Oggi mi sono cosparso il capo di cenere e mi sono preparato al peggio. Invece scopro che per un motivo incomprensibile vengo accolto con simpatia ed una dose di leggerezza che fa bene al cuore. Nessun rimbrotto, nessuno sfottò, anzi, nessun cenno alla mia disavventura della notte precedente. Sono uscito a fare una passeggiata ed ho verificato che di giorno in giorno cresce la sensazione di nuotare nelle mie scarpe: mi sono sgonfiato un po’ ovunque, ma soprattutto nei piedi e nelle gambe, sicché camminare diventa nuovamente una possente possibilità possibile. Ma nulla accade senza un effetto uguale e contrario: un acquazzone spaventoso ha trasformato me nel pulcino Calimero e le mie scarpe in una piscina olimpionica. Tornato in albergo battevo i denti e sono arrivato in camera che gocciolavo. Fuori c’era il Comandante Marko che aveva l’orecchio appoggiato alla mia porta. Stava spiando. Quando mi ha visto arrivare ha fatto un salto indietro. Ho pensato: non ci casco, ci dev’essere una spiegazione ovvia al suo comportamento, non ho nessuna voglia di mettermi in testa chissà che cosa e poi rendermi una volta in più ridicolo. Per cui sorrido, lui mi guarda imbarazzato. Gli chiedo: “Gjetur vrasëse?” Che vorrebbe dire, in albanese: ha trovato l’assassino? Spalanca gli occhi come se avesse visto un fantasma e scappa via. Gli corro appresso (insomma, corro, zompetto come un rospotto), lo raggiungo sulle scale, gli metto una mano sulla spalla. Mi risponde come un torrente in piena, purtroppo in albanese. Non capisco nulla, ovviamente. Ha il viso colmo d’orrore. Sbigottito, lo lascio andare. Le due gentilissime signore che rifanno le stanze sette giorni su sette mi hanno scosso e mi hanno detto: non ci badi dottore, quando era ufficiale dei servizi segreti albanesi ha visto troppe cose, non ci sta più con la testa. La moglie lo ha lasciato perché lui, tutte le sere, le puntava una luce in faccia e la interrogava sugli accadimenti della giornata, pretendendo che lei si ricordasse a memoria ed in ordine alfabetico tutti gli elementi che avevano costituito la spesa al supermercato ed il nome e numero di matricola di tutte le persone con cui fosse entrata in contatto. Come ho detto, non voglio credere nuovamente ad un thriller. Ci dev’essere una spiegazione logica. E queste due signore non sono testimoni attendibili: le adoro, hanno sempre un sorriso ed una battutina sulle labbra, tanto da essersi guadagnate il soprannome di Statler e Waldorf, gli allegri e bisbetici vecchietti che sbraitano dal palco del Muppet’s Show. Mi nascondo in camera e mi ripeto come un mantra: non c’è nulla di strano, nulla di sbagliato, nulla di sorprendente. Sono io che ho le rotelle fuori posto. Sarà l’andropausa tra il primo ed il secondo tempo della mia androvita. Chissà. Aspetterò. A tavola oggi c’era una specialità sorprendente: silicio alla multiple choice. Te lo trovi nel piatto, una polvere color grigio ferroso tutt’altro che appetitosa, collegata con un cavo ad un piccolo computer con tre tasti: 1) spaghetti alla carbonara; 2) melanzane alla parmigiana; 3) mozzarella in carrozza. Naturalmente spingo il terzo tasto. Il computer da l’ordine al silicio che si trasforma in tre piccole porzioni di pane intinto nella panna e l’uovo, fritto con dentro la mozzarella e le alici. Un profumo da far svenire. Lo addenti ed ha un sapore grigio e ferroso, il tuo palato ti dice che te stai a magnà zagaglie de silicio, ma gli occhi ed il naso contraddicono il messaggio della bocca, e tu, indeciso, mandi giù. Alla fine un bel bicchierino di Ava-Come-Lava, che serve a mettere in moto, se non la digestione, almeno lo smacchiamento e l’espulsione con le feci o chi ne fa le veci. I più coraggiosi accettano di esporsi alle radiazioni di una delle macchine del Centro Terapico, che promettono la subitanea trasformazione nell’Incredibile Hulk o nell’isteribile Bulk, un veleno che trasforma i mollaccioni in cuccioli di Schwarzenegger. Naturalmente ho deciso di soprassedere.

Lascia un commento