– Scrive Davide Giacalone ed io concordo: “Quando Silvio Berlusconi descrive la Corte costituzionale quale consesso politicamente orientato e schierato con la sinistra, nonché pronto ad accogliere i ricorsi promossi da aderenti a Magistratura democratica (corrente di sinistra delle toghe), provo fastidio. So che la raffigurazione è realistica, ma i toni pulp contrastano con l’idea che ho delle istituzioni. Quando, però, trovo sui giornali pubblicità elettorale pagata da un presidente emerito della Corte, il quale chiede voti per sé e per “Bersani presidente”, oltre tutto facendo finta di non sapere che la Costituzione vigente esclude che qualcuno si candidi a presiedere il governo, quando vedo Giovanni Maria Flick far campagna elettorale proprio alludendo ai nove anni passati presso la Corte, avverto una certa nausea. Sto forse sostenendo che un ex giudice costituzionale non dovrebbe candidarsi? Sì, esattamente. Conosco a memoria la gnagnera sui diritti costituzionali che sono uguali per tutti, al punto che ci sono non solo candidati, ma oramai partiti dei magistrati, per giunta chiamati al voto laddove la legge esclude che possano essere eletti, ma conosco anche l’esito di tale improponibile disinvoltura: il massacro degli equilibri costituzionali. Piuttosto credo che molti non conoscano il dettato dell’articolo 135 della Costituzione, ove non solo si descrive il perimetro dei potenziali giudici avendo cura di sceglierli fra quanti si sono dedicati al diritto e non alle contese politiche, ma si aggiunge che non possono essere nominati una seconda volta. Perché? Non certo per non dare loro troppo potere, ma per renderli totalmente liberi nelle loro decisioni, talché non debbano in nessun modo compiacere chi (Parlamento o presidente della Repubblica) possa domani riconfermarli. Il giudice costituzionale deve essere totalmente libero, anche solo dal dovere pensare al proprio futuro. A tale scopo, oltre tutto, una volta uscito dalla Corte lo Stato gli garantisce il benessere e non pochi privilegi a vita. Ancora una volta: per riconoscenza? No, per evitare che pensi, nel giudicare, di doversi conquistare la riconoscenza di altri. Tutto questo va a gambe all¹aria se uno di questi emeriti prende i soldi che riceve per essere indipendente e li usa per gettarsi nella più naturalmente faziosa delle carriere, vale a dire quella politica. Non conta il giudizio sulla sua indipendenza odierna, conta, e moltissimo, quello sulla sua indipendenza passata. Come faccio a credere che lo sia stato se in lui batte il cuore di chi si schiera apertamente? Giovanni Maria Flick, inoltre, raggiunse la sfacciataggine di farsi eleggere presidente della Corte il 14 novembre del 2008, salvo decadere il 18 febbraio 2009. Il che non solo viola il citato articolo 135 (ove si stabilisce che il presidente rimane in carica per tre anni), non solo dimostra che pur di essere emerito è stato disponibile a far finta di fare il presidente, per soli tre mesi (Natale compreso), ma esclude che con questo straordinario curriculum sia persona che possa in alcun modo porre questioni sui privilegi altrui. Anzi, aspira a sommare quelli propri a quelli del parlamentare. Intanto vi annuncio il mio: dato che si candida in ben due collegi, Lazio e Piemonte, quale elettore nel primo avrò il privilegio di non votarlo. Lo condivido volentieri con i piemontesi”. Davide ha ragione, ma l’esempio di Flick è solo il passo successivo alla candidatura Ingroia, che pone solo apparentemente meno problemi di natura legale, ma a parte questi, è una mostruosità dal punto di vista dell’opportunità. Chi si è battuto per anni come magistrato come Silvio Berlusconi non può candidarsi contro di lui politicamente, oppure si da ragione a chi sostiene che la magistratura italiana sia politicizzata e che le inchieste contro il nano fossero a sfondo politico. Sapete che ne penso? Chi vota Ingroia lo fa coscientemente, da tifoso o membro di setta religiosa, sperando che le toghe fossero davvero rosse. La prima volta che verrà fermato perchè passeggiava accanto a dei dimostranti si accorgerà, troppo tardi, del suo tragico errore.

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