Il 25 giugno 1894, a Lione, cadeva il Presidente francese Marie François Sadi Carnot per una pugnalata dell’anarchico italiano Sante Caserio. Caserio l’aveva ammazzato perché aveva negato la grazia all’anarchico Auguste Vaillant, che a sua volta aveva messo una bomba che aveva causato una ventina di feriti ed era stato condannato a morte. Pietro Gori, l’avvocato di Caserio, venne perseguitato per questo e fuggì a Lugano, dove venne combattuta una lunga battaglia contro la sua estradizione. Nel 1895 il governo francese cercò di risolvere la questione con un attentato, ma Gori ne uscì indenne. Pochi giorni dopo, gli svizzeri arrestarono Gori e tutti i membri del circolo anarchico luganese e li consegnarono ai francesi a Basilea. Lì, a Lione, in galera, Gori scrisse la poesia “Il Canto degli Anarchici espulsi”, che nel 1899 venne musicata da Carlo Frigerio, il più importante anarchico della storia svizzera. Divenne la canzone che conosciamo tutti. Per cosa si battevano costoro? Per una società basata sulla libera associazione, e senza Stato o governo centrale, in cui la proprietà è un reato ed è possibile solo il possesso. Una differenza fondamentale: la proprietà è ereditaria ed è spesso garantita da regalie dello Stato. Il possesso invece è il risultato del lavoro in senso marxista. Una volta terminato il possesso individuale, la terra, gli immobili, le macchine, tutto, divengono proprietà comune, delle persone unite in associazione. Il fine della proprietà è quello di gerarchizzare la società, con la conseguenza di poter mandare le singole persone a morire in nome non della libertà, o della società, o della famiglia, ma di un’entità astratta che gestisce il potere attraverso l’aristocrazia nobiliare, politica, militare, industriale e finanziaria. Tutto ciò deriva da un libro pubblicato da Pierre Joseph Proudhon nel luglio 1840 (“Che cosa è la proprietà?”), che è stato messo all’indice da tutti i regimi illibertari: le monarchie, il bolscevismo, lo chauvinismo americano, il maoismo. Gli anarchici, da oltre cento anni, non commettono più attentati, anzi si sono quasi estinti, ma continuano ad essere tra i bersagli preferiti dei politici nemici della libertà: Berlusconi, Renzi, ma anche in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, in Russia, ovunque. Allora questa canzone, qui cantata da cinque ragazzi innamorati di un’idea, quando in Italia esisteva ancora la libertà, diventa un nodo alla gola, un dolore, un grido. Ricordando le parole di Carlo Frigerio e degli altri anarchici svizzeri, cui tanto dobbiamo noi tutti: non c’è libertà senza consapevolezza, responsabilità, partecipazione. Non vuol dire votare, quello è delegare. Parlo di prendere in mano la nostra vita, non di far finta che non ci riguardi, come facciamo adesso. Io sono contrario ai moti di piazza di Amburgo, che hanno dato alla Polizia la chance di passare da buoni contro un nugolo di cretini e di cattivi. Allora? Allora, adesso, come allora, l’esilio. Non parlo di emigrare, perché Gori e Frigerio dimostrarono con la loro vita che non c’era alcun posto in cui andare. Oggi nemmeno Carrara è più anarchica, e gli anarchici dell’ANPI stanno abbandonando questa vita, uno alla volta. L’esilio è, come dicevano Gaber e Sartre, una misura interna, intima, personale. Un dolore individuale, come la libertà calpestata – ad Amburgo come ovunque, oggi, nel Mondo.

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