Siamo a 25 anni dalla Strage di Capaci. A settembre saranno 35 anni dall’assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Giustamente, queste data vengono celebrate, perché i ragazzi sappiano, e la nostra generazione non dimentichi. Ma sappia cosa? Che sono esistiti i Buoni, che sono stati ammazzati dai Cattivi? Che quelli che eufemisticamente chiamiamo “i settori deviati dello Stato”, alla fine degli anni 70, accettarono la sconfitta del terrorismo ma posero il veto sulla sconfitta della mafia? Che il Maxiprocesso dimostrò che si sarebbe potuto sconfiggere il crimine organizzato, ma che poi tutto ciò che accadde dopo contraddicesse quel momento così simbolico? Che da allora in poi le campagne di delegittimazione abbiano ottenuto il risultato di farci dubitare su chi siano i Veri Buoni e chi i Veri Cattivi? Allora cerco di trovare un briciolo di chiarezza nella confusione imperante. La fine del capitalismo industriale, datata 1973, ha portato ad una crisi catartica della creazione di plusvalore. Da un lato ci si è gettati nella speculazione finanziaria, dall’altra nella ricerca di mercati produttivi e di servizi alternativi, nei quali ci fosse ancora uno spazio di crescita. Credo che saremo tutti d’accordo nel vedere che il crimine organizzato crea posti di lavoro e plusvalore. Credo che saremo d’accordo sul fatto che una delle sue forze sia l’esenzione fiscale e una fortissima adesione (una “corporate identity” lavata nel sangue). Saremo poi d’accordo che lo Stato, dal 1973 ad oggi, ha avuto l’esigenza, per mantenere il consenso elettorale, di trasformarsi in creatore di posti di lavoro fittizi che non obbediscano alle regole del capitalismo marxista, che sono ancora quelle che valgano: o crei plusvalore, o lo distruggi. Il tentativo estremo, avvenuto con le privatizzazioni, di invertire questo trend, è stato peggiore del male. Abbiamo annientato molti dei settori produttivi di traino della nostra economia, in testa l’agroalimentare, le telecomunicazioni e l’industria pesante. Anche in seno al crimine organizzato c’è stata una rivoluzione. La mafia siciliana ha perso il suo ruolo guida, e sui nuovi commerci ancora oggi corre appresso ai successi della Ndrangheta, senza raggiungerla mai. D’altro canto lo Stato ha avuto bisogno ed ha utilizzato i soldi del crimine per salvare l’attività di costruzione del consenso tramite la creazione ed il mantenimento di posti di lavoro fittizi. Lo fa oggi più che mai. Senza nessun freno inibitore, sempre più scopertamente, perché nel frattempo ci sono Stati (in testa USA, Cina e Russia) che hanno nazionalizzato il crimine organizzato e lo considerano un settore di punta e da proteggere della propria economia. Perché il crimine crea consenso senza fornire nulla in cambio: mettendo paura. Come faceva prima lo Stato, uccidendo cittadini, accettando che gli Stati Uniti compissero stragi sul nostro territorio, credendo che in quel modo avremmo evitato di finire come i Paesi dell’America Latina. E allora? Vogliamo ora affermare che poliziotti, investigatori e giudici siano morti per nulla, come dei coglioni, per non aver capito di quale gioco facessero parte? Nossignore, esattamente il contrario. Da Mario Pancari in poi: Mauro De Mauro, Pietro Scaglione, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Pio La Torre, Ciaccio Montalto, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Pippo Fava, Giuseppe Montana, Ninni Cassarà, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Mauro Rostagno, Rosario Livatino, Antonio Scopellito, Libero Grassi, Pino Puglisi, e tantissimi di cui non so o non ricordo il nome, sono morti in nome e per conto di un’idea di comunità umana, nell’ambito della quale si erano offerti di portare la responsabilità di aiutarci, di proteggerci, di fare chiarezza proprio sui Buoni e sui Cattivi. Se esiste ancora una speranza, per noi e per i nostri figli, è grazie a loro, è per l’immenso dolore che si prova ripercorrendo il loro percorso fino al supplizio. Se esiste un filo rosso che unisce la speranza con un’idea di correttezza, di umanità, di appartenenza alla società, è perché loro, morendo, l’hanno confermata. Dopodiché la politica cerca, da 25 anni, di farci credere che tutto sia confuso, sporco, ambivalente. Perché, come diceva Frank Zappa (già, proprio lui…), quando scopri che tutti – tu compreso – abbiano commesso una qualche marachella ed in nome di questa ti venga chiesto di accettare qualsivoglia complicità, ottenendo in cambio l’impunità, il denaro, il successo, la protezione, la società umana finisce. Muore tutto ciò per cui valga la pena vivere: amore, appartenenza, speranza, fede in un qualcosa cui tendere, con tutte le nostre fragilità, qualcosa che salvi noi e tutti, insieme, un’Arca dell’Alleanza. Chi mi dice che Falcone fosse un uomo come noi, con debolezze ed errori, rispondo. Certo, ne sono convinto. Ma lui, di fronte alla scelta vera, essendosi lui costruita una posizione dalla quale poteva incidere, ha fatto altro, e l’hanno ammazzato. E con lui sono morte persone che credevano nei suoi stessi valori e nella possibilità di una Verità credibile. Quei valori sono giusti. GIUSTI. Falcone ed i suoi collaboratori sono martiri di una religione che non ha chiese opulente e curie disgustose: sono martiri in nome di tutti noi, uno per uno. Della verità e della voglia sana e pulita di vita e di amore. Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi.

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