Piangiamo. Stretti a tante persone che non incontreremo mai, e che sono uguali a noi. Come abbiamo pianto, spesso con gli occhi gonfi di rabbia, per le vittime dei terremoti, delle inondazioni, dell’affondamento dei barconi, delle stragi di Stato, delle stragi di mafia. Quante vite sciupate dalla cattiveria, dall’incuria, dall’insensibilità, dalla cieca mancanza di umanità. Quante parti di noi, insostituibili, che non ci saranno mai più. Ho imparato dalla mia mamma che, quando muoiono tante persone in un colpo solo, devo dire ad alta voce i nomi, perché non divengano mai numeri. La burocrazia della morte è la fine della civiltà, la promessa che accadrà a noi ciò che abbiamo perpetrato agli altri. Ho già detto troppo, ma quando sto così male, per qualcosa su cui non ho nessun potere, la frustrazione amplifica il dolore. Vorrei che fosse esistita una Chiesa credibile che mi avesse insegnato a pregare e credere. Continuo, pertinace, a credere nell’uomo. Lo so, sono estrema minoranza. Ma almeno so ancora piangere, per loro, che apparentemente non conosco. Per me, che certamente non conosco abbastanza. Per l’uomo, che esiste per vivere e sbocciare di vita.

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