– Come sempre, dopo alcuni giorni di Tour, ci si sente estranei alla vita quotidiana e sembra sempre più difficile restare connessi con le cose da fare, sia professionalmente che emotivamente. Suonare consuma e nutre, vivere in una baraonda con tanta gente per altro parzialmente estranea crea allegria e fastidio. Insomma, dopo una settimana si vive e ragiona solo all’interno di questo tunnel spettacolare e si dimenticano impegni professionali, affettivi, burocratici. E fa un caldo che si crepa, ragazzi. Dato che il nostro cervello, pur non essendo un muscolo ma una macchina complessa, reagisce sempre allo stesso modo inopportuno, durante la notte ti metti a tirare le somme della tua vita, a cercare di prendere decisioni fondamentali ed radicali sul tuo futuro, a giurare odio, amore, indifferenza per questa o quella persona. Tutte sciocchezze. Il musicista in Tour è un bimbo perennemente ubriaco di se stesso che, alternando come una falena impazzita entusiasmo, adrenalina, vuoto e depressione, dopo alcuni giorni percepisce un solo stimolo: la stanchezza. Si dorme sempre di più. L’idea romantica delle vertigini immaginifiche di questo evento è surreale. Chi può, tra noi, comincia a ritagliarsi spazi di vera solitudine, andando a dormire altrove, in spiaggia altrove, a passeggiare altrove. Leggo i giornali, ma in testa mi rimane solo un rumore soffuso di estraneità corbelle. Non capite? Ahò, una settimana che sto a ggirà e ggià so completamente rincojonito. Augh.
Lascia un commento