Lo ripeto ogni volta, leziosamente. Non capisco nulla di cinema. Ma “Salaud, on t’aime” di Claude Lelouch mi ha commosso per quasi due ore, facendomi quasi trovare simpatico Johnny Halliday. Quanto a Sandrine Bonnaire, resta una delle donne più belle del creato, ed il suo sorriso è l’aurora alla fine di un’era glaciale. Il tema, ovviamente, mi tocca da vicino. Perdere i figli, perché la vita è così: per sbagli propri e debolezze altrui. Ma io non mi sarei suicidato, come il personaggio recitato da Halliday, perché quell’amore di montagna tra lui e Sandrine Bonnaire sarebbe stato il dono insperato che avevo atteso invano per tutta la vita. Invecchiare significa prendere commiato da tante cose, ordinatamente, una cosa alla volta, e questo film lo mostra in modo lancinante. Mentre l’aquila, la forza della vita, è indifferente a noi, vive di per sé stessa. Lo so. Se non l’avete visto non avrete capito nulla di ciò che scrivo. Ogni tanto scrivo per me stesso, per fare una carezza al Paolino dentro di me. Non posso fargli coraggio, ma posso fargli capire che so come si sente, e che mi accorgo ancora di tutto.

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