– Vittorio Sgarbi e Giovanni Allevi sono due gemelli. Non capisco nulla di pittura. Di Allevi posso dire che, da mediocre pianista e compositore infantile e maldestro, è riuscito a contrabbandare la propria pochezza tecnica come stile naive. Con il tempo, da Keith Jarrett dei poveri, si è trasformato in una sorta di Gigi D’Alessio senza canto – e fin qui chi se ne frega. Ma lui e Sgarbi, per guadagnaris da vivere, dicono bestialità e cattiverie incomprensibili su persone di cui non posseggono né l’ingegno, né le capacità tecniche, né la statura artistica. Così come Sgarbi fin dai tempi di Maurizio Costanzo trovava la sua giustificazione artistica nella macchietta che ne fa Corrado Guzzanti, il miglior Giovanni Allevi (anche tecnicamente) è quello fatto da Checco Zalone. La gente che compra i dischi di Allevi, non capendo di musica (e non è un reato) si illude di partecipare al banchetto della fusion fra jazz e classica, mentre invece è semplicemente vittima di un’operazione commerciale – e fin qui chi se ne frega. Ma se Allevi, come Sgarbi, comincia a parlare di politica culturale ed insulta Beethoven, allora non resta che consigliargli, come prima vittima dell’epurazione, Giovanni Allevi. Uno che, se non ci fosse, non se ne accorgerebbe nessuno.

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