– Un ragazzo che conosco fin troppo bene si è tolto la vita. Ci ha messo anni per farlo, sprofondando di passo in passo in un vortice in cui l’alcool, i sogni traditi, le bugie scoperte, la mancanza di forza e di capacità di mantenere i rapporti, dapprima professionali e poi umani, ci avrebbero dovuto far capire dove saremmo arrivati. Dove lui sarebbe arrivato. Per anni ce l’aveva fatta ricattando affettivamente con la sua debolezza, sottomettendo una donna che gli faceva da mamma, che lui puntualmente derideva e tradiva, costringendo amici a dargli del lavoro, per sopravvivere, che lui riusciva a consegnare dapprima con una bravura esaltante, e poi più nulla, mettendo tutti nei guai. Come potete vedere, sono furioso. Sono furioso perché era un ragazzo geniale, perché a lui mi legano oltre vent’anni di comuni amicizie, litigate, risate, ricordi. Scriveva dei testi bellissimi, indimenticabili, pieni di umorismo e poesia, che poi distruggeva, come ha distrutto se stesso. Non sono mai stato alla sua altezza, nemmeno nell’autodistruzione, che è sempre stata il mio vero mestiere. Ne piango lo strazio, il talento sprecato, il mio affetto e quello di tanti cui mancherà in modo indicibile, anche se da qualche anno lo vedevamo poco, si era “nascosto” in campagna. Piango un fratello che è stato al contempo Caino ed Abele di se stesso, piango la mia paura della morte, la mia gioia incontenibile di fronte all’amore ed alla vita, che troppo spesso mi sfuggono solo per la mia incapacità, anche se mi si offrono. Anche se gli si sono offerte. Come bimbi sdegnosi abbiamo rifiutato i doni di un cielo che ci aveva eletto preferiti ma complessi, pensierosi ed ombrosi. Piango per chi muore e non voleva, strappato dall’oscenità della violenza o della malattia al dono unico della nostra unicità. Animaletti deboli e ciechi, questo siamo. Non importa quanto ciccioni.
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