla a sé stesso. Che Marchionne intendesse sbaraccare a me pare chiaro da molto tempo. Fece di tutto per perdere il referendum indetto fra gli operai, in modo da avere un solido argomento per chiudere gli stabilimenti e salutare tutti. Solo che gli operai, a dispetto della Fiom, furono di parere opposto. Ma se gli operai si mostrarono realisti il mondo politico, l’insieme della classe dirigente italiana non lo è altrettanto, continuando a supporre che la permanenza o meno di Fiat in Italia dipenda solo da una decisione, se non da un capriccio di Marchionne e degli eredi Agnelli. Se così fosse, potremmo anche essere ottimisti, perché significherebbe limitare il dilemma alle loro bizze, invece non è così e la cosa riguarda molte altre imprese. Vorrei riassumere. Competere nei mercati globali, o anche solo stare sul mercato è impossibile se: a. l’accesso al credito è negato, o praticato a tassi d’interesse nettamente superiori a quelli che pagano i concorrenti; b. l’onere burocratico è sproporzionatamente superiore; c. l’aggravio fiscale è irragionevolmente superiore; d. i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione esigibili (quando lo sono) in tempi imparagonabilmente superiori a quelli europei; e. i debiti verso la pa non solo sono immediatamente esecutivi, ma non assolvendoli si perde diritto al credito; f. l’accesso alla giustizia di fatto negato, visto che richiede tempi calcolabili in lustri; e. il sistema formativo estraneo a quello produttivo. In queste condizioni la desertificazione produttiva e lo sterminio aziendale è la sorte annunciata. L’Italia può tornare a crescere, ma occorrono le condizioni: 1. fine di ogni assistenzialismo distorcente; 2. riduzione netta della spesa pubblica corrente; 3. parallela riduzione del carico erariale e adozione massiccia della fiscalità di vantaggio; 4. riduzione drastica delle funzioni svolte dall’amministrazione pubblica, concentrandosi sulla programmazione e sul controllo dei risultati; 5. smantellamento degli animali misti societari e uscita dell’amministrazione pubblica dall’affarismo; 6. cessione di funzioni e ricchezza al mercato, mediante esternalizzazioni; 7. vantaggi per investimenti e capitale di rischio in arrivo dall’estero. Queste cose a chi le chiediamo, a Marchionne? O non sono forse i doveri del mondo politico, del legislatore e di chi governa? Detto questo, però, neanche Fiat ha tutte le carte in regola: la cattiva pratica delle sovvenzioni, la cattiva politica del sostegno indebito alle aziende, la cattiva condotta dei soldi pubblici spesi per reggere in piedi quelli privati, l’hanno, nel tempo, notevolmente arricchita e fatta crescere. Il punto, però, è che a un’azienda, per giunta oggi diretta da quelli che non l’amministravano allora, non può chiedersi né gratitudine né patriottismo, che sono sentimenti appartenenti ad altri ambiti della vita. Tocca a chi guida il Paese stabilire regole che già sono presenti in altri mercati europei. Ad esempio: decidi di chiudere? È questione che appartiene alla tua autonomia, nella quale il governo non deve minimamente entrare, ma se hai ricevuto agevolazioni per aprire e restare in piedi, nel momento in cui serri il cancello restituisci. Con quei soldi, fra le altre cose, si paga il costo sociale degli operai a spasso. Pensate ad Alcoa, fate il conto di quel che è costata in termini di energia elettrica scontata e provate a immaginare. Fare la serenata a Marchionne non solo non serve a nulla, ma è vagamente patetico. Oltre tutto la moralità del mercato funziona in modo assai diverso: presupposto il rispetto delle leggi, dato che si tratta di società quotate in Borsa, l’amministratore risponde agli azionisti del valore creato o bruciato. Se rispondesse alle confraternite del consociativismo compassionevole otterrebbe esattamente quel che abbiamo: aziende che navigano alla grande in una tinozza, facendo fare ai manager la figura dei condottieri, salvo affondare appena toccano il mare. Siccome l’Italia è, grazie a loro, terra di molti imprenditori coraggiosi e seri, capaci di navigare i mari del mondo, fu un’offesa a loro fare della politica industriale una politica pro-Fiat ed è un’offesa a loro far credere che le scelte industriali dipendano dal cuore e dal dialetto, anziché dalla convenienza e dalla competizione”.

15 settembre 2012 – Così era Piazza Farnese, stanotte, poco prima che suonassi io: diecimila persone che ballavano e ridevano allegramente. Ho avuto la fortuna di suonare col buio e dopo Mannarino, che ha scaldato il pubblico con le sue ballate romanesche. Sicché, quando son salito sul palco e con la voce da banana mannara ho detto: vengo da una regione disabitata fra otricoli e olevano romano, indove la sera se mettemo all’incroci e siccome che nun passa nisuno sentimo le formiche che litigheno, tutti hanno cominciato a ridere, applaudire, gridare. Ho cantato Ma che campamo affà in un tripudio di gente che cantava il ritornello musicale insieme a me, duemila persone che saltavano e gridavano, un’esperienza incredibile… Poi ho cantato Roma muore, ho fatto salire una ragazza dal pubblico sul palco per aiutarmi, la gente applaudiva ad ogni strofa e fischiava il refrain musicale. La canzone alla fine é durata oltre sei minuti indimenticabili. Poi ho fatto il mio solito predicozzo sulla responsabilità e la musica, ho invitato tutti a RomaRIParte del 26 e del 27 settembre, hanno applaudito ancora quando ero ormai sceso dal palco, gli altri musicisti, che non mi conoscevano, mi hanno fatto i complimenti. C’è stato persino chi di è fatto fare una foto con me o ha chiesto l’autografo, roba da ridere… Insomma, c’ero anch’io, stanotte, a Piazza Farnese, e se n’è accorto anche il bambino che è in me, che mi giudica sempre male e non è mai soddisfatto di quanto faccio. Stasera sono felice, felice, felice. La vita è un dono meraviglioso, e la musica ne è la forza che la spinge e la giustifica.

12 settembre 2012 – Condivido una volta in più le parole di Davide Giacalone: “Mario Monti ha fatto bene a manifestare la consapevolezza che i provvedimenti del governo hanno, fin qui, aggravato la recessione in corso. Gli indicatori economici lo testimoniano chiaramente e qualcuno aveva cominciato a rimproverarlo al governo, sicché era opportuno che chi lo guida non provasse né a far finta di niente né a negare l’evidenza. E, del resto, il pronto soccorso non è un istituto di bellezza e l’Italia è stata messa nelle mani di Monti quando era prossima alla rianimazione. Se aumenti la pressione fiscale e annunci tagli, al tempo stesso prevedendo tempi grami e praticando il moralismo fiscale, il minimo che possa capitare è che il fuoco della recessione trovi paglia da far bruciare. Detto questo, non credo che quella ammessa da Monti sia una colpa. E’ solo un fatto. La questione si fa spinosa, però, quando si passa alla preparazione del momento successivo. Ovvero: essendo consapevoli che quelle condotte aggravano la crisi, quando, su cosa e come, si pensa di avviarne di diverse, capaci di far riprendere produzione e consumi? Quello che è mancato, fin qui, è proprio questo. Quando si dice che esiste un’agenda Monti, per giunta sostenendo che andrà adottata e completata anche nella prossima legislatura, o si enuncia un articolo di fede (perché quell’agenda io non la conosco), oppure ci si riferisce ai compiti a casa, ovvero alla traduzione in italiano dei dettami europei. Nel primo caso siamo all’occultismo, nel secondo alla perdita di sovranità. In entrambe non si fornisce la risposta al quesito posto. Risposta senza la quale il Paese si piegherà in una smorfia di rassegnazione prima, di dolore poi e di rifiuto infine. Non dobbiamo permetterlo. Non possiamo permettercelo. Purtroppo il governo tecnico è entrato in stallo esattamente sulla parte costruttiva, sul lato della moneta dove è iscritta la necessità e l’urgenza della ripresa. Ma come si fa a creare sviluppo se non si può aumentare la spesa? Si fa eccome, smettendola di credere che l’aumento della spesa pubblica serva a favorire gli investimenti, laddove, invece, come Alcoa dimostra, l’uso dissennato di quella spesa precipita l’Italia nell’improduttività. Il capitolo delle liberalizzazioni è stato affrontato all’inizio e subito abbandonato. Quel che residua è robetta. La riforma del lavoro, portata in porto da questo governo, va in direzione opposta al necessario: non rendendo permeabile quel mercato e, semmai, rendendolo ancor più scivoloso sul lato dell’ingresso. La riforma fiscale non si vede, mentre ci attende un ulteriore aumento dell’iva. Sui temi della giustizia si sta facendo un gran baccano circa la legge sulla corruzione, lasciando credere che approvata quella la si debella, mente, invece, sono sballati anche i numeri con la quale la si racconta, nel frattempo le procure sono rimaste teatri per le ricostruzioni storiche (fantasiose) e i tempi, sia nel civile che nel penale, non hanno nulla a che vedere con la civiltà. La scuola comincia un nuovo anno senza che si sia fatto un solo passo in avanti nella digitalizzazione, che fra poco equivarrà a fare i compiti sulle tavolette di cera, in compenso si parla di concorsi, sempre perché si pensa a chi nella scuola lavora anziché a chi nella scuola dovrebbe apprendere. Il ministro della sanità s’è infilato in un buco di moralismo alimentare. Laddove i conti restano totalmente fuori controllo. Posso continuare di slancio, riempiendo le pagine di questo giornale. Ora: sarebbe da stupidi e da disonesti supporre che di tutto questo porti colpa il governo Monti, ma è da propagandisti dire che i vari decreti sviluppaitalia e crescitalia non siano stati altro che trastullitalia. Sono rimaste parole, neanche troppo interessanti, per giunta neglette e disattese dagli stessi che le hanno scritte. Brutto da dirsi, peggio da tacersi. A tutto questo si aggiunge il fatto che si fa diffondere l’impressione che il merito maggiore del governo, in compartecipazione con la Banca centrale europea, sia quello d’essere riuscito a domare i mercati. Questa, forse, è l’illusione più pericolosa, perché s’è solo comprato tempo al consumarsi del quale si dovranno chiedere gli aiuti europei. Nella qual cosa non vedrei nulla di drammatico (certo spiacevole), se non fosse che i meccanismi attuali portano con sé una cessione asimmetrica di sovranità: noi la perdiamo, mentre altri no. Se questo è un successo non oso immaginare in che consistano le sconfitte. Noi, da queste pagine, scrivemmo subito non solo della legittimità istituzionale del governo Monti, ma anche della sua necessità. Ragionammo e ragioniamo non per schieramenti, ma per fatti. E i fatti dicono che sul lato costruttivo il governo arranca e sbuffa, restando fermo. Per la vicenda Alcoa Roma è stata sorvolata, l’intero giorno, da un elicottero, nel mentre il traffico del centro impazziva. Senza politiche adeguate sarà necessario far debiti per la benzina, giacché quell’elicottero resterà in cielo permanentemente. La sincerità di Monti è una bella cosa, ma non basta”.

9 settembre 2012 – Scrive Davide Giacalone, e condivido completamente: “Voti uno e prendi due. Oppure no: voti uno e non prendi nulla. Queste le due alternative, al momento, del marketing elettorale italiano. Ma la cosa più significativa è che sembra siano tutti contenti del fatto che sia esclusa l’ipotesi più classica: voti uno e quello governa. Prima o dopo gli italiani saranno chiamati alle urne, rompendo il quadro idilliaco nel quale viviamo: una classe politica solidamente assisa su una rendita di posizione, in compenso priva di qualsiasi utile funzione. Votando, invece, si deve cominciare da capo a spiegare il perché e il per come la democrazia rappresentativa è una grande cosa, le ragioni per cui quei determinati politici potrebbero fare in futuro quel che non hanno fin qui fatto, ciascuno chiedendo il voto proprio perché non è stato capace di far corrispondere i fatti alle parole, il tutto con il concreto rischio di non essere creduti, sicché molti potrebbero starsene a casa e tanti potrebbero andare a votare qualsiasi cosa, pur di far sapere che non ne possono più. Eppure tocca, c’è poco da fare. Bisognerà votare. Ed ecco la soluzione: voti uno e prendi due. Vuol dire che puoi liberamente votare per questo o per quello, e anche, ove t’aggradi, per quell’altro, ma le cose sono messe in modo tale che nessuno avrà una maggioranza con cui governare, per cui s’acconceranno se non proprio a farlo assieme, comunque a far in modo che ciò capiti a parti consistenti di schieramenti fasullamente avversi. E’ quel che si sta sperimentando in Sicilia, cui vi propongo di guardare come al vostro peggiore futuro: a. quelli accreditati a vincere sono gli stessi che hanno creato e retto il governo che ha portato la regione alla bancarotta; b. a capitanare gli schieramenti hanno messo materiale di risulta; c. se i siciliani decideranno di mettere un Crocetta sul loro futuro, non disponendo di maggioranza, questo governerà con i lombardiani (già rappresentati nel suo schieramento) e con i fuoriuscita dalla sconfitta della destra; d. se vincerà Musumeci, non disponendo di una maggioranza, governerà con i lombardiani e con l’Udc, nel frattempo scappata al disastro della sinistra. Voti uno e prendi due, tanto erano soci già ieri. Siccome fa un po’ senso ecco che a Cernobbio, dove c’è gente bene e non sono ammessi gli spiantati, si predilige la soluzione di classe: voti uno e non prendi nulla, perché dopo il voto si torna a Monti, da dove si era partiti. Non perché sarà stato promosso dagli elettori (sono convinto che se si presentasse lo sarebbe, per puro rifiuto di tali politici, ma non si presenterà), bensì perché saranno stati schifati gli altri. Che sembra anche una soluzione efficace, non priva di genialità fantasiosa, se non fosse per un difettuccio: fa a cazzotti con la democrazia. Da noi è in cattiva salute, la democrazia. Non solo per le ragioni che la rendono debole anche altrove, ovvero perché la forza e la territorialità dei mercati supera quelle degli stati. Da noi c’è un problema in più: gli elettori detestano gli eletti, però non solo continuano a eleggerli, ma c’è un intero sistema dell’informazione che spiega loro quanto sarebbe nociva (o inutile) ogni altra scelta. L’unica cosa legittima è eleggerli e poi pagarli perché non facciano un accidente. Si cerca di salvare la forma, ma la si scassa offendendo anche la sostanza. Il punto di stallo è lì, nel vedere che la classe politica è inadeguata, ma non così diversa dalla società che rappresenta. Detesto pensare che ci voglia per forza uno shock, preferisco credere che ancora ci sia la voglia e la lucidità per reagire. Ci riusciremo quando sarà diffusa la convinzione che deve farlo ciascuno di noi, senza aspettare che siano altri”. Molti credono che se si avesse un sistema perfettamente bipolare, come negli Stati Uniti, le cose sarebbero diverse: la popolazione vedrebbe governare coloro che ha votato. Vero, senza dubbio. Ma non potrebbe votare (nella maggior parte dei casi) chi vorrebbe che governasse. Parlando con due miei amici giornalisti americani, ho chiesto loro se voteranno Repubblicano o Democratico. Mi hanno detto che provano orrore puro per entrambe le soluzioni, e che il disastro USA, il vero motivo della fine della democrazia in America, é che non esiste nessun argine al potere dell’economia. Nessuno. Non esiste nessuna voce fuori dal coro, non esiste nessuna forza che si opponga a chi schiaccia le libertà individuali, produce e vende prodotti gravemente nocivi, consuma materie prime ad un ritmo di 50 volte superiore ad ogni altro Paese del pianeta, uccide a caso. Mi dicono che nelle grandi città americane, in un conflitto a fuoco, non sai più da che parte stare. La Polizia, debole, corrotta e completamente politicizzata, è nella maggior parte dei casi più spaventosa del crimine organizzato. Quest’ultimo ti prende dei soldi per proteggerti, la Polizia di prende dei soldi per torturati. Parlano dei sistemi democratici europei come il grande sogno di una libertà possibile e spiegano che anche negli USA è quasi impossibile prendere decisioni, perché in Parlamento gli schieramenti non sono dettati dai partiti e dalla politica, ma dalle lobbies. La corruzione, negli USA, non è reato: è sistema. Ed è esattamente ciò di cui sognano i nostri politici, un sistema completamente autoreferenziale in cui comanda colui che ha i migliori rapporti con il mondo imprenditoriale e del crimine organizzato. Ciò che per l’Italia è stato l’omicidio Moro, per gli Stati Uniti sono stati i due omicidi dei due fratelli Kennedy – e specialmente l’omicidio di Robert Kennedy, che era il progressista vero ed onesto dei due fratelli. La formula non migliora mai la sostanza. È sulla sostanza che dobbiamo lavorare, poi il sistema funzionerà comunque, quale che sia.

8 settembre 2012 – Questo video, tratto da una trasmissione televisiva del canale La7, pone diversi problemi fondamentali che mi pare necessario chiarire. Il primo è di natura deontologica. Ha il giornalismo il diritto di registrare e mandare in onda le dichiarazioni di una persona al di fuori dell’intervista ufficiale? Motivi per il sì: in una mondo in cui la versione ufficiale è al 99% una bugia, ben venga l’immagine rubata, finalmente un frammento di “verità” nel caos di bugie che ci ottenebrano la mente e vengono propalate da tutti i media. Secondo motivo: nel momento in cui un cittadino è a conoscenza di un crimine, ha il dovere civico di dirlo. Mi spiego: se Luigi mi racconta che ha un’amante, non ho il diritto di ferire la sua privacy raccontandolo. Se Luigi mi racconta che sta andando a casa di Giuliano per ucciderlo, allora devo fermarlo o comunque rendere noto il suo proposito criminale. Ciò che Beppe Grillo e la Casaleggio Associati sta facendo in Italia, ovvero un tentativo di colpo di Stato, forse rientra nell’elenco dei segreti che il cittadino deve raccontare per cercare di impedire che venga commesso un crimine. Ragioni per il no. Il Sig. Favia (che non conosco, ma da come parla si capisce che sia una persona in vista all’interno del Movimento 5 Stelle), dice delle bugie (o meglio commette volontariamente delle omissioni) nell’intervista ufficiale perché è seriamente preoccupato per le conseguenze personali che potrebbe subire qualora dicesse la verità, e questo, nelle regole deontologiche del giornalismo, è un suo sacrosanto diritto. Secondo motivo: chi dice che le asserzioni “off the records” siano vere e non orchestrate da Favia per attaccare qualcuno nel partito di Grillo? Il giornalista, che non conosce la verità, forse non ha il diritto di porsi come giudice di parte – il giornalismo dice che il reporter deve essere imparziale, il giornalista di questa intervista non lo è stato. Dunque? Dunque la risposta univoca è impossibile. Dato che la politica da noi è debolissima ed è da 20 anni basata sull’insulto, sull’insinuazione non suffragat da prove, sul pettegolezzo, sul ricatto, sulla messa in scena, questa intervista altro non é se non lo specchio della disinformazione degli ultimi 20 anni che viene erroneamente denominata giornalismo ed invece è solo un prodotto di scarto della propaganda non politica, ma di setta o di gruppo di potere. Beppe Grillo e la Casaleggio non costituiscono un’alternativa politica, ma una setta religiosa alternativa. Non si propone soluzioni, ma solo repulisti – ovviamente degli altri, non del marcio che ha in se, considerato il giusto prezzo che il cittadino debba pagare per avere una specie di pulizia primaverile che spazzi dalla scena il grosso della morchia di 70 anni di mancanza di democrazia e trasparenza in Italia, senza rendersi conto del fatto che Grillo non è il nuovo che avanza, ma il vecchio che rigurgita, come le ali conservatrici in seno alla DC, al PCI, al PSI, al PLI ed al PRI nel Dopoguerra: gruppi abituati da 20 anni di fascismo a sparare e dissimulare, ma senza nessuna visione d’insieme della società e dei metodi di realizzarla, senza nessun senso civico, senza preparazione, senza nessuna esperienza della democrazia. Beppe Grillo e la Casaleggio hanno dimostrato di essere l’opposto della democrazia – ed in questo modo sono in linea con il PD, il PdL, la Lega, l’IDV. il FLI, l’UDC e tutte le altre sigle e siglette della nostra politichetta di avanspettacolo, che combatte e distrugge il pensiero nel nome della difesa reazionaria dei potentati precostituiti. Quindi: questa intervista non è giornalismo, ma propaganda politica, ed in quanto tale svolge bene il suo compito e va salutata con favore, perché forse ci fornisce un minimo di trasparenza o comunque ci dà una nuova visione del Movimento 5 Stelle di cui gli elettori hanno bisogno per dividersi una volta ancora (come in Italia succede sempre) fra adepti religiosi, tifosi calcistici e liberi pensatori. Quindi l’intervista rubata al Sig. Favia sul Movimento 5 Stelle pone tutta una serie di problemi da affrontare: 1) Bisogna aver paura di Grillo, provare piacere per una sua possibile vittoria elettorale, o più semplicemente ritenerlo una variante irrilevante del futuro del nostro Paese? 2) Gli altri partiti hanno il diritto, l’autorevolezza e la capacità di opporsi al disegno del Movimento 5 Stelle, quale esso sia? 3) Cosa vogliono davvero Casaleggio ed i suoi scherani? E siccome l’ultima domanda è quella più accattivante, comincerei da questa. Tradizionalmente, in Italia, esiste un bonapartismo di sostanza mascherato da smanie rivoluzionarie. Sia nei moti del 1828 che nel corso delle battaglie per il cosidetto Risorgimento fra garibaldini e non-garibaldini; sia nell’era giolittiana che nella nascita del fascismo; sia nella truffa referendaria del 1948 che nei governi fino al 1978 (fino alla fine del sogno della possibile nascita di una vera democrazia in Italia, segnata dall’omicidio Moro), ad ogni fine di un sistema di potere, accanto a forze diverse che credono in diversi possibili futuri, emerge fortissimo un nugolo di forze reazionarie che, terrorizzate dall’idea di cambiare l’esistente, fà breccia stranamente anche e soprattutto sugli strati più poveri e meno acculturati del Paese per combattere quella svolta epocale che Ugo La Malfa, l’unico vero rivoluzionario italiano assieme ad Amendola ed a Piero Gobetti, aveva inserito nella Nota Aggiuntiva del 1962: la libertà è legata indissolubilmente alla trasparenza, alla cultura ed al benessere. Né libero mercato, né statalismo, entrambe prospettive vecchie, medievali, riaffermate dal bonapartsimo e dal bismarckismo come repressione degli ideali illuministi e purtroppo confermate nella trasposizione nel quotidiano dalla realizzazione del bonapartismo nel fascismo, nel nazismo e nel bolscevismo. In nome di questa rivoluzione né liberale né conservatrice né comunista ma di pura utopia libertaria, La Malfa e Oronzo Reale schiacciarono nel PRI coloro che invece si ritenevano religiose propaggini del amzzinianesimo e del garibaldinismo nella politica – due malattie del bonapartismo di casa Repubblicana, da cui il Partito Repubblicano, oggi, non solo non è guarito, ma ne è addirittura dominato, e per questo motivo verrà cancellato dal futuro della politica. L’essere umano ha diritto alla democrazia, ma ne ha il dovere: deve star bene, deve avere abbastanza per vivere, per pensare, per sognare, per decidere in serenità cosa sia giusto per se e per il proprio Paese. Ma il bonapartismo vuole l’opposto, la guerra tra fazioni che tutto semplifica e giustifica le differenze. Noi italiani siamo pronti a morire per un’ideale o per gli affetti, ma non a vivere per essi in modo coerente e intransigente (soprattutto con noi stessi). Siamo campioni mondiali dell’etica flessibile – che vale per tutti tranne per me che sono furbo e comunque non sposto la cifra totale della società. L’italiano, fino ad oggi, è asociale. Beppe Grillo quindi si inserisce in un momento di grande travaglio in questo solco. La gente ha difficoltá a credere nel partito della Chiesa, perché sa degli orrori che nasconde. Sa che la Leganord è un accrocco di deficenti avvinazzati, mandrilli impotenti e ladri di elemosine, beceri e tendenzialmente primordiali. Sa che partiti come l’Italia dei Valori, il SEL o compagnia cantante sono espressione delle clientele sordide che la Chiesa cattolica e quella comunista non sono riuscite a tutelare, piene di revanchismo di scuola fascista (bonapartista) che solo Mussolini seppe usare per un progetto unitario (e qui prescindo ovviamente sul mio giudizio sul bonapartismo al potere, che alla fine ha prodotto una ditattura sciocca e becera che alla prima vera difficoltà ha ucciso il suo capo). La gente sa che il PD ha cercato disperatamente di essere Democrazia Cristiana senza essere partito contadino ed ecclesiastico, ma limitandosi ad essere partito di estrema destra (un partito reazionario che sogna il ritorno al passato e congela ogni cambiamento o spinta verso il mutamento) corrotto dagli interessi finanziari internazionali – e quindi nel suo intimo profondamente antitaliano. La gente sa che il Pdl di Berlusconi è stato la sintesi di tutti questi orrori. Quindi la gente, che non capisce cosa accade, rimbambita dal boncompagnismo terroristico del marito di Maurizio Costanzo e di tutta l’informazione (propaganda) politica, preferisce smettere di pensare ed affidarsi ad una catarsi distruttrice, un Giudizio Universale, Beppe Grillo che in base a dei criteri assolutamente incomprensibili di estetica ed antipatia e senilitá incipiente divide il mondo in vivi e morti. Qualunque cosa venga dopo sarà meno peggio, pensa. Lo credeva anche quando elesse Berlusconi nel 1994. Lo credeva quando lo depose poco dopo. Lo credette di nuovo riportandolo al governo. Lo credette una volta in più accettando il colpo di Stato della Commissione Europea e del presidente Napolitano, che ha annullato il Parlamento ed eletto un funzionario di banca debole e prezzolato a Primo Ministro. Ed ogni volta è andata peggio. Ora Grillo promette. Ma non si sa cosa. Il povero Pizzarotti, a sei mesi dal suo insediamento si Sindaco di Parma, ancora non ha cominciato a lavorare. Chi farà il presidente del consiglio se vince Grillo? Casaleggio personalmente? No di certo. Grillo nemmeno. C’è un altro nome. No, non Marco Travaglio, anche se appartiene allo stesso movimento esoterico di protofascismo intellettuale. Nemmeno Alessandro Del Piero, che é andato a vivere in Australia. Ma deve essere un nome di quel calibro lì. E deve essere uno che si lasci guidare da Casaleggio. Dev’essere qualcuno che é già sul palcoscenico ma a cui nessuno sta pensando, perché è apparentemente pulito o nessuno potrebbe mai immaginarselo come demiurgo. Chiunque io elencassi qui sarebbe un insulto ad una brava persona che non c’entra nulla, probabilmente. Quello che vuole Casaleggio é chiaro: sdoganare il suo partito del fascismo elettronico come una possibile via d’uscira bonapartista, né di destra né di sinistra, ma sociale, come fu il fascismo di Benito Mussolini. Ma non siamo più nel 1920, ed il Sig. Favia lo ha detto – facendo così il partito gli esploderà fra le mani, perché la gente per bene che sta lavorando nel Movimento 5 Stelle ne uscirà furibonda. Forse. E forse no. Speriamo che ciò accada. Ma pare oramai chiaro che questa parabola passa per una votazione elettorale, per un trionfo alle politiche che il Movimento 5 Stelle dimostri di non saper gestire. Personalmente ho orrore di queste cose, ricordandomi il governo Facta ed il governo Von Hindenburg. Questa intervista a favia dimostra che siamo in una situazione simile a quella del 1922. Si tratta ora di capire se gli italiani, da allora, sono cresciuti o no. Io temo di no. Seconda domanda: Gli altri partiti hanno il diritto, l’autorevolezza e la capacità di opporsi al disegno del Movimento 5 Stelle? La mia personale opinione è: no, giammai. Ogni attacco pubblico di uno qualunque dei partiti della Seconda Repubblica rafforza Grillo e Casaleggio. Se il bue dà del cornuto all’asino, a parte gli inguaribili tifosi, gli altri pensarenno: ma che diavolo sta dicendo quello? Come fà ad aprire la bocca lui, che é il simbolo dell’incapacità, della corruttela, dell’arroganza, dell’inefficienza, della non democraticità e delle ruberie? Se è vero, come credo, che Grillo non è alternativo a Berlusconi, Alfano, Monti, Casini, Maroni, Di Pietro, Vendola, Renzi e Bersani, allora é altrettanto vero che nessuno di loro é alternativo a lui. Nessuno. L’esistenza di Grillo pone quindi un problema tremnendo ed apparentemente insolubile. Dopo la caduta di Berlusconi molti hanno pensato: così in basso non ci cadremo mai più. Invece Monti é un passo ulteriore verso il basso. Ed ora Grillo blocca la strada per qualunque soluzione che ci riporti verso l’alto. Toglie spazio a qualunque nuova candidatura, nuova idea, nuova aggregazione. Soffoca il dibattito costruttivo, obbliga a misurarsi sempre con le stesse corbellerie, pettegolezzi, frittelle di aria vecchia, dichiarazioni deliranti. Non dá nessuno spazio ad una forza che abbia un’idea di un cambiamento strutturale che ponga al centro gli ideali delusi della Nota Aggiuntiva: democrazia, trasparenza, libertà, benessere. Ma se i partiti non hanno il diritto di dare lezioni a Grillo, e la stampa non é altro se non il megafono rauco e spocchioso della politica, chi lo ha questo diritto? L’ultima domanda: Bisogna aver paura di Grillo, provare piacere per una sua possibile vittoria elettorale, o più semplicemente ritenerlo una variante irrilevante del futuro del nostro Paese? Temo che Grillo sia un passaggio inevitabile, ma che davvero non sarebbe stato necessario. Se i nostri politici, i nostri imprenditori, le nostre banche, i sindacati, tutti noi (quindi noi stessi, ciascuno per se), avessimo fatto i compiti a casa dopo le grandi prove fallite della nostra storia: il referendum del 1948, la legge truffa del 1953, l’uccisione di Enrico Mattei, la crisi mondiale del 1973, l’omicidio Moro e la strategia della tensione, la fine della Guerra Fredda, le guerre di conquista americane degli anni ´90, lo scontro con l’Islam del 2001, la crisi globale del 2007. Ogni volta siamo stati ricacciati indietro ad una condizione ottocentesca, ogni volta abbiamo dovuto raccattare i pezzi e ricominciare da capo. Ed ora Grillo rischia di creare un vuoto ancora più spaventoso. Se vince e delude, chi potrà mai convincere gli italiani a credere a qualcosa? Quindi non bisogna avere paura di Grillo in se, ma di Grillo in me, per parafrasare Giorgio Gaber. Bisogna aver paura delle idee folli di totalitarismo elettronico di Casaleggio, della balbuzie delirante del vecchio comico che, raggiunta l’etá della pensione, appare come il Nerone di Ettore Petrolini. Bisogna aver paura del vuoto che lasceranno, del fatto che molti crederanno che non ci sia nulla a cui credere, perché è stato insegnato loro a non credere a se stessi ed hanno considerato comodo accettare questa versione servile e medievale della vita pubblica. Ridiamo per il fatto che la Russia e la Cina abbiano vinto la Guerra Fredda 20 anni dopo averla persa, del fatto che la Germania vinca la Seconda Guerra Mondiale 65 anni dopo la distruzione di Berlino. Ma cosa dovremmo allora dire e fare per il fatto che noi, 1536 anni dopo la morte di Romolo Augustolo, stiamo ancora continuando a perpetrare, con noiosa esattezza ed ossessiva ripetitività, la fine della civiltà e dell’Impero Romano? Allora copiammo la democrazia dai greci, la sporcammo di una corruttela infigarda e infinita, ci spegnemmo nell’incapacità di ristrutturare l’economia, la logistica, le comunicazioni, il sistema di controllo sociale, nella mancanza di solidarietà e nel non voler accettare individualmente le regole che assicurino libertà, democrazia e benessere a tutti. Vogliamo un giardino più verde di quello del vicino. Non migliorando il nostro, ma calpestando l’altrui. Grillo è l’apoteosi dell’oscurantismo pagano e precristiano della Roma dei liberti. Dopo di lui, il diluvio. Dopo il diluvio, dovremo esserci noi. Per scelta, per vocazione, per senso di responsabilità. Noi democratici, progressisti, costruttori di benessere e trasparenza senza aggettivi. Dobbiamo costruire nuove ali all’Italia per uscire dal Labrinito del Minotauro, ricostruire la lingua per cancellare la Menzogna di Dedalo, riscoprire l’affetto, la lealtà, la profondità e la solidarietà per capire che dalle sabbie mobili si esce insieme, o si muore tutti. http://www.youtube.com/watch?v=Oah6vq4QHPY

4 settembre 2012 – Scrive Davide Giacalone, e purtroppo ritengo che abbia totalmente ragione: “L’Italia corre verso i deliri egolatrici. In un sistema istituzionale ottocentesco, privo di elezione diretta dei governanti, ciascuno chiama alla raccolta sul proprio nome, come se una faccia possa equivalere a un programma. Capiterà, invece, quel che sta capitando in Sicilia: diventeranno inutili le elezioni, perché non si candida nessuno che conti, nessuno prenderà la maggioranza e gli sconfitti governeranno. Poi c’è Grillo, eretto a simbolo di sé medesimo: prima delle scorse elezioni amministrative ho scritto che era solo un sintomo, non la causa di alcunché. Tutto sommato neanche negativo, perché portava elettori alle urne. La vittoria di Parma ha sderenato i partiti strutturati, ma non ha fatto nascere nulla. Continua a essere un sintomo, aristotelicamente vociante di sé stesso vociante. L’egotismo imperante scimmiotta il leaderismo statunitense, ignorando che colà è protagonista il sistema delle nomination, nonché due partiti dalla tradizione secolare. Visto che si elegge la persona del comandante in campo è ovvio che quello incarna la linea, ma s’impone per quella, mica per come si pettina (quello è il contorno). Da noi, invece, c’è una congrega micropolitica che scimmiotta le campagne presidenziali, che ritiene sia d’interesse collettivo cosa fa a letto o come si rintrona, che si fa ritrarre in pose ridicole e assolda non solo i media, ma anche i consulenti d’immagine e comunicazione. Oramai la politica italiana è infestata da berluschini microcefali, viventi nella speranza che il maestro sappia ancora dare loro una posizione, pro o contro di lui, e nel terrore che li spazzi via con un fiato, mettendo in atto la sua invidiata maestria comunicativa. Il tutto nel più assoluto vuoto d’idee e programmi. Ed ecco la Sicilia che avanza. Si candida uno che parla di sesso, lo sfida un altro che parla di droga, fa loro compagnia un terzo che non parla, e forse è meglio. Il primo capeggia lo schieramento che ha appoggiato Raffaele Lombardo, definitivo affossatore della regione. Il secondo è alleato di Lombardo. Il terzo capeggia lo schieramento che fece nascere Lombardo. L’inutilissima trinità vive grazia al suo creatore: Lombardo. A guidare gli schieramenti hanno messo direttamente gli estremisti: Crocetta è un comunista di questo secolo, Musumeci un fascista di quello passato, mentre Micciché un trasformista eterno. Nessuno avrà la maggioranza, sicché chi arriva primo si alleerà con … Lombardo, vale a dire con il dna compatibile alla vuotissima trinità. La Sicilia avanza perché questo capolavoro è propiziato dai partiti nazionali: il Pd perché così imbalsama l’alleanza con l’Udc; il Pdl perché è meglio una fine orribile di un orrore senza fine, quindi dopo l’imminente musata potranno ben dire che non c’è nulla da salvare. Procedendo così, quindi, l’inutilità sicula diventerà inutilità italica. L’assenza di maggioranza governante sull’isola diventerà assenza anche nella penisola. I partiti lasciano il campo a congreghe autoreferenziali, dove un manipolo di gerarchi possono decidere chi eleggere e chi espellere. Il vuoto genera vuoto, accompagnandolo con un esibizionismo da avanspettacolo. Giusto che un teatrante ne approfitti. Meno giusto che noi tutti lo si sopporti”.

3 settembre 2012 – Si avvicina l’alba del 3 settembre. Un’altra alba del 3 settembre, come un anno fa e come due anni fa. Ma non é dei ricordi che si vuol parlare, troppe cose che faranno male per decenni, soprattutto la colazione in veranda a Massa Marittima con una tazza di thé fumante in mano e la bruma autunnale a sorridermi… il lago, la stanza, gli odori, le albe rosa e viola, il cuore gonfio di gratitudine per l’immenso, la certezza che qualcosa stesse arrivando. Vento dall’Est, scriverebbe la signora Travers… Ma il mondo gira, gira, gira vorticosamente: tutto è cambiato ancora, di prima non resta che un dolore segreto, e questa è sempre stata una mia grande qualità. Ma al centro, nell’occhio del ciclone, tutto è rimasto intatto, come il 3 settembre del 1977. Una giornata di cui non ricordo nulla, naturalmente. Mi ricordo solo una partita a carte con Antonio, una discussione con Daniele, entrambe a fine estate. E mi ricordo di un agosto avventuroso ed emozionante – nonostante la mia insicurezza e fragilità. Cento anni e cento chili dopo la stanchezza è immane, ma non basta, bisogna andare avanti. Mi aspetta una notte di lavoro. Sono stato previdente e mi sono ridotto all’ultimo momento. Tanto non avrei dormito. E come faccio sempre per queste speciali ricorrenze, mi sono preparato compiendo un paio di sciocchezze, tanto per addolorarmi, tanto per mettere in discussione le cose migliori che ho dalla vita. Che bimbo che sono: castello su, castello giù. Non c’è più la superstizione, l’idea che una forza esterna influenzi le mie piccole stolte capriole. Al contrario, questa forza mi ha tenuto in vita al di là di ogni cretinata commessa, di pericolo corso, di pazzia autodistruttrice. Sono ancora qui. Come dice la canzone: dovrete uccidermi, perché io non me ne vado. Mai

2 settembre 2012 – Sul blog di Beppe Grillo, l’organizzazione della Casaleggio Associati ha compiuto oggi un’operazione simile a quella che Silvio Berlusconi ha tentato più volte con successo. Ma con delle differenze sostanziali e preoccpuanti. Berlusconi, per giustificare i suoi fallimenti politici, ha sempre parlato della campagna d’odio scatenata nei suoi confronti dai cosidetti comunisti. Il fatto che le campagne d’odio, specie tramite i suoi giornali ed i suoi canali televisivi, le avesse scatenate lui,e che racogliesse volentieri tempesta dopo aver seminato vento, è sempre stato un rischio calcolato da Berlusconi che, padroneggiando come forse nessun altro il mestiere di venditore dello sciroppo antitutto, per anni ha dimostrato una percezione estremamente talentuosa della temperatura del popolino – incanalando la rabbia, interpretando l’invidia, investendo sull’amarezza e sulla frustrazione, insegnando che non esiste che il destino, che é cieco e non ha metodo, trasformando il Paese in un coacervo di supini consumatori e scommettitori di gratta-e-vinci. Ma lo ha fatto con dei limiti precisi e sapendo bene cosa volesse ottenere. Oggi Grillo mette in scena le sequenza più spaventose del film tratto dal romanzo “1984” di George Orwell e sostiene che le voci critiche che si alzano contro di lui ed i metodi suoi e dei suoi proprietari ed ispiratori politici non siano critiche, ma espressione di una campagna tesa non solo al linciaggio morale, ma all’eliminazione fisica di Beppe Grillo stesso. Come Berlusconi, Grillo divide il partito dell’Amore (il suo) da quello dell’Odio (tutti gli altri) ed invoca una morte e resurrezione, chiede di essere trucidato. O è veramente in preda ad un delirio di fanatismo religioso, come sembra guardandolo nelle ultime sucite pubbliche, o tutto ciò fà parte di una campagna mediatica precisamente voluta e calcolata. Mi fà paura. Mi fà paura perché entrambe queste soluzioni sono orribili. Il Movimento 5 Stelle vincerà comunque le elezioni. Anzi, più Grillo sta zitto e viene insultato dalla maggioranza di destra che regge il Paese (Bersani – Monti – Casini – Berlusconi – Fini) e più voti guadagna il suo movimento dispotico-religioso. Cosa vuole adesso? Cosa sta cercando? Non gli basta vincere? Quale è la posta in gioco? Cosa è che i suoi capi vedono e noi non riusciamo ancora a vedere? Quale mostruosità cerheranno ora di farci accettare come la difesa di un debole, invece della violenza di un pazzo?

31 agosto 2012 – Quanto sta accadendo nelle miniere del Sulcis ed all’Alcoa non può non smuovere la rabbia e la commozione di tutti. Ma non deve far perdere la bussola. Lo Stato ha pompato centinaia di miliardi in queste aziende che, nello scacchiere internazionale delle commodities, non hanno più ragione di essere. Non perché il carbone non serva, non perché l’Alcoa produca qualcosa che non si vende, ma perché fare queste due cose in Italia è logisticamente ed economicamente intollerabile. Tutti hanno promesso loro (da Prodi a Berlusconi) che il libero mercato li avrebbe salvati, ma in realtà gli ultimi dieci anni queste imprese hanno funzionato perché sovvenzionate al 100% dallo Stato e dalle nostre tasse. Questo vuol dire che i lavoratori del Sulcis e dell’Alcoa sono colpevoli e sono degli affossatori del sistema? Giammai. Sono vittime, sono e restano vittime. La responsabilità è delle aziende che hanno sfruttato i soldi dello Stato italiano? Sì, perché non sono state costrette a fare nulla per rendere quelle società redditizie, non ne hanno rinnovato le infrastrutture, non hanno migliorato nulla: né la sicurezza, né l’efficienza, né la redditività, né la vicinanza ai mercati, nulla. Ma la responsabilità maggiore é dei politici, che in cambio dei voti hanno appoggiato questa soluzione suicida. Che fare ora? In Germania situazioni come queste ci sono state dieci anni fa ed il Governo le ha risolte brillantemente. Noi abbiamo perso dieci anni e non abbiamo i soldi per riconvertire nulla, ora. I politici hanno la scelta fra ributtare miliardi in un buco nero e rinviare la patata bollente al prossimo Parlamento o attendersi un fatto di sangue clamoroso, chiudendo baracca e burattini. Ancora una volta la soluzione è altrove. Le aziende corresponsabili devono ora pagare (insieme allo Stato) perché i dipendenti ristrutturino gli impianti per renderli appetibili – invece di scavare in perdita – oppure convertano la fabbrica Alcoa in un progetto diverso, magari a capitale misto, che sia impegnato nella ricerca, sviluppo e produzione di energia rinnovabile – perché noi i minerali che lavora l’Alcoa non li abbiamo, nel sottosuolo, e quindi la fabbrica non sarà mai competitiva. Bisogna riqualificare il personale ed usarlo in parte per costruire le infrastrutture mancanti o ricostruire quelle fatiscenti e dannose per l’ambiente. Se lo facessimo potremmo anche usufruire dell ‘aiuto Europeo. Ma dovremmo rinunciare alle consorterie elettorali, che negli ultimi anni stanno dimostrando di essere impermeabili a tutto: all’evidenza, al fallimento, alla rabbia, alla devastazione sociale, alla tragedia umana, al massacro che arriverà, preannunciata nemesi, utile per trattare i poveracci come terroristi, invece che come povera gente che ha fame di lavoro.

27 agosto 2012 – Scrive Davide Giacalone (e condivido pienamente): “Jens Weidmann, presidente della Buba, la Bundesbank, la banca centrale tedesca, attacca a testa bassa il presidente della Banca centrale europea e ogni ipotesi d’intervento per stringere la forbice degli spread. Ciò pone tre problemi: a. istituzionale; b. economico; e c. politico. Tre problemi che distinguiamo per comodità di ragionamento, ma che,alla fine, confluiscono in un unico, grande problema: il futuro dell’Unione europea e dell’euro. La prima questione è istituzionale: la Bce è autonoma (come si conviene alle banche centrali, nel senso che hanno autonomia e indipendenza nei mercati e non dipendono direttamente dalle autorità di governo) e al suo vertice siedono i banchieri centrali dei Paesi aderenti all’euro, i cui governi proclamano di volersi dare da fare per restringere il bersaglio oggi offerto alla speculazione contro i debiti sovrani, anche mediante la costituzione di fondi da adoperarsi per difendere chi è al centro del mirino. Il quesito è: l’autonomia dei banchieri centrali, e il sommarsi delle autonomie nella Bce, può spingersi fino al punto di praticare una politica opposta a quella voluta dai governi? E, comunque, in caso di divergenza chi prevale, i banchieri o i governi? La prima domanda ci porta al terzo problema, e ci arrivo subito. La seconda resta sospesa, perché si è costruita l’Unione europea, ovvero l’unità del mondo che ha dato vita alla democrazia moderna, dotandolo di scarsissima dote democratica. Una debolezza pericolosa. La seconda questione è economica: dice Weidmann che i finanziamenti della Bce in aiuto dei Paesi in difficoltà agiscono come una droga, nel senso che abbattono la capacità di reazione e creano assuefazione. In pratica ha detto che Mario Draghi, secondo il quale si deve fare di tutto pur di salvare l’euro nell’attuale composizione, è non solo uno spacciatore, ma particolarmente spregiudicato. Ha anche aggiunto che l’unico modo per ridurre gli spread è onorare gli impegni presi e osservare la disciplina di bilancio. Nella sostanza sono affermazioni condivisibili, se depurate dalla contingenza e dalla critica feroce alla Bce. Il fatto è che liberarsi dalla contingenza sarebbe bello, ma impossibile. E’ morto Neil Armstrong, l’uomo il cui piede si posò per primo sulla Luna. Purtroppo era disabitata. La cosa è pertinente perché se tutti i Paesi della Terra dovessero caratterizzare la loro economia come quella tedesca occorrerebbe trovare altri pianeti disposti a importare i nostri prodotti, oppure trovare una nuova teoria della contabilità, capace di spiegare come si possa essere tutti con la bilancia commerciale in avanzo. Ma restiamo nel campo delle droghe, così autorevolmente evocate: ci sono quelle che assuefano illudendo con il benessere, ma anche quelle che si somministrano per uccidere lentamente (prego rivedere “Notorius”). Ebbene: è vero che finanziare gli indebitati senza far pagare il giusto prezzo della loro dissolutezza conduce alla perdizione, ma è anche vero che oggi la Germania finanzia i propri debiti (crescenti più di quelli italiani, che hanno la colpa di essere troppo alti) ad un prezzo troppo basso e tendente allo zero, cosa che può accadere proprio perché i titoli del suo debito pubblico hanno l’indebito vantaggio d’essere considerati più sicuri non (solo) a causa della maggiore solidità del Paese, ma (anche) perché non presi di mira dalla speculazine. In altre parole: non intervenendo a sanare questa situazione la Germania contribuisce a immettere droga nelle vene di altri Paesi. Ed è veleno. Insomma: noi abbiamo le nostre colpe, ma loro ne stanno approfittando. Con l’aggravante di volere legare le mani all’unica autorità europea che non intende regalare niente a nessuno, ma può evitare che vantaggi e svantaggi indebiti portino all’unico esito prevedibile: la fine dell’euro, e con quella la fine dell’Ue. E veniamo alla terza questione, politica: posto che la posizione del governo tedesco è ufficialmente diversa da quella di Weidmann, si deve credere che il capo della Buba stia facendo le scarpe alla signora Merkel, o che i due stiano camminando assieme, fingendo di andare in direzioni diverse? Formulata in modo diverso: è una divergenza reale, o non potendo tenere il punto più di tanto, il governo tedesco usa la propria banca centrale per sabotare le scelte che non condivide? Se il governatore della Banca d’Italia giungesse ad una tale proclamazione di dissenso dal governo italiano, su questioni di tale rilievo, è certo che trenta secondi dopo si chiederebbe la sua testa. Non per negarne l’autonomia, ma per sradicarne la tentazione di soppiantare il governo. Non tocca a noi chiedere le dimissioni di Weidmann, ma ai politici e ai commentatori tedeschi. Una cosa deve essere chiara: se fosse fondato (il cielo non voglia) il sospetto di gioco delle parti, allora i tedeschi sarebbero sulla via d’assumersi una gravissima responsabilità storica. Gli altri europei sarebbero non solo autorizzati, ma tenuti a fare il necessario per fermarli. Il tutto senza mai cedere all’alibi che sia tutta colpa loro, perché il nostro debito, la nostra spesa pubblica dissennata e la nostra bassa produttività solo tutte e solo colpe nostre”.

26 agosto 2012 – Dannato Bartezzaghi! Dapprima il meeting di CL, ora la festa del PD, e poi vedrete che pretenderà che indichiamo le differenze!

25 agosto 2012 – Lance Armstrong rinuncia a difendersi. I sette tour de France vanno all’Inter

23 agosto 2012 – Prima che qualcuno di voi si possa fare delle idee sbagliate. Il prezzo della benzina oltre i due Euro è una scelta consapevole del Governo Monti e dei suoi alleati. Troppa gente sul lastrico si sta dando fuoco per disperazione. Bisognava trovare una soluzione. Aumentare il costo della benzina, appunto. 23 agosto 2012 – Scrive Davide Giacalone: “A leggere le statistiche delle ore lavorate, per settimana, in giro per l’Europa, si può cadere in qualche tranello, come, ad esempio, stupirsi per il fatto che gli italiani risultino i più operosi nella giornata di sabato. A La Stampa, ad esempio, sono riusciti a considerare 48 le ore lavorate settimanalmente in Germania, salvo scrivere, nella pagina successiva, che sono 35,5. La cosa interessante, però, è altra, ovvero la visibile discrasia fra regole, statistiche ed evidenza empirica. La produttività italiana è troppo bassa, ma le ore lavorate sembrano essere nella media europea. Se si disaggregano le medie italiane si scopre che i più operosi, nel senso, quanto meno, di presenti più ore al lavoro, sono gli italiani del nord-ovest, mentre i meno si trovano nelle isole. Se andate in giro per la Sicilia, però, trovate esercizi commerciali aperti a tarda notte, commerci di strada quasi sempre attivi, mercati che si animano incuranti delle feste. E non è un fenomeno solo siciliano. Questa realtà che posto occupa nelle statistiche sul lavoro? Temo nessuno, o scarsamente rilevante, perché molte di quelle attività appartengono a quel mercato che ipocritamente si definisce “sommerso” e che, invece, è talmente emerso da essere accessibile a chiunque ne abbia bisogno. L’irregolarità di quel mercato ne sancisce l’esclusione dai conti ufficiali. Posto che quel tipo d’irregolarità spesso si accompagna a evasione fiscale, ciò significa che andrebbe represso e sgominato? C’è da sperare in un intervento spettacolare e notturno, o festivo, degli agenti del fisco? Non me lo auguro affatto, anche a costo di espormi alle critiche moralistiche, di cui molti italiani sono campioni. Credo, invece, che siano le regole a essere sbagliate. Girate per quei mercati e visitate quei commerci. Osservate la gente che ci lavora. Vi pare di circolare fra squali profittatori che si arricchiscono alle spalle della collettività, senza fare nulla? E’ spesso vero l’opposto: sono cittadini che lavorano duramente, senza sosta, in condizioni non confortevoli. In quanto al guadagno, escludo che ci si diventi ricchi. Eppure si espongono al rischio di multe e contestazioni. Perché non ci sono alternative, perché quello è pur sempre un lavoro. Oltre tutto socialmente utile (anche dal punto di vista della sicurezza, perché piazze e vie animate sono più percorribili dei deserti oscuri). Il fatto è che a questi italiani, per introdurli nel mondo della regolarità, non solo chiediamo di pagare oneri e tasse con le quali uscirebbero fuori mercato, ma chiediamo anche di rinunciare all’elasticità del lavoro e degli orari. E’ un errore. Nessun Paese può prosperare se i suoi cittadini violano le leggi. Ma neanche può prosperare se per campare i cittadini sono costretti a violarle. Una parte considerevole di quel nero e di quell’evasione serve non ad accumulare profitti, ma a pagare la vita. E confondere questo con l’evasione dei profittatori è cieco giustizialismo, spesso celante, come il pudico moralismo incarnato da un Alberto Sordi censore (“Il moralista”), vite dissolute e biografie imbarazzanti. Se noi incorporassimo nelle ore lavorate quelle che questi italiani passano a darsi da fare i paragoni europei migliorerebbero, ma i conti dell’Inps non tornerebbero. Che si fa? Si sceglie la regola recessiva o si preferisce l’elasticità del mercato? Propendo per la seconda ipotesi e trovo inaccettabile che per praticarla si debbano violare le norme. Quindi credo che si debba cambiarle. Partendo dal principio che nulla è più prezioso della libertà, e nulla crea tanta ricchezza quanto la libertà”. Questo articolo, però, non può restare senza commento, perché non sono d’accordo su tutto. Davide Giacalone dice delle verità incontrovertibili. In Italia c’è chi ha un posto fisso e paga le tasse, e chi non lo ha e non le paga (almeno non sempre). Coloro che hanno il posto fisso si arrabbiano perché credono di essere vittime, perché a loro sarebbe impossibile evadere. Coloro che non lo hanno sanno benissimo che, se pagassero tutte le tasse, non potrebbero sopravvivere. Ma questo perché? Perché sono commercianti pigri? Comunque si lamentano, perché chi ha il posto fisso non ha paure, non deve fornire nessuna prestazione (apparentemente), prende i soldi sempre e comunque senza patemi d’animo. Giacalone ha ragione. Qui non è questione di pigrizia, anzi. Più un commercio è illegale, più si lavora, si rischia, si soffre, senza nessun sostegno, senza rete. Si fà ciò che si può senza pensare a questioni come: è il commercio giusto? Lo sto facendo nel modo migliore possibile? Ci sono dei margini di miglioramento? Chi lavora in quel modo non ha tempo per i dubbi, fà ciò che sa come lo sa, non importa se efficiente o no. E paga le tasse per coloro che hanno un posto fisso, pur evadendole, mente coloro che hanno un posto nella Pubblica Amministrazione non contribuiscono affatto ad aumentare la cifra a disposizione dell’erario. Anzi. Badate bene, qui non si fanno le pagelle dei buoni e dei cattivi. Ma i fatti sono fatti. Il contrabbandiere di sigarette spende per lavorare e per vivere, quindi paga l’IVA. Sono soldi che non c’erano, ricchezza. Il ministeriale prende i soldi dallo Stato. Quindi consuma dei soldi del fisco. Quelli che lui apparentemente paga, sono dei soldi che lo Stato finge di pagare e di riprendersi, quindi non spostano, non creano ricchezza, ma solo un costo in termini di burocrazia necessaria. Uno Stato fatto di contrabbandieri e nessun dipendente pubblico, le entrate del fisco crescono. In uno Stato fatto di statali e parastatali, come dimostra l’Unione Societica, l’economia va a picco. Questo ragionamento vuol dire che dobbiamo preferire o accettare il contrabbandiere e combattere il funzionario pubblico? No. Vuol dire che dobbiamo smettere di insultarci l’un l’altro e pensare in modo pragmatico e funzionale. In un Paese in cui la SIAE è la causa maggiore per la morte della cultura, perché la cosidetta protezione degli autori e degli editori non porta soldi a questi ultimi, ma crea un carrozzone amministrativo che viene pagato dagli artisti e dagli operatori culturali in misura tale da costringerli a chiudere. Ogni anno il numero dei concerti e delle rappresentazioni teatrali in Italia scende drasticamente di cifre superiori al 5%. Perché oramai la cultura, per essere mostrata e vissuta, dev’essere contrabbando. Nascosta, segreta, dissimulata, difesa dagli Sceriffi di Nottingham della SIAE. Lo stesso vale per il commercio, la logistica, pian pianino anche l’industria e la finanza. Per quello Davide Giacalone ha ragione. Sono le regole ad essere sbagliate e truffaldine. E siccome lo Stato lo sa, e sa che sta uccidendo la popolazione, tralscia di applicare le regole ogni volta che può, diffondendo la certezza che in Italia non c’è la certezza della pena, che è un deterrente importante al crimine. Dobbiamo continuare così? Perdobare ai politici perché fanno lo stesso che facciamo noi, solo in scala più grande? Questa è, ovviamente, una provocazione. Non solo non sono a favore dei contrabbandieri, ma come ho scritto più volta, se si annientasse il crimine organizzato (che in Italia “fattura”, secondo la Corte dei Conti, quasi 180 miliardi l’anno), le famiglie italiane sarebbero più ricche. Ma non sono nemmeno contro la Pubblica Amministrazione. Avete toccato il punto VERO e focale. Non funziona più la teoria del plusvalore! Lo rupeto: È LA TEORIA DEL PLUSVALORE CHE NON FUNZIONA PIÙ. Come diceva Robert Kennedy in tempi in cui persino Berlusconi era (quasi) inoffensivo, la valutazione del Prodotto Interno Lordo dà ragione di tutti i dati possibili, tranne di ciò che rende la vita degna di essere vissuta. La teoria del plusvalore dice che la ricchezza aumenta se, dopo aver comprato chiodi e legno per 10 Euri, io produco una sedia che vendo a 20 Euri. L’amministrativo non produce plusvalore e le sue tasse sono una partita di giro interna alle casse dello Stato. Ma paga l’IVA, come qualcuno ha detto giustamente. Il contrabbandiere paga solo l’IVA. Ma il commerciante di cui parla Davide cerca di evitare ciò che può, perché è chiamato a creare plusvalore per tutti e tre e non ce la fà: perché non ne è capace, perché il mercato non glie ne darebbe mai la possibilità, perché le tasse lo schiacciano, perché guadagna appena per sopravvivere. E vedete bene anche che porcata sia indicare il commerciante semi-illegale del Bangladesh che mi vende la frutta come l’evasore fiscale che rovina la vita del dipendente della Pubblica Amministrazione. Quindi la risposta è altrove, la risposta è nel tassare tutti a valle e nessuno a monte, nel diminuire le tasse a tutti, nell’uscire dalla spirale del plusvalore. Da quando Nixon ha sbloccato la parità fra oro e dollaro le valute sono divenute carta straccia valutate fittiziamente dagli organismi internazionali. e quindi acquisiscono valore in base alle oscillazioni finanziarie. Quindi il mercato funziona contro la teoria classica del plusvalore. Dobbiamo dire che la prestazione di servizi ha un valore ASSOLUTO fondamentale. E che è su quello che vanno misurate le tasse. Lo so che suona strano. Datemi tempo, o leggete Zizek, e pian pianino cercherò di spiegare il mio pensiero. Quanto alla SIAE, resto della mia opinione, specialmente dopo averci avuto a che fare. Primo: non protegge la proprietà delle opere, ma la punisce tassandola e poi non soccorre l’autore nei casi di plagio. Secondo: nelle discoteche incassa giustamente, la gente ci va a rotta di collo, ma nel resto delle manifestazioni è una tagliola disumana e distruttrice. Un’opera teatrale di nicchia, che richiama (non voglio fare nomi) 400 spettatori in 6 giorni di rappresentazione, è un’opera che merita di essere vista. Ma non si può, la SIAE la fà costare troppo, e quindi chi la rappresenta deve scegliere: o in nero, o niente cachet.

22 agosto 2012 – Greenbelt (Stati Uniti d’America). Trovata impronta di dinosauro vissuto 112 milioni di anni fa. Andreotti smentisce: “Mai stato lì”

22 agosto 2012 – Calderoli si scaglia contro gli statali che non lavorano, che rubano lo stipendio e che andrebbero licenziati! Si è dimenticato di menzionare che vengono scortati, se no è una confessione in piena regola. 19 agosto 2012 – Il mondo è completamente impazzito. Una volta il popolo tifava per il cavaliere senza macchia e senza paura che sconfiggeva i cattivi. Ora siamo messi talmente male, che la gente tifa per i Draghi…

19 agosto 2012 – Scrive Sara Buzzurro, e condivido con un po’ di vergogna, perché senza la sua segnalazione non l’avrei saputo: “L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché quello della grazia umana”. Cento anni fa nasceva Elsa Morante, autrice dimenticata dalla sua Roma, che amava percorrere di notte in silenzio e che dopo un secolo non la saluta ne la ricorda come si conviene a una signora dell’arte”. Il suo libro “La storia”, aggiungo io, è stato uno dei capolavori che ha formato la mia gioventù.

18 agosto 2012 – Davide Giacalone sviluppa quello che oramai diventerà la questione centrale del dibattito politico vero: “Il vuoto politico ha generato un mostro, consistente nel credere che l’unica possibile scelta, nel prossimo futuro, consista nell’adottare una qualche coniugazione del montismo oppure abbandonarsi all’irrazionalità della protesta, il cui unico sbocco consiste nella tragedia. Il vuoto d’idee ha portato i tre partiti della maggioranza governativa (Pdl, Pd e Udc) a pretendere d’essere alternativi, senza, però, avere proposte alternative. La disperazione, infine, spinge a supporre che se si sfanga una maggioranza, capace di fermare l’emorragia protestataria, all’indomani si può creare una convergenza di governo, costruita nel segno del vincolo esterno, degli obblighi monetari e delle lettere ricevute dalla Bce e dalla Commissione europea. Strade che portano alla perdizione. Il governo Monti, la cui natura istituzionale è legittima, mentre quella politica è commissariale, nasce non per scelta di una missione originale, ma per implosione e fallimento di chi aveva vinto le precedenti elezioni. Il programma, appunto, era ed è dato dal vincolo esterno. E’ evidente che chiunque vada a governare, da qui in poi, non potrà sottrarsi a quel vincolo. Non perché le forze oscure della reazione in agguato hanno tolto autonomia alla democrazia italiana, bensì perché l’avere troppo a lungo ignorato la realtà e fatto pernacchie alla razionalità, l’avere sbeffeggiato quei vincoli ci ha condotti nel pieno della crisi sommando le debolezze interne a quelle dell’euro e dell’Unione monetaria. E’ questa la ragione per cui l’Italia, uno dei Paesi più ricchi e potenti dell’area più ricca del mondo, nonché Paese con encomiabile disciplina di bilancio, si ritrova esposta ai dardi della speculazione assai più di chi, recentemente, s’è comportato peggio. Il montismo è una pezza, insomma. Non ha senso rinnegarla, ma neanche stabilizzarla. Le sfide principali sono due: recuperare produttività e abbattere il debito. Ma è non solo sciocco, bensì anche pericoloso supporre che ci sia un solo modo per farlo. Se le forze politiche parlassero di cose, anziché scansarle usando parole vuote, si vedrebbero sia le differenze che le alternative. Abbattere il debito si può farlo sia riducendo il patrimonio pubblico che tassando quello privato, che non solo non è la stessa cosa, ma, per molti aspetti, sono cose opposte. Si può sperare di recuperare produttività sottraendo ulteriormente risorse ai privati per mettere lo Stato (in una delle sue voraci incarnazioni) nelle condizioni d’investire, oppure si può supporre che detassando e deburocratizzando, ovvero restituendo ricchezza e libertà, gli esseri umani si lancino alla conquista del benessere. Sono cose opposte, con la prima che mi sembra pura illusione. Attenti: è un errore dividere le visioni del mondo secondo categorie ideologiche, non si tratta di fondare sette, ma di costruire politiche e, credo, la mano pubblica ha abbondantemente dimostrato, in questa fase della storia, d’essere fallace e predatrice. Lasciamola riposare per un po’. Si può credere che vendere beni pubblici sia un male o una soluzione, come si può supporre che in un’economia dei servizi quel che deve essere restituito al mercato non solo è il patrimonio sottoutilizzato e sottovalutato dello Stato, ma anche intere funzioni amministrative e organizzative, i cui costi sono cresciuti in parallelo al diminuire dell’efficienza e della soddisfazione dei clienti. Insomma, supporre che il montismo sia l’unica alternativa al ribellismo inconsulto equivale ad avere un’idea contabile della politica. Un’idea che, già di suo, giustifica e alimenta il ribellismo. In quanto alle grandi coalizioni, va osservato che programmarle prima delle elezioni equivale a considerare inutile il voto e i votanti, sicché non ci si meravigli se questi ultimi s’acconciano a considerare inutili quelli che chiedono i voti. Va invertito il procedimento: ciascuno prenda impegni, specie sul terreno istituzionale, che siano condivisi e percorribili (governo governante, cancellazione delle sovrapposizioni istituzionali, no all’assemblearismo che umilia il parlamentarismo, giustizia funzionante e separazione delle carriere, riordino della scuola e meritocrazia, buona anche nel mercato), anche in un tempo superiore a questa legislatura, quindi prometta di essere coerente e di collaborare con chi ci sta e starà. Senza inutili steccati. Ma guai a credere che ci sia una ricetta unica, quindi un’unica versione politica. Perché così la politica s’inabissa e lascia spazio alla peggiore politica, che coniuga populismo e tecnicismo, mandando in malora la democrazia”.

18 agosto 2012 – Nei giorni scorsi il governo federale tedesco ha votato a larga maggioranza un provvedimento storico: 67 anni dopo la sconfitta militare del nazionalsocialismo l’Esercito tedesco può essere nuovamente usato per mantenere l’ordine nelle strade in caso di dimostrazione popolare. Credo che sia evidente a tutti la portata simbolica di questo evento. Ancora di più preoccupano le giustificazioni di un simile atto politico. Primo motivo: secondo i parlamentari tedeschi la Polizia non sarebbe più in grado di controllare il territorio in caso di confrontazioni di carattere politico perché troppi poliziotti sarebbero politicizzati. Secondo motivo: nel futuro prossimo le forze dell’ordine potrebbero trovarsi nelle condizioni di dover affrontare rivolte organizzate dai cittadini in misura mai conosciuta negli ultimi 50 anni. Terzo motivo: oggi il Parlamento deve essere in grado di imporre la disciplina alla popolazione quando questa non capisce l’importanza di una misura impopolare votata dai politici. In tedesco esiste una frase orribile per descrivere questo: Manchmal muss man den Mensch zu seinem Glück zwingen – a volte l’essere umano deve essere costretto alla felicità. Qui ad Amburgo, in una conferenza internazionale organizzata da diverse associazioni impegnate politicamente a supporto della democrazia in Grecia, questa frase è stata espressa più volte come monito di ciò che potrebbe accadere ovunque. I greci presenti raccontano le disavventure del fondo creato per raccogliere i beni dello Stato (quindi dei cittadini) che dovrebbero essere venduti. Hanno spiegato che questi beni erano iscritti al bilancio dello Stato per circa 96 miliardi di Euro, ma che ora vengono valutati 61 miliardi e che le banche che stanno trattando la possibile vendita stanno negoziando un introito probabile intorno ai 44 miliardi. Da quando la Troika dell’Unione Europea ha obbligato la Grecia ad applicare le misure di emergenza, il debito pubblico è aumentato del 48%, la disoccupazione del 110%, il numero di persone che vive sotto la soglia di povertà del 440%. La vendita di proprietà demaniali creerà una nuova perdita secca di 52 miliardi, ion teoria – quindi è una misura suicida. Ma la realtà è peggiore della teoria. I soldi che entreranno verranno distribuiti alle banche, non alle casse dello Stato, quindi la perdita secca è di 96 miliardi più la somma degli introiti calcolati per gli anni a venire, che secondo la Dexia Bank sarà di 11,7 miliardi all’anno per sempre, da ora in poi. Quindi stamani, in risposta alla nuova legge tedesca, il parlamento greco è stato invitato ad approvare una legge simile che permetta al governo dei tecnici attualmente al potere di mettere i carri armati in strada se la gente dovesse protestare. Ed i prossimi nella lista, amici cari, siamo noi italiani, se approveremo la politica di dismissioni di proprietà statali proposta dalle grandi banche, dai cosidetti fautori del libero mercato, fra coloro che, coscientemente o incoscientemente, confondono la nacessità di maggiore libertà per i cittadini con l’abolizione di ogni regola per il mondo finanziario che sta annientando la vita sul Pianeta.

16 agosto 2012 – Stamane i quotidiani di tutto il mondo commentano i presunti piani di distruzione della forza militare iraniana da parte di Israele. Non sono un esperto di armi, ciò che ho letto mi ha impressionato, ma lo ritengo (dal punto di vista prettamente tecnologico) assolutamente possibile. È chiaro a tutti che oggigiorno, per vincere una guerra, non hai a disposizione più di 48 ore. Se non hai cancellato le forze (e le truppe) dell’avversario in quel lasso di tempo, la guerra non si vince più. Mai più. Le esperienze fatte in Afghanistan, Somalia, Iraq, Vietnam, Corea e via discorrendo lo dimostrano da oltre 60 anni. Mi è anche chiaro perché Israele faccia piani simili. da anni oramai il governo di Gerusalemme è convinto del fatto che Teheran sia costruendo la bomba atomica (vero) e che non appena la avrà la getterà su Israele, annientandolo completamente. Questa paura giustifica, agli occhi del governo israeliano, tutta una serie di decisioni di politica interna ed internazionale che, altrimenti, non avrebbero mai la maggioranza degli elettori a sostegno. In questo senso ho sempre creduto che il governo palestinese, quello libanese e quello israeliano avessero interessi convergenti: con la paura tengono calmi i cittadini, anche se c’è da dire che il tenore di vita in Israele non può essere comparato alla faticosa ed umiliante quotidianità di Gaza o Beirut. E nemmeno è necessario specificare che la politica di occupazione colonica da parte di Israele dei territori che, secondo i patti, andavano ai Palestinesi, è una scorrettezza grave – ma in quella situazione, in cui i patti da entrambe le parti vengono fatti solo per assicurarsi un lieve vantaggio al momento della prossima scorrettezza, è difficile giudicare. Oramai siamo arrivati al punto che ogni ragionevolezza cede di fronte al convergere di tanta forza e volontà distruttrice, da tutte le parti. Ma scatenare una guerra atomica contro l’Iran è tutta un’altra cosa. Prima di tutto obbligherebbe il mondo intero a fermare Israele, procurerebbe un’ecatombe di vittime innocenti, costringerebbe tutti i Paesi Arabi a scendere in guerra contro Gerusalemme. Se noi Europei volessimo restare leali con Israele, questo atto scatenerebbe la Terza Guerra Mondiale. Quindi credo che Stati Uniti ed Europa si guarderebbero bene dall’intervenire militarmente, e questo, nel medio periodo, significa l’annientamento di Israele. Mi perdoni l’On. Netanyahu, io capisco i problemi che non sa e non vuole risolvere: a) l’effetto della crisi finanziaria globale sull’economia già provatissima di Israele; b) la crisi interna dovuta al fatto che è stata permessa l’entrata e la naturalizzazione di troppi russi che, oramai, hanno preso il controllo della criminalità organizzata e costituiscono una sorta di Stato all’interno dello Stato; c) la stanchezza di un popolo che vorrebbe la pace e vorrebbe una vita migliore; d) il fatto che le forze che eleggono Netanyahu sono quelle che danneggiano direttamente l’economia israeliana, sono i potentati economici cresciuti nella Guerra Fredda, e quelli (come Leviev, Gaydamak, Chernoy etc.) legati alla criminalità russa ed ucraina (guardate solo il fatto che, una volta scoperti giacimenti petroliferi in mare, i vecchi potentati economici e religiosi israeliani combattono la scoperta, giungendo persino agli attentati, invece di festeggiare l’indipendenza energetica del loro Paese). Ma la Guerra Mondiale, On. Netanyahu, non è la soluzione. Lei passerebbe alla storia come l’uomo che ha annientato il popolo d’Israele e forse la gran parte della specie umana. Non può vincere, non può uccidere tutti i musulmani del pianeta in 48 ore. Dopo un attacco atomico all’Iran, ogni cittadino di fede ebrea in un qualunque Paese del mondo sarebbe a rischio, perché ogni musulmano si sentirebbe (comprensibilmente) chiamato a ucciderne quanti più possibile. Un paradosso, quando si osserva nelle strade di Israele che ebrei e musulmani vivono gli uni accanto agli altri non solo senza problemi, ma persino stringendo (nei limiti della pressione sociale immensa esercitata dal fondamentalismo religioso di entrambe le parti) vere e forti amicizie. Il Dio di Israele non ha ordinato di sterminare gli Arabi. Il Dio di Abramo è un Dio d’amore e comprensione, di integrazione ed inclusione. Anche all’interno della fede ebraica, sono tante le persone che non ne possono più. Per la comunità internazionale Israele è un fatto, non un’ipotesi, da mezzo secolo. Ma forse proprio per questo Richard Silverstein, cche ha ottimi agganci con il Mossad e la NSA americana, ha rivelato i piani. Forse vuole mettere paura all’Iran in questo modo, è una via diversa per vincere una guerra pubblicitaria… ma anche questo è un autogol. Chi, come me, ha a cuore il destino di Israele, chiede con forza un nuovo governo, una nuova stagione di cooperazione internazionale. Non sono ingenuo, conosco tutte le difficoltà, le cancrene. Ma conosco anche l’urgenza dell’economia. Netanyahu crede di evitare l’implosione di Israele facendolo esplodere. Io credo che esista una via più sensata, cercando se possibile di non far morire nessuno.

16 agosto 2012 – In Puglia c’è qualcosa di molto vecchio, di altamente pericoloso per la popolazione, e che deve essere subito rottamato. Ha già fatto troppe vittime. Ma purtroppo non credo che D’Alema se ne vada.

16 agosto 2012 – Scoperta enorme piantagione di marijuana nell’antica metropolitana di Roma: ora capisco cosa significa finire nel tunnel della droga…

15 agosto 2012 – Il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, ex affondatore della Olivetti, ex licenziatore di Poste Italiane, ex manager della CIR di Carlo De Benedetti e poi della Mondadori di Silvio Berlusconi, ex manager del gruppo finanziario Banca Intesa San Paolo, sotto inchiesta per diversi reati finanziari accaduti (crede la procura della Repubblica di Biella) nell’ultimo decennio, ha dichiarato che per salvare l’Italia (fra le altre cose) bisogna trovare ed estrarre ricchezze del sottosuolo. Prendendo indirettamente le difese del Gruppo Riva dell’Ilva di taranto, ha detto che ci sarebbe stato un piccolo prezzo ecologico da pagare, ma un’immensa remunerazione in termini di ricchezza – questo in un Paese a forte propensione tellurica come il nostro. Non avevo commentato, pensato che fosse una scemenza estiva cui non dare seguito. tanto, come tutte le cose che annuncia il governo Monti, fra una settimana sarà completamente dimenticata. Ma Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice italiana emigrata in California, ha scritto a Passera una splendida lettera, che pubblico integralmente per la sua bellezza ed inetnsità, e perché la condivido: “Caro signor Passera, stavo per andare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l’Italia petrolizzata. Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni ’60 per aggiustare l’Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro. Invece qui sono pianti amari, perché non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa. Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso. Lei non è stato eletto da nessuno e non può pensare di “risanare” l’Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo. Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall’Algeria, corridoio Sud dell’Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi. E la gente dove deve andare a vivere, di grazia? Ci dica. Dove e cosa vuole bucare? Ci dica. I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d’Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell’Emilia? Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti? Ci dica. Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l’esplosione di tumori come all’Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte? Vorrei tanto sapere dove vive lei.  Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse sua moglie ad avere partorito bambini deformi, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perché la sua regione – quella che ci darà questo 20% della produzione nazionale – è la più povera d’Italia. Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c’è. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissà, amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere. Lo so che è facile far cassa sull’ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verrà domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l’Italia è corrotta. È facile, lo so. Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non è etico, non è morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perché non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell’Italia. E no, non è possibile trivellare in rispetto dell’ambiente. Non è successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai. Ma non vede cosa succede a Taranto? Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia – all’italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l’idea di lasciare qualcosa di buono alla comunità – la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine? E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale? E lei pensa che questo sia il futuro? Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella. Qui il limite trivelle è di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro “giornalista” Luca Iezzi. Ed è dal 1969 che non ce le mettiamo più le trivelle in mare perché non è questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California. Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri. Il futuro si chiamano programmi universitari per formare chi lavorerà nell’industria verde, si chiamano 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi per rendere facile l’uso degli incentivi. Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell’ambiente è? E gli italiani cosa faranno? Non lo so. So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguirà questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l’Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre”. Grazie, signora.

15 agosto 2012 – Prima o poi doveva succedere. Da mesi in molti ci si chiede chi possa essere il candidato di Beppe Grillo alla Presidenza del Consiglio. Il motivo per cui ce lo si chiede è ovvio: lui non può e non vuole essere. Ma in base alle regole intrinseche del suo Movimento, questo candidato deve esserci e deve essere potenzialmente vincente. Si è parlato di diversi personaggi, per esempio Guido Barilla, ma si trattava comunque di comprimari. La Casaleggio & Associati ha bisogno di un candidato premier che rivesta le caratteristiche di un possibile Uomo del Destino, di un Grande Fratello alla George Orwell. E prima o poi il nome di Marco Travaglio doveva uscire fuori. Perché lui e Grillo sono soci delle stesse aziende, perché sono amici, perché sono sodali. Se si pensa ad una lista degli italiani più polarizzanti e famosi, direi che sopra Marco Travaglio, apparentemente, ci siano poche persone: Alessandro Del Piero, forse. Gianni Morandi, maybe. Se non fosse notoriamente vicino al PD ci sarebbe Zingaretti, il Commissario Montalbano. Ma se si va avanti in quella direzione, a parte che si vedono “candidati” sempre più deboli, si sconfina nel ridicolo: Gigi D’Alessio, Terence Hill, Checco Zalone… Quindi Travaglio, in quanto ad esposizione mediatica, è superiore persino al suo compagni di merende, Michele Santoro. Ma mi dispiace, io non ci credo. Credo che Travaglio sia uomo intelligente e scaltro e sappia benissimo che una campagna elettorale ne annichilirebbe la popolarità – e comunque, se ha un minimo di senso della politica, sa bene che le prossima elezioni saranno solo un ponte per quelle successive, che si terranno pochi mesi più tardi, dopo l’ennesimo bagno di sangue di un Parlamento bloccato senza maggioranze possibili e soprattutto senza un solo briciolo di programma politico per uscire dalla crisi. Chiunque sia il candidato alla Presidenza del Consiglio del Movimento Cinque Stelle, quel candidato lì sarà destinato ad essere bruciato – a meno che non sia veramente una persona eccezionale. Questa notizia, uscita sulla stampa oggi, secondo me fa parte della stessa campagna di disinformazione imbecille che sostiene come Oscar Fulvio Giannino possa correre alle elezioni come alleato della Lega Nord. Si tratta di notizie atte a denigrare e confondere le idee. ma il problema centrale rimane. A cosa diavolo serve avere un candidato alla guida di un governo se non si ha uno straccio di idea di cosa mai si farebbe di concreto, se si andasse al governo? In questo senso Monti, Casini, Grillo, Maroni, Fini, Bersani, Berlusconi e Rutelli partono ed arrivano tutti dallo stesso punto. Zero. Zero. Zero. Ed intanto l’Italia si avvicina all’esplosione… http://affaritaliani.libero.it/politica/travaglio-grillo150812.html?refresh_ce

13 agosto 2012 – Le agenzie di stampa riportano oggi il seguente dato ufficiale: “Il debito delle Amministrazioni Pubbliche nel giugno 2012 è aumentato di 6,6 miliardi di Euro rispetto a maggio con un nuovo massimo storico pari a 1.972,9 miliardi di Euro”. Questo nonostante ed a causa del Governo Monti. Questo nonostante ed a causa dei tagli promessi, fatti o poi smentiti. Questo nonostante ed a causa delle sofferenze fiscali, della caccia all’uomo, di Equitalia, di tutto. Lo so che Mario Monti sarebbe contentissimo che da questo dato si traessero le conclusioni e lo si facesse dimettere, perché il suo governo, per arginare questa marea, non può far nulla: perché non sa farlo, perché è debole, perché è corrotto e compromesso, perché non ha i numeri in Parlamento, perché non ha l’appoggio popolare. Ma i partiti della coalizione politica cieca e reazionaria che lo sostengono (PD, PdL e Cosa Bianca) non vogliono che si voti subito, perché non hanno nessuna proposta efficiente. Non dico alternativa, che lo so che è chiedere troppo, non si può spremere acqua da una pietra, ma mi basterebbe che fosse efficiente. A noi tutti basterebbe che fosse efficiente. E comunque tacciamo, perché quei soldi sono finiti nelle nostre tasche, anche nelle nostre tasche. Crediamo almeno. Non ci accorgiamo del fatto che le sofferenze a venire saranno ancora peggiori, che abbiamo perso tempo e siamo andati nella direzione sbagliata. Non potendo più pagare ai creditori pagheremo agli usurai senza legge – le banche e i fondi di investimento che si comprano il nostro debito a interessi stellari. E noi zitti. Anche Grillo sta zitto, perché una soluzione non l’ha nemmeno lui. Molti di loro ragionano oramai come gli “altri”. Uno di loro, ieri, mi ha detto: “Se diciamo alla gente che ognuno di noi è corresponsabile, perdiamo voti”. Qui, invece, non si fanno sconti. La stragrande maggioranza dei dipendenti della Pubblica Amministrazione deve essere licenziata. Nei confronti delle banche e delle istituzioni finanziarie, la magistratura deve trovare il supporto politico per ridurne le pretese e far loro pagare ciò che non hanno pagato – come nel caso dell’Ilva di Taranto. I soldi ai ricchi non si rubano, perché la ricchezza non è un crimine. I soldi si prendono ai ladri, schiacciando la criminalità organizzata (con quattro anni del bilancio della mafia, della ndrangheta e della camorra si azzera il debito), licenziando gli esuberi, chiudendo le fabbriche che non producono ricchezza. Subito. Spiegando alla gente come e perché. Dando loro un lavoro pagato per smontare, invece che far perdurare, l’orrore che esiste. Subito.

12 agosto 2012 – La questione dei reparti dell’Ilva di Taranto che sono stati chiusi per ordine della magistratura è una questione di fondamentale importanza. Il governo italiano ed i partiti di maggioranza si sono infuriati per tre ragioni: a) il ministero dell’ambiente aveva stabilito che l’aumento di tumori nella zona, gli scarichi velenosi e le esalazioni, gli smaltimenti dei resti etc non erano dovuti alla fabbrica e comunque non arrivavano al punto di giustificare una sua chiusura; b) è la politica a decidere se una fabbrica inquina o no, non la magistratura (che si sostituirebbe quindi alla politica); c) chiudendo le fabbriche come Ilva si impedisce agli stranieri a venire a produrre in Italia. Tutte e tre le affermazioni sono false. Al contempo, come si usa dire, i sindacati e la Regione Puglia, retta dall’ecologista Nichi Vendola, volano basso. Prima bugia: Il Ministero può sovvertire ciò che dice la scienza? Certo, ma non può farci credere che smetteremo di morire di cancro. Il cancro è extraterritoriale e non rispetta le leggi italiane ed europee. Seconda bugia: Il ministero dell’ambiente può aver stabilito ciò che vuole, politicamente, ma la magistratura ha l’obbligo di difendere la vita dei cittadini ed ha in mano delle leggi e dei parametri stabiliti dall’Unione Europea. Secondo quei parametri la fabbrica va chiusa. I magistrati non stanno facendo politica, non stanno arrestando il ministro, ma chiudono la fabbrica. Terza bugia: gli stranieri non vengono a produrre in Italia perché le tasse sono altissime, la polizia non difende l’incolumità delle imprese e dei suoi dipendenti, la burocrazia rende quasi impossibile gestire un’azienda, la logistica e le infrastrutture italiane (al sud) sono ferme al 19° secolo, il sistema di approvigionamento energetico non é stato ammodernato ed è troppo costoso e insicuro. Quale è la verità, allora? Che lo Stato ha ricoperto d’oro la famiglia Riva per continuare a far funzionare Taranto. Riva non ha rispettato le regole, minacciando di chiudere. Se si chiude, migliaia di famiglie sono senza lavoro, Taranto sprofonda nella miseria, nessuno é in grado di pagare i miliardi che sono necessari per bonificare l’orrore del disastro ecologico dell’Ilva. Cosa fare? La politica dei partiti reazionari ed ultrareazionari che comandano l’Italia (PD, IDV, SEL, UDC, FLI, Leganord, PdL, API, AN etc etc etc) scelgono di continuare a far morire ciitadini come in una guerra, in cui si lanciano armate alla conquista di obiettivi strategici sapendo che in tantissimi moriranno – e si rifiutano di affrontare il problema. I cittadini stanno zitti, sperando che a morire di cancro sia il vicino di casa. E noi? Perché non accedere ai denari destinati dalla UE alla bonifica dei territori particolarmente inquinati ed impiegare gli operai dell’Ilva in quella operazione, lasciando la magistratura a costringere Riva a restituire i soldi che avrebbe dovuto usare per la riconversione degli impianti e che lui ha usato altrimenti? Perché non fare qualcosa per il futuro, invece di gettare benzina sul presente sperando che carbonizzandosi scompaia dalla vista?

10 agosto 2012 – Scrive Davide Giacalone, ed io condivido: “L’aria condizionata esclude che sia colpa del caldo, ma le condizioni dell’aria inducono a ritenere, come già osservato qualche settimana addietro, che Mario Monti stia cercando la crisi, anche a costo della rissa. Non può aprirla, perché il suo difetto di legittimazione elettorale (di cui non è responsabile) si rivela tale non solo nel momento della nascita, ma anche in quello della fine. Vuole che la si apra, e siccome il governo non deve cadere sulla sinistra, per non annientare la sponda su cui costruirne uno simile, ecco che si butta sulla destra, anche con qualche sfondone tragicomico. Il fatto che Silvio Berlusconi non abbocchi (al contrario di alcuni dei suoi) rende la cosa sportivamente intrigante, ma niente affatto convincente. Monti cerca la fine per non governare l’agonia, che comunque ci tocca se nessun o ha idee per fermarla. Vuole uscire per rientrare meglio, mentre a noi tutti restiamo prigionieri. Delle rozzezze professorali si sono adontati i parlamentari tedeschi, laddove dovrebbero impensierirsi quelli italiani. I quali ultimi sono protetti dall’insensibilità, oramai ridotti ad approvare, senza discutere, decreti di nessuna urgenza e utilità (come sostengono membri del governo stesso). La polemica relativa all’autonomia dei governi dal consenso popolare e dalla rappresentanza parlamentare ha un significato tutto interno, è un pernacchio alla nostra Costituzione. Incautamente è stato tradotto in tedesco, suscitando la giusta reazione di chi non ha ancora smarrito il significato di “democrazia”. (Detto fra parentesi: patetica la difesa d’ufficio di certi intellettuali, impegnati a confermare la storica viltà e miopia faziosa della categoria). Monti ha le sue ragioni: non si è candidato, non si è proposto, lo hanno chiamato a fare quello che agli eletti non riusciva, vale a dire le cose ovvie necessarie per rimette in ordine i conti. Ha i suoi torti: non c’è riuscito, i problemi sono sì italiani, ma quelli che oggi ci trafiggono sono di natura europea (come qui ripetiamo da più di un anno, mentre le 1200 stupidate sono l’esatto opposto di quanto sostenuto dal governatore della Banca d’Italia, circa lo spread), sicché non rimediabili in vernacolo, infine ha teorizzato come usuale un costume eccezionale, vale a dire la non coincidenza fra consenso e decisione. Poi, per carità, quel discostarsi è normale, talora accompagnato dall’arte della menzogna che, come in tante altre cose della vita, rende più accettabile il delegare il comando. Ma guai a far finta che sia derogabile la sovranità popolare. Mentre il primo ministro del re dispotico ci rimetteva la testa, quello del re bizzoso e diffuso ci rimette il posto. Poco importa se con reciproco danno. Incidente chiuso? No, appena aperto. Lo si può chiudere con i tedeschi, perché tanto si sono abbandonati a dissennatezze varie, nei nostri confronti, ma non con gli italiani. Se solo escono dal letargo. Così come non ci si può far pagare la casa a propria insaputa, neanche si può cambiare un Paese a sua insaputa. Agire fuori dalle regole del consenso democratico non rende più dinamico, ma più friabile il lavoro. Della serie: nessuno crede alle cose fatte, se quelle sono così fragili da potere essere azzerate non appena finisce l’inganno. Monti non ha offeso il Parlamento tedesco, ha umiliato quello italiano e reso evidente la superficialità del lavoro che svolge. Questo è il punto. A chi ci domanda: quanto può durare? Solo i deboli di comprendonio rispondono: useremo Monti anche dopo Monti. Credono, gli sciocchini, che il mondo s’interessi alla loro sorte di capetti senza capo sul collo, invece la domanda è: quando comincerete a spiegare agli italiani la verità e quando proporrete loro un’idea di futuro che non sia il perpetuarsi impossibile del passato? Non rispondono, perché neanche la capiscono. Intanto le “provocazioni” delineano i contorni del “partito di Monti”, confermando quelli che vedemmo: esiste per negazione, si distingue per inconsistenza altrui, si proietta per il vuoto che lo circonda. Montiani veri non ce ne sono, neanche in casa Monti. Impostori tanti, parolai e inutili. Un ultimo punto: il governo tedesco ha sbagliato molte cose, ma se si svincola dal Parlamento le sbaglia tutte. Se l’Europa riuscirà a salvarsi lo dovrà anche alla politica e ai politici tedeschi, che vogliano smarcarsi dagli errori commessi. Se a smarcarsi fosse solo la signora Merkel allora cominciamo subito a recitare il de profundis europeo. La democrazia non è vizio, non è debolezza e cedimento agli istinti belluini del volgo, la democrazia è la più virtuosa e forte organizzazione pubblica che si conosca. Così straordinariamente potente da non potere essere bevuta tutta d’un sorso. Il professor Monti abbassi il ditino e sugga con rispetto.

10 agosto 2012 – Se qualche furbone, che nell’infanzia era campione di Piccolo Chimico, ti dice che l’autocombustione non esiste, costui non ha mai guidato una FIAT.

9 agosto 2012 – L’unica vecchia signora che mi piace è quella con la pagaia. Quarantotto all’anagrafe, trenta in canoa. Altro che Juve.

8 agosto 2012 – Stamani un quotidiano nazionale ha scritto che il FLI (Fini e Dalla Vedova) con tutti gli spezzoni della ex Democrazia Cristiana, più Montezemolo e Emma Marcegaglia, avrebbero positivamente concluso le trattative per ricostituire una “Cosa Bianca” che, evidentemente, sarà una versione moderna della Democrazia Cristiana e cercherà presumibilmente un’alleanza con il PD. Resto della mia opinione: comunque noi voteremo ad aprile, a Natale 2013 voteremo di nuovo, sotto commissariamento, e con i carri armati in piazza. Nessuno dei problemi chiave viene affrontato dal Governo Monti, nessuno dei problemi chiave verrà affrontato, né che vinca Berlusconi (che non lo escluderei a priori), né che vincano gli altri. Se poi Beppe Grillo dovesse ottenere un risultato superiore al 20% e magari prendere il premio di maggioranza, nessuno sa cosa potrebbe accadere – tranne appunto elezioni anticipate in un clima da tregenda. Quali sono questi problemi chiave? Primo: il debito pubblico. Secondo: le tasse così alte e le leggi così complesse e strangolanti che, se applicate, uccidono l’economia e, se non applicate, uccidono la giustizia e la sicurezza e poi l’economia, perché nessuno investe in un Paese in stato d’assedio da parte della criminalità organizzato se non ha un sottosuolo ricco di risorse naturali. Terzo: la disoccupazione senza speranza di redenzione. Quarto: la mercificazione dell’individuo e l’annullamento della cultura e dell’istruzione. Quinto: l’indifendibilità del cittadino nella sua inviolabilità fisica, intellettuale ed economica. Sesto (che comprende tutti gli altri): la mancanza totale di democrazia diretta, di responsabilità sociale e collettiva, di trasparenza. Come se si trattasse di un Gran Premio di Formula Uno che si svolgerà sotto la pioggia, i partiti cambiano le gomme e le strategie – ma non cambiano le regole e la mentalità. Viene da rassegnarsi per la disperazione. O da inferocirsi per la rabbia e la frustrazione. Invece vedo persone umiliate, stanche, diffidenti – perché sanno che hanno approfittato per decenni della situazione com’era e sperano superstiziosamente che basti evitare i gatti neri e di passare sotto le scale per vedere prima poi sorgere una nuova alba di speranza. Non sarà così. Dobbiamo rimboccarci le maniche. Cambiare il nostro modo di pensare e vivere, da verticale e gerarchico a orizzontale e solidale. Il darwinismo è morto. O si vive tutti insieme, o si muore uno dopo l’altro, in una catena inarrestabile. Primo: si può tagliare fino al 70% del debito pubblico annullando corruzione, sprechi e privilegi, se si ha un progetto per la disoccupazione che ne deriverebbe. Secondo: bisogna abbassare le tasse di due terzi almeno e tornare a poche regole chiarissime e la cui trasgressione venga punita indirimibilmente ed immediatamente – basta la volontà politica per farlo. Terzo: Per ogni due posti nella Pubblica Amministrazione di cittadini che pesano solo sull’erario e non creano ricchezza che vengono cancellati – lo insegnano le democrazie del Nordeuropa – nascono tre posti di lavoro nei settori dei servizi che ora vengono combattuti dalla politica: protezione del territorio, assistenza sanitaria di base (specie dopo aver licenziato il 60% degli amministrativi della sanità), assistenza sociale, ma soprattutto cultura ed istruzione. Quarto: investire nell’avviamento allo sport, nella cultura, nell’istruzione, nell’educazione, nella preparazione – e non dare più soldi a cosidetti privati che, con il denaro pubblico, acquisicono quote di ricchezza pubblica (telecomunicazioni, treni, ospedali, industrie etc etc etc) e ne scaricano i costi sulla collettività. Quinto: bisogna ripulire le Forze di Polizia dai reparti politicizzati e di provocazione e rafforzare le unità dei difensori dei cittadini, quelli che rischiano la vita nelle strade per cercare di far credere che lo Stato esista ancora – e vengono quotidianamente umiliati da noi che li disprezziamo ed i superiori che li umiliano. Sesto: cancellare le provincie e le auto blu, ridurre i consigli comunali a non più di 30 membri (per le grandi aree con più di un milione di abitanti), cancellare i finanziamenti ai giornali ed ai partiti, ridurre il numero dei parlamentari a non più di 100, tornare alla democrazia diretta per cui i cittadini votino non un partito, ma un’idea, una proposta – e nei congressi di partito non si discuta delle gerarchie, ma solo delle scelte politiche, come avviene nel Nordeuropa in quasi tutte le forze politiche. E poi decidere: siamo italiani o siamo europei. Deciderlo una volta per tutte e poi agire di conseguenza, non rimanere ancora una volta con un piede di qua ed uno di là del guado. La “Cosa Bianca” rappresenterà anche solo un decimo di queste necessità? Al contrario, cercherà insieme agli altri di far finta che non sia cambiato nulla, sperando che i problemi si risolvano da soli. E noi che faremo?

7 agosto 2012 – Tremo. Oggi in gara la Signora Idem e la Signora Sensini. Dopo la squalifica dell’uomo del Pinguì, la maledizione della merendina mannara è in agguato.

6 agosto 2012 – Non mi stupisce affatto che noi italiani vinciamo tutto nel fioretto. Da che mi ricordo nei buoni propositi non ci ha mai battuti nessuno.

5 agosto 2012 – I quotidiani di oggi sono pieni di notizie stupende. Vendola ha dichiarato che Antonio Di Pietro non può restare fuori dal cantiere della sinistra. Bersani gli avrebbe risposto che è già tutto pronto: farà la parte dell’immigrato che muore cadendo da un’impalcatura… Scherzi a parte, mi chiedo che droga prendano i pastonisti politici per prendere sul serio i minuscoli spostamenti del nulla e scriverci su miliardi di parole e minchiate umidamente sepolcrali… Giulio Andreotti intanto è stato nuovamente ricoverato al Policlinico Gemelli. Dopo pochi minuti il medico affranto: “Una crisi passeggera, sta bene”. Non resta che il paletto di frassino.

4 agosto 2012 – Condivido un bell’editoriale di Davide Giacalone: “L’attesa salvifica, la speranza che un qualche tecnico o una qualche tecnicalità ci porti fuori dall’incubo sono prive di senso. Stiamo perdendo tempo, pagandolo a carissimo prezzo. Mentre un coro unanime cantava le lodi di Mario Draghi, supponendo avesse trovato il modo di fermare la speculazione contro i debiti sovrani, noi avvertivamo che le sue parole, benché giuste, sarebbero state perse al vento se non incorporanti il consenso dei tedeschi. Che non c’era, sicché si sono volatilizzate. E scrivemmo anche che la missione del governo Monti è finita, che dovrebbe dimettersi, non perché sia finito il tempo degli sforzi, ma perché non sono affatto sufficienti, sono male impostati e non sarà certo la fiducia acritica di un Parlamento che si genuflette nel votare roba inutile a risolvere alcunché. I fatti ci danno ragione. L’idea di delegare alle banche centrali le sovranità nazionale, supponendo che un accordo fra gli dei della moneta possa dissolvere la crisi politica e istituzionale dell’euro, è una sciocchezza. Aggravata dal fatto che quell’accordo non c’è, perché quelli non sono dei, ma emanazione d’interessi nazionali. E al tavolo di quegli interessi manca chi rappresenti i nostri, perché nel mentre noi e gli spagnoli stiamo pagando per la salvezza dell’euro s’è affermato l’equivoco che a salvarlo sarebbero i tedeschi, che, invece, non solo non pagano, ma anzi guadagnano sulle difficoltà altrui. L’estate scorsa sostenemmo che questa è una guerra, combattuta a colpi di tassi d’interesse. Non s’è mai vista una guerra risolta dai tecnici. La difficoltà in cui si trova Mario Monti è solare. Un giorno dice che siamo vicini alla fine del tunnel, il giorno dopo che chiederemo aiuto e quello appresso che non lo faremo. Se non vigesse l’equilibrio del terrore, basato sul fatto che le forze politiche temono le elezioni più di ogni altra cosa, tale condotta sarebbe commentata come merita. E non è colpa di Monti, sia chiaro, perché lui un po’ parla per il fuori e un po’ per il dentro, ma parla al muro, perché l’Italia non rappresentata politicamente diventa la discarica delle colpe altrui. Che si aggiungono alle nostre, già notevoli. Draghi annuncia che la Bce agirà “senza tabù”, poi aggiunge che si è pronti “a tutto”, infine ripiega nell’attesa di settembre, quando i giudici costituzionali tedseschi diranno la loro e, comunque, ammette che gli aiuti non saranno automatici, non fermeranno il fuoco della speculazione, ma dovranno essere richiesti da paesi che, in quello stesso momento, operano una rinuncia alla sovranità assai simile al commissariamento. Anche in questo caso non è colpa sua, ma tali oscillazioni sono frutto dell’equivoco secondo cui si possa delegare a sedi tecniche, o monetarie, la soluzione di una crisi politica. La reazione positiva dei mercati, alle parole di Draghi, è stata la conferma che solo l’iniziativa politica può affrontarli. Salvo il fatto che non può essere surrogata. E’ tutta colpa dei tedeschi? Il governo della signora Merkel ha responsabilità enormi, che saranno scontate anche dalla Germania, ma no, la colpa non è dei tedeschi: è di governanti europei che non si sono dimostrati all’altezza del compito, è del credere che il mondo possa essere regolato dai trattati, è del supporre che le forze della storia possano essere imbrigliate dalle clausole. L’enorme forza economica dell’Unione monetaria europea è finita sotto scacco di potenze finanziarie minori, le quali hanno colto e colpito il bersaglio della sua enorme debolezza istituzionale e politica. Dice Monti che se non si rimedia va a finire che in Italia prevarrà un governo euroscettico, se non direttamente nemico dell’euro. A Monti devono essere sfuggiti i referendum contro la costituzione europea, non votati dagli italiani, e sfugge il rapporto di causa-effetto: è il far credere che la faccenda sia tecnica a generare l’infezione della fuga dalla politica, dalle responsabilità e dalla storia. La tecnocrazia era, un tempo, la bestia nera dei democratici e della sinistra. Le tecnicalità erano miti da cui la politica fuggiva (fin troppo). Ora sono divenuti rifugi per politicanti privi d’idee e incapaci di dare rappresentanza agli interessi produttivi, nazionali ed europei. E’ necessario porre fine a questa fuga. Sono cose che abbiamo scritto e argomentato molte volte, proponendo strumenti concreti per rendere effettive le idee che esponiamo. Noi si è ignoranti, innamorati dell’Italia e dell’Europa, ma vorrei osservare che abbiamo indovinato assai più di chi pretende sempre di dar lezioni. Purtroppo prive di passione e visione”.

3 agosto 2012 – Sono arrivato al punto in cui credo che a volte sia lecito, se non necessario, espellere dal Paese un’intera famiglia. Gli Agnelli di Torino, stirpe sabauda che tanto deve ai denari pubblici con cui ha costruito (a volte in modo illeggittimo) la propria fortuna economica ed il proprio potere, si infuria e chiama “dittatura” la richiesta di un magistrato di infleggere 15 mesi di squalifica ad un allenatore che ha commesso un illecito. Lui stesso non lo nega, giacché vuole patteggiare ed ha riconosciuto alcuni addebiti durante l’interrogatorio. La stessa società non accetta che le siano stati disconosciuti dei titoli ottenuti comprando le partite e gli arbitri, protesta quando la gente si chiede se sia giusto che il suo portiere (Buffon) investa milioni in scommesse sul calcio, grida al complotto se diversi suoi giocatori rischiano la carriera per aver commesso illeciti simili. Allo stesso modo si lamenta ogni volta che subisce gol o rischia una sconfitta. E fin qui chi se ne frega, sono dei bimbi sciocchi, vanesi e viziati, mi viene da pensare, l’importante è che i magistrati non si lascino influenzare troppo. Ma poi mi accorgo che la stessa famiglia s’infuria se qualcuno, tra i sindacati o in fabbrica, osa protestare contro gli accordi sindacali (che pure sono stati firmati) e più ancora contro la politica industriale della FIAT, considerata suicida. Poi si infuria perché gli italiani non comprano più FIAT e grida al complotto, e mi viene da pensare che siano una manica di pazzi: ma se sono i vostri operai che vi dicono da anni che le vostre auto sono incomprabili? La goccia che fà traboccare il vaso è la polemica con la Volkswagen, rea di aver abbassato i prezzi e di aver quindi sottratto un’ulteriore imponente fetta di mercato alla FIAT… signori, ma non volevate andare in America? Sempre qui dovete stare, a dare fastidio ed a renderci ridicoli? A finanziare segretamente quell’allegro spaccone di Luca Cordero Lanza di Montezemolo che finanzia partiti inesistenti che dovrebbero rompere con il passato dell’assistenzialismo ed aprire la strada per il vero liberismo? Sponsorizzato da FIAT? Ma credete che in Italia siamo tutti ciechi e sordi e senza memoria? Sì, lo credono. Si vede che abbiamo dato loro adito a farlo. Maledetti noi, sciocchi e pigri.

2 agosto 2012 – Stanotte, nella pausa fra due lavori che mi hanno obbligato a rimanere sveglio, ho visto e rivisto alla TV le immagini della Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980. La rabbia e la commozione sono rimaste le stesse, non solo perché i colpevoli non hanno pagato, non tutti. Non solo perché la violenza cieca di chi ha fatto una cosa simile va molto al di là della mia capacità di comprendere l’odio. Ma perché in Italia queste tragedie si trascinano, non finiscono mai, i loro effetti durano anche dopo che l’assonnata popolazione li ha rimossi, dimenticati. Tutti quei morti per niente. Solo perché una forza politica e la nazione che la sosteneva volevano evitare che il PCI raggiungesse la maggioranza in Parlamento. Ed ora, 32 anni dopo, tutte le premesse di chi fece quel massacro si sono rivelate sbagliate. La differenza minimale e sottilissima che c’era fra il PCI ed il resto del cosidetto “arco costituzionale” (quanto è passata di moda questa nozione…) è nulla di fronte alla fine di quell’intero sistema. “Le magnifiche sorti e progressive”, come sfotteva Giacomo Leopardi, si sono rivelate tali: una bugia mortale. Non ci sarà mai più la piena occupazione, le risorse naturali del pianeta stanno finendo (e noi acceleriamo il loro consumo), la globalizzazione è completata (e quindi il mercato non può più crescere e non produce più plusvalore). I sei tratti distintivi dello Stato nazionale bismarckiano, che illudendo i poveri é resistito quasi 200 anni, sono scomparsi: niente difesa, niente sentimento comune di appartenenza, niente educazione, niente sanità, niente prospettive di miglioramento delle condizioni economiche, niente pensioni. L’Italia è una prigione di un mondo morto, una sorta di zoo globale, come del resto gli altri Paesi dell’Unione Europea, e gli Stati Uniti. E noi, testardi, viaggiamo a tutta velocità verso la Guerra Civile. Non sappiamo cos’altro fare. Nessuno di noi è una ginestra. Siamo sinvece tupidi e pigri, superstiziosi ed egoisti. Tutti quei morti, Cristo, tutti quei morti e non abbiamo ancora imparato nulla.

1° agosto 2012 – Accordo elettorale Bersani – Casini – Vendola. Ecco finalmente qualcosa di sinistro!

1° agosto 2012 – Mario Monti: “Vedo la luce in fondo al tunnel”. Certo, è la Spagna in fiamme che ci viene incontro!

30 luglio 2012 – Ma Do Ping, la cinese di 16 anni che nuota più veloce di Phelps e Lochte e corre più veloce di Bolt e guida più veloce di Fernando Alonso, che magari si fa di pavesini come la Pellegrini? Se sì, devo cambiare dolcetto?

28 luglio 2012 – Pare (seriamente) che riapriranno la tomba di Giuseppe Garibaldi. Da italiano dietrologo mi chiedo perché. Che vogliano candidarlo in chiave Anti-Bersani alle primarie del PD?

27 luglio 2012 – Il pomodoro puo’ avere un senso di polpa. Ma domani sarà passata. Pomì è il passato di pomodoro mentre Pummarò è il futuro. I giochi di parole della pubblicità italiana assomigliano sempre più alle “nuove” liste della politica

26 luglio 2012- Questo è l’articolo di stamane di Davide Giacalone. Sono d’accordo con lui, ma a me stavolta le sue frasi non bastano: “Mario Monti dovrebbe dimettersi. Lo sostengo con freddezza, senza alcuna fregola crisaiola. Dovrebbe farlo perché, così com’è, il governo non è nelle condizioni di far fronte ai problemi che arrivano. E’ stato un tentativo. Molti ci hanno creduto, moltissimi hanno fatto finta di crederci (diffondendo un conformismo che nuoce alla salute morale) e noi stessi, che eravamo scettici, abbiamo sperato che potesse funzionare. E’ andata diversamente: sobrietà e riammissione al tavolo da pranzo europeo non hanno spostato di un capello la faccenda, perché tra le cose che vengono servite ai commensali c’erano e restano le nostre carni. Alcuni amano la versione biblica: occhio per occhio dente per dente. Che nella versione evangelica si trasforma in: chi di spada ferisce di spada perisce. Con lo spread si trafisse il governo Berlusconi, ma lo spread sta spiedando anche quello Monti. Vedo il parallelo, ma in modo diverso: lo spread non era colpa del governo Berlusconi, così come non lo è di quello Monti, i cali non sono merito di nessuno. Basta guardare il grafico che appaia quello italiano e quello spagnolo, per rendersi conto che a guidare quelle curve non è l’abito e neanche il monaco di un solo governo. Ma è un fatto che il governo Berlusconi aveva, da tempo, esaurito forza, maggioranza e missione, come oggi il governo Monti, che una maggioranza elettorale non l’ha mai avuta, mentre la forza gli derivava da una convinzione (ovvero la capacità di fermare la speculazione) rivelatasi infondata. Deve dimettersi anche perché il problema non è affatto individuare il punto d’equilibrio che ci consenta di vivere con spread elevatissimi (già sopra 400 non è tollerabile), o spremere i quattrini che ne finanzino i costi, la questione è ben diversa: da noi il credito s’è strozzato e i soldi della Bce passano per le banche e non arrivano né ai produttori né ai consumatori, fermandosi ai titoli del debito pubblico, con il risultato che dove il credito è fluido e poco costoso, come in Germania, le imprese possono finanziarsi e compare pezzi rilevanti del nostro sistema produttivo. Il combinarsi dei due elementi, costo crescente del debito e finanziamento calante al sistema produttivo, ci porta velocemente alla povertà. No, grazie. Il cielo non voglia che si finisca nelle mani del Fondo monetario internazionale, cedendo sovranità politica e dovendo pagare un riscatto insopportabilmente alto. Per evitarlo, a questo punto, è urgentissimo agire su due fronti: 1. chiarire all’Unione monetaria, e alla Germania in particolare, che intendiamo restare nell’euro, ma siamo anche pronti a uscire, con il che le loro banche saltano, i loro prodotti perdono clienti, il loro debito schizza in alto e noi li bruciamo esportando beni di alta qualità a prezzi più competitivi; 2. chiarire a noi stessi che con un debito pubblico così alto non si campa, che onorarlo con il gettito fiscale è suicida, quindi si deve dismettere patrimonio pubblico, prima che ce lo portino via gli strozzini e prima che qualcuno attenti a quello privato. Se volete si può dirlo con parole meno aspre e girandoci attorno per addolcire la pillola, ma la sostanza non cambia. Il governo Monti non è in grado di fare né l’una né l’altra cosa. La prima perché s’è mosso in direzione opposta, pensando che gli interessi tedeschi potessero essere soddisfatti impoverendo gli italiani anziché combattuti facendo vale gli interessi nostri. La seconda perché a otto mesi dalla nascita non s’è ancora mosso un dito. In quanto allo sviluppo, ai decreti per la crescita e altre simili menate, lasciamo che a crederci siano i fessi che neanche li leggono (alcuni sono incarnazioni d’orrori giuridici ed economici, firmati da un Quirinale corrivo e approvati da un Parlamento prono). In questa legislatura non ci sono alternative, ma non è un buon motivo per restare fermi. Si dimetta, dimostrandosi all’altezza del compito, e chieda alle forze della maggioranza di entrare direttamente nell’esecutivo, in modo che il governo futuro, che nascerà dopo le prossime elezioni, agisca in continuità e con alle spalle una stagione di collaborazione con la futura opposizione (quella seria). Se la richiesta fosse rifiutata vorrebbe dire che la legislatura è al capolinea. Meglio scendere subito, piuttosto che star fermi e lasciarsi massacrare”. Finora eravamo rimasti più o meno zitti perché avevamo pensato: se si vota, che succede? La risposta è relativamente chiara. Grillo prende tantissimi voti (giustamente), Berlusconi tiene i suoi (la madre degli imbecilli era e resta sempre incinta), i fascisti e i leghisti tengono i propri, i democristiani di qua e di là tengono ciascuno i pochi che hanno, Bersani arriva al 20% e Vendola ottiene ciò che già ha. Il risultato: Grillo è determinante per qualsivoglia governo, oppure PD e ciò che esisterà ancora del PdL (magari senza i fascisti) dovranno governare insieme. Il risultato: un governo ancora più debole e sputtanato del governo Berlusconi e del governo Monti, un governo che ci spingerà non solo nel baratro in cui stiamo già cadendo, ma per giunta raccontandoci che va tutto bene e dividendosi le ultime briciole sul piatto. Dopodiché, se Grillo sará stato capace di estrarre un coniglio dal cappello (un uomo forte che metta paura a tutti) vincerà le politiche successive, che si terranno poco prima del natale 2013. È un incubo, ma sembra non avere alternative. Rinviando le cose non migliorano. Evidentemente l’Italia ha bisogno del bagno di sangue per imparare. C’è purtroppo bisogno di un altro giro di giostra per far finalmente sparire dalla faccia della Terra pericolose malattie come Storace, Fini, Cicchitto, Berlusconi, Alfano, Bossi, Maroni, Di Pietro, Bersani, Casini, Capezzone, Formigoni, Violante, Amato, D’Alema, Vendola e compagnia cantante. La gente continua a non capire. Ragazzi, tenetevi forte, e mettete su un orto sul terrazzo.

24 luglio 2012 – Scrive Davide Giacalone, ed io condivido pienamente: “I trenta vertici europei non hanno agguantato alcuna soluzione, né approntato un’efficace protezione per l’euro e i Paesi che lo hanno adottato. I trionfalismi sono stati trenta volta infondati e sprecati, come qui avvertito. I mercati hanno letto l’intervista domenicale di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, hanno appreso che si era pronti, “senza tabù”, ad intervenire, e non appena è sorto il sole hanno detto la loro: non ci crediamo. Intanto il Fondo monetario internazionale minaccia di non rinnovare il prestito ai greci, dimostrando l’errore politico di avere coinvolto quell’istituzione in una crisi che doveva essere affrontata all’interno dell’Unione monetaria. Tre anni dopo l’alzarsi dell’ondata speculativa e un anno dopo l’aggressione all’euro siamo al punto di partenza. Ma infinitamente più poveri, debilitati e con i governi nudi. Non se ne esce, se non ragionando in termini crudi, se non gettando sulla bilancia il peso della politica, se non usando la forza della ragione per schiodare i rapporti fra i tre Paesi decisivi: Francia, Germania e Italia. Prima che la forza della crisi li divida, affondando l’Unione europea. La Germania ha ragione nel chiedere che tutti (e noi in particolare) sappiano cambiare le regole del loro mercato produttivo, come loro hanno fatto, e nel ricordare che non esiste federalizzazione dei rischi (e dei debiti) senza cessione di sovranità. Ha torto, invece, nel voler far credere che la speculazione affonda solo i Paesi presi di mira, mentre loro sono solidi: le banche tedesche sono farcite di roba che non vale nulla, se alla crisi non si pone freno. Quando il governo federale dovrà salvarle il debito pubblico tedesco supererà il nostro. Se saltiamo noi saltano loro. La Germania, quindi, lucra su un dogma: chi è entrato nell’euro non può uscirne, talché gli infettati s’industriano a impoverire i propri cittadini pur di onorare quel credo. L’Italia ha ragione nel dire che non intende pagare quel che non le compete, che non ha senso tenersi uno spread alle stelle, laddove le nostre colpe ne giustificano meno della metà. Così procedendo ci spolpano, portandoci via quel che funziona nel nostro mercato, quindi la teoria dei compiti a casa e dei complimentini graziosamente elargiti dai tedeschi è prassi suicida. L’Italia, però, ha torto, torto marcio nel non avere neanche avviato le riforme necessarie (o vogliamo continuare a prenderci per i fondelli, considerando epocali dei provvedimenti confusi e contraddittori, imposti per decreto) e nel non avere approntato quel che serve per dismettere patrimonio pubblico e abbattere il debito. Che, detto fra noi, con il disastro delle regioni, è più alto di quello già contabilizzato. Enorme. La Francia è rimasta più nell’ombra, ma in condizioni assai pericolose. Sostenni che i francesi facevano bene a eleggere un socialista alla presidenza, in modo da rimuovere il pessimo predecessore, ma fui onesto, avvertendo che si sacrificavano per noi. Facciano attenzione: stanno varando riforme fuori dal mondo, allargando costi che non possono mantenere. La Francia è divenuta un problema, perché si oppone alla richiesta tedesca di cessione di sovranità, ma, al tempo stesso, galleggia su un sistema bancario tarlato. Prima ne prenderanno coscienza e prima si sbloccherà una situazione insostenibile. L’era dei placebo e dei sedativi è finita. Crederci è stato un errore (da noi non commesso). Il tema è eminentemente politico: le deficienze istituzionali dell’euro ci espongono a rischi gravissimi, sicché il suo saltare o il nostro uscire sono possibilità concrete, non battute, ma la soluzione deve essere europea. Deve comportare: tagli e riduzione dei debiti; devoluzione di sovranità; garanzia assoluta e illimitata dei debiti, per mantenere sovranità. Questo è il mix delle tre ragioni. Altrimenti si passa alla miscela dei tre torti, con: Paesi che escono; euro che salta; Fmi che scorrazza devastando e banche che affondano. Per assecondare la prima possibilità, virtuosa ed europeista, il dovere di noi italiani consiste nel recuperare dignità e nello smetterla con la gnagnera cretinissima della sobrietà. I nostri interessi devono pesare, ma le nostre deficienze devono cessare. Governi che non servano a questo scopo sono inutili a sé stessi e agli altri. Maggioranze politiche che non ne siano consapevoli sono, in realtà, minorità mentali. Basta con i feticci e le prese in giro. Non c’è più tempo, né soldi, per queste miserie”.

22 luglio 2012 – LA FINE DELLA VITA, L’INIZIO DELLA SOPRAVVIVENZA Risposta del “selvaggio” capo indiano Seattle nel 1854 al presidente Franklin degli USA che gli propose di acquistare le sue terre dandogli in cambio una “riserva”. Qui si dimostra come l’intelligenza non sta nella nostra cultura o istruzione ma risiede dovunque esiste un essere pensante. “Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole come e’ che voi potete acquistarli? Ogni parco di questa terra e’ sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ogni ronzio di insetti e’ sacro nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con se’ il ricordo dell’uomo rosso. Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non e’ solamente acqua, per noi e’ qualcosa di immensamente significativo: e’ il sangue dei nostri padri. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, e insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per fiumi lo stesso affetto che dimostrerete ad un fratello. Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra e’ uguale all’altra, perche’ e’ come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che piu’ gli conviene. La terra non e’ suo fratello, anzi e’ suo nemico e quando l’ha conquistata va oltre, piu’ lontano. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorera’ tutta la terra e a lui non restera’ che il deserto. Non esiste un posto accessibile nelle citta’ dell’uomo bianco. Non esiste un posto per vedere le foglie e i fiori sbocciare in primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse e’ perche’ io sono un selvaggio e non posso capire. Il baccano sembra insultare le orecchie. E quale interesse puo’ avere l’uomo a vivere senza ascoltare il rumore delle capre che succhiano l’erba o il chiacchierio delle rane, la notte, attorno ad uno stagno? Io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza la faccia dello stagno, e preferisce l’odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne. L’aria e’ preziosa per l’uomo rosso, giacche’ tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stesa aria. L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira. Come un uomo che impiega parecchi giorni a morire resta insensibile alle punture. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l’aria per noi e’ preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere. Il vento che ha dato il primo alito al Nostro Grande Padre e’ lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se noi vi vendiamo le nostre terre voi dovrete guardarle in modo diverso, tenerle per sacre e considerarle un posto in cui anche l’uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori del prato. Considereremo l’offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porro’ una condizione: l’uomo bianco dovra’ rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Che cos’e’ l’uomo senza le bestie? Se tutte le bestie sparissero, l’uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiche’ cio’ che accade alle bestie prima o poi accade anche all’ uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano e’ fatto dalle ceneri dei nostri padri. Affinche’ i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa e’ arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra e’ la madre di tutti noi. Tutto cio’ che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensi’ e’ l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto cio’ che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non e’ l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne e’ soltanto un filo. Tutto cio’ che egli fa alla trama lo fa a se stesso. C’e’ una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprira’ presto: il nostro Dio e’ lo stesso vostro Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli e’ il Dio dell’uomo e la sua pieta’ e’ uguale per tutti: tanto per l’uomo bianco quanto per l’uomo rosso. Questa terra per lui e’ preziosa. Dov’e’ finito il bosco? E’ scomparso. Dov’e’ finita l’aquila? E’ scomparsa. E’ la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza”.

20 luglio 2012 – Scrive Davide Giacalone: “Sostenere che le tasse altissime, da record mondiale, siano un derivato dell’evasione fiscale, come ha fatto Attilio Befera, non solo è falso, ma anche assai pericoloso. Occorre che si faccia attenzione alle parole, non soffiando a casaccio sul fuoco. E occorre che non si dia conferma teorica a quella che è già una pessima sensazione diffusa, ovvero che i soldi si vada a cercarli da quelli che già pagano. Il che accade, come ho potuto personalmente sperimentare, anche nel caso della supposta lotta all’evasione. Il total tax rate, la pressione fiscale complessiva, sulle imprese raggiunge il 68,5% (Paying Taxes di Pwc). Superiore, e di molto, a quello degli altri concorrenti europei. Il prelievo fiscale, considerando non solo le imprese, raggiunge, secondo i calcoli Confcommercio, il 55% del prodotto interno lordo. Tutto questo per inseguire una spesa pubblica fuori controllo cui si è aggiunto, da un anno a questa parte, un altrettanto incontrollabile prezzo del debito pubblico. Allora: posto che le tasse si pagano e che l’evasione è un crimine contro la collettività, se tutti pagassero avremmo come risultato una pressione ancora più forte. Dicono i beferiani: in questo modo si potrebbero diminuire le tasse. Ma l’esperienza ci dice l’esatto contrario: aumenterebbero le spese. A questo si aggiunga che ci sono fasce di mercato per le quali l’evasione non è un vantaggio che porta profitto, ma una condizione che consente il galleggiamento. In altre parole: lasciandola immutata non possiamo che impoverirci e affondare tutti. La soluzione consiste nell’abbattere il debito pubblico mediante dismissioni di patrimonio pubblico, riservando una parte di quei proventi sia alla diminuzione della pressione fiscale che agli investimenti infrastrutturali. Le altre strade sono solo svenamento progressivo e mortale. Indicare nell’evasore (che va condannato) il nemico pubblico numero uno non fa che incentivare i gia diffusi sentimenti di invidia e rabbia sociale, sui quali si può fondare la guerra, non certo la convivenza civile. Mi è capitato d’essere sottoposto a verifica fiscale, che ho appena chiuso. Va bene, i controlli sono giusti. Quattro finanzieri, in quattro mesi, hanno passato al setaccio tutti i conti. Solo che già nella prima settimana era chiaro che tornavano, ma da lì in poi è stato un crescendo rossiniano di richieste sull’uso privato che faccio dei miei soldi, sui quali era già dimostrata la fedeltà fiscale. Ho dovuto chiedere copie di assegni a diverse banche. Ho dovuto produrre la copia della ricevuta di un pagamento effettuato alle poste! Ho dovuto ricostruire prestazioni idrauliche di due anni prima. Non ha senso, perché questo è solo un modo per cercare di fregare le persone oneste. Ho lavorato, per settimane, assieme al commercialista, per rispondere a una cinquantina di quesiti, sotto la minaccia che se non fossi riuscito a produrre la documentazione (che non era in mio possesso, ma delle banche) si sarebbero trasformati in rilievi. Poi ricorrerà, non si preoccupi, mi dicevano. Ma non è sensato, perché ricorrendo avverso ciò che è irraggionevole si sprecano soldi miei e dello Stato. Morale, se ne sono andati contestando un solo punto: le schede carburante non recano le firme dei benzinai, ma solo il timbro. Io non ho mai visto un benzinaio firmare, ma sarà colpa mia. In ogni caso la cifra è irrilevante. Befera è bene si renda conto che aizzare gli italiani che pagano contro quelli che si suppone non lo facciano, per giunta mettendo nell’elenco degli infedeli quelli che già pagano moltissimo, ma vengono sottoposti a controlli che mirano esclusivamente a fare un verbale purché sia, non è il mestiere del servitore dello Stato, ma del mestatore e sobillatore. Siccome conosciamo tutti la sua preparazione e determinazione (non a caso presta servizio sotto governi diversi ed è a capo, contemporaneamente, sia dell’Agenzia delle entrate che di Equitalia, talché la sua influenza fiscale è superiore a quella dei ministri di passaggio), gli segnalo la cosa. Per il bene di tutti”. Aggiungo una mia considerazione. Gli Italiani hanno sempre considerato lo Stato non come la rappresentanza totale di sé stessi, ma come un nemico scemo da fregare, certamente. Ma questa cosa è stata rafforzata nei loro geni grazie all’accordo del dopoguerra: chi guadagna bene è nemico dello Stato e viene punito con le tasse. Con quei soldi si finge di trovare un lavoro ai perdenti, che si chiamano Pubblica Amministrazione. Sicché la Pubblica Amministrazione odia coloro che dovrebbe servire, chi paga le tasse odia tutto, perché sa di essere stato infinocchiato. Ora il tavolo salta, ed è un bene. Ora bisogna pagare tutti, si dovrebbe dire, ed è un male comune. Ma ora bisognerebbe cambiare il sistema, e questo non è disposto a farlo nessuno, ma davvero NESSUNO.

16 luglio 2012 – Sinceramente non capisco la meraviglia e la costernazione espressa da tante persone alla notizia che Silvio Berlusconi intende candidarsi nuovamente come presidente del consiglio alle elezioni della primavera prossima. Lo avevo scritto già a novembre che le sue dimissioni erano un passaggio necessario (per lui) per tornare al potere come salvatore della Patria. A chi mi prese in giro ripeto l’analisi di allora. Chi lo segue (Monti) non riuscirà a cambiare una sola virgola della crisi ma farà approvare con l’appoggio del PD leggi che altrimenti avrebbero scatenato la guerra civile. E quando la popolazione sarebbe stata stremata dalle nuove leggi, Berlusconi sarebbe tornato fra due ali di folla per salvare il Paese. Così non sta esattamente accadendo, perché nel frattempo Beppe Grillo ed il suo Movimento stanno occupando un grandissimo spazio a destra, per giunta scippando voti alla sinistra incapace ed infigarda. Ma Berlusconi la vede giusta. Se Grillo prende il 20%, non ci sono governi possibili senza almeno uno dei due comici. O Berlusconi comanda insieme a Grillo, o la sinistra, per escludere Grillo, prosegue l’accordo ABC anche dopo le elezioni, col risultato che Grillo crescerá ancora di più. Ma queste sono pinzillacchere. Il fatto è che ancora una volta si andrà a votare forze politiche senza nessun progetto, nessuna soluzione, nessuna idea a parte la perpetuazione di se stesse. Ed il Paese continuerà a morire o a prepararsi per un’esplosione di violenza senza pari.

9 luglio 2012 – Monti ragiona sulla morte indotta. Riduce lo spread, riduce i disoccupati, e poi – da sempre – lo vuole l’Europa, cui tutti sti italiani in giro hanno sempre dato fastidio. Fornero: “La FIOM dice che vogliamo uccidere 1 milione di cittadini. L’INPS dice ottocentomila pensionati. Io dico che mentono: si tratta di alcune esigue centinia di migliaia di nullafacenti e che nessuno se la sente di raccomandare”. Alfano: “Lo Stato non può uccidere, questi esodati devono essere eliminati da strutture private, meglio se legate alla Chiesa”. Casini: “Gli innocenti prima vanno in cielo e prima sono felici”. Bersani: “Noi sosteniamo tutte le sobrie e puntiali misure di questo governo, che nessuno si creda che non sappiamo prenderci le nostre responsabilità”

3 luglio 2012 – Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “E’ più facile colpire un orso che un passero. La doppietta del governo si accanisce su un bersaglio piccolo, tremando fra le mani di chi non riesce a tarare il mirino, tant’è che i tagli necessari ammontano a 4.2 miliardi per Antonio Catricalà, fra i 7.5 e i 10 per Enrico Bondi, per collocarsi all’intermedio 6.8 di Piero Giarda. Tutto per evitare di aumentare ulteriormente l’iva di due punti, o quanto meno, per dimezzarne il già programmato e annunciato intervento. Al bersaglio grosso nessuno pensa. L’idea di tagliare per non tassare è corretta, ma troppo limitata. Qualcuno penserà di leggere le parole di un matto, perché laddove non si riesce a fare poco è insensato proporsi assai di più. Invece credo che sia più facile ottenere molto, perché ci si proverebbe con strumenti e seguendo ragionamenti diversi. Più efficaci e promettenti. Seguite questi pochi numeri. Marco Fortis insiste, meritoriamente, nel sottolineare che il mero parametro del rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ci penalizza. Quel tipo di misurazione è stato santificato nei trattati europei e posto a base dell’euro, ma non ha valenza generale e riconosciuta. Meglio sarebbe lavorare sul rapporto fra il debito aggregato e la ricchezza patrimoniale. Guardate la differenza: se si calcola il debito pubblico sul pil l’Italia arriva al 120%, la Francia al 90, la Germania all’83 e la Gran Bretagna all’81. Siamo messi male. Ma se si calcola il debito aggregato (Stato + famiglie + imprese), la classifica cambia: Gran Bretagna 507%, Francia 346, Italia 323 e Germania 279. Se si mette in rapporto il debito aggregato con il patrimonio, infine, risultiamo fra i più solidi e affidabili. Chi ci presta i soldi dovrebbe star più che sicuro, tant’è che, come calcola sempre l’ottimo Fortis, ove tutti i Paesi applicassero una patrimoniale (il cielo non voglia) per rientrare sotto il 60% del rapporto debito pubblico/pil, dopo la cura da cavallo gli italiani resterebbero i più ricchi, fra i grandi Paesi europei. Tutto questo per dire che c’è materiale buono per spiegare ai partner europei, come anche ai mercati, quanto l’Italia sia oggi vittima di una pericolosa manomissione. Il cui risultato sono tassi d’interesse così elevati da comportare un effettivo e pericoloso svantaggio competitivo. Ciò, però, dice anche un’altra cosa, che ci riporta al tema della spesa statale: se i debiti pubblici sono così elevanti e quelli privati così bassi (rispetto a quelli degli altri) è segno che il nostro è un mercato statalista, una sorta di socialismo reale post-sovietico. Dentro l’Italia c’è un morbo cubano. Tale condizione è anche un’opportunità: non si deve tagliare a fette la spesa pubblica, provando a diminuirne progressivamente lo spessore, ma la si deve colpire a tocchi, perché alimenta un’idea sbagliata e regressiva di Stato. E’ vero quel che ha detto Mario Draghi, ovvero che la crisi non può non mettere in discussione il modello europeo di welfare, ma, come dimostrano i dati prima citati, da noi si tratta di una massa tumorale assai più estesa, capace di soffocare l’Italia che corre. I debiti pubblici dei grandi europei, presi in valore assoluto, si somigliano (Germania 2.082 miliardi, Italia 1.988, Francia 1.946, Gran Bretagna circa 1900, dati relativi a previsioni per il 2013). I rapporti cambiano perché cambia il pil. Un’Italia che riprendesse a crescere scalerebbe posizioni anche in quella classifica che ci sfavorisce e ci costa. Se debellassimo il morbo cubano vedremmo crescere anche il bello della latinità, la gioia di vivere, la musica, il bel vivere, ma lo faremmo grazie alle imprese che crescono, non deprimendole per aumentare il gettito fiscale. Ci siamo riusciti in passato, possiamo rifarlo. Quindi: provare a tagliare 4.2 miliardi è più difficile che tagliarne 42, sforbiciarne 10 più doloroso che 100, perché nel primo caso si cerca di farlo salvando l’esistente, nel secondo essendo consapevoli che va superato. Se si riesce a fare la prima cosa si evita un ulteriore aumento delle tasse, restando esattamente dove siamo (e non dico dove), nel secondo si può abbassare la pressione fiscale, restituendo irrigazione a un mercato che ha tante volte dimostrato d’essere fertilissimo. Se anziché tagliuzzare la spesa si sfoltisce lo Stato si fa cosa meno dolorosa e più promettente, al punto che quei numeri diventerebbero la premessa di un boom, questa volta sospinto non dagli investimenti pubblici, ma dalla globalizzazione. C’è una sola cosa che c’impedisce di farlo: l’incapacità di pensarlo. Il governo commissariale, che non deve cercare voti, che non deve piatire consenso, prenda coraggio e agisca nel profondo. Poi porti il tutto davanti al Parlamento e chieda la fiducia. Sarà più serio e rispettoso di tredici decreti legge da convertirsi entro la fine di agosto, con fiducie fioccanti e riti umilianti”.

30 giugno 2012 – Sono stato all’inaugurazione della mostra fotografica di Santiago Faraone Mennella presso la Home Gallery Wo-Ma’n di Marta Rossato e Wolfango De Spirito ed ho trovato che, in modo piacevolmente sorprendente, questa Home Gallery dimostra una grande vitalità ed estro nelle scelte, una freschezza che mi sbalordisce ogni volta che ci vado. I due galleristi hanno allargato lo spazio espositivo alla terrazza condominiale, circondata come una corona da principessa da antenne TV e con una vista mozzafiato sulla Roma dei palazzinari scatenati del boom economico, ed ai lavatoi condominiali, che, visibilmente abbandonati da decenni, sono già in se e per se un viaggio a ritroso nell’infanzia. Tutta la mostra ha un giallino opaco ed un blu carta da zucchero che riporta con la mente e la malinconia olfattiva proprio dei cartoni triangolari della Centrale del Latte, degli Ombrellai ed Arrotini per strada, delle mamme che, insieme, lavavano i panni e li stendevano cinguettando con le vicine. La mostra porta una serie splendida di foto di annunci mortuari napoletani. A dirla così sembra una cosa da scrollare il capo, ed invece ci si trova di fronte ad uno spaccato di un’Italia segreta, in diretta dagli anni 50 e 60, senza retorica, in cui l’annuncio mortuario resta una vera e propria comunicazione sociale, lo scandire della vita tra chi si conosce e definisce se stesso attraverso la relazione con gli altri – prima quindi che l’edonismo reaganiano consegnasse agli psicanalisti orde di italiani scombinati e fuori ruolo. Le foto sono geniali, perché gli attacchini napoletani sono geniali e Santiago ha un occhio assassino! A Napoli, oltre al nome del morto, viene pubblicato anche il suo soprannome, poiché probabilmente il quartiere conosce lo scomparso solo con quello. Così l’annuncio della morte dello Sparatore è sopra un manifesto di un comizio di Pino Rauti, quello della morte della Vaccara sotto un cartello scritto a mano maledicente la miseria, e via di seguito, una fila lunghissimo. C’è pure quello detto “Scopata”. Lì per lì si resta interdetti. Poi si legge la lista dei condolenti: la moglie e poi uno, due, tre, quattro…. UNDICI FIGLI LEGITTIMI, sicché il soprannome non é stato dato a casaccio. Questa mostra quindi non indica una direzione della fotografia d’autore, ma è uno spaccato artistico di ciò che il giornalismo vero dovrebbe fare (mostrare l’Italia agli italiani, spiegandola per iperbole e sintesi immaginifica, senza interpretazioni) e che non fa, perché gli scribacchini non hanno né la sensibilità, né l’umorismo né la competenza sociale di Santiago Mennella. La mostra va quindi vista ad ogni costo, per ritrovare una parte di se con cui si può convivere in pace e con un sorriso, specialmente in un momento di tensioni politiche e sociali come le stiamo vivendo. Una volta ancora la sensibilità di Marta e Wolfango tocca una corda socialmente fondamentale, con la delicatezza del filosofo per predisposizione di cuore, non per sovrastruttura scolastica. Passate un’ora lassù, vi sentirete come Bert dopo due settimane con Mary Poppins: malinconicamente sereni.

27 giugno 2012 – Dieter Bräuninger, analista della Deutsche Bank, ha presentato il 20 ottobre scorso un progetto di risoluzione del “Problema Italia” alla propria banca, al governo tedesco, alla Commissione Europea, al Fondo Monetario Internazionale ed alla BCE. Questo piano analizza freddamente e correttament il modo in cui gli hedge funds e le banche abbiano usato il differenziale fra il costo del denaro per se stesse e quello per i cittadini, espresso sulla valutazione dei BOT e quindi sulla crescita indotta del debito pubblico italiano, che ricorda da vicino il Piano voluto da Franz Josef Strauss nel 1979 per strozzare la Germania Est e che ha portato, dodici anni dopo, all’annessione dell’economia della DDR nei modi che abbiamo visto (e che in Italia sono tuttora sconosciuti, mai studiati). Il progetto dice testualmente che l’Italia, se aggredita sul differenziale (lo spread) continuerà ad indebitarsi in modo vertiginoso, specie se il governo federale tedesco userà il proprio peso politico per obbligare ad un risanamento paragonabile alla restituzione dei debiti di guerra – cioé ottenuto con una contrazione del PIL causata da una recessione indotta per via fiscale, ovvero esattamente ciò che ha scientemente fatto il governo Monti. Nella seconda fase, secondo Bräuninger, bisogna ricreare le condizioni per la creazione di una Treuhandanstalt, ovvero una società che agisce al di fuori della legge e che venda senza nessuna regola di trasparenza tutto ciò che si possa vendere: partecipazioni azionarie dello Stato e proprietà immobiliari innanzi tutto. In quel modo la DDR venne spogliata di oltre 700 miliardi di Euro di patrimonio senza che nessuno potesse far nulla. Di più. Con un artificio contabile, nella trasposizione delle leggi di bilancio fra la DDR e la nuova Germania unificata, gli utili della Staatsbank der DDR (Banca di Stato) vennero tradotti come perdite, di modo che i cittadini dell’Est si trovarono sul groppone un debito improvviso pari a tutto il loro PIL. Secondo Bräuninger lo Stato italiano ha assets (IRI, Telecom, Finmeccanica etc) per circa 80 miliardi, che potrebbero essere appetibili: la societá tedesca chiamata a comprare acquista a prezzo più basso del valore, poi chiude tutti i reparti non sinergici (ovvero tutte quelle fabbriche che costrituivano una concorrenza per analoghe imprese tedesche). Le proprietà immobiliari che potrebbero essere comprate immediatamente vengono valutate 421 miliardi, sul medio periodo (ovvero dopo che le attività produttive o amministrative che vi si svolgono dentro saranno state distrutte) si potrebbe arrivare fino a 571 miliardi, oltre il 37% del PIL italiano. Non finisce qui: l’esperto della Deutsche Bank spiega che sarà necessario comprare l’acqua pubblica, dato che le canalizzazioni attuali perdono nel trasporto circa il 30% dell’acqua. Bisognerà comprare aereoporti e ferrovie, perché sono sistemi antiquati, che non funzionano, in cui gli amministrativi sono più degli operativi e costituiscono un peso insopportabile per la competitività industriale delle aziende in questione. Lo stesso vale per l’assistenza sanitaria. Secondo Bräuninger l’introduzione del sistema tedesco garantirebbe una riduzione dei costi del 65% con un drastico miglioramento del servizio – licenziando l’80% degli amministrativi, assumendo medici e paramedici e migliorando le strutture con prodotti importati dalla Germania (e pagati ai prezzi veri, senza i pizzi alla politica come accade da noi). Che dire? Bräuninger ha ragione. Sarebbe facilissimo trasformare l’Italia in una nazione alla guida di un nuovo miracolo economico. Basterebbe una vera decisione politica. Queste riforme dovremmo farle noi, da soli, usando la CDP Cassa Depositi e Prestiti al posto della vecchia IRI, rifiutando gli aiuti Europei, prendendo a ceffoni le nostre banche ed obbligandole a fare gli interessi del Paese, non quelli dei singoli manager ladroni. Oppure continuiamo così e lasciamo che Monti, Alfano, Bersani, Casini, Maroni e Di Pietro, con una grande accelerazione dovuta al movimento esoterico/fascista di Grillo, ci regalino alla Germania. Così potremo dire che siamo stati usati e fregati e faremo finta che non sia stata colpa nostra. DOPO AVER DEMOCRATICAMENTE ACCETTATO LA FINE DELLA DEMOCRAZIA, ORA STIAMO PATRIOTTICAMENTE SCEGLIENDO LA SCHIAVITÙ DEL NOSTRO PAESE. Siamo un popolo di miserabili e di quaqquaraquà.

26 giugno 2012 – Anche oggi condivido quanto scrive Davide Giacalone: “Oggi, in Parlamento, prenderà corpo l’incoscienza politica. Nel senso letterale di una politica che non ha coscienza di quel che capita e di quel che si prepara. Il presidente del Consiglio si presenterà raccontando la solita favola, ovvero che l’Italia può cavarsela senza chiedere aiuti e senza cambiamenti di scenario, e magari ripeterà quel che ha avuto l’azzardo di sostenere la settimana scorsa: dopo il vertice europeo gli spread scenderanno, perché saranno varate le misure per lo sviluppo. Previsione che ha il valore di un oroscopo. Se restano insostenibilmente alti, nel frattempo, suppongo lo si debba alla luna in trigono, o corbellerie similari. I partiti della maggioranza, dal canto loro, si uniranno nel dividersi. Oramai figli d’un frainteso Montale: questo solo possiamo dirti, quel che non sappiamo, quel che non capiamo. Mario Monti, Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini hanno in comune una sola cosa: non sanno come arrivare alla prossima primavera. Le elezioni a ottobre le vuole Monti, che si rende conto di guidare un esecutivo già logorato dalla difficilissima condizione in cui ha operato e dal tragico errore di non avere approfittato dei primi tre mesi, quando era fortissimo e intoccabile. Le vuole Bersani, che lo ha fatto dire prima a Fassina, salvo smentirlo, ma successivamente tornarci e ritornarci, e le vuole perché potrebbe vincerle e le vincerebbe con questo sistema elettorale, il che assicurerebbe la maggioranza assoluta alla Camera e la scelta del gruppo parlamentare. Le vuole Casini, che da gran democristiano dice e giura il contrario, ma opera in tal senso. Esemplare l’intervista rilasciata al Corriere della Sera, nella quale annuncia di avere già fatto l’alleanza con il Pd, ma invita Alfano a una mozione comune, naturalmente per scriverci che Silvio Berlusconi è pazzo. Che deve fare di più, un povero allievo di Arnaldo Forlani, per rendere chiaro che si deve sfasciare tutto? Casini sa bene che l’alleanza con il Pd la fa se si vota subito, perché se si perde tempo il Pd stesso si spappola con le primarie, premiando un estremista o consegnandosi a Matteo Renzi, che non ha bisogno di allearsi con i democristiani, essendolo a sua volta. E le vuole anche Berlusconi, per due buone ragioni: a. tanto il tempo che passa non porta fortuna; b. l’attuale sistema premia il primo arrivato, ma salva il secondo e non consente una maggioranza al Senato, quindi resta spazio per contare. Non le vuole l’uomo del Colle, il quale gioca una partita personale, come talora capita agli anziani, incapaci di pensare un futuro che non abbia limiti biografici. A renderlo forte c’è la crisi europea, che non si risolverebbe certo nelle urne. E’ lui il più solido ostacolo al voto e, guarda un po’ i casi della vita, capita a lui finire nel tritacarne delle inchieste penali svolte a beneficio dei giornali. Né riesce a difendersi, dato che l’unico modo per farlo convincentemente sarebbe ammettere di avere fin qui sbagliato. Non le vogliono i parlamentari in carica, coloro i quali ancora campano di una rendita di posizione. Sperano possano essere cancellate quanti sentono che è finita, ma non riescono a immaginare come andrà a finire. Compagnia folta, ma non esaltante. In questo bel quadretto, oggi, Monti va in Parlamento a incassare il vasto appoggio in vista del vertice europeo. Se lui e gli altri avessero voglia di far sul serio, pretenderebbe e otterrebbe una mozione unitaria. Se siamo al trastullo se ne presentano diverse, senza alcuna differenza di contenuto. Se prevale il tatticismo se ne unifica una parte, quella più piena di vuoto, e la si vota con entusiasmo. Così si arriverà al 30, avendo il vertice alle spalle e luglio davanti. Un mese nel quale il governo dovrebbe convertire in legge non ricordo più quanti decreti (ho perso il conto), neanche uno dei quali risolve alcunché. E nel mentre questa rappresentazione inconcludente si trascina, la realtà suggerisce una progressiva perdita di sovranità, fino al punto, il cielo non voglia, in cui daremo il nostro gettito fiscale in garanzia dei nostri debiti. Le alternative ci sono, ma presuppongono l’esistenza di un governo, non di una congrega dedita al gioco del cerino”.

25 giugno 2012 – Non imparo mai dai miei errori. Certo, ora potrei fare il saputello e dirvi: il concerto per l’Emilia moderato da Fabrizio Frizzi (Dio, come si vede che è un mancato pretino uscito dal Calasanzio che ha sposato una donna più grande di lui solo per fare carriera ed odiarla) è stato uno dei momenti più bassi, il simbolo del degrado totale della cultura italiana. Però l’ho guardato, porca miseria! Come nello schetch di Totò, picchiato dal bruto, che risponde a chi gli chiede perché non si fosse difeso o non se ne fosse andato: “E che sò Pasquale?” Oh mamma… Cosa diavolo ci facesse Francesco Guccini in quello sfacelo (lui che era evidentemente e con grande differenza il più giovane fra i cosidetti “artisti” che si sono “esibiti”), è difficile capirlo. Zucchero era la controfigura della nonna di Elton John. Andrea Mingardi, senza voce, che non parlava una parola sola del testo, voleva duplicare il Joe Cocker della cover beatlesiana “With a little help from my friends” ed è stato sotto al livello di un concorrente della Corrida di Corrado Mantoni, di quelli che venivano fatti smettere coi cori di fischi. Luca Carboni è arrivato ad un punto tale che la differenza fra lui e Vasco Rossi (vestono pure uguale) è che il primo è una versione melliflua di Jovanotti mentre Vasco continua a copiare i dischi dei Queens of the Stoned Age e del grunge moderno senza ironia. Bolliti, entrambi bolliti. Fra Carboni e Rossi il peggiore era, come sempre, Ligabue, che sembrava Tiger Jack, il “pard” di Tex Willer, dopo aver bevuto troppa “acqua di fuoco” ed aver dimenticato il Viagra. Nek è stato patetico, una versione slavata di un sosia di Gianni Morandi bisnonno che finge di essere Elvis Presley in un bordello messicano. I Nomadi con la loro cover di Lucio Dalla ci hanno fatto ripensare con nostalgia ai momenti peggiori delle trasmissioni in cui lei, gemella cozza, separata dal gemello scemo alla nascita, viene riunita dopo 25 anni di dolore inenarrabile al fratello ed alla mamma che allora era fuggita per manifesta tossicodipendenza – il tutto in una trasmissione di Raffaella Carrà. Insomma abbiamo pianto nel vomito. Dei Modena City Ramblers abbiamo riscoperto che non hanno alcuna sostanza ma sono una fallita coverband di Vandersfros (che a sua volta è la triste copia di qualche band da balera ticinese). I grandi vincitori morali della serata sono stato Carlo Conti ed il marito di Maurizio Costanzo. Il primo perché le sue trasmissioni di bambine in mutande che fanno finta di ricordarsi le melodie di Mogol e Battisti sono perfettamente in linea con i vertici della cosidetta canzone d’autore italiana. La seconda perché il suo programma di avviamento alla prostituzione produce per lo meno bambini che sanno cantare. Dopo il concerto c’era Bruno Vespa con Sabina Ciuffini (la psicovedova di Mike Bongiornooooooo), Edoardo Vianello e qualche altra cariatide che, di fronte al cartamodello (stavolta non c’erano soldi per il plastico) dello Stadio Dall’Ara di Bologna (dove decine di migliaia di lavoratori di call center decerebrati cercava disperatamente di commuoversi al ritmo delle frasi da oratorio di Fabrizio Frizzi), raccontava come eran belli gli anni Sessanta. Come vedete non riesco a dormire. Gaber cantava: si alza in cielo un branco di mucche, che passa sopra lo stadio eeeeeeee plaaaaaaaaaffff. Io credo che questa musichetta plasticizzata che Caterina Caselli da decenni obbliga a rappresentare l’Italia in un’arena vuota da ogni pensiero o pulsione emotiva, debba essere spazzata via da un terremoto, da uno tsunami, dal ridicolo – fate voi, purché facciano spazio a ciò che deve deve deve deve deve venire dopo di loro.

23 giugno 2012 – Un anno fa, giorno più giorno meno, iniziava uno dei periodi più duri e dolorosi della mia vita. Il risultato di quei giorni sono di diversa natura. Sono ingrassato nuovamente, perché la mia disaffezione nei miei confronti è tornata a farsi sentire, legata soprattutto alle incertezze professionali legate alla crisi globale ed al pesante effetto che questa ha avuto su tutto ciò che mi circonda. Sono tornato a vivere a Roma, non perché lo volessi, ma perché un destino benigno ha deciso che fosse arrivata l’ora, per me, di guardare in viso i fantasmi del passato ed imparare a distinguere ciò che è da ciò che non è mai stato. Dopo averlo sognato per oltre 40 anni, ho scritto un’opera teatrale-musicale tutta mia, e l’ho portata in scena, imparando a conoscere nuovi limiti delle mie capacità, ma anche nuove forze e nuove competenze. Dopo aver cercato di essere tante cose in tante nazioni diverse ho imparato che, se non mi deciderò a divenire me stesso, non avrò mai un’occasione vera per raggiungere la serenità. Quanto alla felicità, l’ho barattata con l’inquietudine ed il talento, e con questo fatto devo imparare a fare pace. Ho scritto questa nuova canzone, intitolata “Mai”, che è il pendant alla grande canzone scritta un anno fa, “Per sempre”, che è stata la sigla di una vita che avrebbe potuto essere e non sarà. Buffo che la canzone nuova sia un inno alla speranza, come quella dell’anno scorso, in fondo, era un sogno disperato rivelatosi poi un incubo schizofrenico e deviante. Ma la musica resta ciò che è, è il libro a scrivere l’autore, e non il contrario. E per festeggiare questo avvenimento vi regalo, con un paio di lacrime di commozione e magari di sciocca autocommiserazione, il pezzo più importante, struggente e malinconico, del più grande musicista della mia città d’adozione, l’adorata Erfurt della mia interminabile ed eppur terminata adolescenza: Johann Pachelbel. http://www.youtube.com/watch?v=6wpPk8qk3uQ

14 giugno 2012 – Venerdì 8 giugno, a Zurigo, il famoso fotografo Miklós Klaus Rózsa è stato condannato ad una pena sospensiva con la condizionale più una multa per resistenza a pubblico ufficiale. Con una decisione storica, che cambia completamente la storia della libertà di stampa in Europa, Rózsa é divenuto il primo giornalista condannato in base ad un’interpretazione fascista della legge. Cosa ha fatto: ha fotografato la Polizia svizzera, fra le più violente al mondo (la percentuale di feriti e morti causati dall’intervento della Polizia elvetica è, in proporzione alla popolazione, inferiore solo al Venezuela, la Birmania e la Nigeria), sparava proiettili di gomma in faccia ai dimostranti pacifici che facevano un sit-in nello stadio. Con questa sentenza lo Stato svizzero ha sancito che fotografare le forze di Polizia durante i loro interventi sia proibito. Come scritto nella sentenza, è proibito dare alla popolazione l’impressione che la Polizia non rispetti le regole democratiche. In questo senso, fin dal 1956 (quando la Svizzera arrestò e torturò molti esponenti di sinistra accusandoli di aver, con la propria militanza politica, implicitamente appoggiato l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Esercito societico e poi proibì il Partito Comunista) la Svizzera é stata una sorta di laboratorio delle leggi fasciste in Europa. Non dimentichiamo che la Svizzera appoggia le iniezioni di medicinali ai richiedenti d’asilo che vengono rimpatriati (uno su venti di questi muore durante il trattamento) e punisce, nel giornalismo, il reato di attacco alla sicurezza interna del Paese, con la quale misura si proibisce ai giornalisti di scrivere su argomenti delicati di interesse nazionale in mancanza di un comunicato stampa ufficiale del governo. La Svizzera è oggi una dittatura sotterranea e gestita con un generale sostegno popolare – anche perché a causa della grande mescolanza di abitanti un abitante su tre non ha diritto di voto, un abitante su tre rinuncia a votare… La condanna di Klaus Rózsa è un fatto gravissimo, sottolineato dal fatto che nessun giornale elvetico ha commentato la notizia o ha protestato per l’ennesimo attentato alla libertà. Che non ci si meravigli poi se le finanze dei nazionalsocialisti di Germania, di Croazia e di altri Paesi vengano orgogliosamente gestite in quel Paese. Vi invito a scrivere a Erich Schmid, che troverete fra i miei amici di Facebook, per esternare la vostra solidarietà con un gioranlismo vittima di un governo repreessivo e violento come quello svizzero.

11 giugno 2012 – Per una questione di puntiglio, più che curiosità, ho passato diverse ore a cercare di capire cosa ci fosse dietro la campagna elettorale di Beppe Grillo e perché, negli ultimi anni, il comico genovese avesse smesso la sua brillante lotta mediatica contro la finanza globale e le multinazionali. Sono stato costretto ad occuparmene professionalmente, perché una grande industria chimica, preoccupata dal fatto che Grillo per anni l’avesse combattuta ed ora la osannasse, avesse in serbo qualche sorpresa. Nel corso della stessa settimana un ex azionista di una importante società di telecomunicazioni, che Grillo aveva per anni attaccato con una veemenza senza pari, mi aveva chiesto una consulenza sul fatto che proprio Grillo, ora, approverebbe il fatto che Mediaset (quindi Silvio Berlusconi) entrasse nel capitale in modo importante. Devo dire la verità: all’inizio non ci ho creduto. Poi, come spesso accade nella vita, lavorandoci su si scopre che una volta in più la realtà supera la fantasia. Dietro Beppe Grillo, ufficialmente, c’è la Casaleggio Associati. Questa società di marketing su internet è comproprietaria de Il Fatto Quotidiano, è stata fondata da degli specialisti che lavoravano per la Telecom, fino a poco tempo fa gestiva anche il blog di Antonio Di Pietro ed influenzava fortemente le scelte politiche dell’Italia dei Valori. Il modo in cui la Casaleggio Associati lavora è semplice e geniale: interviene con centinaia di avatar su twitter, su facebook e su qualunque blog si occupi di Beppe Grillo o del Movimento Cinque Stelle e lo influenza scrivendo testi, mettendo “mi piace”, cancellando come spam interventi giudicati scomodi. Tutte le multinazionali lavorano così, ma Beppe Grillo è il primo che sulla base di un sistema del genere costruisce un vero e proprio partito politico virtuale. Proseguendo l’inchiesta mi sono accorto del fatto che molti militanti del Movimento 5 Stelle sono a conoscenza di questo fatto. Alcuni se ne fregano, perché militano sperando in un posto di lavoro e magari ottenendolo. Alcuni se ne vanno schifati. Altri cercano disperatamente di combattere dall’interno del movimento, anche se le loro frasi di protesta vengono sistematicamente cancellate. Altri vengono cacciati via. Incredibile. Beppe Grillo é quindi quanto di più antidemocratico e vicino al Grande Fratello di orwelliana memoria sia mai stato creato. C’è persino da dubitare che il comico genovese si renda conto del fatto che la sua abdicazione alle sue posizioni massimaliste abbia creato un moloch del genere. Ma al contempo mi sono detto: non può durare, una struttura del genere vincerà magari le prossime elezioni, ma non appena il “potere” del Movimento 5 Stelle verrà sparso dalla centralizzazione operata nelle mani della Casaleggio Associati (che scrive e quindi impone i testi degli interventi di Grillo) ad un nugolo di militanti promossi amministratori locali e parlamentari, la struttura di questa setta mediatica, che assomiglia molto ad una versione più perfetta e subdola di Scientology, e come Scientology e la destra ultraconservatrice europea è tradizionalmente piena di esoterismo, esploderà. Ho parlato con dei militanti della prima ora: non credono che fra cinque anni il Movimento 5 Stelle esisterà ancora – l’unico modo per salvarlo, dicono, è smarcarsi dalla Casaleggio Associati e da Beppe Grillo, con tutto ciò che questo comporterebbe. Ma perché allora? Quale è il vero obiettivo di questa gente? Dev’essere giocoforza di breve periodo… Ho scartabellato fra azionisti e clienti della Casaleggio Associati, ovvero coloro che la condizionano. Giapponesi ed Americani, solo Giapponesi ed Americani, tutta gente che punta le sue carte sull’esplosione dell’Euro ed il crollo dell’Unione Europea. Esattamente ciò che Grillo chiede oggi: fuori dall’Euro, fuori dalla UE. Mio Dio. Proprio in un momento in cui l’Italia é in mano ad un governo debole e infigardo, non eletto democraticamente, ed i partiti si dividono su sciocchezze infantili. Mio Dio. Non so nemmeno cosa proporre, a parte il fatto che questa situazione venga resa pubblica. Ho grandissima stima di molti giornalisti che lavorano a Il Fatto Quotidiano. Ma ricordo Mani Pulite ed il fatto che noi giornalisti fummo gli apripista sciocchi e vanesi dell’ascesa al potere di Silvio Berlusconi. Beppe Grillo mi fà di colpo rimpiangere il Nano. Ho paura, e non é uno scherzo.

8 giugno 2012 – Scrive oggi Davide Giacalone: “Dicono che cresce la voglia di elezioni a ottobre, a me pare che cresca l’incapacità di credere che, in queste condizioni, si possa tirare a campare ancora un anno. Si sono incartati e non sanno come uscirne. Manifestano la loro paura sotto forma d’arroganza. Vale per il governo come anche per le forze politiche maggiori, il che innesca uno scontro fra gruppi che saranno comunque chiamati a convivere e collaborare, mentre ora inscenano una falsa rissa, al solo scopo di allontanare da sé le nerbate qualunquistiche e protestatarie con le quali viene flagellato il loro elettorato. Poi si ritrovano in accordi spartitori, colonizzando autorità che offrono garanzia solo a quelli che ne campano. Non si accorgono, i tapini, che così procedendo di nerbate ne meritano e se ne aggiudicano il doppio. Il governo è in stato confusionale. I tecnici sono in ko tecnico. Nel mentre la pressione fiscale cresce il gettito fiscale scende sotto le previsioni. E’ la dimostrazione che il corpo non reagisce, che la terapia è sbagliata. Ed è un errore tecnico, che giustifica il licenziamento in tronco dei presunti tecnici. Guardate quel che succede con l’Imu: tutti sappiamo di doverla pagare, molti non sanno dove prendere i soldi, quasi nessuno sa come e quanto, in compenso sappiamo che la prima rata è a giorni e la seconda entro la fine dell’anno. Di fronte a questo terrorismo, innescato dall’incapacità tecnica, quale credete che possa essere la reazione più consueta? Aspetto a spendere e tengo i soldi da parte. Così i geni che hanno aumentato l’iva constatano che il gettito di quell’imposta diminuisce. Cosa rispondono? Aumento delle tasse e lotta all’evasione (in omaggio al velenosissimo moralismo fiscale). In condizioni normali sarebbero restituiti alle loro università, non a caso sprofondate sotto il centesimo posto nella classifica mondiale della qualità. Ma le forze politiche maggiori hanno paura delle elezioni. Il centro destra non sa neanche come presentarsi, avendo maturato la convinzione d’essere complessivamente impresentabile. Il centro sinistra è un caleidoscopio impazzito: se si presenta aggregato vince, ma il Pd viene polverizzato; se si presenta disaggregato perde sicurezza, acquisendo solo la certezza che al Senato non ci sarà alcuna maggioranza. Da novembre andiamo ripetendo che il tempo del governo Monti doveva essere occupato stringendo un accordo riformatore, ma è stato sprecato in tatticismi autodistruttivi. Prima si sono attese le amministrative, il cui esisto era scontato e, difatti, qui annunciato. Dopo quelle, la disperazione. Alfano e Berlusconi dovrebbero sapere che annunciare in quel modo la scelta per il sistema francese serve a segnare una posizione, non a costruire una politica. Bersani dovrebbe sapere che rispondere chiedendo il doppio turno, ma rifiutando il sistema istituzionale connesso, serve solo a non fare un accidente (Letta ha ragione sul patto costituente, ma serve che la direzione Pd di oggi dica sì al modello francese, senza escluderne pezzi). Il presidente della Repubblica sa benissimo che mettendo i piedi in questo piatto ne fa schizzare e sprecare il contenuto. Questi signori giocano una partita che non ha nulla a che vedere con il futuro. Riassumendo: non c’è governo della crisi, non ci sono riforme istituzionali e non si cambia nemmeno il sistema elettorale. Bingo. I benpensanti, prima di condannare la politica economica del governo, dicono: grazie a Monti, però, l’Italia ha riconquistato un ruolo internazionale. Sembra il ritorno della “grande proletaria”, di pascoliana e libica memoria. Ma da cosa lo intuiscono? Quando David Cameron sostenne che il fiscal compact era da considerarsi al pari della corazzata Potemkin lo si è lasciato da solo, neanche cogliendo la novità storica: un inglese che propone maggiore integrazione. Quando il lussemburghese Jean-Claude Juncker s’è dimesso da presidente dell’eurogruppo, protestando contro la folle dottrina cui la Germania aveva (allora) piegato la Francia, non s’è sentito un fiato, laddove avrei urlato solidarietà. Neanche si usano le parole dei migliori statisti tedeschi (che noi segnaliamo dall’estate scorsa), per contrastare una politica che distruggerà l’Europa. S’è atteso che i socialisti vincessero le presidenziali francesi per accorgersi che si poteva anche manifestare dissenso. Ruolo ficcante e astuto, non c’è che dire. E allora? Le regole vorrebbero che si fosse già votato, o, almeno, che ci si andasse. Ma l’uomo del Colle non vuole, per concludere il settennato assieme al resto del sistema. Gli omarini che stanno sotto al Colle ne hanno paura, tirando a campare qualche settimana in più. Mentre i descamisados del “vaffa” godono nel vedere tanta brava gente, moderata, pensare: piuttosto che questi incapaci voto per chi ce li manda. E pensare che si sa con esattezza cosa è necessario fare e come far ripartire l’Italia (che è forte, ricca, capace), e si sa a quali componenti sociali e politiche tocca farlo. Ma non ci si riesce, perché ai morti rode che i vivi vivano.

5 giugno 2012 – Leggo senza sorpresa i risultati dell’inchiesta della procura della Repubblica di Trani, che ha chiuso le sue indagini ed ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio per manipolazione di mercato continuata e pluriaggravata a carico di cinque persone: il presidente di Standard & Poor’s financial service Deven Sharma, il managing director del rating di Moody’s Yann Le Pallec, Eileen Zhang (di S&P Europe); Frankiln Crawford Gill e Moritz Kraemer della direzione europea del rating sui debiti sovrani. Secondo i magistrati queste persone, “attraverso descritti artifici, a carattere informativo – costituenti condotte solo in apparenza lecite, ma effettivamente illecite per come combinate fra loro, con modalità e tempi accuratamente pianificati – fornivano intenzionalmente ai mercati finanziari, quindi agli investitori, un’informazione tendenziosa e distorta (come tale anche “falsata”) in merito all’affidabilità creditizia italiana ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico adottate dal governo italiano, per modo di disincentivare l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne, così, il valore”. L’unica sorpresa è legata all’elenco dei testimoni possibili. Sapete chi era il consulente principale di Moody’s nella preparazione della campagna contro l’Italia? Sapete chi l’ha gestita, come consulente, questa campagna, che ha avuto come risultato l’esplosione dello spread, il cataclisma della borsa, l’innalzamento del debito pubblico dovuto alla crescita degli interessi sulle obbligazioni e l’indebolimento ulteriore delle banche? Chi può essere questo cretino o mascalzone? La risposta di Moody’s è chiarissima: Mario Monti, nella sua qualità di membro del  Senior European Advisory Council of Moody’s fino “almeno” al momento in cui è divenuto presidente del consiglio. Che bravi che siamo. Ora si spiegano le nomine di personaggi non tanto opportuni come Passera o di distruttori di economie come Fornero. Abbiamo lasciato che Bersani, Berlusconi, Fini e Casini nominassero Pacciani ed i suoi compagni di merende membri di un governo dei tecnici, il cui compito è di svolgere la pulizia etnica nel nostro Paese. Non mi importa se Monti ha delle responsabilitá giudiziarie, non credo oltretutto che le abbia. Ma accidenti, lui, come coloro che lo sostengono e lo hanno portato lì (presidente Napolitano, lei da chi è eterodiretto? e se non lo è, alla sua età non sarebbe meglio di occuparsi di nipotini, visto che non capisce cosa sta facendo?), hanno la responsabilità politica dello sfacelo totale del Paese e di aver portato l’ITalia sull’orlo di una Guerra Civile per fare un favore alla loro Patria: il sistema bancario internazionale. Slavoj Zizek ha ragione in questo: l’orrore del sistema finanziario sta portando gli orfani di tutti i totalitarismi, i pezzenti di tutte le economie ed i diseredati di tutte le sventure a capire che hanno un solo, unico, chiaro nemico: la finanza ed i suoi servi sciocchi, che seggono nel Parlamento”.

3 giugno 2012 – Sono stato a vedere “Strappi” di Carlotta Piraino al Teatro Uno di Tor Pignattara, a Roma. Si tratta di un patchwork, quasi un lavoro in divenire, sul tema dell’aborto. L’ho vissuto con una partecipazione che non mi sarei mai aspettato, perché il lavoro di Carlotta Piraino va dritto al fegato, ma passando per il cuore. Mi attendevo un’accusa sacrosanta all’atteggiamento maschile nei confronti della gravidanza, mi attendevo l’espressione dei dubbi delle donne che fanno o non fanno questa scelta, temevo un rimescolamento di carte di cose viste a Via del Governo Vecchio nella mia giovantù – sono stato meravigliosamente smentito. Come detto, “Strappi” procede per strappi. Un’intervista vera ad una chirurga che da 28 anni pratica aborti perché é rimasta la sola a non aver espresso obiezione di coscienza. Un documento crudo, appassionato, furente, di una donna avvelenata dalla sua stessa coerenza, di un eroismo silente e invisibile, pertinace alfiere in una battaglia che pare persa e che lei conduce con stanchezza, ma niente fatalismo o rassegnazione. Pathos senza patetico, anche grazie alla splendida prova attoriale di Liliana Laera. Poi cominciano le provocazioni: tre ragazzetti che raccontano barzellette sugli ebrei e poi mostrano la paura terribile che hanno dell’esclusione – paura di essere ebrei o omosessuali, paura di perdere il cellulare. Ma la paura più grande é quella della ragazzina che ripete: io esco con un ragazzo, ma non ci sto insieme, lui non vuole che io pensi una cosa simile. Un classico doloroso – la donna che si fà sempre scegliere, che non sceglie mai, ma anche perché i maschi sembrano essere intercambiabili, tutti uguali, come del resto le donne in questa società senza più punti di riferimento, per cui tutti possono fare tutto – e per causa di questa agorafobia mentale fanno tutti la stessa stolida, micragnosa, reazionaria, vita da gregge. È la prima volta in assoluto che vedo questa, che non a caso ho chiamato agorafobia, messa in scena con così tanta delicatezza e precisione, Carlotta Piraino ha costruito in questo un gioiello. Laura Garofoli impersona con struggente adesione la debolezza e la paura della solitudine di una ragazza qualunque che non sa chi sia, cosa fare, dove andare – ma che al momento decisivo é felice della gravidanza, che le dà un ruolo. Carlotta Piraino è così intelligente e sensibile da lasciare aperto il giudizio sulla gravidanza. La scena madre di “Strappi” è quella in cui la Dottoressa risponde contemporaneamente a due donne incinte, una che vuole tenerlo, una che vuole abortire. Un momento di grandissimo teatro, toccante e furioso, ma allo stesso tempo delicato e disperato. Questa scena sfocia in un parossismo gaberiano di grande intensità. Claudia Salvatore, che nella piéce dà vita con bravura e sensibilità ai personaggi più difficili ed eterogenei, grida “io sono mia” e le altre grandi parole del femminismo della campagna abortista del 1977 e del 1978, per poi trasecolare nel proverbio, nello scioglilingua, dicendoci che di fronte all’orrore di questa scelta impossibile tutti gli slogan si equivalgono – sono nulla. È nulla la donna che abortisce per comodità ed ignoranza, perché ha abdicato alla sua libertà e mente a se stessa ed agli altri. È nulla la donna costretta ad abortire dalle circostanze. Carlotta Piraino, in una favola drammatica rovesciata, ci spiega che l’aborto non è un gioco, che la gravidanza non è una malattia, che il sesso non è un social network obbligatorio: “date ad ogni donna incinta, invece di una lettera di licenziamento, un contratto a tempo indeterminato. Quella notte stessa, dopo l’approvazione della legge, milioni di donne resterebbero incinte”. Dietro di me, seduto scompostamente, un nugolo di coatti commentava a gran voce le battute, ridendo – all’inizio. Alla fine erano frastornati ed insicuri. Grazie Carlotta, l’Italia ha urgentemente bisogno di un Teatro come il tuo.

27 maggio 2012 – Se i marò italiani sono fortunatamente rientrati dalla loro disavventura in India, ci sono ancora almeno tre italiani prigionieri di organizzazioni criminali a sfondo integralista di cui non si sa nulla e per la cui liberazione lo Stato italiano non fà nulla. Di Rossella Urru non si sa più niente, dopo che ne era stata anticipata la liberazione a gran voce, dopo estenuanti trattative con i fondamentalisti islamici che la tengono prigioniera. Ma ci sono i due casi addirittura più gravi dei due cittadini italiani tenuti in ostaggio da uno Stato teocratico e terroristico, che nei secoli si è reso colpevole delle stragi più efferate, delle torture più brutali, delle ingiustizie più subdole, e che ha fatto della truffa e della menzogna il fondamento della sua azione di terrorismo globale. Di una di queste due vittime italiane senza voce, Emanuela Orlandi, non si sa più nulla da quasi 30 anni. Si sa che è sparita in questa Teheran dell’orrore chiamata Vaticano, è sotto inchiesta il prete che per anni l’aveva seguita e che ha nascosto tra le tombe dei mujaheddin e agenti segreti killer di quello Stato anche Renatino De Pedis, volgare gangster di borgata capitolina elevato a martire cristiano. Un altro cittadino italiano, Paolo Gabriele, è accusato di essere stato lo strumento di una guerra fra varie correnti delle lotte intestine al Vaticano e – in base all’ordalia, che è ancora la legge non scritta di quella teocrazia barbarica e brutale – rischia fino a 30 anni di prigione per aver fatto uscire delle carte del dittatore Benedetto Sedicesimo dal Vaticano ed averle rese pubblicabili dalla stampa libera e democratica del resto del mondo. Il Vaticano dà da anni protezione a trafficanti d’armi, di droga, politici corrotti, mercenari, protegge in modo particolare la carriera dei pedofili – un crimine particolarmente odioso nel mondo libero e che invece nel Vaticano é considerato una sorta di sport amatoriale molto diffuso. Nessuno in Vaticano rischia nulla, nemmeno se coinvolto direttamente in una serie di omicidi, di truffe, di operazioni finanziarie criminose in appoggio alla mafia – come nel caso di Paul Marcinkus, che fece una carriera eccezionale nell’esercito di mercenari assetati di sangue di questo Stato. Ma il povero Paolo Gabriele, presumibile pedina sacrificabile in un gioco più grande di lui, deve pagare con la vita. Come presumibilmente è accaduto a Emanuela Orlandi, prigioniera e vittima sacrificale di questa teocrazia medievale. Se fossimo uno Stato vero, e non una mandria di pupazzi, manderemmo il nostro Esercito a liberare Paolo Gabriele e chiederemmo che venisse giudicato da un Tribunale in un Paese libero e democratico. E vorremmo finalmente sapere che ne è stato di Emanuela Orlandi. Perché se il Vaticano, di colpo, pretende di essere trattato alla stregua di uno Stato, allora bisogna passar loro sopra con i cingoli del nostro Esercito e restituire la libertà agli schiavi di quel regime antidemocratico e sanguinario. Se veramente crediamo nel Dio di Abramo e nella bontà di Gesù, suo Figlio, dobbiamo annientare questo insulto alla morale cristiana che insozza la nostra terra.

23 maggio 2012 – Ho passato le ultime ore a studiare la questione JP Morgan e le conseguenze sul resto del sistema bancario, includendo la rinuncia di Banca Intesa San Paolo ed Unicredit di quotarsi a Londra. JP Morgan aveva annunciato, una decina di giorni fa, di aver perso circa 2 miliardi di Euro con le scommesse sui derivati. Per chi credesse che si tratti di concetti astrusi, i “derivati” sono scommesse sull’evoluzione del prezzo di una merce. Due parti scommettono, l’uno sull’aumento l’altro sul decremento di questo prezzo, e poi fanno un contratto con un’assicurazione nel caso perdano. Le assicurazioni poi si contrassicurano e riassicurano. In questo modo il valore dei contratti fa aumentare (nominalmente) la quantità di denaro sul mercato. Il gioco va bene finché le scommesse, alla scadenza, vengono rinnovate. Quando non accade (perché le banche non hanno le garanzie per farlo) tutti pagano, e l’economia (semplifico molto, lo so, ma è per capirsi) si riazzera, bruciando la quantità “finta” di denaro che era cresciuto nelle banche nei tempi dei derivati. La crisi globale che stiamo pagando è una crisi globale del sistema dei derivati, costata oltre 1000 miliardi, pagati dagli Stati (da noi, quindi), alle banche. Con questi miliardi le banche hanno preso il controllo sugli Stati Nazionali (in paesi come l’Italia, grazie all’appoggio politico di governi come quello tedesco) ed usano i soldi che abbiamo regalato loro per comprarsi i debiti che abbiamo contratto per pagarli (eh già, è andata così, il nostro debito l’abbiamo contratto tra l’altro per impedire il crack delle banche…) e per ricominciare a giocare con i derivati. Contro di noi. JP Morgan, una delle più grandi banche rimaste in vita, ha annunciato di aver perso 2 miliardi, ha cacciato via un po’ di manager, poi ha iniziato a trattare segretamente con il governo federale americano e con la Banca Centrale Europea. Nel frattempo abbiamo scoperto che il buco ufficiale è di almeno 7 miliardi di Euro. Fra i banchieri che conoscono la cifra che corre è di 26 miliardi. Il costo per il sistema bancario globale dovrebbe essere intorno ai 140 miliardi di Euro. Per una minchiata di una banca. Il deficit della Grecia, al confronto è una quisquilia ed una pinzillacchera al contempo. Come sapete, a Siena il Monte dei Paschi sta cappottando. Unicredit e Intesa San Paolo hanno crisi di liquidità. Ma la notizia vera, e quasi segreta, è che in tutta Europa la gente sta correndo al bancomat e sta portando via i contanti. Secondo BaFin, il sistema di controllo dei mercati finanziari tedeschi, le banche europee hanno a disposizione circa il 5% dei contanti versati dai clienti. Se i clienti chiedono una cifra superiore a questa, le banche chiudono. Allora pian piano cominciamo a capire cosa vogliano i veri capi di Mario Monti e dei ministri Pupazzetti che guidano il sistema antidemocratico italiano, e perché io non abbia avuto tutti i torti, a novembre, a dire che Berlusconi sarebbe tornato sul palco in un anno come salvatore della Patria. Perché le banche, peggio di lui, non sono state capaci di far funzionare se stesse, né il mercato libero, né il liberalismo finanziario, né nulla. Sono degli inetti. Tecnici, ma inetti. L’ignoranza che diventa arroganza, diceva il mio indimenticabile professore di italiano Silvano Stipcevich. Sapevàtelo.

19 maggio 2012 – Melissa Bassi, poco più di una bambina. Come Giorgiana Masi. Le lacrime, la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza. Ed ancora i simboli: nella Regione in cui Niki Vendola è alla testa del Governo, in una scuola intitolata a Giovanni Falcone ed a sua moglie, a vent’anni dalla strage di Capaci. A poche ore dai ballottaggi per le elezioni amministrative in cui la destra si spegne nel mare della sua corruzione e della sua incompetenza. Melissa Bassi, che a queste cose, probabilmente, non ha pensato mai. Non gliene hanno dato il tempo. Ed ora il balletto di Stato, l’ipocrisia, e noi in silenzio, cosa dobbiamo fare? Cosa possiamo fare, senza essere strumentalizzati? Come fermare le bestie? Quaranta anni fa saremmo usciti tutti dalle scuole e dalle fabbriche, avremmo sfilato, chi in silenzio, chi gridando, oggi non si può più, a nessuno verrebbe in mente. Tutti inchiodati davanti alla TV. Ed è purtroppo solo l’inizio… temo che siamo di fronte a qualcosa che cambierà diverse regole e consuetudini. Chi ha ammazzato questa bambina l’ha fatto apposta. Ha fatto saltare la bomba guardando i ragazzini in faccia mentre uscivano dalla scuola, sapendo esattamente e freddamente cosa stesse facendo, perché, ed in nome di chi. Ora esce fuori di tutto: la mafia (in Puglia? Non comandava la Sacra Corona Unita?), lo Stato, la massoneria, i servizi deviati, manca solo una rivendicazione degli hooligans del Lecce, rabbiosi per la retrocessione della loro squadra di calcio. Confusione creata ad arte, perché manca un governo democratico che ponga un argine vero. Il governo dei tecnici è un governo non eletto democraticamente, che risponde dei suoi atti ad un sistema bancario che, dopo averci portato al disastro, ora ce lo fà pagare. Ma il sistema bancario non ha un colore politico. La decisione di Bretton Woods, che ora paghiamo col sangue, non è stata presa né dai partiti di destra né da quelli di sinistra, ma da dei governi debolissimi che guidavano dei Paesi distrutti dalla Seconda Guerra Mondiale, Paesi che erano ostaggio dell’economia industriale americana e del Piano Marshall, cui non esistevano alternative sensate. Le bombe contro Equitalia sono bombe contro il governo Monti. Vanno stigmatizzate e combattute, come tutte le forme di violenza. Le bombe di Brindisi aiutano il governo Monti, anche se non credo a nessuna cospirazione cervellotica dei servizi segreti. Credo piuttosto che in una situazione come la nostra, la possibilità che un deficente, un criminale o un killer prezzolato abbiano la possibilità di occupare uno spazio mediatico e politico immenso – perché occupano il vuoto di democrazia e di cultura, che 18 anni di berlusconismo e di recupero al potere dell’estrema destra, garantito da tutti i partiti dell’arco costituzionale, hanno creato.

18 maggio 2012 – Sono andato al Teatro dell’Orologio a vedere “Il volo delle farfalle” di Federica e Matteo Festa – un monologo sulla vicenda di Emanuela Orlandi. Ci sono andato un po’ prevenuto, perché dopo tanti monologhi, l’ennesimo, per giunta su un tema così sdrucciolevole, mi faceva temere approssimazione e kitsch. Invece sono stato felicemente contraddetto: “Il Volo delle farfalle” è una piéce esemplare di teatro politico, sociale e poetico come avavo visto solo con il “Gobetti” di Claudio Di Loreto ed Emanuela Cocco. Federica Festa è un’attrice magnifica. E’ credibile in tutte le parti. Misurata, appassionata, ma mai fuori dalle righe, attenta agli spazi del cuore e della ragione, senza mai dare l’impressione di premere l’acceleratore sul sentimento facile. Federica recita la parte di una suora turbata che aveva avuto Emanuela Orlandi come studentessa di flauto, poi di Natalina, sorella di Emanuela, che dà voce alla famiglia Orlandi, poi di una vittima popolana del crack del Banco Ambrosiano. In tutte queste parti la scrittura è emozionante, estremamente precisa, punta diretta al cuore dei problemi – ciò che in altri pezzi apparentemente politici non c’è, perché non si è stati capaci di unire la Storia al Teatro. Federica e Matteo Festa spiegano il crack Ambrosiano nelle sue conseguenze più piccole e dolorose, ma con una precisione paragonabile a quella di storici come Charles Raw ed Ernest Backes. Spiegano il dolore della famiglia, un dolore di quesi 30 anni oramai, con una precisione che fà scorrere le lacrime a noi spettatori proprio perché così essenziale, tagliente, non calcata. La scena più grandiosa è quella finale della suora che, scappato Don Pietro di fronte alla sua responsabilità di officiante e sacerdote di Cristo, dice la Messa, una sua Messa, una nostra Messa: vogliamo la verità, ne abbiamo bisogno. Il nostro bisogno di credere o non credere nel Divino, nella giustizia, nell’onestà, cede di fronte al tradimento peggiore di tutti: quello compiuto dalla Chiesa Cattolica con il rapimento di una sua cittadina, con l’umiliazione di chi la serve, l’arroganza criminale della sua omertà mafiosa e spocchiosa. Perché “Renatino” De Pedis è sepolto fra i grandi della Chiesa? Perché il Vaticano protegge la Banda della Magliana? A cosa credere? Alla suora che scelse Dio perché voleva imparare l’amore e scegliere la strada per assomigliare a Cristo? Alla popolana che vende le immagini di Roma come una mendicante dopo che il Vaticano le ha rubato tutti i risparmi e la pensione? Federica e Matteo Festa non chiedono nemmeno punizioni, ma solo che l’eterna attesa abbia una fine. Che si dimostri che fine abbia fatto Emanuela, che fine abbia fatto ciò che noi abbiamo imparato dovrebbe essere la Chiesa – e che invece non è. E mi sono commosso ancora alla fine, nel silenzio rotto dalle lacrime di chi, come me, era straziato dal monologo e dalla scena finale della suora, ascoltando la voce nota di un’altra grande attrice, Francesca La Scala, che legge dal Diario di Emanuela Orlandi. Grazie. Questo è il Teatro politico di cui l’Europa ha bisogno: un Teatro che parli al cuore come quello di Giorgio Gaber, che spieghi alla ragione come un testo dei nostri più grandi giornalisti di inchiesta, che insegni all’anima che la sporcizia del clero, se non lavata nella reiterazione della necessità di verità e giustizia, diventa anche la nostra sporcizia. La famiglia Orlandi non ha bisogno di noi, dimostra Federica Festa, perché hanno la fede ed il ricordo di Emanuela. Siamo noi, se abbiamo un cuore ed un cervello ed una dignità, ad avere bisogno della famiglia Orlandi. E di Federica e Matteo Festa, che ce li fanno raggiungere con tanta grazia e dolorosa tenerezza.

16 maggio 2012 – Guardando „Digerseltz“ di Elvira Frosini mi tornano alla mente cose che temevo di aver dimenticato: un Macbeth di Perla Peragallo e Leo de Bernardinis, in cui Perla, ancora innamorata di se stessa, prima della crisi che la portò al ritiro, è ancora una soldatessa autoreferenziale e segaligna di un rigetto dell’attore classico che, allora, era veramente sorprendente. Oppure “Mein Vaters Haus”, l’adattamento tedesco del teatro antropologico di Jerzy Grotowsky ed Eugenio Barba, visto milioni di anni fa in un’Amburgo allora fredda e straniera, quando il mio tedesco era poco più che rudimentale ed io mi sentivo così abbandonato e solo… In ogni caso “Digerseltz”, che certamente vuole coscientemente far parte di quel teatro di protesta a cavallo fra 1957 e 1963, ma che nel frattempo ha letto Viktor Sklovskij, ha visto Rocky Horror Picture Show (anche se venne molto dopo ed era un’americanata), ha seguito la spaccatura milanese del Teatro politico operata dai Gufi alla fine degli Anni Sessanta. La faccio breve: lo spettacolo cerca lo straniamento, il microelemento fondamentale dell’arte, nel quotidiano autoreferenziale. Elvira Frosini mette in scena una parte di se stessa, quella che ha evidentemente problemi col cibo, senza volerne fare una questione politica, senza voler scendere troppo sul sociale, rischiando di fare dell’avanspettacolo, stando sempre attentissima a garantire un effetto estetico proprio di un balletto, facendo sempre attenzione ad apparire lei stessa come una misura del fascino, con i suoi movimenti, molto prima del testo. E’ come se si inscenasse una versione “bella” di se stessa (lunghi capelli biondi, scarpe con tacchi altissimi, vestitino attillato senza nemmeno l’apparenza di una gonna, per mettere in risalto le gambe) per mediare un orrore personale – come se il problema del rapporto col cibo lo si affrontasse onestamente e direttamente solo nell’essere in scena come una Venere pop. Quando vedo Ascanio Celestini (che secoli più tardi avrebbe studiato da Perla Peragallo, mi dicono) mi accorgo che la differenza è proprio nella fisicità dei primi anni di quella grandissima attrice, quando il di lei corpo era al contempo veicolo e messaggio, anche perché il testo, come si esigeva in quegli anni, è diretto, si riconoscono tutti gli addentellati al quotidiano, questi non sono mai mediati dall’intellettualità del teatro della fine Anni Settanta, che oggi in Italia va tanto per la maggiore. E difatti di “Digerseltz” non rimangono in mente frasi, o note (visto l’uso della musica nel pezzo) ma immagini. La scena con i figuranti mi ricorda con tenerezza delle cose fatte dal compianto Gianni Magni al Testaccio tanti troppi anni fa, quando ci spiegava: fate vedere il bello di voi mentre fate il brutto, non fate come i ragazzini di Lotta Continua, restate al corpo e alla voce! Proprio per questo “Digerseltz”, per uno come me tanto attaccato alla sentimentalità del passato, è stato uno spettacolo commovente ed evocativo.

15 maggio 2012 – Scrive oggi Davide Giacalone – ed io condivido pienamente: “Al governo Berlusconi non verrà assegnato alcun premio per la lotta alla mafia. Intanto perché non esiste e poi perché riconoscere che fu quel governo, quattro lustri dopo, ad approntare gli strumenti che Giovanni Falcone chiese nel 1991, destinati a colpire i mafiosi nella parte più sensibile del loro disonore, vale a dire nei piccioli, significa bestemmiare nel tempio dell’antimafiologicamente corretto. Da troppo tempo la verità storica e la rappresentazione giudiziaria vanno in direzioni diverse, mentre in tema di mafia si son visti numeri da baraccone: dai nemici di Falcone e Borsellino che se ne proclamano eredi, a quanti s’infastidivano quando scrivevamo che il processo e le condanne al processo per la morte di Paolo Borsellino erano una farsa, salvo poi gioire per il trionfo della giustizia quando i quei verdetti si sono dimostrati rozze manipolazioni. I ciarlieri dell’antimafia non ci fanno mai mancare le loro verità, oramai rilasciando interviste e tenendo interventi per ogni dove. Sono certo che la grande maggioranza dei cittadini non riesce a distinguere una tesi dall’altra, sicché sintetizzo la ragione di tanto attivismo editoriale e di tanto livore nelle contrapposizioni personali: la carriera. Questi magistrati si sono convinti d’essere divi e si sono autosuggestionati al punto di credere di potere osare la qualunque. Ci sono nomine da ottenere, carriere politiche da promuovere, chiamate alla salvezza patria cui rispondere. Mi rincresce osservarlo in modo ruvido, ma nessuno di loro ha lo spessore di una mezza tacca. Hanno il palcoscenico, però, e s’esibiscono. Siccome ci avviciniamo all’apice dell’orgia retorica, con l’imminente ricorrere di un ventennio dalla morte di Falcone e Borsellino, e siccome nessun cittadino normale può più capirci nulla e ricordare tutto, magari ciascuno sperando che almeno uno di quegli attori sia qualche cosa di simile a un vero combattente contro la mafia, desidero fornire due stelle fisse, in modo da orientarsi fra i marosi delle bugie e delle mistificazioni. Due temi sui quali misurare la serietà di chi parla. 1. Non credete a nessuno che vi parli di Falcone e Borsellino senza partire dal fatto che furono sconfitti dalla magistratura, non dalla mafia, e senza avvertire che dedicarono l’ultima parte della loro vita ad un’inchiesta, denominata “mafia-appalti”, che immediatamente dopo la loro morte fu archiviata. Non credete a nessuno che vi racconti di verità nascoste senza partire da quella più evidente e scoperta, quindi la più negata e inquinata: la procura di Palermo si mosse contro il disegno investigativo di Falcone e Borsellino, approfittando della loro morte per prevalere in via definitiva. 2. Non credete a quelli che vi lasciano credere che ci sono retroscena inconoscibili e cose indicibili, nel capitolo della presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. Fornisco i nomi e i cognomi, così vi regolate: chi vi parlerà della trattativa per togliere il carcere duro, vale a dire disapplicare il 41 bis del regolamento carcerario, senza dirvi che a proporlo fu Adalberto Capriotti, dirigente del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), in quel posto voluto da Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Repubblica, che ricevette quell’indicazione da Cesare Curioni, capo dei cappellani carcerari, quindi dal Vaticano, e lo impose al governo presieduto da Carlo Azelio Ciampi, il quale ancora crede che sia vero il contrario di quel che fece, per essere il tutto sugellato dall’allora ministro della giustizia, Giovanni Conso, chiudendo la partita prima delle elezioni del 1994, quando, pertanto, Berlusconi ancora si occupava d’altro, chi vi parlerà tacendo questo è un volgare imbroglione. Le storie di mafia sono complicate, ma le bugie dell’antimafia militante sono sfacciate. Invito tutti a onorare il ventennale senza nulla concedere alla retorica bugiarda di quattro carrieristi, ricordando che i due morti di venti anni fa non sarebbero finiti in quel modo se la mafia, e gli interessi economici a quella associati, non avessero potuto contare, con la loro scomparsa, di chiudere una stagione investigativa e processuale. Se la memoria non riparte da quel dolore, se nel riemergere non desta dolore, vuol dire che è solo melassa retorica e bugiarda. Inquinamento delle (evidenti) prove”. Giovedì sera, al Teatro Valle, Paolo Mondani presenta il libro su Pio La Torre. Io ci vado.

13 maggio 2012 – Quando ho visto che l’autore dell’articolo “Quella chiamata alle armi del 15 ottobre” era Carlo Bonini, ho sentito, prima di aver letto, che e stato fatto un passo avanti dal quale non si torna più indietro. Sul ruolo di Bonini e Giuseppe D’Avanzo su un certo modo di dare messaggi ed in nome di chi, non mi va di scrivere. Chi sa di giornalismo rabbrividisce da anni. Chi non ne sa nulla giudichi il lavoro di Bonini per ciò che è. Bonini ci fà sapere (non come una sua opinione, ma spacciandolo per un fatto) che chi ha sparato al dirigente Finmeccanica Adinolfi mira a gestire la protesta di tutto il Paese e ad impugnare la pistola in nome e per conto di chi, come me, non è d’accordo con il governo Monti, è offeso e indignato di come i partiti politici abbiano calpestato e pervertito la democrazia. Nella stessa pagina un gongolante ministro dell’interno Annamaria Cancellieri annuncia che dispiegherà “coraggiosamente” l’esercito contro chi manifesta il dissenso, oramai preda delle sirene dell’anarcoinsurrezionalismo. La battaglia No Tav, la ribellione dei centri sociali, l’estenuante amore per il dibattito interno ed idelogico dei circoli anarchici, tutto questo – secondo Bonini – è terrorismo e – secondo Cancellieri – va mitragliato militarmente. Poche pagine più tardi Monti annuncia che l’alternativa al farsi massacrare come in Siria (il suicidio) non é poi una cosa tanto rilevante, lui pensava sarebbe andata peggio, non è poi tanta gente che si ammazza! E che dire di Fornero che ordina ai mariti a dare più aiuto in casa, visto che hanno più tempo a disposizione? I governi di Fanfani, Moro, Andreotti etc. non si sarebbero mai permesso di sfottere con un ghigno così volgare la gente. La DC era un partito inclsuivo, il partito delle banche è un partito esclusivo, che odia, disprezza, emargina, schifa, gode nel reprimere e punire. Negli anni del boom la DC era stata l’argine contro la deriva fascista e violenta. Berlusconi questa deriva l’ha abbattuta – e queste sono le conseguenze. Comunque ci siamo: ora ci deve scappare il morto. DEVE SCAPPARCI il morto. Il governo ne ha un bisogno disperato. Se la gente non va più in strada allora bisogna incaricare qualche deficente di sparare – per poi magari scoprire, quasi quarant’anni dopo, che anche in questo pseudobrigatismo il 50% degli affiliati sono agenti di Polizia che eseguono ordini del ministero dell’interno. Come nel dare l’ordine di uccidere Aldo Moro. Benedetta Tobagi lo scrive bene: le BR volevano il consenso e combinarono un disastro inaccettabile ed imperdonabile. Chi ha sparato a Adinolfi ho è un killer prezzolato, o è uno che si masturba da solo per fare lo sborone con gli amici del bar. Adinolfi non solo non è un obiettivo se si combattesse da sinistra, ma sarebbe un alleato. Fin qui avevo creduto nell’eterno adagio: La Madre Degli Imbecilli È Sempre Incinta. Ora ci scappa il figlio viziato di uno sfigato che spara per noia o per far colpo su una pischella e combina una catastrofe. Non un anarchico, perché fin da Arnaldo Bresci gli anarchici hanno imparato che i loro attentati sono sempre stati strumentalizzati. Gli anarchici veri sono contro la violenza. Il povero Valpreda l’unica cosa violenta che ha fatto nella sua vita é stato giocare a Risiko con noi ragazzini nel suo baretto milanese. Ma no, purtroppo no… Carlo Bonini ha scritto. Il messaggio è partito. De Gennaro è pronto al via. Ora ci DEVE SCAPPARE il morto di Stato. Chiunque, non importa. Una Giorgiana Masi accoppata di fronte alla bambina, un grillino esaltato che sputa su un consigliere comunale, un pensionato iroso che grida contro il nuovo allenatore della Roma nei pressi di un bar di teste calde. Inutile gridare CALMA. Chi spara ha ordini precisi. La fine della democrazia non ha funzionato con una mera decisione parlamentare, ora vogliono anche una scia di sangue.

12 maggio 2012 – Il segnale è forte e chiaro. Giovanni De Gennaro è stato nominato dal Presidente del Consiglio Monti sottosegretario con delega ai servizi segreti. Con lui, a strascico, vengono probabilmente promossi una serie di ufficiali: il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri, condannato a quattro anni, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, a cinque anni, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi, a quattro anni, l’ex dirigente della Digos di Genova, Spartaco Mortola, a tre anni e otto mesi, l’ex vicecapo dello Sco, Gilberto Caldarozzi, a tre anni e otto mesi. E poi Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, che sono stati condannati a tre anni e nove mesi. Si tratta dei quadri responsabili della famosa squadraccia fascista che ha sulla coscienza il pestaggio alla Scuola Diaz di Genova e le torture sui prigionieri avvenute nei giorni successivi agli arresti illegali effettuati dopo il pestaggio. Monti, insomma, conferma la linea degli apparati dello Stato che proprio da Genova era partita e che si era vista confermata in modo così evidente durante la manifestazione romana contro il Governo Berlusconi dell’autunno scorso. Infiltrati da reparti speciali della Polizia, cosidetti “manifestanti violenti” si intrufolano nei cortei pacifici, spaccano tutto, scompaiono come per magia quando la Polizia aggredisce la gente che passeggiava. Attenzione: non si sostiene che i poliziotti che reagirono quel giorno siano dei mostri. Io c’ero, erano ragazzi spaventati e manipolati come noi dall’altra parte, tutte marionette più o meno inconsapevoli di un gioco più grande. E quando gli hooligans a Piazza San Giovanni hanno iniziato a sfasciare tutto, lì qualunque tentativo di mantenere il controllo dei nervi sarebbe stato ridicolo. Non si stigmatizza il poliziotto spaventato che picchia, ma chi lo arma e lo mette in condizione (con predeterminazione) di perdere il controllo sulla situazione e sui suoi nervi. In questo modo si convince la gente per bene a non andare in piazza a protestare, perché alle persone per bene non piace essere strumentalizzata e pestata. Quindi i suicidi. In Italia non c’è altra via. Protestare non posso, cambiare non si può, quindi mi ammazzo. PdL e governo giocano a scaricabarile su chi porti la responsabilità sui suicidi. Noi che guardiamo da fuori tacciamo. Sono responsabili tutti, dai rappresentanti della destra, che è stata al governo quasi ininterrottamente per due decenni ed ha distrutto il Paese; quelli della sinistra e del centro, che quando non erano complici dormivano; quelli del partito delle banche, che sono qui a sparare sui superstiti di vent’anni di berlusconismo. Dopo le elezioni ed il trionfo del movimento di Beppe Grillo, ci fosse stata la Democrazia Cristiana al potere, avremmo visto una mediazione. Monti no, lui è tetragono. Avanti tutta, verso la guerra – dando naturalmente la colpa a noi. E quando la JP Morgan, salvata due volte con iniezioni miliardarie di soldi dei cittadini, annuncia che ha di nuovo fatto un pasticcio con i derivati e che si trova di nuovo in ginocchio, tutti zitti. PD, PDL, UDC, IDV, Leganord, Partito delle Banche. Tutti zitti. E noi paghiamo e continuiamo a morire. Ed a sentirci in colpa, per giunta. Intanto De Gennaro si prepara a gestire la pace sociale come gestì la notte di sacchi a pelo della Scuola Diaz. Affogare nel sangue tutto, soprattutto chi non fà nulla. Ci vuole un morto vero, Monti ha bisogno, disperatamente bisogno, di un morto vero che giustifichi nuove leggi antidemocratiche e che per una settimana tolga dalle prime pagine dei giornali Befera, Equitalia, Fornero, Passera e tutti quei mostri che sono stati generati da vent’anni di sonno della ragione degli italiani.

10 maggio 2012 – Stasera “S’ignora” di Fabio Massimo Franceschelli con la regia di Francesca Guercio al Teatro dell’Orologio. Un capolavoro. L’unica cosa che cambierei è diminuire la frequenza con cui cade la locuzione “Fanculo”, che stanca. Ma il resto è un capolavoro. Un uomo scrive un testo su come si senta una donna arrivata ai 40 anni. Un’attrice discute metateatralmente con l’autore mentre svolge il testo, nell’ambito del quale recita un’attrice teatrale. E fin qui è Franceschelli purissimo, ho imparato. Con l’aggiunta di una presa generosa di mania autoflagellativa della regista – una fiera delle proiezioni. Ma è proprio questo che rende il pezzo fantastico. Per tutto il tempo ho rimuginato: ecco, ecco, ecco! Questo è ciò che ho sempre pensato delle donne (italiane) di 40 anni, viste con affetto e disincanto, ma anche attraverso le lenti distorte del mio essere maschile. Cose che non avrei mai avuto il coraggio di dire a nessuno, temendo di venire aggredito, ed invece eccole messe in scena da due donne che, quindi, approvano e vivono il testo. E’ commovente sentirsi meno solo… ma è un momento pallido e fugace. La donna in scena si rende conto di non riuscire ad ottenere la realizzazione sessuale e/o di coppia, di non essere riuscita a realizzarsi professionalmente, di non voler essere madre a tutti i costi, di essere ancora imprigionata abbastanza nel trauma di essere figlia e compagna. E, finalmente, a 40 anni, si rende conto non solo di essere sola, disperatamente sola, ma che l’arco di tempo a disposizione per cambiare questa situazione con i mezzi che ha imparato nel corso della sua educazione (seduzione, messa in scena di se stessa, insomma tutti quegli atteggiamenti da venditrice del prodotto “se”), è scaduto. Ora le ragazzine le cedono il posto a sedere sull’autobus. L’ora della verità, in cui finalmente affrontare i mostri nascosti? Giammai. Si recita ancora, ed ancora ed ancora. Perché si attende continuamente che la soluzione venga da fuori. Si attende il prossimo uomo, il prossimo lavoro, la prossima emozione. da dentro non viene nulla, e non perché si sia vuoti, ma perché questa pienezza deve restare celata ed inaccessibile. E come tutti i misteri più misteriosi, dopo un po’ nessuno li vuole più sapere. Dopo aver giocato 20 anni a rendersi inafferrabile, il mondo maschile la lascia andare. Si sente tradita e fregata, sente di non aver vissuto fino in fondo nulla: né la sessualità, né la quotidianità, né la sessualità, né la vita di coppia, né la sessualità, né la professione, né la maternità ma, soprattutto, la sessualità. Torna l’eterno “l’uomo che scopa é un fico, la donna che scopa è una troia”, ma poi anche l’ammissione del fatto che in questo schifo di cultura italiana la donna piace e viene riconosciuta per tale proprio quando è apertamente troia. Ingrassando sono uscito da quel mondo e lo vedo dal di fuori. Conoscendo nel frattempo donne di 50 anni, avendo purtroppo visto fin troppo spesso come si risolverà questa crisi nei prossimi anni, l’orrore mi ha da tempo consigliato di lasciarle perdere tutte: impossibile farci veramente amicizia, insoddisfacente far parte della schiera di chi le usa, inutile cercare un confronto alla pari. Ma mentre la vita per uomo, nella sua solitudine, è costruita per essere passabile, quella di una donna, che attende sempre qualcosa che arrivi da fuori, è un inferno. Franceschelli e Guercio mettono in scena la disperazione in modo commovente, convincente, romanticamente autoreferenziali, suggestivamente. Conoscendo Fabio, sono riuscito ad indovinare l’anno in cui ha scritto questo splendido pezzo di teatro, e ci si è riso su insieme. Conoscendo Francesca, mi pare che questa messa in scena non potesse arrivare in un momento più giusto – per lei – di questo. Per questo ero così commosso, perché in sala si sentiva pulsare la vita, fortissimamente… Ma la tragedia di milioni di italiane destinate a finire come la figura di “s’ignora” rimane. Ma questa è la mia prima reazione ora che sono commosso, grato e sconvolto. A volte sarebbe meglio non sapere nulla di chi lavora ad una piéce teatrale. Ma a volte sarebbe meglio guardare bene il teatro di Fabio Massimo Franceschelli ed accorgersi che il suo lato sentimentale, mal celato da sovrastrutture, è un esplosione di grazia e tristezza, di malinconia e pessimismo, che mi fà pensare a Dino Buzzati che, di Franceschelli, é fratello maggiore. Un’ultima nota su Francesca La Scala, l’attrice protagonista di “S’ignora”. Brava, Capace di essere tutte le donne inserite in questo macrocosmo della disperazione, di saper fare teatro e metateatro in modo convincente e spiritoso, di non perdere mai né la lucidità né un fortissimo senso del ritmo e dell’emozione. Fra tutti gli artisti che ho visto quest’anno, una delle attrici che mi ha più impressionato – e che, sul palco, emana tanta energia da sembrare almeno dieci centimetri più alta di quanto sia in realtà. Brava, grazie davvero.

8 maggio 2012 – E’ partita stasera la kermesse “Ubu Rex 3” al Teatro dell’Orologio. Una prima giornata veramente interessante, specie per chi, come me, non ha grandi conoscenze del teatro indipendente italiano. “L’Asino Albino” di Andrea Cosentino è un miracolo di comicità intelligente, si ride senza pause per un’ora, ma poi alla fine ti accorgi che Cosentino ha parlato seriamente di cose persino pesantemente importanti: il senso del tempo rincorso o visto scivolare via, nell’opposizione tra il vecchio padre, l’asino albino morto, il terrorista che ha passato 6 mesi nella lotta politica, 25 anni in prigione ed ora non riesce nemmeno a vivere una realtà “altra”, il borgataro che fuma e succhia mentine per ingannare il tempo e poi l’eroe, simboleggiato da un epico e trionfale, statuario e meraviglioso asino-uomo, che dice al padre: Io ce l’ho un progetto, quello di non crescere mai! Detta così sembra una cosa banale, ma il caleidoscopio di personaggi vorticanti che, alla fine, allo schiocco delle dita di Mary Poppins, rientrano bravi bravi nella scatola dei giocattoli, rappresenta una panoplia di strategie tutte tese allo stesso scopo: ingannare il tempo, ricostruirsi una realtà vivibile nella consapevolezza della morte e dell’alienazione, cercare nel bambino che ognuno porta in se quella boa che ci tenga ancora a galla mentre tutto il mondo va a fondo. Bellissimo. Il secondo spettacolo della serata è stato “XXX Pasolini” di Fabio Massimo Franceschelli, un altro lavoro (il terzo che vedo quest’anno) ispirato in qualche modo a “Petrolio” di Pasolini. Va detto subito che l’estetica di Pasolini non mi piaceva allora ed oggi mi sembra desueta e superata, detratto anche il contesto di grandi intellettuali in cui si misurava: Buzzati, Longanesi, Moravia, Albonetti, Malaparte, Calvino, Parise, Palazzeschi, Flaiano, Colette Rosselli, e tutto il sostrato di intellettualismo italiano che ha contribuito non poco a cambiare la società e la prospettiva dalla quale la guardiamo oggi. Ma Franceschelli va un metro buono oltre, iniziando proprio da lì. Lui incontra il fantasma di Pasolini e si ritrova con in mano uno scritto proprio che lui non ha ancora redatto. E finalmente l’estetica é un’altra: gelida, severamente intellettuale (su questo ritornerò), con una pubblicità dello shampoo derivato dal petrolio scarna ma lo stesso veloce, efficace, divertente. Tutto lo spettacolo risulterà così. I personaggi hanno qualcosa di vero da dire e cercano nell’ironia e nel sarcasmo l’uccisione di quel pathos che rende troppo spesso la cultura italiana più vicina al mito mafioso e mammone dello Zappatore che alle necessitá di una democrazia moderna e postindustriale. Per questo tutto quell’intellettualismo, penso io… la geografia di Franceschelli è ultraterrena: è fatta di citazioni letterarie, non di luoghi, tutto viene immediatamente trasposto nell’ufficio glabro ed a luci soffuse di una caserma dell’al di là, nella quale i sentimentalismi terragni sono solo etnologia. E’ una cosa nuovissima per me, per me che non ho distanza alcuna tra ciò che penso e ciò che rappresento. Ma la sostanza politica di un discorso estetico (e lì secondo me Franceschelli supera Pasolini, senza voler essere eretico) è immanente al momento in cui si vive, ai suoi canoni semantici, e l’unica distanza moralmente accettabile non può essere l’ironia, ma il sarcasmo e l’assenza. In quel modo XXX Pasolini avverte con rabbia il pericolo dell’uso scorretto dell’eredità di Pasolini. Oggi conosciamo tutti le contraddizioni dell’ENI e della politica. Oggi viviamo la sessualità in modo più liberato della generazione di Pasolini. Ma siamo lo stesso più schiavi di allora. Franceschelli, in modo più che convincente, invece di indicare messianicamente una soluzione, ci riporta con rigore al metodo. E ci fà vedere che essere intelligenti non vuol dire annoiare, ma avvincere.

7 maggio 2012 – Con la complicità di tre portantini sono fuggito nottetempo dall’Ospedale e sono andato a vedere il reading finale del corso tenuto per un anno da Cristina Aubry ed Emanuela Cocco – ed ho fatto bene. I testi li avevo già sentiti quasi tutti durante le lunghe settimane di preparazione. Tutti testi scritti da Cinzia Iacono, Susanna Scibelli, etc etc etc. – ovvero dalle studentesse e studenti del corso stesso. Beh, non ero assolutamente preparato a ciò che avrei visto stasera. A parte la cornice teatrale, le pause, i collegamenti, le scene e le musiche scelte con una grande sensibilità e professionalità, l’azione sul palco è stata non solo tecnicamente perfetta, ma piena di un’emozione rigogliosa e non patetica, di un senso della vita montante e in piena – ed infatti uno dei temi più ricorrenti é stato il mare: quello del medico che ha scelto di morire affogato ed ascolta con serenità gli sforzi inani compiuti per salvarlo, quello inscatolato e proibito della monaca, quello minaccioso come l’olio della cittadina e del suo porto distrutti da una guerra totale, quello odiato della pozzanghera che uccide con il foulard di seta i sogni di conquista di un uomo sposato, quello di tristezza della favorita dimenticata, quello del mare onnipresente del pezzo più sorprendente della serata, a mio parere, scritto da Ines, su cui ritornerò. Sotto la cornice di rosso, nero, canzoni (anni ’60, scelte con malinconica perfidia a farci ricordare le estati spensierate dell’infanzia e delle sue promesse non mantenute), il cerchio avvincente del destino di Annabella e di sua sorella, stupida e vacua la prima, incattivita dal dolore e poi ingentilita dal rimpianto la seconda – eppure così simili, così ingiustamente sconfitte di fronte alla maschilità volgare della piccola borghesia del dopoboom. La penna scaltra, intensa, mordace e sentimentale di Cinzia è essenziale e taglia come un coltello dove fà più male – dove le immagini in bianco e nero dei film del neorealismo diventano il destino odioso dei personaggi dopo che la parola fine ha chiuso il loro epos e perpetuato la loro pena. Memorabile il racconto del cecchino di Sarajevo, un’ode alla cattiveria, uno sguardo lucido e spassionato sulle verità di un assassino, senza una sola parola di troppo, nessun cedimento al cattivo gusto o alla ridondanza retorica, tutto ritmo e orrore. Ma le lacrime, le mie, sono venute quando Ines, alla fine del suo pezzo struggente sulla studentessa modello che tradisce il segreto della mamma del compagno uccisa in fabbrica al regista televisivo, torna in scena a raccogliere il cappello. Il cappello dimenticato nell’aula della Preside. Che attese l’amore tutta la vita e non venne mai. Ines, cappello in mano, smette di sorridere, si gira, due passi, si gira ancora. In quel gesto tenero e corrucciato la malinconia della nostra generazione, lo sforzo di compiere un movimento all’apparenza semplice senza essere tramutati in sale come aveva minacciato il Dio violento dei cattolici. Guardarsi indietro, rivedersi, riconoscersi, salutarsi, prendere congedo. Oggi finisce il sogno della nostra infanzia. Grazie Ines, per le lacrime, per la forza del gesto, grazie a voi tutte (e tutti) per la pienezza di vita, di calore, di amarezza, di coscienza. Essere persone comuni non vuol dire essere Fantozzi, ma essere monumenti al dolore e alla gioia, unici come ci fu promesso, irripetibili, con qualcosa che dovevate dirci, che ci avete detto. Dopo tanto teatro lezioso e autoreferenziale, cara Cri, cara Manu, finalmente voi avete dato una voce a dei cuori che hanno qualcosa da dire e la violenza primordiale necessaria per farlo vincendo ritrosie e paure.

6 maggio 2012 – I risultati del voto in Germania, in Grecia ed in Francia sono chiarissimi. Il tentativo delle banche di dare la colpa ai cittadini per il disastro da loro compiuto e l’operazione iniziata dai partiti classici per far pagare agli stessi cittadini il prezzo di quel disastro, non ha una maggioranza in nessuno dei parlamenti in cui alla gente venga data la possibilità di esprimersi democraticamente. Temo che ora le TV ed i giornali si accaniranno contro questa “voglia di antipolitica”. Avere il partito nazista in Grecia al 10% è scioccante. Ma attenzione, non cadete nel tranello, nell’ennesimo tranello. La strategia ora è chiarissima, per i partiti tradizionali: chi chiede una politica nuova ed alternativa viene tacciato di qualunquismo. Chi dice no all’Unione Europea come è oggi viene accusato di non volere un’Europa unita e pacificata. Chi per disperazione vota qualunque partito, purché diverso da quelli che hanno guidato i nostri Paesi finora, dovrà ora imparare la lezione dell’ingovernabilità – nel senso che in Grecia ora sarà difficilissimo mettere in piedi un governo che arrivi al 51% e che non sia ricattato dallo scilipotismo. Quindi ci diranno che la colpa è la nostra, perché votiamo male. Ci vuole calma. Siamo solo all’inizio della partita. Ben altri mostri verranno alla ribalta, ben altre prove di democrazia ci attendono, se sapremo dimostrare di non essere più bambini, ma cittadini.

2 maggio 2012 – Il cosidetto “governo dei tecnici” ha scoperto di non capire nulla di ciò per cui era stato chiamato a governare, ed ora da l’incarico ad altri tecnici di svolgere il proprio compito. Ne conseguono alcune brevissime riflessioni ovvie: a) in Italia, anche nella “tecnocrazia”, si fá carriera per conoscenza e per traffici comuni. Quindi Fornero, Passera e gli altri sono gente che ha avuto successo in quel mare, ma non é detto che conoscano il proprio lavoro, anzi; b) Monti non è il rappresentante dell’industria e del commercio italiano (Confindustria e Confcommercio), furibondi per il fallimento di Berlusconi – Monti è il killer prezzolato delle banche e della finanza globale che aveva bisogno di uno scherano che ammorbidisse la posizione dell’Italia, osso molto più duro da rodere della piccola Grecia, ora laboratorio mondiale di come si possa ammazzare una potenza industriale evitando una rivoluzione armata e la nazionalizzazione delle banche – che sarebbe l’unica risposta possibile nell’attuale contingenza; c) i partiti politici non ci stanno capendo nulla, vedono solo che Monti sta spingendo l’Italia nel baratro molto più velocemente di quanto Berlusconi avesse mai sognato di fare; d) il disegno dei padroni di Monti sta fallendo, perché l’Olanda é saltata, la Spagna sta saltando, perfino la Francia è a pochi millimetri dalla fucilazione politica di Sarkozy. L’Italia, tradizionalmente paese che corre in aiuto al vincitore, non potrà restare accanto alla Merkel, che ora comicia ad avere seri problemi in casa, per ora occultati da una stampa asservita e incompetente. Per questo i tecnici finti invitano dei tecnici veri. Gente come Bondi, curatori fallimentari di professione. Meditate, gente: meditate. E pulite la punta dei forconi, che si mette peggio.

27 aprile 2012 – Sono stato al Teatro dell’Orologio a vedere “Mio caro Gutenberg” di Mirella Bispuri. Prima di dirvi la mia opinione, pubblico la presentazione scritta dall’autrice: “La cultura del “progresso” guida ogni nostro passo. Ma l’opera di rimozione verso un “prima” considerato oramai inutile, può produrre inaspettati sentimenti di frustrazione e solitudine. In una casa, un gruppo di persone, forse una famiglia, custodisce i frammenti di un passato storico, mescolati insieme a quelli di un passato naturale dell’uomo, come l’infanzia. Ci si prepara alla cena di natale, ma il giovane Gutenberg ha altro a cui pensare. La vita lo spinge verso il futuro, verso il cambiamento. “L’azione del progresso può produrre anche ferite, lasciare cicatrici…” lui comprende soltanto di dover arrivare a tutti i costi alla sua immensa, meravigliosa “scoperta”. “Una volta deciso che il personaggio di Gutenberg sarebbe stato fisicamente presente in questa storia, il testo di Mcluhan, la galassia Gutenberg, si è trasformato in un prezioso compagno di viaggio; diventando, per tutto il tempo della costruzione dello spettacolo, una sorta di luminosissima stella cometa.” Ok. Cosa ho visto io invece? Sei figure sul palco che fanno le seguenti cose: prendono degli oggetti da dietro le quinte, li portano sul palco, li aprono, li richiudono, li rimettono dietro le quinte. Avanti, indietro. Avanti, indietro. Immotivatamente, noiosamente. La maggior parte del tempo le figure (in ossequio all’affermazione di Macluhan sulla sacralità del legame fra lettera, suono e significato) squittiscono una non-lingua! Ma queste sono le parti di testo migliore, perché le frasi poi costruite dalla Sig.ra Bispuri assommano caratteristiche che non possiamo non credere intensamente volute, perché raramente ho visto tanta precisione: sono banali, vuote, imbarazzanti, stupide, superficiali, imbarazzanti, senza senso compiuto, noiose, imbarazzanti. Bispuri mette in scena il nulla con la frenesia di chi crede che la banalità agghiacciante, se espressa nella sua nudità demente e con lentezza sufficente, assuma una valenza diversa, profonda, forse apotropaica. Gutenberg non pensa, dice cose da soap-opera scritta per la notte di RAI2. La scoperta non c’è, non c’è trama, si perdono dieci minuti intorno ad un panettone. Alla fine il “padre” si sdraia su un lettino da campeggio e Gutenberg si sdraia sopra di lui, schiena contro schiena. Anche qui una lentezza degna del Signore degli Anelli. Il cambiamento voluto da Gutenberg è che si giochi a burraco invece che a tombola. Il dialogo della tombola é a mio parere il paradigma dell’intero spettacolo. L’uomo dice: si dice. E una figura: sedici! Poi dice: 47, e una figura: morto che parla. 11, gli zeppetti. Sono i riferimenti culturali più profondi di una scrittura che vede la vita sotto la lente del Grande Fratello e poi la semplifica perché probabilmente trova i dialoghi dei reality troppo intellettuali. Se la gente va a vedere questa roba per amicizia, e poi applaude esterrefatta, e la Sig.ra Bispuri si autocelebra in un modo dirompentemente lezioso, come se fosse convinta di aver partorito un’opera d’arte, poi quella stessa gente crederà (e non verrà mai più) che il Teatro indipendente italiano sia questo: un’accozzaglia presuntuosa e banale di frasi tratte dagli script scartati per gli episodi dei Barbapapà, il tutto diluito dalla lentezza estenuante della noia elevata a parossismo che, questa sì, esige finalmente una reazione dal pubblico. Per alcuni momenti ho temuto di restare vittima di un infarto. E mi dispiace per gli attori in scena, molti dei quali dimostrano presenza e fanno ciò che possono per non essere ridicoli. Ma quando il padre si lascia svestire per farsi mettere una catenella da cesso intorno al torace e fà le mosse da culturista, chi vi scrive vorrebbe essere ovunque, ma davvero ovunque, lontano da questo scempio dell’intelligenza. Roba del genere non dovrebbe essere rappresentata.

25 aprile 2012 – Da quando mi ricordo, mai come oggi i festeggiamenti per il 25 aprile hanno rivestito un ruolo attuale e simbolico come oggi. Una grandissima parte di cittadini che non ha vissuto la guerra sente e vive la giornata di oggi come il giorno del ruggito, il segno del riscatto. La situazione si evolve, grazie alle scelte suicide del governo Monti ed alla crescente debolezza dei partiti che lo sostengono (PDL, UDC, FLI e PD) ma anche dei loro teorici oppositori (Lega, IDV), ad una velocità esponenziale. Chi osserva la scena crede di sapere (io tra loro) che quando arriverà la bastonata dell’IMU il piatto salterà, anche perché la recessione verticale creata dalla follia di Monti, Fornero e Passera costringerà lo Stato in estate a fare una manovra di tagli (ed aumenti di tasse) intorno ai 100 miliardi di Euro – e sarà la fine, o la guerra civile. Ciò che mi dà più fastidio è che ora speriamo in molti che Hollande vinca a Parigi e che disdica il Patto di Maastricht. Dobbiamo sempre chiedere aiuto a chi ci disprezza, restiamo bambini che non sono capaci a difendere da soli i propri interessi. Ma torniamo al 25 aprile. Il revisionismo storico ci ha spiegato che non tutti i fascisti erano cattivi e non tutti i fautori del CLN erano buoni. Che il comunismo ha mietuto vittime quanto il fascismo. Quindi dovremmo perdonare tutti e restaurare il fascismo, che almeno funzionava. Queste sono le affermazioni della maggioranza silenziosa: quel nugolo di italiani pigri, malati, rabbiosi, non informati, che amano essere tifosi e le semplificazioni. Gli stessi che la notte delle dimissioni di Berlusconi ballavano la samba per Roma come se avessimo vinto la Coppa del Mondo. La festa del 25 aprile ricorda che qualcun altro – tanto per cambiare – ha buttato giù il sistema politico italiano e ci ha obbligato a ricominciare, anche se, come sempre, siamo rimasti a sovranità limitata, come bimbi scemi e un po’ discoli. Non importa stabilire se in quei giorni del Dopoguerra tutto sia filato liscio. Quando diciamo che l’Italia nuova è fondata sulla lotta partigiana, non eleviamo i partigiani a santi. Vuol dire che scegliamo, nel disastro dell’8 settembre, il collasso del fascismo e il tradimento, quella parte dell’Italia che ha pagato un prezzo di sangue per cercare una via d’uscita. Non li assolviamo, né assolviamo noi, ma diciamo che da lì dobbiamo partire per ricostruire – dalla nostra presa di responsabilità. L’Italia posata su quel fondamento ha fatto il boom economico nonostante il benaltrismo, nonostante le indecorose e violente intromissioni degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, nonostante la burocrazia e la giustizia siano rimaste quelle antidemocratiche del fascismo. Questo 25 aprile ci dà una nuova chance. Dobbiamo anche noi mettere una parola fine alla Seconda Guerra Mondiale ed ammettere che l’abbiamo persa tutti insieme. Ed ora, però, con orgoglio, invece di miagolare da vinti, dobbiamo rialzarci insieme e costruire un Paese migliore. Senza Euro, con le banche nazionalizzate, con la fine del signoraggio, con una nuova gestione compartecipe e corresponsabile dell’industria da cui scompaiano i sindacati attuali così come sono e subentrino rappresentanze dirette dei lavoratori – come in molti altri Paesi civili, dobbiamo tornare alle Polis: energia, cibo, smaltimento e riuso dei rifiuti, tutto intorno al luogo in cui viviamo, riduzione drastica della mobilità e del consumo folle di energia. Non dobbiamo avere paura di uscire dall’Euro e dall’Unione Europea. Angela Merkel la sta buttando giù a picconate, se non usciamo dalla casa saremo ancora dentro mentre crolla. Dobbiamo farci promotori di ricostruirla su basi più sane. Il capitalismo liberale è morto, finito, sta distruggendo il Pianeta. Dobbiamo prendere in mano politiche di decrescita come quelle di Latouche e di democrazia diretta come quelle di Zizek. Non possiamo lasciare il monopolio dell’intelligenza ad un prete come Beppe Grillo. Le cose giustissime che dice lui dovremmo dirle tutti, e lui tornerebbe a fare l’artista. Non era mai successo prima che il giullare di Corte stesse per detronizzare il Re Nudo, forse siamo in tempo a cambiare il corso della storia. Se non lo facciamo, adesso verrá la violenza cieca, la repressione cinica e precisa, l’oppressione medievale o la rivoluzione, la morte, la fame. Vogliamo davvero questo?

23 aprile 2012 – Un nuovo video per spaventarsi di fronte all’attualità immanente: http://www.youtube.com/watch?v=AfnYrsxKogc&feature=g-vrec&context=G2dfe04bRVAAAAAAAABA Non l’avevo ancora visto… Ma Giulietto Chiesa aveva detto già a dicembre ciò che sappiamo oggi. Ed intanto la rabbia monta, non si riesce a frenarla. Attenzione a non fraintendere il fatto che l’esplosione di rabbia assurda e ridicola allo Stadio di Genova non è distinta dalle aggressioni torinesi al Ministro Fornero. Preghiamo che vinca Hollande? Non ha senso (anche perché credo che perderà). Non possiamo, come al solito, sperare che un governo straniero risolva in nostro nome i problemi che non siamo capaci di affrontare da soli. Purtroppo, finché esisterà il Partito Democratico come tappo che annega, strozza, umilia e sfotte la voglia di verità e di progresso da parte di una parte crescente degli Italiani, resterà solo la violenza: contro se stessi, contro i fantasmi creati dalla TV, contro chiunque prenda un microfono in mano. Bisogna andare a votare. Io non ho paura di Beppe Grillo. La democrazia è più forte di Silvio Berlusconi, di Gianfranco Fini, di Beppe Grillo, di Pierluigi Bersani e chiunque altro. Qui dobbiamo imporre, democraticamente, la democrazia, come ricorda Giulietto Chiesa. Il popolo ha votato contro il finanziamento dei partiti. Quindi basta. Il popolo ha votato contro la privatizzazione dell’acqua e voterebbe contro qualsivoglia privatizzazione. Il popolo voterebbe probabilmente per uscire dall’Euro, per far pagare alle banche le loro colpe, per cancellare il debito – e chi se ne frega se gli Stati Uniti vanno per aria. Ci tengono fermi con la paura della Cina e non ci dicono che, se gli USA saltano, la Cina, che ha investito tutto in dollari, si ferma. Finalmente. Abbiamo bisogno di fermarci. Il capitalismo industriale è finito, morto, esaurito – ed ha quasi ammazzato il Pianeta. Basta. Torniamo alle Polis, all’agricoltura, all’energia sostenibile, torniamo alla democrazia, restituiamo al popolo il suo diritto – usciamo dal cono di luce delle banche, andiamo a votare.

22 aprile 2012 – Ciò che é successo ieri a Torino è solo l’inizio. Ma se Fornero, Monti e Passera mi diranno che erano stati spiacevolmente sorpresi e continueranno a fare i professorini che invitano a collaborare, allora comincerò a credere che loro l’avessero previsto e voluto. Questo Governo è il contrario della democrazia, non é stato eletto da nessuno, ma è il risultato della debolezza dei nostri partiti (tutti) che si sono fatti commissariare da Berlino e da Bruxelles. Questo Governo aveva annunciato sacrifici per tutti e rilancio dell’economia: si é rimangiato tutte le riforme ed ha aumentato le tasse oltre il livello della sopportabilità, innescando una recessione paragonabile alla crisi del primo Dopoguerra (1919) e che sta trascinando il Paese, che già cadeva nel baratro, all’autodistruzione. Ma allo stesso tempo il Governo protegge le lobbies nel nome delle quali lavora in modo sconveniente, sozzo, schifoso, palese, offensivo. Le banche che non pagano l’IMU. La casa, che è un bene rifugio ed un costo, trasformata in una punizione. Chi possiede una casa paga un affitto allo Stato, invece di difendere il poco che ha messo da parte. Chi presta i soldi alle banche deve pagare un affitto per farsi usare. Chi non vuole passare attraverso le banche viene criminalizzato. Ma cosa credono? Credono che tutti siano come Bersani, che si accontentano di farsi prendere in giro da Crozza e crede di aver fatto il proprio dovere? Credono che basti mandare avanti Livia Turco a mimare la Santanché ed a far vedere che D’Alema ha berlusconizzato il PD fino a creare i cloni dei pazzi scatenati dal nano? Credono che la gente si faccia uccidere senza reagire? Erano sereni vedendo che ogni giorno, da gennaio, in media due persone, annientate dalle banche, da Equitalia e dallo Stato (che non paga i propri debiti e costringe al fallimento ed alla gogna i propri creditori), si toglievano la vita. Ora si meravigliano che qualcun altro abbia voglia di prenderli a ceffoni? Perché dobbiamo disapprovare la violenza di chi é in strada ed invece bisogna accettare la violenza sanguinaria dello Stato? Signore e signori, non fatevi prendere in giro. Lo scontro è voluto, per dare alla Polizia il diritto di reprimere ancora più violentemente la gente. Il che non dà ai manifestanti il diritto di fare ciò che hanno fatto. Al contrario, questi ragazzini devono capire che picchiando stanno facendo il gioco di Monti. Smettiamola insomma. Esiste un sistema giusto, efficace, indirimibile. La democrazia. La democrazia. La democrazia. Fateci votare. Dateci la possibilitá di mandarvi tutti via. Bisogna manifestare, con rabbia e senza violenza, per la democrazia.

22 aprile 2012 – Quarta festa in piazzetta alla Certosa di Via Savorgnan, dietro ai locali del Comitato di Quartiere, per ricordare Ciro Principessa, ammazzato da un militante fascista nel 1979. Ci vado un po’ titubante, con la paura di sentirmi estraneo e snob, di sentirmi inadeguato con il mio peso e i miei anni e la mia burbanzosa sicumera dottrinale. La piazza é chiusa, Polizia dapertutto, ma non appena entro in piazza mi sembra di essere sul set di un film sugli Anni Belli (quelli che la storiografia ufficiale chiama con spregio gli Anni di Piombo). Bambini che si rincorrono, biciclette, mamme, vecchietti allegri, borgatari, compagne e compagni di allora, di oggi, rappers diciottenni che parlano romanesco con accento arabo… Un paradiso di colori, emozioni, tranquillità, pacata allegria, un’isola di pulizia. Gli oratori sono quelli di sempre, all’inizio. Poi viene un professore, fuori di se dalla rabbia, che in modo originale spiega perché il governo Monti ci stia truffando insieme ai governi dell’Unione Europea e soprattutto la Germania. Non sono d’accordo su tutto, ma non importa. Lo “schianto” è il fatto che ci sono un centinaio di persone di tutte le età ed estrazioni che annuiscono o discutono, ma sono consapevoli, sanno di cosa si parla e perché. Il moderatore ci chiama compagne e compagni, dà la parola ad un membro dei GAP di Tor Pignattara, un anziano combattente che é venuto apposta da Campobasso. E tutti parlano con maggiore o minore competenza, con o senza eloquio, con una retorica dei bei tempi andati, ma tutti sanno esattamente quale sia la posta in gioco. Sono esterrefatto. Incontro Chiara Crupi, Alessandra Amitrano, alcuni ragazzi del Kollatino Undreground, mi sento come se mi avessero portato in una macchina del tempo fino alla Rometta mia, quella della mia gioventù, ma con uno sguardo diritto puntato sul presente e sugli orrori a venire. Ed io, che in questi anni, con presunzione, ho creduto che fosse necessario uscire dalla borgata per capire il mondo, mi accorgo di aver imparato che tutto il mondo, o è borgata, o è finto e sottilmente falso. Quando Tamara Bartolini legge un testo scritto da lei e da un’altra compagna su Ciro Principessa, faccio fatica a trattenere le lacrime. Chi se ne importa dell’intellettualismo. Possiamo, dobbiamo, vogliamo ancora piangere Giorgiana Masi, Valerio Verbano, Walter Rossi, Mauro Rostagno, Mario Salvi, Daddo e Iaio. Ci riconosciamo nella loro scomparsa. Ci ricordiamo di noi in loro. Tamara lo dice benissimo. Erano anni bellissimi, bellissimi, in cui credevamo. Ma anche adesso ci sorprendiamo a credere. Il testo di Tamara è pieno di poesia, malinconia, speranza, rabbia pacata, ineluttabile certezza. Quando poi salgono sul palco le ragazze ed i ragazzi del Laboratorio Permanente di Michelangelo Ricci con le loro belle canzoni ed i loro cori brechtiani sono veramente travolto dall’allegria, che prende il posto della commozione. http://www.laboratoriopermanente.it/ Mi accordo che la rabbia serve solo per riconoscersi, ma che qui in piazzetta, come a Connewitz a Lipsia, nelle strade di Berlino Est, negli espropri di Amburgo, nei ricordi della Reithalle di Berna, ci si sente a casa con serenità, c’è una lentezza stupenda e rinfrancante, l’ineluttabilità della nostra resistenza, la prova che ci siamo ancora, perché sappiamo esistere anche nelle situazioni più difficili, perché torniamo qui anche dopo 40 anni a ritrovare le nostre radici. Provo simpatia e tenerezza per i giganti rap di “Fori dar centro”, davvero bravi (http://www.youtube.com/watch?v=7qpZvLmAoXs), ma il mito della serata è il piccolo Leon (sei anni? sette?) che prima canta un rap difficilissimo, poi intona Bella Ciao, e tutto il quartiere canta con lui, che dice con voce ingenua: “Che siamo tutti contro i fascisti?” Sì, storcete pure il naso, quanto romanticismo melenso e fuori tempo massimo, avete ragione. Se fossi stato sul palco avrei cantato: “Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio”. Ma per una volta non avevo bisogno di farmi guardare, sono rimasto piccolo in un angolo. A guardare quelle ragazze bellissime della mia gioventù, che non ne vedevo più da decenni di così belle. Io vengo da Primavalle, e non ho nemmeno mai avuto un vespino rosso bordò. Ma da stanotte sono meno pessimista. C’è ancora un posto in cui nascondermi, se il mondo mi spaventa.

21 aprile 2012 – Sono stato al vernissage delle opere di Monica Di Brigida a Wo-Ma’n di Marta Rossato e Wolfango De Spirito. Come al solito la prima impressione é che ci voglia una miniera inesauribile di entusiasmo e passione per mettere a disposizione la propria casa per una galleria d’arte, come fanno con semplicità, gusto ed intelligenza Marta e Wolfango. “Ma non è di questo che si vuol parlare, ma piuttosto del cuore”, direbbe Gaber. Il lavori di Monica Di Brigida, nell’opinione di un profano come me, suscita tre reazioni: una a livello estetico, una livello poetico ed una a livello discorsivo. Esteticamente le foto sono generalmente legate ad un metalivello talmente intellettualizzato da risultare fredde, metagelide, protoalgide. L’ispirazione, scrive Monica sulla presentazione, sono i bidoni ed il metallo abbandonato. I colori dominanti sono quindi grigio, piombo, antracite, ruggine. Laddove spuntano blu cobalto e marroni sull’ocra si intravede già un richiamo meno urbano e qualche concessione non leziosa ad un gusto più immediato e non intermediato. Quindi, credo, in questo senso la mostra é riuscita. A lievllo della poetica la prima impressione, la prima associazione è il “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Ed infatti Monica chiama la sua mostra “Suhub”, nuvole in arabo. Nelle macchie di assenza di colore si intravedono fantasmi, miraggi, ombre, percezioni vaghe e mistiche, anoressie di pathos. In questo senso la mostra colpisce nel segno, specie nel trailer mostrato al bagno, in cui il filmato mosso diventa un ghibli, una tempesta di sabbia mista a sogni e ricordi ancestrali, un pulviscolo grezzo e resistente che si insinua nelle pieghe della nostra sonnolenta pigrizia cittadina. In questo senso la home gallery stupenda di Via Pietro Ruga è lo scenario ideale per le immagini di Monica Di Brigida. Mi disturba la tanta tante tanta gente presente, anche se sono felice per Marta e Wolfango, che si meritano il grande successo ed a cui mi permetto di voler bene. Mi disturba la gente perché contrasta con la sua mollezza al vorticare delle immagini, contrasta con la poesia da altipiano rovente, lo rende estraneo. E qui passiamo al discorso. Bisogna necessariamente capire l’arte o bisogna semplicemente percepirla? Va bene dire che le immagini di blu mi abbiano colpito come se fossero ricordi di miei sogni (e mi sono piaciute) e quelle grigie e rugginose mi abbiano respinto? Certo che va bene, perché entrambe le percezioni mostrano a mio parere che Monica Di Brigida con il suo lavoro è nel bel mezzo di un discorso assolutamente immanente: per vedere la cruda realtà degli oggetti e dei sogni bisogna sporcarli della polvere e ruggine storica del capitalismo industriale, che ha trasfigurato tutto, la nostra anima in primis. Monica ce lo ricorda, senza giochetti da poco prezzo, con semplicità ed immediatezza, con risultati differenti, non banali, e soprattutto mostrando di essere all’inizio di una strada ancora da percorrere, fino al momento in cui i Tartari, come i mostri che stanno dietro ai nostri sogni, appariranno all’orizzonte e ci attaccheranno, per consumare ciò che resta della nostra anima.

15 aprile 2012 – E’ ufficiale: non sapremo mai la verità sulla strage di Piazza della Loggia. Così come non sapremo mai la verità sui cinque attentati del 12 dicembre culminati con la bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano, né su Ustica, sull’Italicus, la Stazione di Bologna, e tutti gli omicidi a sfondo politico che hanno contraddistinto la nostra storia del 1945 al 1990. E’ ancora troppo presto per tentare con serenità un giudizio storico, anche perché la mancanza di verità sul passato è la porta attraverso la quale l’inquietudine, la rabbia, la paura e la frustrazione di oggi trovano uno sfogo in un possibile presente di violenza, per ora ritorto contro se stessi: quasi trenta suicidi di imprenditori dal 1° gennaio a causa della politica del Governo Monti e di Equitalia, ma soprattutto a causa del fatto che l’imbecillità e corruzione dei partiti politici nati dalla fine del Dopoguerra, nel 1990, ci abbia portati in questa situazione. Facile a scriversi, come è facile immaginare come si sentano i parenti delle vittime, per cui la promessa di un giudizio storico di là da venire non è alcuna consolazione per le vite spezzate, il dolore, il senso di impotenza. Oggi chiedersi chi siamo sembra non servire a nulla. Regna la paura di esporsi, motivata dall’orrore di ricevere una risposta alla domanda: chi siete? Delfo Zorzi, Luigi Bisignani, Mario Moretti, Luigi Calabresi, Corrado Carnevale, Licio Gelli, Tito Tettamanti, Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema, Giulio Andreotti, e tanti tanti altri… chi siete? Chi siete davvero? Davvero un’Italia senza di voi non sarebbe stata possibile?

14 aprile 2012 – Sono stato al Palladium a vedere “Aldo Morto” di Daniele Timpano in compagnia di Claudio Di Loreto ed Enrica Maria Modugno. Ne sono uscito gravemente sconcertato, profondamente deluso e seriamente preoccupato. Cominciamo con le cose positive. Daniele Timpano non è un attore, recita sé stesso, ma con estrema cura. In alcuni momenti ciò è lezioso, in altri momenti imbarazzante, in altri estremamente vero e credibile. Dato che io in confronto sono solo un lustrascarpe, mi permetto di ammirare la sua capacità di creare un personaggio da un dilettantismo combattuto con la cura, la ponderazione, l’accanimento. La costruzione dello spettacolo é interessante, il rapimento Moro viene visto da diverse prospettive, alcune molto interessanti. Il tentativo di essere fazioso nell’equidistanza è in parte riuscito ed è la cosa forse più riuscita, proprio perché è la più costruita e meno spontanea. Il gigionismo del “io sono nato nel 1974” e quindi il chiamarsi fuori dalla generazione degli anni di piombo in sé e per sé è fastidioso, ma importante, perché aprirebbe una serie di possibilità che gente come me non ha, perché ha troppa poca distanza dai fatti. Quando Timpano dice giustamente che la verità rivelata sul rapimento è la tesi peraltro poco credibile dei quattro brigatisti condannati, dice una cosa importante. Quando Timpano fà un confronto fra il bisogno di violenza dei brigatisti e la rabbia che proviamo noi oggi di fronte a Berlusconi, Monti, Bossi, Fini… ma anche Bersani, la sua rabbia e disperazione paiono per un attimo vere. Ma poi tutto viene trascinato in una burletta dozzinale con barzellette sui carabinieri, giochi di parole alla Checco Zalone, posa da Bagaglino di Pippo Franco, con un pubblico volgare e piuttosto superficiale che ride sguaiatamente per cose che in me suscitano imbarazzo e pena. Timpano usa la simbologia di quegli anni per metterla nel ridicolo, ma lo fà usando appunto l’umorismo presunto di Johnny Groove, roba da far accapponare la pelle. Si vede che alcune cose che cita non le ha capite, ma la scusa è sempre “io sono nato nel 1974” e quindi gli è permesso tutto. Se questa è la rilettura degli Anni di Piombo fatta da chi oggi ha fra i 30 ed i 40 anni, allora la mia generazione non solo ha sbagliato tutto (lo sapevo già), non solo ha la proibizione di invecchiare (non si può lasciare a questi bambini la gestione del mondo), ma viene colta da un malore di cultura. Mi sono sentito vecchio. Matusa, come si diceva una volta. Non mi sono sentito rappresentato – ed in questo Timpano secondo me è riuscito in un’oprazione voluta. Ma la cosa grave é che Timpano mi ha fatto tenerezza, ed il suo pubblico paura. Forse ho sbagliato tutto. Forse non devo recitare in teatro in Italia, devo tornare a casa, in Germania, dove queste cose si facevano 30 anni fa. Tornando a casa dalla Garbatella a piedi ed in metropolitana ho sentito, fortissima, la voglia di andarmene al più presto da Roma.

10 aprile 2012 – Scrive stamani Davide Giacalone: “Fra poche settimane la crisi dei debiti sovrani europei, che descrivemmo subito come crisi strutturale dell’euro, compirà un anno. Un anno perso. I 1000 miliardi della Banca centrale europea hanno avuto un effetto sintomatico, passato il quale si torna dove eravamo. Chi, oggi, dicesse che il risalire degli spread è colpa del governo Monti sarebbe un volgare imbroglione. Lo era anche chi lo sosteneva l’estate scorsa, addossando al governo italiano responsabilità che erano europee. Allora si gridò alla necessità di fare in fretta, dopo un anno si mormora senza avere il coraggio di riconoscere che noi azzeccammo la diagnosi, sostenendo che solo quella europea era la sede per risolvere il problema, mentre chi ci diede lezioni prese fischi per fiaschi, o, peggio, fece finta di non capire. L’asse Merkel-Sarkozy si mosse per tutelare le banche francesi e tedesche, impoverendo gli europei e trasformando l’Unione monetaria in un vincolo capace di bruciare ricchezza. Andava fermato, invece si scelse di assecondarlo e asservirglisi. Il risultato è deprimente: pressione fiscale intollerabile, sistema produttivo allo stremo, debito pubblico sempre più pesante rispetto al prodotto interno (dato che il secondo scema). Un esempio da manuale di quanti errori si possano commettere agendo in base ad un pregiudizio, senza essere dotati di sufficiente cultura e prestigio politico. Sostenendo che la crisi dell’eurozona era riassorbita s’è commesso un terribile errore di valutazione. Affermando che quel successo è dovuto alle riforme italiane ci s’è addossati colpe che non erano nostre. Solo l’insipienza di partiti politici in stato confusionale consente al governo di non fare i conti con tali responsabilità. La sconfitta europea si misura nell’attesa del risultato delle presidenziali francesi, nella speranza che sia un elettorato nazionale, sfiduciato e incattivito (il fatto che la maggioranza relativa dei giovani manifesti consensi per Le Pen la dice lunga), a far saltare il banco. L’Europa che sognammo non è questa, e neanche le somiglia. La crisi poteva essere l’occasione per una maggiore integrazione e consolidamento istituzionale, invece ha fatto annegare ciascuno nei propri egoismi e miopie nazionali. Noi compresi, che ci tirammo gli spread nella schiena, come coltellate, felici di vendette miserabili. I greci sono tenuti in bancarotta, ma senza volerla chiamare con il suo nome. Gli spagnoli dismettono il welfare sanitario, ma non in una logica di riforma europea, come si dovrebbe, bensì in un inutile sforzo contabile. Gli italiani si stanno dissanguando pagando tasse che assecondano l’inutilissimo tentativo di mostrarsi diligenti nei confronti di una dottrina anti europea. Mentre i tedeschi finanziano i loro debiti senza pagare e alimentano la loro bilancia commerciale senza curarsi delle conseguenze. Aggiungete gli inglesi che si sono sganciati dal nuovo trattato, metteteci gli irlandesi che lo bocceranno e avrete chiaro il quadro di un’Unione che s’avvia a scomparire per insufficienza mentale e storica della classe dirigente europea. Un continente ricchissimo, pregno di valore tecnologico, che potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo nel mondo e che, invece, si flagella con moralismi bilancistici, destinati a scatenare la reazione popolare. Noi italiani abbiamo, in più, un debito pubblico esagerato, che dovremmo cercare di abbattere e che, invece, c’incaponiamo a mantenere ciucciando via soldi a chi potrebbe produrre e consumare, per destinarli al rogo. La logica dell’allineamento ai dettami tedeschi non era sana, ma almeno avrebbe avuto un senso se avesse prodotto riforme a lunga gittata. Invece abbiamo fatto quella delle pensioni e lì ci siamo fermati, lasciando il resto in balia della logorrea impotente e supponente. Il dolore senza risultati alimenterà la rabbia, che metteremo sul conto di chi credette che quello italiano fosse un problema di stile, anziché di sostanza. C’era anche un problema estetico, certamente, ma occorre essere ottusi assai per considerarlo prevalente. La ricetta diversa c’è, l’abbiamo ripetuta e ci torneremo (tagliare sia il debito che le tasse, riformando il welfare e privatizzando). Un anno dopo, però, è urgente che s’esca dall’ipocrisia che da un anno ci ammorba: il problema non sono i conti italiani, o i trucchi greci, ma l’euro, e la soluzione consiste nel portare sovranità politica nella sua gestione, non nel cedere sovranità nazionale alla Bundesbank. Da un anno si va nella direzione sbagliata. Il tempo perso è costato a noi e all’Unione. Che altri ci abbiano guadagnato è un motivo in più per cambiare terapia”. Pubblico questo intervento in primo luogo perché ne condivido l’analisi, ed in secondo luogo perché non ne condivido la tesi. Nonostante il fatto che la mano pubblica, quando gestisce un ente, dimostra sempre a fortiori l’incapacità tutta italiana di fare una cosa senza fregarsi l’un l’altro, a me la privatizzazione spaventa, perché in un mondo dominato dalla finanza, coloro che nominalmente hanno in mano il potere di comprare, in realtà, non hanno soldi. Lo so che sembra una contraddizione, ma basterebbe aver studiato la resistibile ascesa di Tronchetti Provera e Colaninno alla Telecom Italia per capire – oppure aver visto un vecchio film di Alberto Sordi, nel quale un personaggio più simile a Capitan Fracassa che a Nando Meniconi si compra una multinazionale americana con i soldi della stessa. L’abbattimento del debito pubblico, però, è una condizione irrinunciabile, oramai. Per ottenerla non bisogna tagliare i servizi, bisogna mandare a casa intere strutture di sottopotere. Si può fare senza innescare una rivolta? Sì, se a pagare saranno le banche. Contrariamente a Davide Giacalone, penso che sia necessario statalizzare le banche, riportarle all’origine, quando Beneduce creò l’IRI e quindi le banche che avrebbero dovuto sostenere la ricostruzione industriale. Del resto questa crisi assomiglia moltissimo a quella del 1929, se si guarda alle ricadute sulla popolazione. Ma non è tutto. Passo per passo ci avviciniamo ad una possibile soluzione…

8 aprile 2012 – Pierluigi Bersani sembra preoccupato della possibilità che gli elettori della Lega Nord, poverini, rimangano senza forza politica di riferimento, e si candida a ricoprire anche quella porzione di cielo. Bravo. Nella sua folle corsa verso il centro ha superato a destra tutti, sinanco Bossi e Fini. E per giunta ci sta vendendo la modifica della legge abrogativa dell’articolo 18 come un grande successo. Ancora una volta applica alla perfezione gli insegnamenti di Berlusconi. Se hai un problema occupati di altro, fai finta di aver cambiato qualcosa d’altro, gridalo forte, finché la gente si sarà dimenticata del problema vero: la disoccupazione, la fine della capacità di creare ricchezza dell’imprenditoria italiana schiacciata dalle tasse e dal sistema bancario. In cambio del nulla Bersani ha accettato di esentare le banche dall’IMU. Così ha ottenuto ciò che nemmeno Berlusconi avrebbe mai osato (anche perché presumo che in cuor suo Berlusconi sarebbe contrario): le banche, che controllano antidemocrayicamente l’Italia attraverso i loro rappresentanti nel Governo, ottengono l’esenzione da un’altra tassa in più, scaricandone il peso sui cittadini. Una vergogna che il governo di coalizione reazionaria sostenuto da Bersani,Alfano e Casini avrà sulla coscienza. http://www.asca.it/news-Lega_Nord__Bersani__dove_e__finita_la_ragione_originaria_-1142609-POL.html

6 aprile 2012 – Una delle peculiarità distintive del fascismo è quella di distruggere e calpestare tutto ciò che le persone amano ed apprezzano, di odiare il bello, di disprezzare ed umiliare ciò che è libero. La guida fascista della Cittá di Roma, per mano degli stessi vigili ingolfati nello scandalo dei ricatti e delle mazzette, cerca di impedire al Kollatino Underground di continuare ad esistere. Ma chi, come me, ama non solo quella struttura, ma i ricordi di se stesso e della gioia provata nelle ore passate lì con la gente del Kollatino, non può restare a guardare. Per fortuna Alemanno durerà non più di un anno ancora. Ma bisogna impedire in modo democratico che la prossima Giunta romana sia di nuovo ostaggio del fascismo, della corruzione, della non-cultura, delle pastette. Non è possibile che nel nostro Paese tutti, dal PD ad Alleanza Nazionale, si prefiggano come divertimento culturale quello di annientare coloro che fanno cultura indipendente e non chiedono né soldi, né altro. Solo di essere lasciati in pace. Nell’Italia di oggi già essere lasciati in pace è un regalo importante. il Vigile Urbano, che è il simbolo della corruzione profonda ed insanabile dell’Italia, questa canea di sceriffi di Nottingham che non fà il proprio lavoro sulle strade ma si limita alle estorsioni ed ai ricatti, ha colpito ancora. Dobbiamo resistere.

6 aprile 2012 – Questo articolo lo ha scritto Davide Giacalone. Mi permetto di sottoscriverlo al cento per cento: “La terapia fiscale, cui l’Italia viene sottoposta, ci restituirà un paziente in agonia. La supposta tassante viene introdotta con lubrificante moralistico, assumendo che sia l’unica via per giungere all’onestà dei contribuenti, laddove si fa finta di non vedere l’effetto reale: aumenta la pressione fiscale, ma aumenta anche il peso del debito sul prodotto interno lordo; aumenta la caccia agli evasori, ma aumentano gli evasori che sono tali perché non hanno i soldi per pagare; diminuisce il reddito disponibile per i cittadini, ma non diminuisce la spesa pubblica. Ci ritroveremo ad avere sottratto ricchezza agli ammortizzatori sociali che funzionano, vale a dire il welfare familiare, senza essere riusciti a tagliare i costi di quello disfunzionale e divoratore di soldi, vale a dire il welfare statale. I dati pubblicati dalla Banca d’Italia, aggiornati con quelli diffusi dall’Istat appena ieri, dimostrano il progressivo impoverimento delle famiglie e l’erosione dei profitti aziendali. Se, nello stesso periodo, si prendono in esame la pressione e la spesa pubblica, si osserva un movimento in senso opposto. E’ una trasfusione di sangue dal corpo sano a quello malato. Se si guarda agli altri grandi paesi europei ci si accorge che siamo gli unici ad avere imboccato questa strada: da noi scende il prodotto interno e anche il reddito disponibile, mentre dalle altre parti si reagisce alla recessione con un maggiore reddito disponibile (vale a dire soldi effettivamente destinabili ai consumi, dopo avere assolto gli obblighi fiscali). Il governo Monti ha il merito di avere portato a compimento la riforma del sistema pensionistico, collocandoci in una condizione di stabilità e sostenibilità. Molto bene. Da lì in poi, però, si gira a vuoto. La stessa discussione sulla legislazione del lavoro ha un che di surreale, perché il nostro problema non è la licenziabilità, ma l’indeterminatezza circa l’esito del licenziamento, ebbene: se passasse la proposta governativa quel problema sarebbe risolto? No, sarebbe aggravato. Ci sarebbe maggiore lavoro, ma solo per i tribunali. A dispetto della celebrata memoria di Marco Biagi, quella proposta rende meno elastico l’ingresso nel mondo del lavoro. E, comunque, la sostanza del problema produttività è fotografata dai seguenti dati: posto un salario pari a 100 un lavoratore inglese riscuote 70, uno svizzero 80, mentre quello italiano 40. Ho preso Gran Bretagna e Svizzera, mica paesi in via di sviluppo e privi di welfare! Da noi i tagli vanno fatti sul 60%, che finisce assorbito dai costi statali, non sul 40, gravato progressivamente da maggiori tasse. Noi stiamo procedendo nella seconda direzione, e siccome non è possibile che gente istruita e ragionevole non se ne renda conto, la domanda è: perché? Le risposte che portano a complotti, trame e retroscena le lascio a chi vive di fantasia, perché credo che la faccenda sia più semplice: si crede che la salvezza dell’Italia consista nel legarsi alla politica tedesca, nel dimostrarsi capaci di adeguarsi al fiscal compact, nel collocarsi sotto l’ombrello protettivo renano. Mentre quell’ombrello, oggi, protegge solo la campagna elettorale della signora Merkel (e le banche tedesche). Quell’ombrello usa le norme europee per distruggere l’Unione europea, mediante concorrenza sleale al suo interno (vedi finanziamento gratis del debito tedesco). Con l’ulteriore difetto di collocare l’area dell’euro fuori dalle ricette di politica economica praticate fra l’Atlantico e il Pacifico. Ecco perché, assorbiti i 1000 miliardi della Bce, la febbre degli spread si fa rivedere, per ora timidamente. Chi volete che sostenga i debiti pubblici di chi non sa fare altro che togliere ricchezza ai privati, rafforzando la recessione altrove vista come la peste? Se continueremo a colpire il 40% del salario, lasciando indisturbato, anzi facendo crescere il 60 dei costi improduttivi, il nostro debito sarà insostenibile perché non si fanno più trasfusioni da un corpo esangue. Nel 1995 i “giovani” (?!) fino a 34 anni che vivevano con i genitori erano il 36%, nel 2010 il 42. Difficile credere che le mamme siano divenute più apprezzate, più facile capire che stiamo strangolando il presente e asfissiando il futuro”.

5 aprile 2012 – C’è un altro fatto su cui vi invito a ruminare. Nei secoli scorsi, quando la piazza insorgeva, venivano rovesciati i governi. La Rivoluzione Francese è iniziata con l’attacco del proletariato infuriato e disperato alla Bastiglia. Tra gli organizzatori di quel gesto e coloro che lo portarono fino in fondo c’era una certa omogeneità di vedute, almeno sull’identificazione del nemico: abbiamo fame perché la monarchia ci affama. Già nel 1918 in Russia la situazione era estremamente diversa. Lo zarismo aveva avviato una serie di riforme che avrebbero allargato di molto la base di benestanti. I rivoluzionari dell’Ottobre attaccarono perché si resero conto che avevano un’occasione storica e forse irripetibile, anche se non avevano unità di intenti e se la base del proletariato non era con loro. Il risultato: una dittatura feroce durata 80 anni, un fallimento tragico. Nello stesso anno in Svizzera i bancari scesero in piazza per acquisire i diritti sindacali. In un Paese così piccolo una protesta così mirata – anche se venne soffocata nel sangue – ottenne il risultato richiesto. Ne nacque un Patto Sociale che ancora oggi regge: gli Svizzeri sono dispostissimi a votare contro i propri interessi individuali immanenti se vengono convinti del fatto che un determinato sacrificio, a lungo termine, porterà un beneficio collettivo e duraturo. Con questo non voglio giudicare la Svizzera, che a mio parere è uno dei regimi totalitari più chiusi del Pianeta. Voglio portarvi altrove, con il mio ragionamento. In Italia, dopo la Guerra Mondiale, le dimostrazioni di piazza erano dimostrazioni di forza dei partiti. Una tendenza tutta nostra: centinaia di migliaia di persone che manifestano dicevano al potere che, alla conta elettorale, forse quel gruppo era minoritario, ma il suo impatto, nel momento in cui avesse deciso di mettersi per traverso, sarebbe stato sufficiente per bloccare tutto. Fino al 1976 lo Stato ha reagito sempre in modo sbagliato: sparando sulla folla, uccidendo innocenti, suscitando nella maggioranza silenziosa l’orrore. Il risultato fu il sorpasso elettorale del PCI sulla DC, che non si tradusse in un governo a guida comunista a causa del rapimento di Aldo Moro e della scelta del PSI di eleggere con Bettino Craxi un uomo alla propria guida, che fece dell’alleanza con la DC la base programmatica. L’esecuzione di Moro, la sostituzione della solidarietà nazionale con il preambolo del PAF (l’alleanza interna alla DC di Piccoli, Andreotti e Forlani, che si impegnava a fare governi con il PSI), hanno ammazzato il Movimento. Un moto per il quale la gente scendeva in piazza a dimostrare la propria rabbia, il proprio dissenso, la propria speranza di cambiamento, ma nel quale si sgretolava il principio del Dopoguerra. A scendere in piazza non sono persone che possono bloccare il sistema, ma persone che ne sono fuori. Gli operai non solo decidono a poco a poco di non mettersi accanto agli studenti, ma come accade all’Università di Roma nel 1978, li combattono fisicamente. Le manifestazioni sono quindi, da allora in poi, solo un mezzo per misurare la capacità di “cammellare” da parte di sigle politiche e sindacali – un esercizio sterile e dannoso. Da qui saltiamo al G8 di Genova ed alla manifestazione di Roma dell’autunno scorso. Le cose sono cambiate. La gente è talmente esasperata, furibonda, disperata, scandalizzata, che scende in piazza nuovamente. Cosa accade? Le microorganizzazioni che discendono dagli anni 70 (a sinistra come a destra e al centro) continuano a cercare di gestire la piazza per giustificare la propria esistenza, glissando sul fatto che chi é in piazza non solo non è d’accordo con loro, ma generalmente nemmeno sa cosa vogliano. Ma lo Stato, la Polizia, il potere dell’aristocrazia finanziaria, non solo concedono credibilità a questi gruppuscoli! Li esaltano, li mitizzano. Ed in nome di questo attaccano barbaricamente gruppi di cittadini inermi, inconsapevoli, pacifici, sconvolti. Il risultato? Nessuno scende più in piazza se non per la propria lobby, come i tassinari o gli abitanti della Val di Susa. Perché andare in piazza significa essere strumentalizzati dai micromovimentini e dallo Stato, due forze apparentemente contrapposte ma che inseguono lo stesso risultato: dimostrare per vera quella che oggi è una bugia patetica e pericolosa, ovvero che la dicotomia fra pro ed anticapitalisti sia ferma al 1968. Quindi la gente inizia a suicidarsi. Da gennaio ad oggi c’è almeno un suicidio al giorno, di gente disperata, cui è stato tolto, come diceva Gaber, “il gusto di essere incazzata personalmente”. Da qui bisogna giocoforza partire per trovare un nuovo “che fare”. Opinioni?

3 aprile 2012 – Vi invito a ragionare su due fatti. Il primo. Negli ultimi 20 anni abbiamo creduto che una delle ragioni del fallimento del comunismo come idea politica (non parlo della feroce dittatura bolscevica, quella è fallita per motivi endemici) fosse lo sgretolamento e la scomparsa del proletariato in senso marxista. Ebbene, la presa del potere del potere non-politico della finanza ha risolto questo problema. Oggi esiste un sottoproletariato, specia urbano, di persone che lottano per sopravvivere. Poi esiste un proletariato manufatturiero, che lavora con le mani, che si divide fra autoctoni ed immigrati, ma che si trova al limite della sussistenza e non ha nessun paracadute sociale. A questi due gruppi si aggiunge la quasi totalità della gioventù borghese ed intellettuale, che vive in una precarietà terribile e disperata. A livello di guadagni e di speranze di affermazione, a parte il sottoproletariato, gli altri due gruppi sono più o meno alla pari. Ma i diversi gruppi di “proletari” disprezza i suoi simili appartenenti a coloro che percepisce come concorrenti nella darwinistica lotta per la sopravvivenza. Negli anni 70 gli studenti credettero di avere dietro di se la classe operaia, e si sbagliavano. Oggi, Elsa Fornero, Mario Monti ed i tre partiti di destra reazionaria che li sostengono (il PDL di Alfano, i democristiani di Casini ed il PD di Bersani), stanno creando miracolosamente i presupposti per una ricompattazione del proletariato – che purtroppo, ancora una volta, accade contro una realtà e non a favore di un progetto. Abbandonata la spocchia, fra poco gli studenti capiranno che gli emarginati, in parte, lo sono per scelta, perché si chiamano fuori dallo sgretolamento prooprio della società edonistica. Ed allora saranno magari pronti per menare le mani. Ma dove saremo noi? Noi, che abbiamo barattato la nostra rabbia e le nostre speranze per la promessa del benessere, del posto assicurato e della pensione? Che faremo? Quanti di noi sceglieranno per paura l’orrore della deriva neofascista? Idee in proposito? Seconda questione. Su un tema del marxismo, il plusvalore, sono d’accordo tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra. Se non si crea plusvalore l’economia non cresce. Latouche ci spiega che la fede nella crescita eterna non solo è crollata alla prova dei fatti, ma è pericolosissima e sta distruggendo il pianeta. In quel senso non c’è nessuna differenza fra gli errori di Marx e quelli degli economisti di altre scuole. Oggi siamo al punto in cui persino Malthus deve essere ripensato criticamente ed in positivo. Cosa è cambiato? Il mercato ha già registrato un cambiamento? Ma certo! Da decenni ormai siamo usciti dall’economia del profitto (ditelo a Bersani, che legge ancora le favolette) e siamo passati all’economia di rendita. Microsoft non fà registrare buoni risultati perché vende i migliori computer e software ad un prezzo concorrenziale, anzi. Ha successo perché ha conquistato una posizione paramonopolistica di rendita. Il prezzo non è più legato alla produzione, ai trasporti etc., ma alla posizione di potere nel mercato. Per questo motivo, oggi, l’industria mineraria conta più di ogni altra cosa. Il resto dell’industria non vende più il necessario, ma ciò che ha successo e dà l’impressione di essere una chiave di accesso alla felicità: la Nutella, un’auto figa, creme di bellezza, accessori di moda, una vacanza in un carnaio trendy, una serie di aggeggi elettronici all’ultimo grido, etc. La qualità intrinseca dei prodotti non conta più, nemmeno sappiamo giudicarla, perché il sistema nasconde le informazioni oneste e trasparenti sui prodotti. Anzi, prodotti dannosi alla salute vengono acquistati come necessari per la sopravvivenza, mentre uccidono, e non parlo solo delle sigarette. Quindi la teoria marxista della necessità, da parte del proletariato, di controllare la produzione, non ha più un senso. La dicotomia fra Stato e politica, fra Stato e produzione, non ha più senso. L’aumento generalizzato del benessere contribuisce a disgregare la società, a distruggere il pianeta ed a minare la salute dei cittadini, quindi non si sa se va difeso o no. In questo modo tutte le politiche classiche della sinistra hanno perso significato. Convinti che esista solo una borghesia diffusa e rincretinita, la “sinistra” insegue al centro con una serie di posizioni antidiluviane, inefficienti, apotropaiche più che ideologiche. Che fare allora? Opinioni?

1° aprile 2012 – Ieri sera sono andato a sentire Mira Awad al Teatro Valle. La popstar palestinese è un simbolo di integrazione all’interno della scena culturale israeliana. Nata da genitori bulgari e palestinesi, era stata in Italia per un periodo una decina di anni fa per un periodo (una sua canzone in italiano era veramente sorprendente), poi è divenuta in patria una star, specie dopo aver rappresentato Israele al Grand Prix dell’Eurovisione nel 2009 a Mosca in coppia con la cantante Noa. Ancora una volta funziona il “sistema Teatro Valle”: offrire al pubblico di Roma uno spettacolo di altissimo livello internazionale grazie alla rete di rapporti umani ed artistici. Ed il risultato è stato – a mio parere – straordinario. http://www.youtube.com/watch?v=0cRUEIl3Oqo. Mira Awad è venuta da sola da Gerusalemme, ha provato per una giornata con un batterista ed un chitarrista romano, dopodiché ha dato un concerto che di pop non aveva più nulla, ma piuttosto di un’intensa serata di folk (inteso come complimento), grazie alla quale, dietro la splendida voce dell’artista si sono potute osservare cose che, magari, nella perfezione plastificata del pop, altrimenti sarebbero andate perdute. Innanzi tutto lei, Mira Awad. Riesce ad essere donna sul palco, non sciacquetta. Hai sempre l’esatta impressione di avere di fronte a te un adulto che canta di passione, ma con consapevolezza, non leggendo le parole scritte su un bacio perugina. La canzone in cui lei accompagna lui nella notte, un viaggio che lei vorrebbe non finisse, per poi scoprire che lui andava a trovare un’altra donna, non ha la malinconia patetica che ci si attenderebbe, ma una tensione di affetto, comprensione, accettazione dell’amore al di là degli schemi triti che conosciamo. Anche in Bukra (Domani), che potrebbe essere un’americanata sulle prospettive del futuro (ed in effetti un po’ placativa lo è), si vede un’adesione non patologica ma sincera, tranquilla, senza ghirigori. Mira Awad è sempre artista (e controllata), è sempre presente (ma con distacco), non ti insegue, ma nemmeno pretende di essere inseguita. Calma, serenità, professionalità, grande forza compositiva, pace. La seconda cosa che mi ha colpito è il “saltafosso” riuscito di avere un mix fra melodia occidentale e araba, saldamente ancorata al folk dell’Est europeo, che alla fine risulta essere una miscela originale ed assolutamente sua, compiuta. Per questo Mira Awad convince anche da sola, con un tamburo in mano, senza gridare come una di quelle donne che piangono a pagamento ai funerali altrui, senza sforzarsi come una ragazzina che vuol far credere nel suo amore perduto. Ed alla fine se ne è andata in punta di piedi. Di donne simili ha bisogno il mondo. Di esempi di donne simili ha bisogno l’Italia. Un ultimo appunto sul Teatro Valle. Prima del concerto uno dei ragazzi ha parlato della stanchezza, che a volte li assale. Più che comprensibile. Eppure adesso, se hanno degli artisti internazionali come ieri, il sistema di pubblicizzazione degli eventi deve cambiare, Roma non lo sapeva, ieri, cosa avesse perso. Bisogna trovare il modo di passare ad una pubblicizzazione più professionale, possibilmente senza perdere questa aura di “cosa organizzata con gli amici quasi per caso” che vuole essere il marchio di fabbrica del collettivo. Certo, è unico il fatto che si vada al Valle senza sapere di cosa si tratta e poi restare talmente sorpresi in senso piacevole. Ma magari, sapendolo prima, uno potrebbe portarsi qualche amico in più.

30 marzo 2012 – Che differenza fra noi, i greci e gli spagnoli. In quei Paesi la gente si batte, va in strada, grida la propria rabbia e la propria disperazione. In Italia la gente comincia a suicidarsi. Finalmente la gente comincia a capire che Elsa Fornero e Mario Monti sono due mediocri burocrati bancari, membri di una casta molto più pericolosa di quella dei politici, perché sbaglia, crea disastri, e non paga mai per i propri errori. Ora, in qualità di cosidetti tecnici, questi due personaggi stanno ammazzando il Paese su procura delle banche che lo avevano ferito a morte. Non perché abrogano l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che era comunque una cosa cui mettere mano, ma perché, come tutti coloro che fanno carriera senza avere meriti, fanno pasticci, non guardano al dettaglio, si contraddicono, non capiscono mai le conseguenze dei loro atti, anche perché eseguono ordini altrui, sono solo esecutori. Ma l’onda lunga di Mani Pulite non è ancora finita. Allora facemmo la cosa sbagliata per un motivo giusto. Il risultato, dopo 20 anni di berlusconismo e manipulitismo, è che gli italiani si suicidano, perché credono che combattere non serva a nulla, perché hanno imparato che le dimostrazioni in piazza sono solo un mezzo per rafforzare il potere che si nasconde dietro le banche, dietro il Governo. Viene al pettine il grande nodo. L’Italia non è mai stata uno Stato sovrano, non siamo mai noi a decidere del nostro destino. le stesse forze che uccisero Enrico Mattei hanno adesso di fronte il risultato pieno. Come a Praga, schiacciata dal giogo della burocrazia bolscevica, ora non resta che togliersi la vita, per lasciare un segno. Non sto qui a insultare. La mia generazione ha perso, canta Gaber. La mia, invece, ha creduto di giocare una partita, ma non era vero. Da laico e democratico ho visto disgregarsi tutto ciò in cui credevo, ma non perché fosse sbagliato, ma perché io, noi, l’essere umano non ha avuto la forza, l’onestà, il coraggio, la possibilità di trasformare la fede nella libertà e la democrazia in un fatto vissuto. Non mi importa più dell’Articolo 18 o della legge elettorale. Che non fossimo una democrazia era stato sancito il giorno delle dimissioni forzate di Silvio Berlusconi – perché in politica si vince con le idee ed il voto, non con le spallate peraltro date da altri. Con la responsabilità. Mi importa della pietà che provo per chi si uccide dopo essere stato annientato dalle forze convergenti delle banche, del fisco, dello Sato e della sua mano assassina chiamata Equitalia. Mi importa di un futuro che non c’è, anche perché non siamo in grado di capire il nostro presente e di far quadrare i conti sul nostro passato. Ora importa una sola cosa: Monti deve andare via. Elsa Fornero deve essere ricordata come l’esempio più infimo e crudele di ciò che i nostri nonni chiamavano la lotta di classe: un’arrogante e stupida snob che fà male alla gente per incapacità, pressappochismo, lealtà a forze altre da quelle cui ha giurato di essere fedele: l’Italia ed i suoi abitanti. Se questo Governo non se ne va con le buone, e non se ne va nemmeno con le cattive, ce ne andremo noi. E’ l’unico modo per fare in modo di dare ragione al capitalismo neoliberista che sta ammazzando il pianeta perché il pianeta si ostina a non funzionare come vogliono loro. Come nei malati terminali di cancro, dopo il rifiuto, la collera, la disperazione, ora sta arrivando la rassegnazione, l’accettazione. O forse no. Ma se esplosione sarà, sarà lontano dai teatrini che inscenano l’opposizione mediatica e parapolitica. Niente Grillo, niente Santoro, niente Sabina Guzzanti. No no, altrove. Come da una pentola a pressione. Devo solo capire dove. avessi studiato un po’ più di fisica…

27 marzo 2012 – Se guardando uno dei film di Carlo Verdone avete avuto l’impressione che, dietro le sue divertenti caratterizzazioni ci fosse anche un artista amaro, un uomo pieno di sentimenti e cose “vere” da raccontare, non leggete “La casa sopra i portici”, pubblicizzatissimo libro del penoso “comico” Fabio Maiello (http://www.dailymotion.com/video/x684du_comicomix-hello-fabio-maiello_news) su alcune note melense ed autoincensatorie di Verdone. Con questo volume di quasi 300 pagine a 18 Euri della Bompiani ci ritroviamo in mano circa 120 pagine effettive di testo corpo 16, corredate da alcune foto (quelle si interessanti) della famiglia Verdone, nelle quali Verdone/Maiello ci annunciano che questo sarà “il film più difficile della vita” di Carlo. Ebbene, il tentativo di autocelebrarsi come il vero successore di Alberto Sordi eleggendo la propria casa a simbolo metafisico di qualcosa che si dovrebbe intuire ma sarebbe proibito vedere (c’è anche un capitolo sul mistero di casa Sordi), fallisce nell’eccessivo autocompiacimento, nascosto male da un’umiltà finta e previtocciola, che ci indica un vezzo tutto romano per uno sciovinismo d’altri tempi. Verdone celebra per tutto il libro le proprie conquiste con le turiste straniere, quelle proprie e dei maschi della sua famiglia per le servette in casa, poi lascia scrivere a sua moglie l’unico capitolo interessante, quello in cui si capisce che le donne di casa Verdone hanno accettato da subito un ruolo subalterno, da vetuste guardiane del focolare. Al posto delle sorelle Sordi ci sono le Tate, la mamma morta molto presto, la moglie, la sorella Silvia (che sposa Christian De Sica dopo una corte un po’ rocambolesca). Da ridere c’è pochissimo, anche se lo sforzo è immane per cercare di ottenere o un ghigno o una lacrima. Ma non si può tenere il piede sull’acceleratore per 120 pagine, scritte da una penna meno che mediocre, cercando di non offendere nessuno, gloriandosi degli amici di famiglia, e poi sperare che qualcuno lo trovi divertente. Ho comprato il libro perché Fazio lo aveva celebrato in lungo e in largo. Ben mi sta. Con quei 18 Euro avrei potuto comprare due volumi di Parri o Parise sulle bancarelle dell’usato, dato che è lì che vengono relegate, ed avere invece di due ore di rabbia repressa un paio di giornate di belle letture.

25 marzo 2012 – Esco fuori per fare una passeggiata. La gente mi guarda e temo di essere vestito in modo strano. Poi mi accorgo che sono l’unico essere umano che va in giro a piedi da solo, gli altri sono tutti in gruppetti. Dato che è troppo tardi per il filobus 25 che mi riporterebbe a casa e dato che non ci sono taxi in vista, cammino fino alla piazza dell’Opera, che lì almeno lo so dove sono i taxi. Arrivato all’angolo della grande piazza, di fronte ad un McDonald grande come un cinema multisala, c’è un gruppo di ragazzini francesi che dà fastidio a due ragazze locali, che gridano. Vorrei passare accanto senza essere notato, ma la ragazza mi viene incontro, mi tiora per la manica e mi dice cose che non capisco. Io dico ai francesi (che almeno sta lingua la parlo) di lasciarla in pace e che vanno a cercarsi delle rogne. Loro mi si fanno incontro con cipiglio fiero, ma in quel momento un gruppo di skinhead arriva urlando come se fossimo al giorno del Giudizio Universale e vanno addosso ai francesi, che scappano a gambe levate. Intorno a noi tre auto della Polizia, che non fà NULLA. La ragazzina continua a dirmi freneticamente qualcosa, io le rispondo in inglese che non parlo né il lettone né il russo, lei piange disperata. In quel momento tornano gli skinhead. La ragazzina smette di piangere, li conosce. Uno di questi mi dà una botta sulla spalla e mi chiama: Demis Roussos! faccio finta di ridere, preoccupato. In due mi circondano e mi spingono in direzione della città vecchia, arriva tutta la marmaglia, le ragazzine sono con noi, anche loro visibilmente preoccupate. “Parlaci della Grecia, Demis”, ma io non sono greco, sono italiano, “Ah Italianski”, ma non c’è verso, sono Demis Roussos. Gridano spingono, si danno botte l’un con l’altro tidendo, cadono a terra, tutti puzzano di un alcool che non conosco, sembra bitume misto a Chanel, una profondità di fetore sconosciuto, che nmei prossimi minuti imparerò risultare dal mischiare alcool con il Red Bull. Orribile. Ho passato un’ora almeno di puro terrore, finché la ragazzina non è riuscita a convincerli che io l’avevo salvata dai francesi e che lei mi amava follemente. Non vi dico come, è stata paura pura per tutti. Alla fine hanno deciso che grazie alla mia grande prova di coraggio io e lei avevamo il diritto di andarcene insieme. Fuori dal locale ci sono una dozzina di taxi. Faccio per entrare nel primo, uno skinhead grida NIET, mi accompagnano da un altro e mi dicono: Taxi in Riga, very dangerous, pay attention! Come se loro fossero rassicuranti… Veniamo infilati dentro il taxi, che parte sparando a palla Nazareth e scuotendo la zazzera. Ci portano al mio hotel, che oramai so abbastanza di lettone per farmi portare laggiù. Di fronte all’albergo, fuori dal centro, c’è solo vento e neve (è il primo giorno di primavera, no?). Chiamo un nuovo taxi per la ragazzina, che mi ringrazia con un inchino. Scopro di avere due lividi, uno su un fianco ed uno al collo, dove la simpatica e sfrontata allegria degli skinhead ha vissuto un attimo di prorompente fratellanza fra i popoli. Questo dunque è il futuro che ci attende dopo la cura del governo Monti, penso. Medioevo prossimo venturo, direbbe Roberto Vacca. Voglio tornare a casa nel mio bel solare 1977.

25 marzo 2012 – Sera di ordinaria follia a Riga. Dapprima in un Blues Club molto carino, band locale con un suonatore di armonica a bocca fenomenale, un bassista mitologico che sembra Roger Waters da piccolo, un tastierista che invece è la fotocopia di Alan Price (The Animals), un batterista 16enne stravolto e un chitarrista sexy e angelico che le signore quasi me te lo mangiavano a mozzichi. La gente siede tutta in fondo al locale, dove non si respira per la calca, io invece sto davanti, quasi da solo. Quasi, perché accanto a me stanno un tizio con la faccia da assassino e la sua compagna (un noto boss mafioso e la moglie) che vengono serviti non dalla cameriera, ma dal padrone. Bella serata, chiacchierette simpatiche (come direbbe Marta) dopo il concerto. http://www.bluesclub.lv/eng/ Andateci, se siete a Riga, è davvero carino. Dopo mezz’ora il locale si scalda. C’è un gruppo di 40enni finlandesi, giunti con il traghetto per ubriacarsi a prezzi bassi (l’alcool in Finlandia costa tantissimo) e per dare fastidio alle ragazze. Ci sono scene da film. Uno che da noi la movida lo ammucchierebbe in un angolo con un carico di scappellotti per il resto della sua vita abbranca una 40enne alticcia locale di fronte all’esterrefatto marito, facendo finta di ballare le mette le mani così dapertutto che lei comincia a gemere. Il marito s’incazza ma, invece di risolvere la questione personalmente, va a prendere il padrone del locale, che però parteggia per la donna, che grida al marito qualcosa che non capisco, ma che lascia capire come lei anche nel matrimonio avrebbe piacere ad essere trattata così, di tanto in tanto. A questo punto il finlandese adocchia la donna del mafioso, che guarda a terra, serissima. Il mafioso si alza e gli dice qualcosa all’orecchio. Il finlandese esce dal locale di corsa, quasi scappando. Un minuto dopo la coppia in crisi vive la prossima catastrofe. Un nuovo finlandese ubriaco, visti i risultati positivi del suo predecessore, va alla carica, e rimedia pure un bacio. Il marito trascina la moglie fuori dal locale, i finlandesi (ce ne erano altri dietro) si lamentano, i miei accompagnatori locali sono fuori di se dalla rabbia per questa piaga dei finlandesi ubriachi, che sono un po’ i rumeni della Lettonia, scopro…

24 marzo 2012 – Con un po’ più di calma cerco di spiegare meglio la mia repulsione per il ruolo del PD nell’attuale contingenza politica. Per fare questo uso 100 secondi di presa di posizione di Bersani relativa alle trattative sull’articolo 18. Bersani conclude dicendo: “Se si arriva alle strette, noi stiamo dalla parte dei lavoratori”. Facciamo finta di credergli. Si badi bene: il fatto che lo Statuto dei Lavoratori andasse completamente riformato non lo metto in discussione, anzi. Sta di fatto che i “lavoratori”, la classe operaia, il proletariato, il Terzo Ceto, non sono più ciò che erano 100 anni fa, e comunque non sono più la stragrande maggioranza della popolazione. Oggi l’industria costituisce il 19,7% del prodotto interno lordo, mentre il 23,6% viene prodotto dal turismo e dal commercio, il 48,9% dal settore finanziario e terziario. Per quanto riguarda gli occupati, questi al dicembre 2011 (dati ISTAT) erano 22,9 milioni di persone (su una popolazione di 60,9 milioni ufficiale + circa 0,7 milioni di abitanti “irregolari”. Il totale dei lavoratori nell’industria è di 4,6 milioni, quello dei dipendenti dello Stato, del parastato e dei servizi garantiti dallo Stato è di 15,6 milioni di cittadini. I primi concorrono alla creazione di ricchezza, gli ultimi la distruggono. I precari vengono valutati dall’ISTAT in 5,6 milioni, i lavoratori in nero in 4,7 milioni di cittadini. Il PD di Bersani, quindi, si candida a rappresentare circa il 6% di popolazione di proletariato classico più una parte di quel 25% di dipendenti statali che – apparentemente – hanno il sedere al caldo. Dico apparentemente, perché in quella cifra vengono conteggiati anche servizi parastatali (circa 8,1 milioni di lavoratori), che di regola non percepiscono lo stipendio perché lo Stato paga con non meno di due anni di ritardo. Ammettiamo quindi che Bersani voglia difendere 12 milioni di italiani contro gli interessi legittimi degli altri 39 milioni. L’unico risultato da lui acquisito é quello di aver difeso i diritti acquisiti di quella parte di questi lavoratori che comunque non viene mai licenziata, non è sottoposta a pressione sulla prestazione, ha una pensione sicura (gli altri non più), ha tuttora accesso al credito bancario (come unica categoria) e distrugge ricchezza invece di produrne. Gli altri vadano in malora. E’ questa una forza di sinistra? E la direzione generale? Bersani dice: Il modello tedesco, un modello protezionistico e superburocratico, creato dalla destra sociale germanica, grazie al fatto che la liberalizzazione delle pastoie giuridiche sulla corruzione, la depenalizzazzione di molti comportamenti che in Italia sarebbero illegali e la cancellazione dell’indipendenza della magistratura (che viene nominata dai partiti e non deve sottostare all’obbligatorietà dell’azione penale come in Italia). Ma lo sa Bersani tutto questo? Lo sanno gli italiani cosa succede ai disoccupati in Germania? Lui dice: se diciamo (non facciamo, diciamo) che andiamo verso il modello tedesco nessuno può rimproverarci nulla, né le banche né i partner dell’Unione. Bersani, ma chi ti deve eleggere? Gli stessi che hanno nominato Mario Monti? Ma non sarà che quelli si fideranno più di Mario Monti, che sa perché sta distruggendo l’Italia, piuttosto che di te, che non sai nemmeno cosa stai dicendo? Ma la cosa fondamentale è: esiste ancora una democrazia quando il governon non è stato eletto dal popolo e l’unica forza di opposizione numericamente rilevante ammette di battersi solo per i diritti acquisiti di una minuscola élite contro gli interessi generali del Paese? Cosa diavolo possiamo fare? Se non mi credete, ecco l’intervista: http://www.youtube.com/watch?v=EcevY6Qe24s

23 marzo 2012 – L’Opera di Riga è bellissima, un miscuglio stupendo di funzionalità burocratica bolscevica anni 70 (che fa tanto Germania Est), di Vienna della grandezza imperiale, con un palcoscenico immenso ed un’acustica perfetta. Intorno il mondo crolla e sono disperato. Così sono andato a vedere la mia opera preferita, l’Eugenio Oneghin di Piotr Cajkowskij, cho ho scoperto grazie a Barbara. Ero in platea, a 20 metri dalla scena, incastonata in bellissime e tristi foto di boschi scendinavi d’autunno alte 20 metri ed un palco sul palco, un letto immenso coperto di piumoni e cuscini bianchi, su cui Tatyana e Olga cantano della loro ingenuità adolescenziale, la prima preda dell’ideale d’amore e intollerante della morale, l’altra piena di allegra voglia di vivere e formalismo. Olga è promessa a Lensky, con cui è cresciuta insieme. Lui è poeta formale, il simbolo della noia e della prosopopea, ma è amico di Oneghin, un giovane ricco ed annoiato da se stesso. Tatyana si innamora di lui a prima vista. Oneghin, annoiato, le fa una predica sulla necessità di non provare nulla se non distacco e freddezza. Poi al ballo danza tutta la sera con Olga, facendo impazzire Lensky, che si accorge della fatuità della ragazza ma soprattutto del fatto che i sentimenti da lui dipinti sono fasulli. Lensky sfida a duello l’amico Oneghin e si fa ammazzare, ammazzando così ciò che resta del cuore di Oneghin. La scena dei suoi incubi è indimenticabile – i colori, le immagini, i movimenti. Il livello professionale dei cantanti russi non è nemmeno lontanamente paragonabile alle mezze calzette che si vedono in Italia. Non solo cantano meglio, ma con più passione, e recitano anche con scioltezza, naturalezza, credibilità. Dopo anni di girovagare annoiato, Oneghin arriva a San Pietroburgo e ritrova un’algida Tatyana sposata ad un suo vecchio amico (una parte di basso con una romanza memorabile, applaudita a scena aperta per oltre cinque minuti). Oneghin, ora che non può avere né se stesso né Tatyana, impazzisce per lei. Tatyana ammette di amarlo ancora, ma lo sfugge. L’amore perde. Come nella vita, gli unici matrimoni che sembrano resistere sono quelli della reciproca convenienza e rispetto (o dovrei dire rinuncia alla conoscenza dell’altro?) in cui le passioni, proibite e frustrate, vengono veicolate nel nascosto di un mondo oscuro e parallelo. Povero Piotr, così moderno e così solo, vittima nella vita come e peggio dei suoi doppi Lensky ed Oneghin. A chi mi ha insegnato ad amare questa profondità e questa musica, grazie. Per sempre, per sempre, per sempre.

23 marzo 2012 – Ci ho messo 12 ore per capire cosa abbia fatto Elsa Fornero con la correità di Pierluigi Bersani, Angelino Alfano e Pierferdinando Casini. Ci ho messo 12 ore per studiare la svolta nel piano studiato e portato avanti dalle banche per mezzo di Mario Monti. Siamo serviti. La democrazia italiana e la sovranità del nostro Stato, che erano state abrogate all’inizio di novembre, sono state sigillate ieri sera. Stiamo come la Grecia. Hanno vinto le banche, che per 40 anni hanno truffato l’economia mondiale, portando a casa la più grande bancarotta della storia universale, facendosela pagare dai cittadini del mondo, per ricominciare la stessa spirale che porta ad un solo risultato possibile: una bancarotta ancora più grande prima del 2020. Ieri è stata posta una pietra sul capitalismo industriale, che in Italia aveva cercato disperatamente di affermarsi nonostante la corruzione, l’arretratezza, l’assenza di materie prime. Molto di più. Un governo mai eletto democraticamente, espressione degli interessi privati di alcuni banchieri, ha convinto maggioranza ed opposizione (Bersani, mi fai schifo e pietà, non c’è altro modo per definire il PD oramai: fate schifo, schifo, schifo, schifo, schifo) a votare contro gli interessi del popolo, sancendo una cosa contro cui insieme a tanta gente mi sono battuto per anni: lo Stato siamo noi, non è la nostra controparte. Ieri Fornero e Monti hanno sancito il contrario. Lo Stato, che è stato privatizzato in mano alle banche e non viene più eletto democraticamente, ha ammesso che lo Stato possa chiedere ad ogni cittadino (con la violenza della Polizia) fino all’80% di quanto lo Stato presume che possa guadagnare, togliendogli ogni diritto a protestare, e per giunta sancendo il fatto che lo Stato, quando è creditore, non solo non paga, ma acuisce l’arma di equitalia, che elimina il debito dello Stato uccidendo il creditore. L’abrogazione dell’Art. 18, che serviva a rendere possibile il licenziamento dei pesi morti (quindi di almeno il 50% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione) si applica a tutti tranne che… ai dipendenti della Pubblica Amministrazione. In questo modo si sancisce la legge medievale che il valvassino nomina dei burocrati che sono “ex legibus solutus”, la corruzione viene non solo accettata e promossa, viene stabilita per legge come l’unica forma di possibile retribuzione in un Paese in cui da ieri E’ UFFICIALMENTE PROIBITO costruire plusvalore. Le banche ieri hanno ammazzato l’Italia. Il PD ha appoggiato questo assassinio. Noi abbiamo poche alternative: lasciare il Paese, morire con le armi in mano (magari ammazzando qualche burocrate, specie di Equitalia), suicidarci, uscire dal sistema. Dato che non saremo mai in grado di pagare le tasse che ci chiedono, dobbiamo sparire dalle statistiche. Rinunciare al sogno sciocco della pensione. Chiudere baracca e burattini. Tornare alla Borsa Nera e lavorare per il Crimine Organizzato, che oramai è l’unica forza che garantisce lavoro, che assicura leggi chiare e garantite dalla Forza, che produce ricchezza, che non mente sui propri scopi. Ergo, Silvio, è il tuo momento. Ancora sei mesi e ti acclameremo dittatore, perché sei meno peggio del fascismo totale e disumano impersonato dal Governo Monti ed i suoi lacché, PD in testa. Bersani, che il Tuo nome, come quello di D’Alema, Veltroni, Franceschini e tutti i correi di questa tragedia, sia maledetto per sempre. Che le famiglie, colpite da omonimia, come nel caso di Hitler si facciano cambiare il nome. Ho vissuto considerando la socialdemocrazia il simbolo della corruzione intellettuale dell’uomo, ma mai avrei pensato di essere vivo il giorno in cui un tale disastro sarebbe avvenuto.

22 marzo 2012 – Se non l’avete ancora fatto, leggete “Vivere alla fine dei tempi” di Slavoj Zizek. Se vi fanno paura le 600 pagine di testo, leggete le 15 pagine di introduzione. Basteranno per cambiare il vostro atteggiamento sulla vita, sulla politica, sulla storia. In questi ultimi 40 anni ho letto di tutto: filosofi, politici, storici, criminali finanziari, psicanalisti, giornalisti, romanzieri. Ho sempre creduto in un ideale vago che riuscivo a definire solo per negazione, partendo da un ideale marxista: solo quando tu fai orrore a te stesso capisci quanto sia importante cambiare il mondo e sei pronto a farlo. Io ho sempre fatto orrore a me stesso, ma i miei tentativi di cambiare le cose sono sempre stati frustrati dai miei limiti personali e dalla mia solitudine. Ora però ho letto questo libro, che semplicemente mi spiega perché ero destinato a fallire: in senso politico, in senso storico, in senso economico, ma soprattutto in senso psicologico, sociale ed affettivo. In questo momento sono così travolto dalla pienezza di queste pagine da non essere in grado di riassumerle. Se avete tempo, ve ne prego, leggete quelle 15 pagine. Leggetele, senza dirlo a nessuno. Solo per voi. Non alla ricerca di una nuova fede, perché non la troverete, ma alla scoperta di un altro essere umano che, scoperto il proprio orrore, sta cercando di capirlo senza scaricare le proprie responsabilità su Dio, sugli altri, sulla casta, sui Comunisti, su Berlusconi. Adoro la citazione di Mao che idealmente lo apre e rovescia il mio leopardismo e gaberismo d’annata: “Grande disordine sotto il cielo: la situazione è eccellente”. Se non volete leggerlo per voi, fatelo per me.

20 marzo 2012 – Grandioso. La JP Morgan, una delle banche maggiori responsabili della crisi finanziaria globale, ha chiuso un conto del Vaticano perché aveva dei sospetti sulle transazioni che vi avvenivano. E’ un po’ come se Totò Riina proibisse a Marcello Dell’Utri di uscire la sera ad Arcore perché teme che abbia amicizie poco raccomandabili…

19 marzo 2012 – Una passeggiata nella notte di un posto così straniero da sembrare parte di un film. Non capisco nulla di ciò che la gente dice, un’esperienza davvero nuova per me. Le mie quattro frasi di russo servono solo per far loro capire che non sono né pericoloso né la cena che aspettavano. Mi guardano con una brutalità sorda ed in qualche modo stanca. L’idea di poter passare le sere libere di una vita in uno di questi bar va al di là di ogni incubo finlandese. La polvere di metallo è ovunque, negli occhi e nel naso, come l’odore di copertone bruciato con cui viene scaldata la stanza. Il mio appuntamento è in mimetica, sembra proprio un film. Il suo inglese è paragonabile al klingone parlato da un mongolo ubriaco per il mal di denti. Per fortuna chi lo comanda ha mandato appunti scritti. Ho sempre creduto che in un momento come questo avrei udito in sottofondo la colonna sonora ultraterrena dell’avventura. Ho mal di fegato, il cibo qui è terribile e senza alternative, la testa mi scoppia. Per fortuna non devo far finta di nulla. Qui siamo tutti relitti e nessuno finge di essere qualcosa d’altro. Entra una donna nel bar. Silenzio. Impossibile capire quanti anni abbia. Il resto del bar sembra come offeso da una profanazione. Lei mi guarda e mi dice qualcosa di apparentemente orribile. Non so nemmeno che espressione io possa avere. Mi fa un gestaccio ed esce con una bottiglia scura in mano. Tutti riprendono ad essere aggressivamente lugubri, mi sento quasi comodo. Fà freddo come nello Stige e sudo per la polvere di metallo che mi chiude la gola. Io ed il mio ospite tacciamo alcuni minuti, poi lui se ne va. Pago ed esco, la mia auto è ancora qui e parte. Mio Dio, aiutaci tutti, questo Pianeta sta morendo…

18 marzo 2012 – Un viaggio incredibile. Nebbia impenetrabile, centinaia di chilometri nei boschi, nessuna luce, nessun villaggio, nessun distributore di benzina. Una notte senza cielo, senza stelle, senza uomini, fuori dalla civiltà, chilometri e chilometri, ore ed ore, i segnali, come in tutte le zone militari, riportano cifre in codice ma non indicano né la direzione né quanti chilometri manchino. La nebbia diventa pioggia ma non si scioglie, diventa melassa gelida. Vengo guidato al telefono, alcuni errori, altri chilometri nel nulla, ma la percezione certissima del fatto che il Polo Nord si stia pericolosamente avvicinando. In città ubriachi ovunque – compresi i tassinari, unici uomini a cavallo, il resto è crollato a terra, tenta una bicicletta disperata e desolante, barcolla sulla strada coperta di ghiaccio e vomito. Benvenuto, Paolo!!!

12 marzo 2012 – Se non mi sbaglio, questa settimana, 55 anni fa, nasceva Cantacronache, la band di Torino senza la quale nulla, nella musica popolare italiana, sarebbe stato lo stesso. Tutti coloro che hanno dato un senso al mondo da cui vengo nascono e crescono con loro, da coloro che scrivevano i loro testi (Dario Fo, Italo Calvino, Pierpaolo Pasolini, Umberto Eco) a coloro che hanno imparato a scrivere testi partendo da loro: Giorgio Gaber, Enzo Iannacci, I Gufi di Otello Profazio, Francesco Guccini, Sergio Endrigo, Fabrizio De André, tutta ciò che ha dato un’emozione ed una passione alla mia vita pubblica e marchiato la solitudine della mia vita privata nasce da lì. Li ringrazio di cuore. Michele Straniero e Sergio Liberovici non ci sono più, ma Margot Galante Garrone e Fausto Amodei continuano. Chi li conosce, sa ancora da dove veniamo e, forse, nel piccolo del suo cuore, anche dove stiamo andando

10 marzo 2012 – Nel frattempo, nell’ora trascorsa dal mio post sul Processo Dell’Utri, due amici, iscritti al PD, mi hanno chiamato urlando. I giudici avrebbero fatto il gioco del PDL ed il tribunale che ha deciso è stato messo in mano al sodale del giudice Carnevale, quello famoso da oltre un quarto di secolo per aggiustare le sentenze contro i leader del crimine organizzato. Lo sapevo, ci risiamo con le minchiate dei tifosi. Il Partito Democratico dimostra ancora una volta di essere sodale sostanziale del PDL e di Berlusconi, continuando ancora oggi ad attaccare il PDL sul campo giudiziario. Il fatto che Marcello Dell’Utri, durante tutta la sua vita, abbia frequentato dei mafiosi, è un fatto assodato, non lo discute nessuno. Qui si discute sulla questione se ciò sia reato o meno, e lo si decide in base alle leggi. Le leggi le fà il Parlamento. Se queste leggi lasciano una discrezionalità immensa a causa della loro nebulosità, questo non è colpa dei mafiosi – semmai merito, visto dal loro punto di vista. LA COLPA DELLO STATO DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA E’ SOLO E SOLAMENTE DELLA POLITICA. Il partito democratico (Ulivo, Asinello, Partito Comunista) è stato ripetutamente al Governo dal 1990 ad oggi ma non ha cambiato una sola legge di quelle fatte approvare dai governi di centro-destra. Quindi vuol dire che quelle leggi le sostiene! Il Manipulitismo ha creduto che laddove non arrivava la capacità di fare politica arrivassero le sentenze. Visto che la sinistra non ha la compattezza né le idee né gli uomini per governare con il consenso dell’elettorato, si è sperato che la magistratura capovolgesse i risultati elettorali. Il risultato è che la gente è schifata e spaventata da tutto: da una giustizia che è come una roulette russa, da una politica che decide solo per distribuire mazzette e copre la finanza che deruba la gente, da un connubio incomprensibile in cui naviga di tutto: preti, prostitute, medici, tassinari, senatori, avvocati, giudici, calciatori, camorristi, giornalisti, cantanti, attori, notai, ciclisti – tutti ladri, tutti orribili, penosi, spaventosi, disgustosi. Non c’è più differenza, tutto si confonde. Ma intanto la vera notizia del giorno è un’altra. Stanotte altri due piccoli imprenditori italiani si sono suicidati perché non riuscivano a pagare i propri debiti. E non riuscivano a pagare i propri debiti perché hanno dei crediti nei confronti dello Stato che non paga da due anni e le banche che li hanno strozzati e li hanno obbligati a chiudere. Mentre noi litighiamo su Dell’Utri e sui calci di rigore alla Juventus, la parte sana del Paese si toglie la vita, così come facevano gli ebrei in Germania dopo la Kristallnacht, quando avevano capito che per loro non c’era scampo, non c’era limite all’umiliazione, alla sofferenza, alla paura. E qui, compagni (compagni?) del PD, la differenza di responsabilità fra voi, i servi di Bossi e La Russa, i complici di Berlusconi ed i Parlamentari estratti a sorte tra gli scemi del villaggio dell’IDV, la differenza non la vedo, perché non c’è. Colpevoli, colpevoli, colpevoli: di fronte alla ragione, di fronte alla storia. Infatti il procuratore che rappresentava l’accusa (non la difesa!) contro Marcello Dell’Utri ha ripetutamente detto che il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato che non esiste e per il quale non è possible (né giusto) punire nessuno. Quello che i tifosi non capiscono è che ora noi non sapremo mai se Dell’Utri fosse colpevole o no – e nel dubbio è giusto che vada libero. Nonostante le agghiaccianti intercettazioni telefoniche. Perché la dichiarazione di un pazzo (il figlio di Ciancimino) e di alcuni comprovati assassini, senza ulteriori prove, non può bastare a condannare nessuno. Siamo all’assurdo. Hanno provato che Dell’Utri frequentava i mafiosi ed in 35mila pagine di atti non c’è nessuno che si ponga la domanda: ma perché li frequentava? Ne traeva giovamento economico? Li proteggeva in qualche modo? Ne era protetto? Sapeva che fossero mafiosi? Poteva non frequentarli, visto dove viveva? Io temo che Dell’Utri fosse colpevole, lo temo, ma negli atti di 20 anni di investigazioni non c’è nulla che lo provi. Il che vuol dire che i magistrati ed i poliziotti che hanno lavorato 20 anni su di lui (l’intera carriera!) sono degli inetti, inetti, inetti. E se lo dico troppo forte va a finire che in prigione ci finisco io.

10 marzo 2012 – La decisione sull’annullamento del Processo Dell’Utri mi riempie una volta di più di sconforto. In un momento del genere è difficile mantenere la mente fredda. Quest’uomo viene processato per fatti che sarebbero avvenuti a cavallo fra gli anni 80 e 90, oggi siamo nel 2012. Ricominciando il procedimento, per bene che vada si avrà una sentenza nel 2015, ovvero 25 anni dopo, 25 anni di inchieste e processi. Naturalmente non so se Marcello Dell’Utri sia innocente o colpevole, anzi: sono fermamente convinto del fatto che non lo sapremo mai, perché da oltre 35 anni (gli anni in cui mi sono interessato di queste cose) le sentenze dei tribunali italiani sono come un gioco a dadi, può andarti bene o male, ma è sempre del tutto causale e non c’è quasi mai attinenza fra il giudizio e la realtà. Non facciamo i furbetti, però. Naturalmente Dell’Utri ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per ritardare il giudizio e volgerlo a suo favore, potendo contare su un governo Berlusconi che in corso d’opera ha cambiato le leggi per proteggere se stesso ed i propri accoliti, ma che i governi Prodi e D’Alema non hanno abrogato – anzi usano anche loro, come nel caso Unipol o nel caso Lusi. Quindi non buttiamola in caciara con le Toghe Rosse e l’influenza sotterranea del Nano e/o del Gobbo. Qui siamo di fronte ad un altro problema. I magistrati italiani, molti, moltissimi, la stragrande maggioranza, non sa fare il proprio mestiere. Più volte, per motivi professionali, mi trovo a lavorare con richieste di rinvio a giudizio, ordini d’arresto o sentenze inglesi, tedesche, svizzere, francesi, olandesi, persino russe. Si capisce tutto in 25 pagine, anche i casi più complessi. Viene tutto spiegato in modo estremamente schematico. Asserzione, prova. Asserzione, prova. Asserzione, prova. Conclusione. In Italia si preparano documenti di oltre 2500 pagine nelle quali non si capisce nulla, si vede solo che c’è una grande densità di schifezze, ma non c’è nessuna frase risolutiva. Tranne in casi eccezionali, come nel Maxiprocesso di Falcone, nei processi di Piscitelli a Napoli, Mapelli a Monza, (ai suoi tempi) Dall’Osso a Milano, Saraceni e Galasso a Roma, pochissimi altri. Quando in Italia leggi un documento scritto da un magistrato, alla fine devi compiere un atto di fede o fare una controinchiesta. A me non pare fondamentale compiere una riforma dei processi. Mi pare sufficiente cacciare via tutti e ricominciare da capo, facendo come si fà nel mondo germanofono. A scuola bisogna dimostrare di parlare e scrivere in italiano (molti magistrati e funzionari di polizia che redigono atti processuali sono al limite dell’analfabetismo), poi bisogna insegnare loro come si scrive una richiesta di rinvio a giudizio, una richiesta d’arresto, una sentenza etc etc. Chi non è capace faccia altro. Il crollo della giustizia è un peso insostenibile non solo per la democrazia, ma per il funzionamento dell’economia. Chi investe in Italia sa che qui può succedere veramente di tutto, e che un procedimento, per incapacità degli addetti, passi 25 anni nel tritacarne dei Tribunali prima di sputare una polpetta che, prima ancora che avvelenata, é andata a male. Se fossimo un paese civile, stamattina, con tante scuse, Marcello Dell’Utri, sia che si tratti di un mafioso, sia che si tratti di un innocente, andrebbe liberato di ogni accusa e con tante scuse. I magistrati che hanno compiuto questo casino andrebbero licenziati. Persino nel mondo bacato del calcio nessuno li farebbe più scendere in campo: procuratori, responsabili delle indagini, giudici. Tutti a casa.

7 marzo 2012 – Il 28 aprile, a Roma, 34 blogger hanno indetto una giornata dedicata a coloro che preferiscono la bicicletta alle auto. Da tutta Italia erano attese alcune migliaia di persone in bicicletta che avrebbero percorso Via dei Fori Imperiali (in un giorno in cui quella strada è comunque chiusa al traffico) per chiedere piste ciclabili nelle cittá italiane. Questa manifestazione è stata proibita dalla Questura senza alcuna spiegazione. Dopo aver letto la notizia mi sono premurato di fare una telefonata per capire se la cosa fosse davvero possibile. Mi è stato risposto che Roma ne ha abbastanza di NO TAV ed altri estremisti che spaccano tutto. Il Sindaco Alemanno ed i suoi accoliti dimostrano una volta di più che dal punto di vista del picchiatore fascista (Alemanno, appunto), qualunque manifestazione del pensiero vada repressa ancora prima che il pensiero possa estendersi ad altri cittadini. Sono uno che guida l’auto, certamente non un terroriste e nemmeno un fondamentalista della bici. Ma ho vissuto in paesi civili come la Germania e l’Olanda e conosco la differenza che c’è fra un traffico che preveda le bici ed il caos violento di Roma. Non pretendo nemmeno che Alemanno, noto millantatore di gesta atletiche mai compiute, capisca ciò di cui si parla. Ma permettere la manifestazione fascista del 3 marzo lo stesso giorno in cui sfilano i NO TAV e poi proibire a cinquemila ciclisti in mutande colorate di sfilare per Via dei Fori Imperiali è l’ennesima prova del fatto che per il Comune di Roma va bene tutto ciò che serve ad uno scontro in cui fare bella figura con un intervento violento, il resto va proibito. La volgarità di Roma, ancora una volta, fà scuola.

3 marzo 2012 – Una delle cose belle di Roma. In Taxi tornando a casa. Su Via Nazionale una signora attraversa la strada in perfetta diagonale, fuori dalle striscie, bloccando il traffico e telefonando concitatamente. Il mio tassinaro si ferma, apre il finestrino e le grida: “A Coticona! Guarda che ssei un pedone, mica n’arfiere!” Quella si gira e risponde: “A Moro! Non ci ho la lancia ma ci ho l’ombrello, si tte metti a pecora er servizietto te lo faccio lo stesso!”

2 marzo 2012 – Per anni ho creduto che il meglio dovesse ancora venire, che bisognasse lottare per meritarlo. Ad ogni sconfitta, ogni dolore, ogni perdita, ho pensato di non aver lottato abbastanza, di non meritare affetto. Oggi ho imparato che avevo sbagliato per inesperienza. Tutto era già qui all’inizio, senza che me ne accorgessi. Me ne sono accorto solo perdendolo, una briciola dopo l’altra. Cresce la rabbia, ma fortunatamente, dato che apparentemente sono baciato dalla Dea bendata (sono caduto nel suo pentolone da piccolo?), invece di essere amareggiato crescono l’entusiasmo e l’empatia. “Adesso che son grande e sono pronto ad iniziare la mia vita, l’angoscia mi attanaglia per paura che l’arbitro fischi la fine della mia partita”, ho scritto quasi due anni fa. Stasera, dopo due giornate terribili e che spero di dimenticare presto, posso riaffermare con allegra malinconia: non mi importa nulla, se il bicchiere è mezzo pieno o è mezzo vuoto. Io ho ancora un bicchiere, una gioia da festeggiare.

1° marzo 2012 – Quando se ne sono andati, uno alla volta, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Giorgio Gaber, Vittorio Gassman e Nino Manfredi, la generazione di mio padre ha capito che la vecchiaia era arrivata e con essa cominciavano a salutare gli amici più cari e più intimi. Con Lucio Dalla inizia una nuova generazione che saluta, quella che aveva caratterizzato gli anni 60 e 70. Ma non è questo il motivo della reazione incredibile, immensa, che la morte di Lucio Dalla ha suscitato. Con Dalla muore un artista che era ancora molto presente in TV e quindi trasversale a diverse generazioni. Questo è un segnale che va colto da chi si occupa di cultura. Mentre scrivo Bruno Vespa fà una trasmissione oscena sul musicista bolognese. Tanta gente piange, anche ragazzini. Certo, Dalla canta cose più semplici di Gaber. Tutti ricordano Caruso e pochi conoscono Nuvolari. La destra omette la sua omosessualità, lo ingloba come figlio del nord, addirittura. Personalmente vedo, più che Dalla, il fatto che artisti credibili ce ne sono sempre meno. Al concerto di Francesco Guccini, che di anni ne ha almeno 70, al Palalottomatica a Roma, ho capito che questa che or ora comincia ad andarsene non è “una” generazione, ma in un certo qual modo “l’ultima” generazione. Spariti loro: Guccini, Degregori, Conte e pochi altri, resteranno solo Pieraccioni e i coglioni del Grande Fratello. Se stasera piango, allora, non è per un ottimo musicista che alla fine della carriera ha fatto un paio di cose che si sarebbe forse potuto risparmiare e che è morto come vorremmo morire tutti, dopo l’ultimo grande concerto. Piango per il vuoto di un’Italia che, in 20 anni, ha ammazzato la cultura, e non ha quasi più nessuno per cui valga la pena di ridere e soffrire.

15 febbraio 2012 – Stasera ho visto “Totem” di Fabio Massimo Franceschelli con la regia di Claudio Di Loreto e Francesca Guercio. Purtroppo l’ho visto in uno dei periodi più cupi della mia vita, in una sera in cui accompagnavo un amico che non vedevo da tempo e che, come accade a questa età ed in questi tempi, mi racconta delle difficoltà e della stanchezza. Totem non ha una storia, è l’istantanea di un incubo orribile che annuncia il ritorno nel ventre materno nel momento in cui avremo trucidato tutto ciò che ci era stato detto avrebbe costituito il baricentro della nostra vita: gli affetti, la famiglia, il rapporto con il trascendente, il rapporto con l’immanente. Tutti i personaggi hanno lo stesso nome, nonostante abbiano caratteristiche diverse, sicché appare che “Totem” sia un incubo sulla schizofrenia affettiva e sul dissociamento mentale dei trentenni e quarantenni di oggi, che naturalmente è un punto dolente della mia esperienza recente. Quindi ho odiato “Totem” nel momento in cui questo ha iniziato a parlarmi, ed è proprio qui, ritengo, la forza della piéce: scatenare l’odio nei confronti di chi é sul palco ed ha messo a nudo quel punto nevralgico della distruzione della società, che già da solo è in grado di spingere persone deboli come me al suicidio. Il teatro di Fabio Massimo Franceschelli non ha personaggi, ma solo aspetti diversi della stessa paranoia dislettica. Poche frasi, molte interiezioni, rabbia, isteria, pianto, isteria, timidezza, isteria, violenza, isteria, e soprattutto isteria. Quando alla fine c’è il bagno di sangue che porta la pace, resta solo il più fragile degli Io, costretto a rientrare nel grembo materno, in una scena di una crudezza non fisica, ma intellettuale. Forse questo allora è il limite di “Totem”: è talmente intellettuale da rendere parossistiche le scene le più fisiche – e quindi traspone un incubo dalla fisicità del massacro all’orrore puro e senza redenzione della pazzia atavica di chi, scollegato da se e dai propri affetti, non è più se non un grumo della sostanza materna, incapace di sopravvivere. Se questa è la vita, oggi, per uno come me è davvero arrivato il momento di scendere dal treno.

14 febbraio 2012 – Quell’anziano signore malmenato dalla Polizia greca nel centro di Atene è Manolis Glezos – l’uomo che, il 30 maggio del 1941, in piena occupazione militare nazista, scalò con un compagno l’Acropoli ed ammainò la bandiera tedesca. Imprigionato e torturato da tedeschi ed italiani, Manolis Glezos venne poi arrestato nuovamente su ordine del governo filoamericano del 1954 e, all’inizio della dittatura fascista del 1967, arrestato ancora ed infine mandato in esilio. Manolis Glezos non è un ragazzino imbecille che tira un idrante su un poliziotto, ma il simbolo dell’anelito di libertà e democrazia di un popolo. A 90 anni è finito in ospedale perché dimostrava per la libertà. Ad Atene succede ciò che i governi dell’Unione Europea preparano fino dal G8 di Genova di oltre dieci anni fa: lo stato di guerra fra le banche e la popolazione, con l’esercito dalla parte delle banche, la politica succube delle banche. L’unico parte del bilancio dello Stato greco che la BCE non vuole tagliare sono le spese dell’esercito. Non crediate che ciò che accade ad Atene sia confinato lì, è solo l’inizio del nuovo Medioevo fascista che sta calando sul Vecchio Continente e che, non avendo nessuna ragionevole linea politica ed economica, porterà questa generazione di giovani europei ad un nuovo olocausto bellico. Ad Atene, la culla della democrazia mondiale, si combatte l’ultima battaglia ancora disperatamente pacifica contro la distruzione del principio illuminista di libertà, fraternità ed uguaglianza. Non crediate che non verranno anche da noi a fare lo stesso. Non crediate. Non sperate. Non chiudetevi nel gretto del vostro ghetto di interessi particolari. Con l’Europa della BCE che ha proibito il referendum greco ed ora guida i militari in piazza muore la democrazia anche da noi, poi moriremo noi. Είμαι επίσης ο Αθηναίος – anch’io sono ateniese

10 febbraio 2012 – Nell’assurdo dibattito in occasione delle ricorrenze delle foibe e dell’olocausto c’é di tutto tranne che buon gusto, umanità e serietà. Dovremmo aver imparato la lezione, ed invece no. I massacri sono massacri, non hanno una giustificazione politica. Tutti i totalitarismi sono la negazione della vita, della speranza, dell’umanità, della civilità. Invece qui facciamo a gara a giustificare il genocidio compiuto dalla propria squadra del cuore con il genocidio degli altri. Pazzi, siamo diventati tutti pazzi. Angela Merkel ha ragione, qui sta maturando una nuova guerra mondiale, più terribile e decisiva di tutte quelle che l’hanno preceduta. Le derive antidemocratiche in tutto il pianeta, il soffocamento del welfare nel mondo occidentale in nome del salvataggio delle banche, la morte della politica, la crisi globale. Siamo di nuovo come all’inizio degli anni 30, ma con una spirale molto più stretta, attori molto più potenti (Cina, Russia, Europa, Stati Uniti), una velocità maggiore. Nessuna ideologia politica giustifica la morte di una sola persona. Ogni morto per mano di un’ideologia è un’offesa all’essere umano, è un’umiliazione che abbiamo subito. Non mi importa se la vittima è un inerme cittadino istriano, ebreo polacco, palestinese di Gaza, contadino biafrano, coltivatore di riso vietnamita, intellettuale cileno. La vita è il valore unico ed incontrovertibile. La difesa della vita, oggi più che mai, è un’utopia contro la quale si battono quasi tutti gli ideologismi e soprattutto tutte le teorie economiche. Tutte le vittime vanno piante, perché erano una parte di noi che non tornerà più.

8 febbraio 2012 – Leggendo “La Repubblica” di stamani ho notato due lanci in prima pagina, uno a firma di Marino Niola, l’altro di Stefano Rodotà. Nel primo caso si tratta di una moda lanciata da un atleta, che aveva proposto di far sponsorizzare i propri avambracci, lasciandosi fare un tatuaggio con il simbolo di un’azienda. Ora c’è una nota azienda di cosmetica che offre uno sconto significativo, per sempre e su tutti i prodotti per chi si lascia fare dei tatuaggi pubblicitari indelebili sul corpo. Così da domani, avendo un rapporto sessuale con la signora X, potrai riconoscere il suo profumo dal cartellone pubblicitario impresso sulla sua schiena o sui suoi glutei. Rodotà invece pone l’accento in modo filosofico sui cosidetti “bond della morte”, che altro non sono se non degli strumenti derivati proposti da alcune aziende americane che scommettono, prendendo a campione un gruppo omogeneo di pensionati, in media a quale età questi moriranno. La banca scommette che vivranno a lungo, l’investitore (noi) che muoiano il più presto possibile. Tralascio tutte le questioni di ordine morale ovvie e che non vale la pena di discutere, perché a parte i cretini irrecuperabili che vedono la realtà attraverso i reality TV, sulla mostruosità di entrambe le iniziative saremmo tutti d’accordo, come anche sulla considerazione del fatto che la mercificazione del corpo umano compie in questo modo alcuni rilevanti passi in avanti. Non è davvero più lontano il momento in cui, come previsto dal nazionalsocialismo, useremo saponette umane, o come temevano alcuni catastrofisti della fantascienza, i cadaveri verranno usati per nutrire i vivi ed i pensionati verranno spinti ad immolarsi al più presto per rafforzare le nuove generazioni – il che per fortuna non vuole ancora dire che questa deriva sia inarrestabile. Ciò che mi preme sono due considerazioni. la prima è che queste iniziative funzionano perché la gente le accoglie (segretamente) con favore. La sessualizzazione e la mercificazione del corpo non sono solo questioni di morale più o meno bacchettona, ma sono movimenti fondamentali nella percezione che l’individuo ha di se stesso. Non si tratta di accettare o meno la violenza sugli altri, che è patrimonio della morale, ma quello di accettare e godere della violenza sistematica contro se stessi, che è una questione sociologica e profondamente legata allo stato delle nostre anime. Credo che siamo tutti talmente così stanchi e svuotati che preferiamo essere sterminati da una lotteria casuale (rileggetevi il racconto sulla lotteria nelle “Finzioni” di Borges!!!) piuttosto che andare avanti fino alla fine. Ciò cui stiamo assistendo è la morte della speranza. Abbiamo passato secoli a dare del pessimista a Giacomo Leopardi (che non lo era, leggete per favore con attenzione le sue poesi e le Operette Morali!!!) ed ora scopriamo che il nostro disfattismo, figlio dall’annientamento sistematico e progressivo dell’illusione di democrazia borghese, pacifismo e welfare che ci venne fatta 65 anni fa, ci porta non al suicidio, ma al lasciarci morire in un’ultima botta di disperata ed allucinata allegria (“L’ultima spiaggia”, Nevil Shute), all’abbandonare ogni responsabilità di fronte a noi stessi nel risolvere le nostre dinamiche autodistruttive e schizofreniche. Non vogliamo più essere responsabili per nessuno, né per i figli, né per i genitori, ma nemmeno per noi. Stiamo consumando l’ultimo tradimento contro la natura, infrangendo la legge che dice che una razza animale lotta sempre per il perpetuamento della specie. Noi no. Noi non più. Anzi

1° febbraio 2012 – Prima di scrivere sull’accordo EU sul fondo salvastati ne ho studiato per ore i dettagli disponibili in internet. In buona sostanza concordo sul fatto che la Germania abbia vinta la sua risibile partita. Il fondo aumenta, ma in cambio la Germania ha ottenuto un sistema di punizione contro gli Stati che non dovessero rispettare le regole. Vi spiego perché credo che questo accordo, se tradotto nella pratica, peggiorerà la situazione in modo incalcolabile. Prima valutazione. Se il Fondo salvastati viene aumentato, allora vuol dire che esiste un calcolo credibile che dice che sempre più Stati vi faranno ricorso – quindi gli obiettivi propagandistici dell’abbattimento del deficit sono fumo negli occhi. La Germania e gli altri Stati hanno ottenuto che si proceda al raggiungimento di questo obiettivo tramite una severa stretta fiscale. In Italia, la parte del Paese che produce plusvalore é pari al 18% della popolazione (dati BCE 2010). Questa parte del Paese deve pagare tasse sufficienti per far muovere tutto. Quindi deve guadagnare tantissimo e deve spendere ancora di più. Se si vuole aumentare le tasse (Monti ha promesso che entro l’estate le aumenterà ancora in modo indiretto di circa il 10,5%), bisogna fare in modo che quel 18% paghi (in tasse) almeno l’80% di quanto guadagna. Tassare le categorie che bruciano plusvalore senza produrne non cambia nulla. Ciò che cambia è che l’IVA diventa sempre più fondamentale. E chi paga l’IVA in Italia se gli italiani sono a secco? Gli stranieri, evidentemente. Questa manovra è un modo discreto di dare ad Angela Merkel il modo di spiegare ai propri elettori che la Germania non si sta indebitanedo per aiutare noi terroni. Ci si stanno comprando. Alcuni di noi possono felicitarsi. L’abolizione di barriere protezionistiche potrebbe in un futuro prossimo prevedere che ditte tedesche possano guadagnare in Italia prendendo il posto dello Stato. Perché è ovvio che non si possono tassare i “ricchi” dell’80&%, quindi lo Stato deve drasticamente dimagrire. Da prima che nascessi lo Stato, quando dimagrisce, regala ai creditori i servizi che portano soldi – quindi le entrate indirette. La stessa cosa sta accadendo, più velocemente che da noi, in Portogallo ed in Grecia. Fate attenzione: NESSUNO dei partiti italiani ha offerto uno straccio di alternativa a questa proposta, nemmeno i pastori delle sette religiose come Beppe Grillo. Ma il fatto è che un Governo non eletto dal Popolo sta prendendo questa decisione e nessuno lo sa, nessuno ha la possibilità di opporsi, nemmeno di votare contro. Nello stesso tempo a livello mondiale viene discussa la nuova legge sull’internet, detta ATAC. Se questa legge dovesse passare, non potremmo più nemmeno incazzarci su Facebook o nei blog come facciamo adesso. Basterebbe che su determinate frasi e modi di dire ci sia un documento registrato di un partito, che riprodurlo sarebbe proibito e la sua pubblicazione su internet porterebbe alla chiusura di chi la usa in un blog, su Facebook etc. Forse i Maya non hanno capito nulla. Forse dovremmo rileggere George Orwell e Ray Bradbury. Io leggo Charles Dickens, perché credo che sia troppo tardi. Settanta anni di illusione borghese di democrazia volgono al termine, silenziosamente, come lo é la violenza cieca e brutale del potere per il potere.

29 gennaio 2012 – Ho partecipato alla conferenza di Cristiano Armati (l’autore, fra l’altro, di “Roma criminale”) nell’ambito della seconda edizione di Black Metropolitan Noir Festival, che si svolgeva in un parcheggio sotterraneo al Quadraro, occupato e risistemato sotto il nome di Garage Zero. Non azzardo pareri sul festival, poiché ho solo partecipato a questa conferenza. Ma l’incontro con Cristiano Armati era importante (per me) per diversi motivi. Armati scrive dei libri – molto narrativi, colmi di dettagli ma anche di passione e, spesso, di autentica indignazione – su quella che la generazione prima della mia chiamava Cronaca Nera e che oggi fa parte del pentolone indifferenziato della lacrima a comando dei guardoni del brunovespismo. Di Armati confesso mi piaccia lo stile, la romanità quasi arcaica, la coerenza ed in generale il suo essere di un altro tempo, come testimoniava lui stesso in conferenza lottando con il suo telefonino ed ammettendo di avere avuto a lungo diffidenze e resistenze nei confronti di internet. Quando parlo di romanità parlo anche di questo suo essere al di sotto dei tifi sportivi (destra sinistra, centro periferia, Roma Lazio, intellettuale proletario) in modo onesto, appassionato e partecipe e mai lezioso. Per lui Roma è un valore a se, lo si sente nell’affetto e nella rabbia, ma anche nella precisione, che generalmente non é una dote di noi romani, e che per lui è un’arma di difesa contro il brunovespismo da un lato ma anche del marcotravaglismo dall’altro. Ed è proprio di questo che voglio parlare. Fino a Mani Pulite esisteva in Italia una grande tradizione del giornalismo d’inchiesta. Questo giornalismo è esploso negli anni 60 ed aveva avuto ne L’Espresso per lungo tempo la rivista di maggiore rilevanza. Fino alla nascita di Mani Pulite. Nel frattempo L’Espresso era divenuto una rivista di parte (come Panorama), e le punte di diamante del giornalismo d’inchiesta, una volta scomparsi Paese Sera, Epoca e pochi altri, erano Il Mondo (settimanale della FIAT ma estremamente attento ed aggressivo) e Avvenimenti, un settimanale romano che forse più si avvicinava a ciò che oggi fà Cristiano Armati. Potrei citare dozzine di nomi di colleghi bravissimi che hanno fatto la storia di quegli anni. Ma proprio in quegli anni il giornalismo d’inchiesta è morto. E’ morto perché ha sposato una categoria, quella dei magistrati, che in realtà non critica lo Stato, ma al contrario lo difende così come è. Lavorando a stretto rapporto di compromesso con i magistrati, il giornalismo ne è divenuto l’espressione pubblica. Il risultato: piazza pulita dei partiti nati con l’indipendenza e fortificati con due guerre mondiali, impunità per i leader dell’economia e quindi spazi aperti per le piraterie sconvolgenti che hanno segnato gli ultimi 20 anni del capitalismo italiano, Silvio Berlusconi al potere e poi, alla fine del ciclo, la nascita del Governo Monti – quindi la morte, dopo del giornalismo, anche della politica – insomma la morte dell’opinione libera e della possibilitá di esprimerla. In questa tendenza l’Italia arriva ultima. Quel tipo di giornalismo indipendente, che era figlio della violenta contrapposizione fra DC e PCI del dopoguerra, era da sempre proibito in Scandinavia, ignorato nella cultura tedesca, represso negli altri Stati europei che si affacciano sul mediterraneo, Francia compresa, ridicolizzato in Svizzera ed Austria. Nel 1965 Maj Sjöwall e Per Wahlöö avevano quindi iniziato a scrivere romanzi gialli per descrivere la violenza del regime svedese – uo dei governi più violenti e reazionari dell’Europa degli ultimi 200 anni, e che per giunta, a causa della proibizione di qualsivoglia voce critica, viene considerata a torto (da chi non la conosce dall’interno) una democrazia avanzata. I loro libri hanno cambiato molto, la tradizione di giallisti scandinavi è ancora oggi forse la migliore in Europa. Fino a Stig Larsson, che come Maj Sjöwall e Per Wahlöö voleva scrivere dieci tomi sugli orrori della Svezia e che invece, in un modo che nessuno scoprirà mai, é stato fermato dopo aver pubblicato una rilettura sull’omicidio dell’ex Primo Ministro Olof Palme – una delle grandi ferite aperte della storia svedese. In Italia invece coesistevano due giornalismi: quello di Statera e Giustolisi (so che alcuni si arrabbieranno), di Leo Sisti, di Michele Gambino, di Vittorio Malagutti, di Gianni Barbarcetto, Andrea di Stefano, Gigi Ferrarella e tanti altri, che hanno cercato di far arrivare il massimo di informazione possibile – rischiando di essere noiosi per evitare le querele. Dall’altra parte quella di Pecorelli, Bonini e D’Avanzo, che invece usa la contiguità con i servizi segreti. Senza menare il can per l’aia, entrambi questi giornalismi hanno i loro meriti, ma soprattutto le proprie colpe – soprattutto non sono riusciti e non riescono a raccontare la società, ma raccontano una verità troppo spesso di parte. E quando dico di parte non parlo di destra e sinistra, ma di dipendenza e indipendenza dallo Stato. In un giornalismo in cui il Comunciato Stampa è una verità, il giornalista non può essere indipendente, é costretto in una gabbia (come il Fatto Quotidiano) o chiude (come Il Manifesto). Cristiano Armati, secondo me, fà parte della schiera di chi, come gli svedesi prima di lui, ha individuato una via d’uscita. Per adesso descrive Roma ed i suoi omicidi, parla di Banda della Magliana, dei Casamonica, degli interessi in conflitto nella Roma di Alemanno, individua con intelligenza e passione i punti di frizione. Avrei voluto chiedergli la sua opinione su Roberto Costantini (che secondo me è un punto critico dell’editoria che in modo classico definiremmo “di destra”) ed anche altre cose sulle culture “altre” delle borgate, ma stavo per trasformare la Conferenza in una conversazione a due. Sicché spero che l’appuntamento sia solo rinviato, e ringrazio Alessandra e Artinconnessione che mi hanno dato la possibilità di vedere questo antro culturale nascosto nel cuore del Quadraro e lì nel centro, incastonato più che incastrato, sto “giovanotto de sta Roma bella”, che sembra un compagno della FGCI degli anni 70, parla come noantri de Primavalle ed ha il sorriso triste di chi invece combatte a forza di stornelli (giuro!) contro la perversione di quella Capitale che, come ha ricordato lui stesso, fino a pochi anni fa era la grande città con il tasso di violenza privata più bassa del mondo. Roma nostra.

25 gennaio 2012 – Stasera “Superstar” nella Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio. Viene ricostruita una storia parallela dell’Italia sulla falsariga di “Petrolio”, il lavoro di Pasolini sull’ENI di Enrico Mattei. Costruendo un’atmosfera presa dal “Il Divo”, sulla scena compaiono, uno dietro l’altro, Eugenio Cefis, Giulio Andreotti, Pippo Calò, un generale golpista che ricorda come l’11 settembre (1973) sia anche la ricorrenza del colpo di Stato in Cile. Costoro incontrano un Carlo Villetti che, di volta in volta, si evolve da dirigente dell’ENI a sicario dei servizi segreti nell’omicidio Moro, e poi alla fine diventa Silvio Berlusconi. La rappresentazione è estremamente schematica. Due punti focali. In uno c’è l’incontro fra Villetti ed il personaggio storico di turno, nell’altro ci sono rappresentazioni ossessive di sesso gelido e parossistico, filmate su scene diverse: un campo di sfruttamento del petrolio in cui Villetti, coperto da una bandiera dell’ENI, ha rapporti con un’odalisca e con il cadavere di qualcuno, poi la scena dell’omicidio Moro, benedetta da un prelato anch’esso coinvolto sessualmente, la scena della strage di Capaci, quella dell’omicidio di Pasolini, una famiglia incappucciata sullo sfondo del Mulino Bianco. Sesso sesso sesso sesso meccanico rivoltante improntato all’esercizio del potere e ad un’ossessione convulsa e compulsoria, fatta evidentemente per schifare chi guarda. Non posso evitare di paragonare questo lavoro all’appassionato Piero Gobetti di Emanuela Cocco, Claudio di Loreto e Francesca Guercio. Il lavoro di Fabio Morgan è gelido, distaccato, morboso, ma soprattutto didascalico e sarcastico. Non dà l’impressione di avere a che vedere con Pasolini, riesce (pur nell’atroce attualità del tema) a essere fuori dal tempo, apolitico, postmorettiano (cioé: come una delle tante seghe di autocompiacimento rozzo e pariolino di Nanni Moretti spogliato della burbanza che, a volte, involontariamente rende una parte del film divertente). L’impressione è di essere presente ad una rivisitazione alla rovescia di un monologo di Maurizio Crozza. Vi faccio vedere che ho capito le connessioni, vi faccio vedere che sono sarcastico e quindi mai passionale, creo così una distanza immensa dal pubblico, il personaggio di Villetti (che è un topos metaletterario e quindi non racconta una storia) sembra un fantasma uscito da un film sugli albori da bar del nazismo. Insomma, sembra che si sia tentato di unire una metarivisitazione del metalinguaggio di un ipotetico ed aggiornato Pasolini con una sorta di cinematografia alla Ferrara, ma anche qui meta meta meta meta, senza la poesia di Palombella Rossa e senza la freschezza di capolavori come i film di Volonté o quelli necessariamente documentaristici di Ferrara. Quando finisce la gente resta in sala, probabilmente per incontrare gli artisti. Io sono rimasto perché speravo che, finalmente, dopo una rincorsa di un’ora, arrivasse finalmente la comunicazione. Sono rimasto deluso.

23 gennaio 2012 – Secondo la Banca Mondiale, nel 2009 il Prodotto Interno Lordo Italiano ha raggiunto la cifra di 2.118.264.000.000 dollari, quindi circa 2mila miliardi di Euro. Nel 2012 la cifra é salita, secondo i dati della Banca d’Italia, di circa il 2%, ovvero di 40 miliardi di Euro. Il Governo Monti, dopo aver azzoppato il Paese con una tagliola fiscale che non si era mai vista finora e dopo aver tentato di finire l’animale morente con una serie di liberalizzazioni confusa che, probabilmente, sarebbe stato necessario fare un po’ alla volta nell’ultimo quarto di secolo ma, in questa situazione, sono difficilmente assorbibili dal malato Italia – il Governo Monti ha annunciato che grazie a queste misure avremo una crescita del PIL dell’11% in un anno, ovvero di 220 miliardi di Euro, pari alla crescita avvenuta in Italia (secondo la Banca Mondiale) dal 1992 al 2009, in 17 anni in cui la finanza gonfiava artificialmente l’economia e tutto sembrava andasse bene. Che sia una bugia è ovvio, ma perché spararla così grossa? Sono impazziti o davvero credono che siamo tutti rincoglioniti? Perché i giornali riportano questa bestialitá senza metterla in dubbio? Forse perché tutti i partiti politici (e sottolineo TUTTI) di sono ben guardati dal commentarla? E dove dovrebbe crescere il PIL, dato che l’industria italiana (l’edilizia, l’automobile, l’industria pesante, l’hi-tech) sta abbandonando il Paese (FIAT) o sta fallendo (Ligresti)? Con le banche? Coloro che invece di dare crediti stanno usando la marea di denaro mosso dal Governo Monti per cercare disperatamente di evitare la bancarotta, come fa Unicredit? Ma chi diavolo andrá in piazza contro la gente scatenata e disperata fra sei mesi, quando anche l’ultimo dei cretini avrà capito che è stata una presa in giro e che siamo nei guai almeno quanto la Grecia? Lo ripeto: alla manifestazione dei tassinari ed a quella dei forconi c’era gente che dava del “comunista” a Monti ed ai suoi collaboratori. Qui siamo all’alba di una dittatura feroce, bestiale, inumana, cilena. E balliamo perché il Nano, prima di tornare al Governo come ultimo baluardo della democrazia (e stavolta lo sarà davvero), si é dimesso per un golpe bianco dei banchieri? Ma non potremmo suicidarci in modo meno doloroso e schifoso? Io intanto sto prendendo casa a Riga, e purtroppo non é uno scherzo.

19 gennaio 2012 – „Vorrei“, di Francesco Guccini… Questa canzone è del 1996, quando Francesco Guccini aveva più o meno la mia età attuale. Non la conoscevo. Me l’ha portata in dono la signora che fà le pulizie nel mio palazzo, un atto completamente immotivato, apparentemente. Mi ha detto, la signora Maria Vittoria da Oristano, che mi aveva sentito cantare al buio e che la mia voce le ricordava quel disco. Così l’ho ascoltato… “Vorrei conoscer l’ odore del tuo paese, camminare di casa nel tuo giardino, respirare nell’ aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino. Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati, vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero, come se amici fossimo sempre stati. Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, le strisce delle lumache nei loro gusci, capire tutti gli sguardi dietro agli scuri e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…” … e sono stato folgorato dalla precisione millimetrica, come un missile sparato da una batteria nascosta a migliaia di chilometri di distanza, da uno spazio ed un tempo sconosciuti, come nella scena finale di “Syriana”. Ed ho iniziato a ricordarmi di me che mi imprimo nella memoria gli odori ed i colori di un posto lontanissimo che cercavo così di fare mio. Un luogo nel quale ero entrato come l’acqua – dicevano con rabbia – per allargarmi come se ci fossi sempre stato. Mi ricordo in modo speciale una chiesa ed un sorriso di traverso, altrui, come se tutto fosse stato già scritto e non potesse essere più cambiato… “Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c’è da scoprire per raccontarti e poi farmi raccontare il senso d’ un rabbuiarsi e del tuo gioire; vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso e per farmi da te spiegare cos’è cambiato e quale sapore nuovo abbia l’ universo. Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona o il mare di una remota spiaggia cubana o un greppe dell’ Appennino dove risuona fra gli alberi un’ usata e semplice tramontana e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io… ” Quindi le lacrime amare. Le stesse lacrime descritte in un mio racconto del 1996, “Notte del 10 giugno”, la stessa precisa descrizione di un luogo vicino a Stoccarda, la sensazione di vivere in una bolla temporale e geografica esclusiva cui una sola persona aveva avuto accesso, senza peraltro mai averlo chiesto, anzi, rifiutandosi di entrare, perché coloro che non sanno nuotare non lo impareranno mai, la paura dell’acqua è una scelta di vita. Costoro sanno scivolare su un lago ed affrontare i marosi della Sicilia, ma dell’acqua vera avranno sempre paura, come di ogni profondità “Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso. Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito che l’ oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’ infinito e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…” Il resto é ricordo inutile. La foga di vivere mi porta in avanti, questa canzone, avendola scritta lui, non la scriverò mai, come le “giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di trsitezza” di Un Altro Giorno E’ Andato. A chi mi ha detto recentemente che preferisce vivere amputata rispondo: si può amputare ciò che c’era, altrimenti ciò che ci duole, il dolore fantasmatico, viene da un altrove che nemmeno immagini. E se non lo immagini, allora, è giusto e non può essere cambiato che io rimanga, da sempre in poi, comunque solo. Con il mio pathos da quattro soldi e soprattutto con l’irraggiungibile snobismo della mia insicurezza. Ma queste sono cose che capisce solo Chicca, che di mestiere distrugge, divora, brucia e pulisce dove gli altri non avevano visto nemmeno esserci stato un incidente. A voi tutte, inutilmente Sempre da Francesco Guccini: “ed io ti canterò questa canzone, uguale a tante che già ti cantai. Ignorala, come hai ignorato le altre, che poi saran le ultime oramai” – Eskimo

18 gennaio 2012 – La manifestazione di ieri dei tassinari fra Piazza Venezia e la Galleria Alberto Sordi è un segnale importante di cosa stia accadendo in Italia. Scegliendo di colpire una lobby, il Governo Monti colpisce i più deboli di tutti. Nessuno tra coloro che vede in quali condizioni vivano i tassinari a Roma può credere che costoro facciano parte del “Grande Nemico Mediatico”, il baubau che serve a Monti per fare credere che i mostri siano al di fuori della politica. I tassinari italiani, in confronto alla media europea, costano poco. E nessuno è costretto a prenderli, non si tratta di una tassa indiretta come il prezzo della benzina o del biglietto dei mezzi pubblici. Quindi Monti, come al solito, se la prende con i più piccoli, con coloro che hanno impagnato i risparmi di due generazioni per comprare una licenza che, al momento della pensione, sarebbe stata l’unica soluzione reale per alleviare gli anni della vecchiaia. Mentre altrove si discute della liberalizzazione dell’energia, delle telecomunicazioni e di altri massimi sistemi, qui ce la prendiamo con i più deboli. Ma questi, stavolta, reagiscono. E reagiscono a cazzotti, come coloro che mettono le bombe davanti ad Equitalia o bloccano la Sicilia con i loro camion. Non sono disposti a trattare come gli operai della FIAT, perché non sono dipendenti, sono microimprenditori. Non li si può licenziare. Dato che null’altro funziona, costoro usano la violenza – e nei prossimi giorni ci si aspetta una escalation. ma non è nemmeno questo che mi terrorizza, perché siamo ad una svolta attesa e voluta dal Governo. Solo un iscritto al PD può essere così pietosamente deficente o così criminalmente dalemiano da non capire che il Governo Monti, fra gli ovvi sviluppi della sua linea, ha l’ottenimento dell’esplosione della violenza sociale e la divisione cruenta fra gruppi di cittadini eletti di volta in vola a capro espiatorio di tutto. Schettino, infatti, me lo vedo già incolpato dei delitti di Firenze, della Uno Bianca, dell’omicidio di Emanuela Orlandi, del trattamento di favore della Juventus in campionato. Questa violenza, insomma, era prevista, programmata, voluta o accettata. L’orrore sono i cartelli esposti: “Via dalle palle l’ultimo Governo Comunista d’Europa: compagno Monti, vattene!” La gente non solo non ha c apito niente, ma sta per invocare il ritorno del Nano non come Presidente del Consiglio, ma come Duce Supremo. Il sonno della Ragione genera Mostri. Noi, oramai, con Monti e Schettino siamo ai modelli di seconda generazione. 15 gennaio 2012 – Visto che il pathos mi coinvolge così tanto, ammetto di aver versato più di una lacrima sulle invettive di Piero Gobetti / Claudio Diu Loreto. Ho il sospetto che dietro la maestria di Claudio ci sia molto ma molto più cuore e rabbia di quanto lui stesso ammetterebbe. L’ultima secna, un frammento infinitesimale, lui che saluta sulle note di Luigi Tenco, ed i miei occhi si sono gonfiati di pianto. Perché l’opera di Emanuela Cocco e la regia di Francesca Guercio hanno creato una rabbia che “l’Oceano di chi sa solo odiare il Nano” e non ha un progetto politico dovrebbe vedere per condanna, così magari si sveglia. Una rabbia che si estrinseca nell’orrore giulivo di Radio Supergonad, nelle invettive di Gobetti (testi stupendi, che dimostrano come la Rivoluzione Liberale sia ancora un’utopia per il futuro) ed ancora di più nella distanza profonda del testo dalla superficie quasi interattiva della manifestazione dell’attore. Gobetti dice una cosa, ne fa un’altra, ne intende una terza e te ne fa percepire una quarta come ultima possibilità. Dice che chi ha votato a Pomigliano sia un topo, come coloro che sostenevano Mussolini; ti fa vedere l’alienazione e l’umiliazione disperata della vittima del sistema; ti indica la solitudine come l’unica via veramente rivoluzionaria (la lettera di Ada a Piero è una delle più terribili e dolorose lettere d’amore che io abbia mai sentito leggere); ti fa percepire che noi, carnefici, lasciamo soli coloro che hanno un cuore che pensa e che pulsa per tutti, non solo per se. Certo, Gobetti era un insegnante, in qualche modo saccente, oggi non “bucherebbe lo schermo”. Ma farci vedere la sua pazzia, secondo me, non serve a renderlo più umano, no. Serve a rendere disumano il pubblico e la “gente” che sostiene il regime, quindi il pubblico, quindi noi, quindi io. Responsabilità, coerenza. Amore, rinuncia. Rabbia, impassibilità nell’attendere le conseguenze dei propri gesti. Mai credersi eroi. Niente patetiche pulsioni reazionarie e piccoloborghesi da artista romano, politicante del PD, professionista della TV, ubriacone da Campo de Fiori o Madonna dei Monti, santone santorico, inetto generico. La rabbia addolorata di un attore e del suo personaggio che, dal bordo della periferia, sanno che non possono sputare nel piatto della Roma Orribile di questi decenni, perché se ne nutrono, ma con le lacrime indicano un ruscello, una via d’uscita, una direzione forte, credibile, appassionata, intelligente, come la rivoluzione dei lumi ed il suo riflesso in Piero Gobetti. L’amore è arido, perché vero ed oppresso. Il sussiego dell’involgarimento generale è umido, ma la decenza mi impedisce di dire di cosa.

14 gennaio 2012 – Fra ieri sera e stasera ho visto una serata su “La Divina Commedia” a Ladispoli e poi il “Gobetti, con arido amore” di Emanuela Cocco, Claudio Di Loreto e Francesca Guercio a Tor Pignattara. La prima considerazione da fare è che mi pare una volta di più dimostrato che esista intorno a Roma un circuito di cultura indipendente (NON alternativa, per favore!) di grande valore ed esteticamente bello che è completamente al di fuori dal bagaglinismo, dal lecchismo di destra e di sinistra, dai salotti, dal totalitarismo estetico collettivista, dal pietismo religioso. Di questo circuito intravedo la sua principale debolezza come la sua vera forza. Viene poca gente, ma un gruppo di persone che si conosce e si stima. Incontri sempre gli stessi visi. Può essere frustrante per gli artisti, ma solo finché queste attività resteranno scollegate. Mi pare che tutto sia legato al luogo più che alle produzioni: i Centro Sociali più interessanti attirano in quanto tali, spesso congiuntamente alla loro collocazione geografica. Ladispoli, ad esempio. Il Teatro di Via Vilnius, una stradina di case estive dall’aspetto abusivo e comunque collocato alla perfiferia brutta della periferia malinconica di Ladispoli, che a sua volta è una periferia strangolante di Fiumicino e Casalotti, che a loro volta sono borgata alla periferia di Roma. Il Teatro è bello. L’edificio non lo è, potreste credere che si tratti di un baretto di spiaggia di Ovunque-sul-Tirreno. Ma l’atmosfera dentro è diversa, nonostante il freddo e l’umidità. Si respira un calore diverso, non quello pasoliniano che ha stufato tutti, specie perché gli imitatori d’oggigiorno sono insopportabile. No no, il Teatro, collegato idealmente ad una trattoria veramente buona (nauticoeast.eat), è di un colore tenue ed avvolgente, chi ci lavora non alza la voce, ma ride di cuore, con lo stomaco, con un’espressione di solitudine malinconica piena non solo di umanità e di consapevolezza, ma anche di certezza e di affetti forti – una cosa che in Italia ho visto essere purtroppo quasi sempre escluiva proprietà delle donne. Io lì ci andrei a suonare gratis solo per l’orgoglio poter raccontare di averlo fatto. La serata su Dante è stata emozionante. Prima di tutto perché in mente se ne ha il tragico numero da avanspettacolo realizzato da Benigni. Invece Marta Scelli, un esile fuscello di donna, piena di un tremore catestematico che promette battaglia, la Commedia non solo la ama davvero, senza essere leziosa e saccente, ma la sa a memoria e la vive. Non sono in grado di valutare quanto sia brava tecnicamente un’attrice, quindi posso solo dire che mi ha impressionato per la sua calda mancanza di tensione affettiva – che mi pare di percepire sia una qualità in quella professione. Lei c’è e non c’è – mentre Benigni c’è talmente tanto da rendere aggressivi dopo tre minuti di grida inarticolate e di ripetizione di sempre le stesse frasi vuote sul patriottismo veltroniano e battute non spiritose. Marta Scelli la vedi nel silenzio e nel tremore, nell’aprirsi degli occhi, a volte, di fronte ad un’emozione colta nel testo. L’attrice la vedi nella spiegazione minuziosa ed appassionante del contesto, dell’attualità della Commedia, del rapporto complesso (è la parte che mi è piaciuta di più) fra ira bestiale, ira giustificata ed ira divina. Marta Scelli mi ha fatto percepire una quarta ira, quella rattenuta dell’intellettuale stanca ma ancora piena di presenza, di energia, di cose da dire, di anelito al raggiungimento del mistico nella descrizione del quotidiano, altrimenti così umiliante. Ed è in questi momenti che Marta Scelli, a mio modesto avviso, raggiunge il cuore delle ragazze che ascoltano, e lo fa con timidezza, senza darsi, senza intrufolarsi, senza imporsi, e loro ridono di nuovo, di cuore, di stomaco… che bello… e mentre l’attrice si arrampica sui peli delle gambe di Lucifero alla volta del sole, le sue grandi mani, finalmnente libere dal torcersi convulso della prima parte dello spettacolo, si aggrappano al sole e ci tirano su con lei, come se si potesse evadere da quella periferia senza uscirne mai, semplicemente facendo il contrario, andando giù ed ancora più giù, fino ad oltre il cuore del suo fondo. E poi una stanchezza enorme, la sua, impersonale ed eterea. Che bello.

13 gennaio 2012 – Nel frattempo ho avuto una concitata conversazione con Francesco Meoni. Ne esco con la stessa convinzione di prima: ovvero che Francesco sia una persona intelligente e corretta. Lui si è indignato per il fatto che io l’avrei insultato ingiustamente. Dice che non mi ha mai detto che sia necessario lavorare duro per sette mesi per poter parlare ad un’assemblea del Collettivo. Mi ha detto poi delle conseguenze del mio scritto all’interno del Collettivo, su cui taccio per non appesantire ulteriormente la situazione. Mamma mia, mamma mia. Prima cosa: il semantema “sette mesi” é probabilmente stato accostato da me in maniera accessivamente spregiudicata all’invito a farsi conoscere dal Collettivo svolgendo i compiti necessari per la sopravvivenza della struttura (per motivi di risentimento estetico non li nomino, che qui chiamare le cose con il loro nome fà impazzire tutti di rabbia). Me ne scuso con sincerità, perché pare che per questo motivo Francesco abbia ricevuto reazioni spiacevoli e si sia sentito ingiustamente ferito. Quanto alla questione del sacerdozio, mi dispiace che crei tanto baccano, probabilmente perché tocca un punto nevralgico del cuore degli occupanti. E’ verissimo: io sono stato accolto con affetto ed interesse, nessuno ha mostrato chiusure nei miei confronti. Io aggiugno: perché così funziona il Collettivo, quando prende una decisione su una manifestazione. L’ho già detto e lo ripeto. Mi é stato fatto un regalo bellissimo, indimenticabile. Ciò non di meno, più cose vedo e sento e più questa cosa mi mette a disagio e mi allontana. Insomma, così parlando, come ho fatto, sono scivolato mio malgrado all’interno di quella assemblea di cui non volevo far parte che da spettatore – e questa me la sono cercata. Poco male, perché non conto nulla. Peccato, perché alla fin fine chi ne soffre di più è la persona che più di tutti ha voluto che io avessi quel dono che mi è stato fatto, e questo non è giusto. Ma queste sono le tipiche dinamiche di un collettivo, purtroppo. Mi dispiace, con la mia burbanza ed arroganza, di aver creato disturbo e ferito una persona per bene. Vi auguro di tutto cuore tanta fortuna.

13 gennaio 2012 – Mamma mia. Un Sig. Fabio Caffé se l’è presa tantisimo per ciò che avevo scritto!!! Quindi ho scritto di nuovo… La reazione del Sig. Caffé (che immagino sia un nome d’arte – magari l’autore di quelle bellissime foto che sio trovano su flickr?) mi ha riportato indietro di 35 anni! Ha confermato punto su punto tutti miei dubbi, anzi, li ha raddoppiati e mi ha convinto che dal Valle bisogna stare alla larghissima, purtroppo. La mia fonte è stata Francesco Meoni, che nella mia piccolissima esperienza è persona intellettualmente onesta, simpatica, estremamente intelligente e capace, e pare essere una persona importante all’interno del Collettivo. Il fatto del sacerdozio, Sig. Caffé, non é un insulto (ah, l’estetica del 77, che nostalgiaaaaaa), ma un dato di fatto. Nessuno ve lo porta via il Collettivo. Il motivo sta nella natura delle cose: per gestire il Teatro bisogna gestirlo, quindi starci tutto il giorno o quasi e fare tutto ciò che è necessario, non importa se bello o brutto. Francesco Meoni mi ha esplicitamente detto che, per alzare la mano in assemblea, bisogna aver prima fatto questa gavetta. Chi ha paura di essere detronizzato, vuol dire che siede sul trono. Ma questo non è grave, è solo un fatto. Escludendo persone il Collettivo resterà più piccolo ma più compatto (anche se la riunione che ho visto il giorno del nostro concerto era da far rizzare i capelli in testa per la rabbia cieca di chi gridava il suo parere). Se riuscirete a prendere i soldi dallo Stato (come spero) sarete una nuova edizione del Teatro dell’Orologio. Sarete. Voi. Noi verremo a visitare le manifestazioni che ci piacciono e resteremo a casa quando non ci piacciono. Vi chiederemo se possiamo suonare da voi e ci direte di sì o di no. Voi. Sarà il vostro teatro, come lo è adesso. Non potete accusare gli altri di entrarvi solo per gestire il proprio progetto personale (come fa il Sig. Caffé) quando poi voi fate lo stesso. Perché la vostra opinione rappresenta il “bene comune” e la mia, come quella del Sig. Buncicucci, del Dott. Pisquani e della Prof.ssa Sciannamicca no? Si tratta di una dimensione estetica e religiosa, basata sulle stimmate raccolte in sette mesi di duro sacredozio nel deserto. Avete fatto un miracolo ed avete salvato il Teatro. Molti artisti damosi vi hanno aiutato gratis e con entusiasmo. Non costa nulla ammetterlo. Molti artisti per nulla noti, come me, hanno ricevuto da voi un regalo immenso, di cui vi saranno per sempre grati. Ma, caro Sig. Caffé con la sua aria da saputello, più sento e leggo delle vostre opinioni, più mi sento lontano. La sua orizzontalità estetica é una figura non geometrica. Francesco Meoni, molto più onestamente, mi ha detto: vieni, datti da fare, dimostraci che ci tieni davvero, sporcati le mani, e ti faremo parlare. Gli ho risposto che magari l’avrei fatto ma che non sentivo nessun bisogno di parlare in Assemblea. Ne ho un orrore crescente. Naturalmente ho un mio progetto individualista ed egoista: sopravvivere all’età che avanza, dimagrire, trovare l’amore, imparare ad essere un artista vero (non lo sono, sono un mediocre dilettante), divertirmi di tanto in tanto, leggere bei libri, ascoltare buona musica, fare del mio meglio nella mia vera professione per cercare di trovare una soluzione ai problemi di noi tutti che includa – e non escluda. Tutte queste cose non le vivo in un Collettivo, quella fase l’ho superata 30 anni fa – ma non perché quella fase fosse sbagliata, attenzione! Ma perché io, per quella vita lì, non sono adatto. Insomma: avrei volentieri ascoltato senza parlare ed imparato senza giudicare. Voi non volete. Peccato. Con tutto il cuore, buona fortuna

12 gennaio 2012 – Nel corso della stessa giornata Cosentino viene salvato dalla Lega, Monti ottiene una dichiarazione generica da parte di Angela Merkel che non significa nulla di pratico, la Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sulla legge elettorale, Fincantieri ha siglato un accordo su Palermo, la benzina ha superato 1,8 al litro, i tassinari hanno iniziato ad organizzare uno sciopero. Per una popolazione che già fà fatica a seguire le argomentazioni del divorzio del pilota di Formula Uno Alonso e che trema per il fatto che la figlia di Berlusconi perda il fidanzato brasiliano che va a giocare a Parigi in cambio della controfigura dell’uomo di Neandertal, si tratta di un overload totale di impulsi. Ciò si aggiunge alle bombe ad Equitalia ed ai raid della Guardia di Finanza nei centri di villeggiatura invernale. E’ come se alla guerra civile scatenata subliminalmente dal Governo Monti e dai partiti che lo sostengono (PdL, PD, Lega – appoggio esterno – Terzo Polo, FIAT, Telecom, Marcecaglia, Unicredit, Generali, MPS, BCE etc etc etc) la gente reagisse telecomandata con una rivolta virtuale. Ci sono dei morti ovunque, ma ancora “solo” perché le singole persone, messe con le spalle al muro, impazziscono privatamente e massacrano la famiglia prima di suicidarsi. Per il resto scriviamo su Facebook, marciamo a fianco dei cinesi a Piazza Vittorio (è stata una manifestazione su cui varrebbe la pena spendere molte più parole, perché a Roma si è scatenata una guerra fra asiatici e nordafricani che mieterà altre vittime), guardiamo trasmissioni TV, insomma siamo presenti col televoto, l’interazione internet, ognuno chiuso a casa propria. Questa è la lezione della manifestazione di Roma dell’ottobre scorso. Ogni manifestazione pubblica di dissenso viene strumentalizzata. Ma il Governo della trimurti Monti – Berlusconi – D’Alema deve fare attenzione. La pentola a pressione contiene, contiene, contiene, ma poi esplode. Nei Centri Sociali, al grido di “tanto peggio tanto meglio”, si attende con gioia feroce una “resa dei conti epocale” (una signora dopo il concerto di Pisa). Noi cerchiamo di vivere come se tutto ciò accadesse altrove, come se non ci riguardasse nel quotidiano. Speriamo di cavarcela, questa è la probabile verità. E poi non sappiamo dove fuggire. Come ne “La Morte di Megalopoli” di Roberto Vacca, ci prepariamo all’implosione, fingendo e pregando che non accada. Ed i Soloni come me sono senza risposte: è la Grande Primavera della Paura, quella che ci viene incontro. Sapevatelo, con Rieducational Channel

11 gennaio 2012 – Caro Fabio, questo articolo mi sembra colga con grande delicatezza il centro del problema per come l’ho percepito io nella superficialità del mio contatto in loco. Il problema degli occupanti lo capisco: vogliono evitare che arrivi qualcuno di più importante e conosciuto di loro e gli sfili di mano il giocattolo. Vogliono tenere il controllo ma in modo che sia esteticamente accettabile – il che è un controsenso e non funziona, da qui l’autoreferenzialità. Vogliono decidere in un manipolo di sacerdoti, chiudono le porte in faccia a chi si presenta (Meoni mi ha detto che, per poter prendere la parola in assemblea, uno prima deve – per un periodo di alcuni mesi – aver sofferto quanto gli occupanti, quindi aver passato un periodo lì, pulendo i bagnim cucinando, facendo accoglienza, spostando pesi). Tutte cose cattolicameente comprensibili e belle per un movimento che guarda alla primavera del 1976 come un futuro roseo ed allegro in cui creare steccati fra compagni, supercompagni, rivoluzionari, superrivoluzonari, leaderini e sacerdoti della struttura. Che noia. Senza i grossi nomi che si sono esibiti gratis in questi mesi, il Collettivo del Valle non esisterebbe più. Ma costoro ora potrebbero, se volessero, detronizzare il collettivo, che vive l’occupazione come un’esperienza totale e totalizzante. Capisco la rabbia: mentre tutti gli altri vivono, recitano, guadagnano, amano, loro sono chiusi laggiù, arroccati come una cricca di camerieri d’hotel che speravano di gestire la rivoluzione culturale e sono invece in un certo modo i portantini dell’arte altrui. Se capisco bene nel collettivo scarseggiano gli artisti che creano opere proprie – un altro motivo per avere paura che ora qualcuno arrivi e raccolga il frutto delle loro fatiche. La prosopopea parademocratica, però, non risolverà il problema. Il rifiuto pragmatico a chiamare le cose con il loro nome è quella tipica di chi si avvicina alla politica con la spensieratezza e la preparazione dei giovani che nel 1972 lasciarono Potere Operaio ma ne tramandarono il tragico binomio stalinismo e maschilismo interno vs. sorriso paterno/materno esterno. Roma non ci starà. Così come è messa oggi l’occupazione del Valle, secondo me, non ha futuro. Glisfruttati ed umiliati se andranno a cercare lavoro altrove, i grossi nomi si stuferanno di andarci gratis se il caos interno resta come oggi. Fare statuti e scrivere manifesti è sempre stata l’attività principale di chi non aveva una direzione in cui andare ma voleva gestire con tenacia ed un pizzico di frustrata acrimonia l’esistente. Tutto negativo? Giammai. Il Collettivo ha salvato il Teatro Valle, ha creato una stagione culturale bellissima, strabiliante, innovativa, ha dato a tantissimi (in primis a me) la possibilità di fare un’esperienza indimenticabile. Non voglio che queste splendide persone perdano il Valle – anche se non gli appartiene. Voglio che smettano di scherzare e dicano veramente di cosa hanno bisogno. Poi il futuro dirà se hanno visto bene o male. Se si sono sbagliati, il Valle Occupato morirà. Senza inverno non c’è primavera. Loro sono stati un’estate insperata, il lavoro vero comincia ora, ma solo con l’onestà intellettuale.

8 gennaio 2012 – Oggi sono stato al Centro sociale di Via Berteto, presso via Kant, a Casl de Pazzi, a vedere la mostra di Taxigallery, organizzata da Claudia Sordi e Flora Contoli. Sono rimasto travolto. Innanzi tutto il Centro Sociale: mi ricorda in modo commovente la Comune di Deruta (Paolo, ti ricordi? Lelle, Chiara, che anni meravigliosi, e quanto vi invidiavo…) e il Pecorino Zen di “Verso Sera”, il film più dolce e romantico di Francesca Archibugi. Roma sembra lontana: un parco immenso, una casetta in mezzo al verde, tanta gente bella e triste, mamme come non ne vedevo più da 30 anni, ma non perché non ci fossero più, solo perché io ho lasciato la borgata… Un ex poliziotto che ha votato il Nano mi racconta in un soffio che sono in un covo di Coooomuuuniiiisstiiii, ma lui é “costretto” a venirci perché ha una figlia purtroppo molto malata e i “mangiatori di bambini amici di Stalin” sono gli unici che se ne occupano e la fanno star bene. Mi é sembrata la migliore risposta alla compagna del Newroz a Pisa che era così arrabbiata con chiunque accettasse compromessi. Lo dico con affetto, e senza ironia, né giudizio. Non credo al salvataggio della Classe Operaia. Credo al salvataggio di tutti noi Europei, a prescindere dal colore degli occhi, del passaporto, della pelle, della squadra di calcio, del partito di provenienza. Per vincere, in democrazia, bisogna essere la maggioranza – ed io credo fermamente nella democrazia. Quindi non bisogna erigere steccati, ma includere. Il problema é: bisogna includere con la forza delle idee, mai col ricatto, mai con il tifo calcistico o squadristico (non é un lapsus, é voluto), mai con la vendetta. Non si include odiando insieme, come vuole il PD, ma si include dimsotrando di avere una via d’uscita democratica che funziona, esattemente il contrario di ciò che PD, PDL, Terzo Polo, annessi e connessi offrono. Proprio per questo adoro Taxigallery. Alcune pilote di taxi hanno messo insieme una collezione stupenda di foto d’arte di fotografi che lavorano a Roma e la portano in giro sui loro taxi. Tu sali per caso su uno di questi e ti trovi in mano alcune delle opere, incollate su pagine nere, come le foto di famiglia di una volta. Tra le centinaia di foto che ho visto ne ricordo cinque sopra a tutte: la prima, una foto in bianco e nero, un muro screziato da un’umida povertà, in mezzo la fotina minuscola di un viso africano – l’ultimo contatto con la casa natìa di un lavoratore senegalese a Roma. La seconda, un uomo seduto a terra con in suoi gessetti che dipinge quadri sulla strada, fotografato in una posizione assorta e intensa, probabilmente minato dalla malattia, ma tutto preso dalla creazione, assente al mondo che lo circonda, quasi un ballerino, come il Dick Van Dyke di Mary Poppins. La terza: una fabbrica abbandonata in una valle sotto ad un quartiere, o un villaggio, che viene riconquistata dalla campagna ma allo stesso tempo ingentilita da una bucolica pace postuma. là dove si immagina lavoratori che hanno sofferto in condizioni certamente da cani, e per cui probabilmente quel mostro caduto é stata la vita per anni… La quarta: edifici gialli di memoria fotografati di riflesso su quelle che sembrano delle lastre di acciaio – che mi riportano alle estati allegre e spensierate degli anni ’60, quando quei colori dominavano il Super8 e la città era un giocattolo immenso da scalare, non la gabbia del Labirinto da cui uscirà il Minotauro. Una città che torna un sogno se vista alla rovescia attraverso il metallo, che metafora gentile… La quinta: una foto impossibile in grigio e bianco sporco su carta, un volto mascherato e deturpato dall’alienazione, come una cartolina di un secolo fa da una serie sul sadismo sessuale e la solitudine femminile – un atto di accusa. Ma anche questa gentile, come tutto il progetto Taxigallery: che mette lo sprovveduto, che va alle mostre sapendo già che frasi di circostanza dovrá dire, nella necessità di spiegare perché gli piaccia o dispiaccia una cosa capitatagli per le mani per destino, a sorpresa, perché il Taxi non lo scegli Tu, é lui che ti sceglie, quando non te lo aspetti. L’imbarazzo, la sorpresa dell’arte: la migliore risposta ai cosidetti artisti romani che ho incontrato in questi mesi, che organizzano vernissages solo per far ubriacare ragazze vuote nell’anima (che avrebbero voluto essere artiste e che invece sono sprofondate) e, portandosele a letto, dimostrare che il bungabunga di Berlusconi c’é anche nell’immaginario di questa pseudosinistra sciatta, volgare, che non crea più ma é protetta dalle cooperative e dalla politica emersa dal PCI, che ha uniformato ed annichilito tutto in una sorta di scaciatezza che vorrebbe essere Pasoliniana e che, invece, é solo schifosa e morta. Esattamente il contrario di Taxigallery, che, infatti, a certe mostre non la vedrete mai, e che non fa vernissage, e che non fa ubriacare nessuno, ma include, se volete, facendovi guardare i bambini che giocano in un prato e le loro mamme che bevono un caffé insieme e discutono della vita.

7 gennaio 2012 – Stanotte abbiamo concluso al Newroz di Pisa. Un gruppo di ragazzi davvero molto bello, la tentazione di cedere al romanticismo é stata grande. Alla fine del concerto tantissime critiche (alcune durissime e motivate), ma é stato il coronamento di tutto il tour, come tornare a casa dopo una lunga assenza di 35 anni. Le ragazze di allora, divenute donne, non solo non hanno cambiato il vocabolario, le speranze, le rabbie e le delusioni, ma le hanno cambiate in una nuova certezza. Come sempre ho traballato sul filo della saccenza, é ancora così difficile trovare un equilibrio, ed evidentemente il fatto di prendere posizione in modo deciso su così tante cose mi espone alla rabbia di chi si sente (giustamente) punto sul vivo. Un musicista che era nel pubblico mi ha consigliato di smetterla di confrontarmi con Gaber con il puntiglio di voler correggere quelli che considero i suoi sbagli. Come ha ragione! Da domani si comincia a preparare il disco, che uscirà in autunno, e poi il tour vero, grande, quello in cui cercheremo di imparare non solo dai nostri errori, ma anche dalla tenace difesa delle nostre idee. Nuove canzoni nascono, le nuvole lasciano il posto ad un cielo freddo e terso che promette una primavera sapida e generosa…

6 gennaio 2012 – E’ successo. Papà, dillo a mamma. E’ successo. Tuo figlio é nato. Il parto é stato eccitante, curioso, allegro, triste, doloroso, emozionante, lungo, estenuante, vigoroso. Ora ci sono anch’io. Ce l’ho fatta. la lunga rincorsa é finita. Oggi Dio mi ha messo una mano sulla fronte e mi ha detto: ok, va tutto bene, sei stato bravo. Ed ora, per la prima volta dopo 50 anni, posso andare a dormire senza la paura del buio e della solitudine. La vita che mi avete dato Tu e Silvana é un dono meraviglioso, sono un uomo fortunato, fortunato, fortunato.

5 gennaio 2012 – In Germania si dice: Dio punisce i suoi figli dando ascolto alle loro preghiere. Verissimo. Stamattina il Corriere della Sera, nella pagina romana degli spettacoli, mette il mio concerto di stasera accanto a Gabriele Lavia, unendo i due eventi con un unico titolo, Verità e Menzogna. Che bello. Ascoltando Gaber, che diceva: evitare di andare a vedere Gabriele Lavia non solo mi rende più felice, ma anche un uomo migliore, mi sembra tutto un sogno. Ho chiamato mia Papà, che mi ha detto: non andare sul palco ad autoflagellarti. Più o meno le stesse cose che mi hanno detto altri con altre parole. Davvero é questo ciò che sto facendo? Ma se non parto da me e dalle mie debolezze, come faccio ad esprimere in modo credibile la mia rabbia verso altre persone? Una possibile risposta: a nessuno interessa. Possibile, anzi, vero. Almeno finché rimango sul palco della vita quotidiana. Ma nella realtà vera, quella del palcoscenico, per due ore un altro essere umano può essere tentato di scoprire se stesso nel mio dolore, nel mio disorientamento, nella mia rabbia, nella mia inutile speranza e vanità. Lo so bene, devo imparare tutto. Quello di stasera, che per me é un punto d’arrivo insperato, un sogno difficile da credere, é solo l’ennesimo punto di partenza. Per questo, da oggi, la canzone in cui chiedevo scusa a Barbara non la canto più, oramai l’ho detto. Dato che lei non é mai esistita se non nei miei sogni e nell’occupazione che facevo della sua anima vuota e debole, ho fatto ciò che era giusto: chiedere scusa al fantasma, dato che la persona vera, se mai un giorno esisterà, non ricorderà nemmeno della mia esistenza. Ma la canzone d’amore vera, quella per Valentina, quella non smetterò mai di cantarla. Perché chiedere scusa a lei non é autoflagellarsi, ma cercare di far capire a tutti che, vivendo come eterni bambini, facciamo male alle persone che davvero ci amano. E non basta mai dire di aver fatto del nostro meglio, se il nostro meglio non era abbastanza. Papà, io non devo salvare il mondo, ma me stesso. Lo so che io mio ego é più largo del pianeta, e che se non faccio attenzione la mia pancia lo raggiungerà, ma se solo riuscissi a consolarlo ed a spiegargli che va tutto bene, avrei vinto la grande partita con la vita. Mi dispiace, ma io non so giocare per il pareggio. A stanotte, sogni e fantasmi miei, a stanotte

4 gennaio 2012 – Che stupenda serata… tanti amici, tanto affetto, e c’era Roberta: quanti ricordi di quando cantavamo insieme quelle canzoncine sceme che ora fanno parte di una cosa così grande… oggi c’ero, libero dalle gabbie strutturali, libero di dire ciò che sentivo. Agli “attori professionisti” ciò è piaciuto poco, per fortuna, il che vuol dire che sono riuscito ad eliminare tutte le leziosità, i manierismi, la perfezione del professionismo, ed é rimasto l’affanno sincero del ciccione che grida per dire la sua ultima verità incerta, come il dinosauro che piange i piccini perduti per sempre nell’avanzare della glaciazione. Il grido di “Una guerra in Medio Oriente”, le lacrime di “Valentina”, una signora che mi ha tirato uno stivale addosso per “Roma muore” – per una serata ho creduto di essere vivo e vero. Le parole di Francesca mi hanno fatto piacere, perché credo che abbia provato un interesse vero per il mostro che si nasconde dentro di me ed un minimo di compassione per il grasso che difende il mondo esterno dal suo prorompere. La perfezione dell’imperfezione. La tracotanza del dilettantismo, o magari l’autenticità scialaquona (“dentro questo spettacolo ce ne sono almeno tre”). Grazie davvero, perché siete sincere e mi avete onorato davvero della considerazione come se io fossi un vostro pari. E non lo sono. Ho cercato di far vedere l’anima nuda, con tutta l’arroganza e la vanità di un bambino timido. E quando ho visto i vostri occhi, prima ancora di udire le critiche, ho capito che ce l’avevo fatta. Chi se ne importa se professionalmente non ero “giusto”, mirato, limato, non so gestire le emozioni e via dicendo. E’ vero. Il teatro gestisce le emozioni. Quando sono sul palco però posso finalmente essere me stesso, sono stufo di gestire, e sono sul palco proprio per questo: per fare in modo che le emozioni gestiscano me. Mi dispiace che non ve la sentiate di salire con me sul palco al Valle, ma lo rispetto e credo che sia giusto, se ho capito la vostra idea. Qui, sulla riva del Rubicone, non ho bisogno di gettare i dadi. Aspettavo da 40 anni di attraversare il guado, la direzione l’ho sognata tutte le notti, ed ho la libertà, dato che non vivo di questo, di poterlo fare esattamente come lo sognavo – grazie al vostro aiuto ed il vostro affetto. Cri, Manu, Chiara, magari vi deludo, ma io sono felice come una Pasquetta con l’uovo sodo, il salame e la torta al formaggio. E stanotte, entrando in casa, ho incontrato me stesso e, invece di odiarmi, come al solito, mi sono abbracciato, pensando alle parole di Francesca ed al suo sguardo timido e prudentemente ritroso, ed ora lavoro allegro un paio d’ore prima di prepararmi ad Anagni. Teatro Valle, arrivo!

3 gennaio 2012 – Prima serata al Kollatino Underground, un lunedì sera piovoso, poco pubblico, ma attento. Il Teatro é così grande che mi sento un po’ sperso, non sono intenso come vorrei, anche la band resta un po’ spaesata. Dopo l’indimenticabile serata di Montebelli é difficile ricominciare, ma alla fine, con una buona serie di panne, finiamo la serata senza incidenti gravi. Ma io sono in grado di fare molto ma molto meglio, lo so bene. Mancava la rabbia, stasera, la stanchezza mi ha giocato un brutto scherzo. Il Kollatino, però, é un palco stupendo, sono orgoglioso di esserci, una grande acustica, poi Chris, Enrico e Myrko hanno fatto un suono ed una luce pazzeschi, sembrava di essere i Genesis ai tempi di Peter Gabriel, e forse anche questo mi ha un po’ impaurito. Bene. Più la strada é lunga, più ci sono possibilità di migliorare. Stasera sarà già differente, vengono tanti amici. Intanti crescono le critiche politiche: l’Italia non é solo quella che descrivo io, non si sputa su Roma, la sinistra era obbligata a sostenere il Governo Monti… purtroppo la penso in modo davvero diverso, ma é eccitante rischiare di far uscire dei ghangheri il pubblico ogni sera. Sono proprio uno snob…

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