Dopo due anni di tensione, a volte di malattia, quindi di stanchezza tremenda, di malinconia, di sfiducia, proprio quando penso che la vecchiaia mi abbia colto impreparato come una scudata in faccia di un legionario di Vindonissa, eccomi qua. Una giornata, l’ennesima, di lavoro frenetico. Seduto su una poltrona all’aperto, un bicchiere in mano. Frrrr gli alberi, cirp fratini e rondini, il sole autunnale che scioglie la commozione ma non il sudore. A destra si vede in lontananza il mare. Odore di castagno e miele, ricordi docili di cose ancora mai viste, ed una sensazione di leggerezza che significa: il mondo, la vita, la tua anima inquieta, tutti si sono fermati, ma non trattengono il respiro, anzi. Come divelto da una picconata di affetto universale, il plesso risponde al sole, i polmoni si gonfiano, il cuore di più. Come cantò Violeta, “gracias a la vida que me ha dado tanto”. Impossibile essere soli, quando l’intero universo ti porta i refoli delle persone amate, e la piccola Mya, al telefono, dice che quando torna da me sarà così grande che potrà abbracciarmi tutto, non importa quanto sono grosso. Come se non lo facesse già adesso. La felicità è un attimo? Non lo so, è un autunno perfetto, come questo.

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