– Negli ultimi 50 anni avrò letto alcune migliaia di libri ed ogni volta mi sono chiesto come dovesse essere il romanzo perfetto da scrivere. Non ci sono mai riuscito, anche la mia biografia di Elio Borradori, più che un testo unico, è una serie di piccole storie, un capitolo dopo l’altro. In questi 50 anni ho letto libri meravigliosi ed indimenticabili. Molti. Ma pochi credo lasceranno un segno duraturo nella mia vita come “La Pazzia di Dio” di Luigi De Pascalis, edito dalla Lepre in Roma nel 2010. Innanzi tutto perché si tratta del “controromanzo” di una delle mie letture di ragazzino, “La Bella Avventura” di mio nonno, Enzo Jemma, che lo aveva pubblicato nel 1932. Se mio nonno descriveva la Grande Guerra, in linea con la linea fascista, come una grande avventura romantica con alcuni risvolti un po’ fastidiosi, De Pascalis racconta il Piave, Caporetto, l’Isonzo in pagine di una crudeltà breve, precisa, mai patetica, parlando di odori e colori, di sangue e vomito, della routine dell’orrore, della follìa omicida dei generali di ogni Esercito che se ne fregavano di mandare a morte centinaia di migliaia di cittadini in una battaglia di posizione impossibile da vincere, conclusa solo perché dall’Austria non arrivavano più truppe nuove – noi italiani eravamo di più e c battevamo per difendere le nostre famiglie, ma De Pascalis lascia che il suo protagonista abruzzese, Andrea Serra, incontri D’Annunzio, Francesco Baracca, ma non come eroi, ma come uomini. Eppure in questa bailamme di dolore, cui segue l’epidemia della spagnola che decimerà i sopravvissuti, Andrea Serra perde (quasi) tutto ciò che amava in modo irrimediabile, per sterminio, e perde una parte insostituibile di se stesso. Ma lo salvano le amicizie, il caso, l’educazione (quando resta da solo, vivo, per caso, solo perché non gli viene in mente di scappare, nel momento in cui la sua linea viene travolta). Lo salva il lupo che è nato dentro di lui, un lupo fatto di ombre, routine, spossatezza, stordimento, freddo, fame, dissenteria. Un lupo fatto di morte che lo aiuta a restare in vita. Un lupo che tiene la gioia come il più segreto dei peccati: “Non impiegai molto a capire che quella specie di brivido che provavo nel disegnare non lo provava nessun altro. (…) Insomma era una cosa solo mia, che mi allontanava dagli altri. Più tardi capii che questo succedeva non perché mi piaceva disegnare più che agli altri bambini ma perché mi incantavano cose del mondo per cui (gli altri) (…) non provavano il minimo interesse. Avevo scoperto la solitudine. Ho speso la vita ad abituarmici”. Insomma, il talento speciale che ti tiene in vita in un mondo che si sgretola ti rende solo. Una cosa che conosco benissimo, l’impossibilità e l’inutilità di comunicare alcune cose fondamentali della propria vita. E qui De Pascalis crea un miracolo consolatorio, facendo incontrare padre e figlio proprio in quel territorio inconfessabile, in un ospedale militare, a cavallo fra due vite, l’una che volge alla fine e l’altra che non riesce ad iniziare. Non sono la üpersona giusta per sostenere che “La Pazzia di Dio” sia un capolavoro assoluto. Sta di fato che se non esistessero “L’Uccello che gira le Viti” Marukani Haruki, “Storia della ragazza cattiva” di Vargas Llosa e questo libro stupendo di De Pascalis, io non saprei più chi sono io. E quanto sia profondo ed orribile il baratro che abbiamo di fronte. Chi oggi si prepara per ignavia e cecità alla nuova Grande Guerra deve leggere questo libro. E se non sa piangere, che muoia pure, perché gli anni a vaneire non risparmieranno la vita dei vecchi ciccioni come me e dei coglioni come loro.

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