– Londra la vedo almeno tre volte l’anno da quasi un quarto di secolo. Ho visto cambiare la città, specie negli ultimi dieci anni, in una sorta di apparente gigantismo fatto di edifici strampalati ed immensi, di strade sempre più intransitabili, di biciclette nevrotiche e passanti autistici, gente con l’auricolare impiantato in testa che sorride o piange come se ce l’avesse con te e non ti vedrebbe nemmeno se gli sbattessi contro. Londra è per me il simbolo della non-esistenza. Di come sia possibile esistere chimicamente senza dover scendere a compromessi con la propria umanità. Proprio per questo motivo le persone che conosco sorridono con efficienza e distacco, hanno grandi occhi tristi pieni di solerte ed artefatto entusiasmo, conoscono non dieci scherzi, ma mille, e li usano a comando, sperando di occupare possibili pause di silenzio tra una sbronza ed il sonno, tra il lavoro e l’interminabile viaggio che li porta fin lì o li ricaccia indietro. Stavolta, pero. ho incontrato tantissimi ragazzi italiani. Uomini e donne intorno ai trent’anni che si erano stufati di vegetare a casa da mamma e papà e sono venuti qui a dimostrare a se stessi di aver guadagnato il diritto ad un’esistenza indipendente. Si vede subito che si sentono soli, ma sono pieni di orgoglio, giustamente, e di idee sul da farsi. A Gregorio di Torpignattara chiedo: Roma ti manca? E lui: mi manca la mia famiglia, ma so che questo distacco è necessario. Mi manca la Maggggica. Ma la noia, la frustrazione, la volgarità, l’inutilità di qualunque sforzo… tutte queste cose non mi mancano. Quando ho una crisi penso ai miei weekend romani degli ultimi dieci anni, passati a organizzarsi il sesso, l’alcool o entrambe le cose per noia. Ora invece tutto è cambiato. Ora leggo, vado a teatro, sono parte del mondo. Roma non lo è. Mi viene da pensare a quelle decine di ragazzi di vent’anni (o anche quaranta, purtroppo…) che ho conosciuto negli ultimi mesi romani: gente che vive a casa dei genitori, che sta alla soglia dell’analfabetismo, che non si interessa di nulla, che ha fatto di una stolida pigrizia uno stile di vita finanziato da chissà chi. Allora mi sveglio in questa Londra fredda d’autunno e penso: benvenuta, vita. Benvenuti, freddi inglesi infidi e cortesi, che avete alle spalle un’infanzia da incubo in quelle istituzioni militari alla Harry Potter, in cui siete stati violentati, irreggimentati, umiliati, annientati, e che ora cercate in questi appartamenti costosissimi, minuscoli e scomodi di far vedere che ce la state facendo, orcoboja. Benvenuti, e grazie di ospitare le navi di disperati italiani che, lasciate le coste alpine, invece di essere affondati a cannonate o a colpi di razzismo becero ed ignorante, vengono accolti e trattati alla pari, combattenti tra combattenti, fieri e tristi, ma con un futuro davanti, e non le rovine fumanti e puturulente del benaltrismo italico. Naturalmente io non parlo dello 0,1% dei giovani che si laurea a Pavia in fisica nucleare. Io parlo degli altri. Secondo le analisi dell’OCSE, quasi un italiano su due è un cosiddetto “analfabeta funzionale”. Secondo i testi americani di ricerca, il 55% degli italiani fra i 15 ed i 30 anni sta tornando verso l’analfabetismo. Personalmente conosco casi gravissimi nella mia famiglia e nelle famiglie di miei amici veramente intimi. Si tratta di ragazze e ragazzi che hanno ottenuto la maturità etc., ma che non hanno che 500 vocaboli scarsi, nessuna percezione di nulla, nessuna strategia sociale (non sanno descrivere come si sentono e quindi non hanno nemmeno gli strumenti per provare empatia). Questa è una tragedia di proporzioni bibliche. Questi ragazzini non sanno cosa fare della loro vita e si aspettano che noi adulti troviamo delle risposte a delle domande che loro non sanno nemmeno formulare. Ed ogni volta che restano da soli, senza controllo parentale, sono topolini inermi e disperati… dvclub.info/analfabetismo-funzionale-italia…/
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