Oggi avrebbe 110 anni. Invece è morto di cancro, come tutti i protagonisti ed il regista di “Il conquistatore” del 1955. Il film venne girato nell’Utah, a pochi chilometri da una base militare nella quale, durante tutta la produzione del film, venivano effettuati esperimenti nucleari. Era il vero simbolo dell’Americano Bianco, con i suoi film semplici e divisi chiaramente in buoni e cattivi, la sua famiglia fedele e sterminata (sette figli), il suo patriottismo, la sua apparente monocromatica unidimensionalità. Invece, come si vede nello spezzone che aggiungo a questo testo, era un uomo intelligente, spiritoso, conscio del suo ruolo, convinto di avere avuto fortuna. L’ho amato soprattutto in un film, “Un uomo tranquillo”, con Maureen O’Hara (1952), che rendeva onore ad una sua misurata ironia ed alla sua calma proverbiale. Oggi, un uomo così, non esiste più, anche se Robert De Niro ce l’ha messa tutta per riprodurre quell’aria da duro pieno di fragilità. Ma gli Stati Uniti erano così, potenti e fragili. Già negli anni ’50, nonostante la campagna pubblicitaria mondiale, l’America era uno dei posti più violenti, discriminatori, senza legge né solidarietà dell’intero Pianeta, oltretutto pronti a massacrare interi popoli per i propri interessi politici e quelli economici della sua aristocrazia industriale. Le contraddizioni sarebbero divenute evidenti con l’omicidio dei fratelli Kennedy, il disastro del Vietnam ed il Watergate. Invece John Wayne è rimasto pulito, ed il suo sorriso rimane tuttora un monumento stupendo a ciò che avremmo voluto essere, se ne avessimo avuto la benché minima possibilità. Oggi, i cowboys dei suoi film sono divenuti i Cavalieri Jedi. Non possono deluderci, come hanno fatto i cowboys e gli Americani Bianchi. Ma John Wayne non avrebbe mai recitato in Star Wars. Lui, sempre, ha fatto una cosa difficilissima, che dovrebbero fare tutti. Restare fedele a sé stesso.

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