9 gennaio 2015 – RITORNO A BURU BURU – GIORNO 5, VENERDÌ
Oggi ultimo giorno del convegno “Guarire col pensiero”. Me ne sono tenuto rispettosamente alla larga, non avevo voglia di finire di nuovo sulla graticola, e poi mi sono accorto che quando sono fuori della mia stanza c’è sempre qualcuno che mi segue – o forse sono io che sono generosamente paranoico. Ma ero allegrissimo fin dal principio. Il venerdì è il giorno in cui il Komandante Marko mette la marijuana nel liquido per le mie inalazioni. La cosa si è risaputa al punto che anche due dipendenti della struttura sono venuti a sballarsi con me. Uno di loro è responsabile per le punizioni che mi vengono inflitte in palestra. La scelta di oggi: a) 40 minuti di cyclette a difficoltà 6 senza scendere sotto a frequenza 60; b) camminare a piedi scalzi sui chiodi + venti ripetizioni di rincorsa con la testa contro il muro a 8 secondi + 33 frustate che mi devo dare da solo (e mi fa sempre male il polso alla fine) + leccare due volte il pavimento del bagno turco (finalmente carboidrati e sudore plantare!) + recitare a memoria una canzone di Pupo. La mia scelta è stata ovvia: “la seconda che hai detto”. Alla fine, specialmente dopo aver recitato Pupo, sono un bagno di sudore e lascivia e quindi convinco la segretaria dell’istituzione (il medico oggi è venuto più tardi) a lasciarmi usare la bilancia. Signore e signori, ho perso sei chili e mezzo. Sei chili e mezzo! Sei milioni e mezzo di milligrammi!!! Lo so che i primi giorni va tutto più veloce, che si perdono i liquidi, che che che che mille volte che – ma io mi sento leggero come un monolite dell’Isola di Pasqua e cinguetto ditirambi in onore a Dioniso, ad Archiloco e ad Aristogitone (che non si sa mai). Quando mi sono seduto a tavolo e ci hanno scodellato una minestrina di polistirolo espanso alla gomma termica, e poi una fetta di coscia di colibrì in umido, ero davvero commosso ed ho mangiato tutto con gusto e partecipazione. Dopodiché sono uscito per strada ed ho cantato a squarciagola “Guarda che splendido dì” dalla versione italiana di Mary Poppins. Il mondo era mio. Magari non il mondo, ma San Marino. Magari non San Marino, ma via Onofri. Magari. Intorno a me nessuno, perché dopo la chiusura dell’Aeroporto di Rimini i russi non vengono più e dopo i recenti pasticci i faccendieri locali cercano di farsi vedere in giro il meno possibile. Oggi i cittadini della più antica Repubblica del mondo sono infuriati contro il loro governo, che ha reso obbligatoria una carta elettronica per il pagamento automatico dell’IVA che si chiama Smac, come se fosse un bacio da fumetti. Dopo pochi minuti il sistema elettronico Smac è andato in tilt e nessuno più, a San Marino, era più in grado di dare una ricevuta fiscale o anche solo uno scontrino. Allo stesso tempo il governo deve ammettere che la disoccupazione è salita al 9,27%, sicché cominciano ad alzarsi le voci di coloro che vogliono la cacciata degli italiani “che ci rubano il lavoro, molestano le nostre donne, commettono furti, fumano e spacciano droga, vendono collanine e borse abusive, abitano in più di trenta in uno scantinato e guidano auto che puzzano e vanno a gas”. Percepisco un fremito nel mio cuore: sarebbe il momento giusto per rimettere in pista il vecchio PUPU, il partito che l’estate scorsa si batteva per la restituzione di San Marino alla Croazia, ma poi penso di no, che sarebbe inadeguato, ci vuole qualcosa di più moderno. Su What’s Up una bella chat movimentista filo lamentosa chiamata “a stag a San Maroin” che sia da base per un movimento che parta dai social network con un nome poetico, tipo “i pavaioli” (le farfalle), che fa tanto scisci. Infatti mi metto a scrivere l’inno “io sono gay col senno del poy”, magari stanotte ce la faccio a finire, e domattina si parte: aria nuova, politica nuova, guai nuovi. Dimagrire scanta (nel senso siciliano letterale). Hopp.
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