L’amore negato
“Rimmel” (Francesco De Gregori) – 1975
A prima lettura, i testi di Francesco De Gregori risultano in spesso ermetici. In realtà il segreto del cantautore romano è proprio questo: suggerire una vita di cui tutti abbiamo vissuto le sfumature, cantarla come un aedo che ne conosce i confini ma non gli interni, che vengono colorati dalle emozioni del pubblico. “Rimmel” nasce così, in un’Italia in cui le canzoni d’amore uscivano da Sanremo o dalla Capannina, e in cui i sentimenti erano urlati in tutta la loro dirompenza e dolcezza, e di solito prendevano la forma dei bigliettini dei Baci Perugina o degli aforismi. In Italia quell’anno escono altri lavori molto particolari: “Banco” del Banco del Mutuo Soccorso, “Andare camminare lavorare e altri discorsi” di Piero Ciampi, “Il domatore delle scimmie” di Nada e al cinema troviamo pellicole dirompenti come “Amici Miei”, “Profondo Rosso”, “Fantozzi” o “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. De Gregori presenta una storia in cui chi ascolta arriva in ritardo, non a caso il pezzo inizia con la congiunzione “E qualcosa rimane…”: la storia è appena finita, se ne dipingono alcuni particolari – quelli appunto della fine – senza descriverne le motivazioni e i retroscena, senza un quadro completo. Siamo noi che lo completiamo con il nostro vissuto, le nostre cicatrici, il nostro dolore più privato e intimo. Immaginiamo cosa è accaduto prima o dopo questa storia, che volutamente viene chiamata “Rimmel” in omaggio al cosmetico femminile che allunga le ciglia e le fa nere, forzatamente lunghe, artificiali, non vere come questa storia dalle “pagine chiare e pagine scure”. Una storia d’amore che ha lasciato, come quasi tutte le storie d’amore, strascichi lenti e dolorosi, tormenti, cose che non si è voluto vedere, segreti inconfessati ma palesi, e proprio per questo il solo epilogo è “cancellare il nome della persona amata dalla facciata e confondere alibi e ragioni” in una indifferenza eretta a mo’ di difesa. Un testo eterno per ogni periodo storico, un manifesto del dolore come figlio dell’amore.
“Rimmel”
E qualcosa rimane,
fra le pagine chiare e le pagine scure,
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni,
i miei alibi e le tue ragioni.
Chi mi ha fatto le carte
mi ha chiamato vincente, ma uno zingaro è un trucco.
E un futuro invadente, fossi stato un pò più giovane,
l’avrei distrutto con la fantasia,
l’avrei stracciato con la fantasia.
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro.
ancora I tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo,
li puoi nascondere o giocare come vuoi
o farli rimanere buoni amici come noi.
Santa voglia di vivere
e dolce Venere di Rimmel.
Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi
se per caso avevo ancora quella foto
in cui tu sorridevi e non guardavi.
Ed il vento passava
sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona
e quando io, senza capire, ho detto sì.
Hai detto “E’ tutto quel che hai di me”.
È tutto quel che ho di te.
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro.
Ancora I tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo,
li puoi nascondere o giocare con chi vuoi
o farli rimanere buoni amici come noi.
(Francesco De Gregori)