Non sono e non sarò mai allenatore della Roma, e non conosco i retroscena dello spogliatoio. Per me, Francesco Totti è il ragazzetto di 39 anni che fa gol a Manchester ed al telecronista inglese, che gli chiedeva come avesse fatto a battere in velocità due difensori, la cui età, sommata, superava a malapena la sua, rispose: “Ho pensato, a Francé, potrebbe esse l’urtima”, e così è stato. Come i due gol nell’ultimo derby in cui Spalletti lo abbia fatto giocare, ed i due gol contro il Torino, ed il telecronista Carlo Zampa che piange. L’ultima volta. Ma è anche quello che segnò il rigore contro l’Australia. Quello che, in un campionato in cui i “poteri forti” cercarono in ogni modo di danneggiare la squadra, lui fece due gol contro il Milan quando la Roma giocava in nove. Dopodiché ognuno ha un ricordo suo, proprio, indelebile. Ditemi pire che si è arricchito, che è un ignorante, che è un ragazzetto di quartiere che, senza il calcio, avrebbe vissuto una vita umile ed incolore. Sbagliate. Un capolavoro vive in sé, non dice nulla dell’artista che l’ha creato. Ci sono pittori, compositori, romanzieri, scultori che furono persone orribili, cattive, magari persino sciocche. Ma le loro opere d’arte vivono di vita propria. La carriera di Francesco Totti è un’opera d’arte, ma è di più. Uno che avrebbe potuto giocare ovunque, e non ha mai voluto lasciare la sua squadra del cuore. Ditemi pure che è stato furbo, che in questo modo ha sempre fatto come gli pareva. Sarà pure vero, chi se ne frega. Francesco è stato la Roma. Tra vent’anni, quando chiederanno chi fosse Spalletti, se lo ricorderanno solo i campioni dei quiz a premi. Ma tutti coloro che hanno visto Francesco lo racconteranno, e la sua opera d’arte resterà nella memoria anche di coloro che non hanno mai avuto la fortuna di vederlo far gol in campo. Pelé è il Brasile, Maradona l’Argentina, Beckenbauer la Germania. Francesco è di più: è una città morente, disgraziata, canaglia, sporca, volgare, sbruffona, ladra, romantica, disperata. Non ha il carisma di Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, ma è tuttora il simbolo della rivincita possibile. Ce vonno tutti male, ma ce la potemo da fa lo stesso. Alla facciaccia vostra, come piangeva Carlo Zampa. Alla facciaccia de tutti quelli che je vonno male, che ce vonno male. Siamo beceri e fifoni, dal 1849 in poi non siamo mai più riusciti a prendere in mano il nostro destino, siamo nati servi. Ma Francesco no. Ce l’ha fatta senza dover rinunciare a nulla della sua romanità, nemmeno della parte negativa. Non capite? Non fa niente. Guccini cantava dell’eroe che lui sognava dietro alla macchina a vapore. Noi sogneremo Francesco, per sempre, che abbatte a suon di gol l’arroganza del mondo, che dipinge un passaggio che rende inutile qualunque strategia altrui, che ti prende in testa, senza guardare, da 40 metri. Abbiatelo pure in antipatia. Chi se ne frega. Un solo grido, in piedi, a viso aperto: Un capitano, c’è solo un capitano. Per sempre.

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