Londra, il giorno dopo l’annuncio del Primo Ministro Theresa May, che ha invocato l’articolo 50 ed annunciato che la Brexit ci sarà nel 2019 e che il Regno Unito sarà durissimo nelle trattative con l’Unione Europea. Ha aggiunto che non tollererà spinte centrifughe dagli scozzesi o dai nordirlandesi (che sono in gran maggioranza europeisti). La sterlina crolla, i Paesi del Commonwealth scrivono terrorizzati alla Regina, il governo irlandese annuncia l’apertura di un dibattito parlamentare drammatico su riforme che forse verranno rese necessarie dal governo di destra inglese – perché verranno di colpo a mancare i soldi dell’interscambio commerciale. Il governo inglese tenta l’operazione eterna: quella di occupare spazio nel campo opposto, annunciando proposte di legge a sostegno delle classi più disagiate, visto che i laburisti sono spaccati come non mai. Cosa vuol dire? Partiamo dai Paesi del Commonwealth, ovvero 53 nazioni, sparse per tutto il pianeta, che vanno dall’enorme Australia (che ha una forza economica importante) a Paesi piccolissimi come le Seychelles, Mauritius, le Isole Vergini, Antigua, Bahamas, Bermuda, che vivono dell’interscambio commerciale e del turismo con il Regno Unito. Il crollo della sterlina, che non aiuta l’industria inglese a vendere (perché non esiste più), affoga le nazioni più deboli del Commonwealth. Le rimesse degli emigrati perdono valore, ed in Paesi come quelli dei Caraibi costituiscono il 18,5% del Prodotto Interno Lordo. L’Irlanda, di fronte a questa situazione, trema, perché l’Irlanda del Nord torna ad essere un punto di tensione e l’interscambio commerciale, come anche la bilancia degli occupati, pende dal lato negativo – il Regno Unito è da sempre il punto di riferimento dell’isola. Il PIL britannico Lordo crolla, ed in tre mesi il Regno Unito è stato superato dalla Francia. Siamo ad un passo dall’entrata in recessione, il governo dice che il bene delle banche non è il bene del Paese (ha ragione) e dice che passerà anche questa tempesta (ha torto). e comunque spera di farla pagare agli stranieri che lavorano a Londra, ed annuncia che da ora in poi chi viene da fuori potrà essere assunto solo dopo che abbiano avuto un posto gli inglesi. Non abbiate paura, non cambierà molto a causa di questo annuncio, perché gli inglesi i lavori che fanno gli stranieri non li vogliono fare. Ma cadranno i salari, e la povertà crescerà, come del resto previsto dalle banche e dalle poche industrie rimaste. Grandi gruppi come Deloitte stanno abbandonando Londra, le banche ragionano su possibili soluzioni alternative (perché hanno un bisogno disperato dei programmi di sostegno della UE), la logistica si sposta in Francia, ed esattamente in queste ore Danimarca, Francia ed altri Paesi decidono di approvare leggi fiscali simili a quelle che nell’ultimo quarto di secolo hanno portato la ricchezza nel Regno Unito. La Signora May annuncia che non accetterà più le decisioni della Corte Europea, perché non vuole prendere altri immigrati – ma in quel modo mette in ginocchio il sistema degli arbitrati e cambia profondamente le carte in tavola sul piatto della giustizia. Londra, da ora in poi, è come Mosca. Perché scrivo questo? Perché la Brexit, l’uscita dall’Unione Europea, è stata una follia che verrà pagata cara, ma soprattutto perché sposta il focus di chi guarda all’Unione Europea. Abbiamo bisogno di una UE vera, politica, democratica, che funzioni, con meno burocrazia, non avvelenata da un lobbysmo incontrollato, una giustizia che funzioni, un progetto per far ripartire l’economia. Nascondersi dietro la formula degli egoismi nazionali, dopo che le nazioni sono politicamente morte, non solo non risolve i problemi economici, ma li aggrava. E chi strilla contro la UE sarà la prima vittima di questa controrivoluzione annunciata.
Lascia un commento