Angela Merkel tenta in tutti i modi di evitare di rendere troppo visibile la propria rabbia. Donald Trump, a Taormina, si comporta come purtroppo ci si aspettava: sbraita, insulta, non sa le cose, diffama, spara cazzate, se le rimangia, ne inventa di nuove. Chi si era (giustamente) scandalizzato per il comportamento di Silvio Berlusconi agli appuntamenti internazionali, resta senza parole di fronte a questo Presidente pazzo come un cavallo, narciso, violento, imbecille, bugiardo, disonesto. Trump rappresenta il punto più basso del degrado che, a livello globale, la democrazia è divenuta: una parodia che nasconde interessi di piccole lobby fuori controllo, che nell’equilibrio della paura (di una guerra, del terrorismo, di un disastro ecologico, di una crisi economica mondiale irrecuperabile) giocano a spaccare tutto, confidando sul fatto che gli altri faranno da contrappeso per evitare un olocausto ben più terribile di quello, già disumano, che risultò dai Campi di Concentramento nazista, dalla bomba atomica e dalle purghe sovietiche. Ma Angela Merkel è sincera e chiara quando dice: scordatevi gli Stati Uniti, non sono più un partner affidabile, dobbiamo farcela da soli. Ma parla (in parte) al vento. Di fronte a sé ha figli del sottopotere americano come Juncker, ma anche dei partiti finanziati dalle forze ultranazionaliste americane, come i Grillini in Italia, ma tantissimi altri partiti nell’Unione Europea, compresa la tedesca AfD. Ovunque, la democrazia è divenuta un paravento per una lotta senza quartiere tra lobbies, e per giunta aggravata dalla crisi globale, che dal 2008 sta – in cerchi concentrici che si allargano sempre più – retrocedendo il Pianeta e la sua economia agli anni del Medioevo preindustriale. Scopo dei governi, ovunque nel mondo, non è più risolvere i problemi, ma garantire (se possibile) la pace sociale mentre i potenti di turno si spartiscono le ultime briciole della torta. E se non è possibile, allora fuoco alle polveri. Trump si allea con i Sauditi e poi ci dice che dobbiamo sconfiggere il terrorismo. Un terrorismo armato dagli americani, finanziato dai loro alleati. Se ne frega delle ondate di migranti, perché sa che in gran parte sono una conseguenza del fallimento della politica americana nel Terzo Mondo – una politica che lui sta rendendo ancora più cieca ed egoista. Se ne frega dell’inquinamento, perché non lo capisce e crede che danneggi l’industria americana, che ha perduto (in parte) il treno dell’innovazione tecnologica. Noi italiani cosa possiamo e dobbiamo fare? Votare, avere un governo vero, ed un programma che ci porti fuori da questo dualismo becero e distruttivo. Bisogna fare da soli, con i tedeschi e i francesi. La Signora Merkel, che ha già ampiamente vinto le elezioni prima di farle, e che ha annientato la finta opposizione socialdemocratica, sia il dissenso interno, specie quello traffichino e filofascista della CSU, ora può parlare apertamente. Bisogna battersi per un fisco unico europeo, una polizia ed un esercito comune, Bisogna evitare il collasso che si avvicina, e che accelera per lo stesso motivo per cui avvenne in Unione Sovietica: dato che tutti falsificano tutti i dati, non sappiamo come stiano le cose veramente e viviamo in un immenso Far-West in cui le pistole sono scariche ci si scanna con le unghie ed i denti. Trump è il segno che la politica sia morta, ma Renzi, Grillo, Salvini e compagni cantante cantano nel suo stesso coro, solo stonano in un’altra direzione. Se davvero avessimo il coraggio e l’intelligenza di chiudere la porta in faccia all’America – come vorrebbe Merkel – allora esisterebbe una speranza. Riforma del Trattato di Maastricht, nazionalizzazione di gran parte dell’industria, chiusura delle banche che truffano e non svolgono più la propria funzione originaria, recupero della credibilità dell’informazione pubblica, stop alla farmaceutica ed alla chimica, puntare tutto sull’energia rinnovabile, capire che la piena occupazione sia solo una barzelletta del passato, imparare a trovare nuove soluzioni – e questo, con lo Scaramacai americano, è impossibile.

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