Ci sono dei giorni in cui impari cose di cui non ti importa nulla o, più vigliaccamente, avevi cercato di tenere il più lontano da te la loro esistenza. Una persona a cui voglio molto bene, dopo avermi tirato le orecchie con una pinza rovente per quasi mezz’ora, mi ha parlato delle mie origini sconosciute. Fino ad oggi credevo che la mia famiglia paterna venisse per metà dalla provincia di Perugia, per metà da Roma, mentre quella materna per metà da Napoli e per metà dagli Stati Uniti. Macché. Pare che io sia originario della Montagna der Sapone, luogo mitologico in cui vivono appunto coleotteri come me che, dimentichi della sostanza caduca dell’essere, si limitino a frinire verso il sole in panciuta allegria. Così si spiegherebbe finalmente la mia tendenza a scivolare anche in assenza di bucce di banane. Ho guardato su Google ed ho scoperto che quell’esuberanza tellurica non solo sia il simbolo del pollo, del credulone o di quello che ignora volutamente, ma che sia anche il soprannome di Primavalle, che è per l’appunto il quartiere romano da cui provengo. Il che dimostra che questa persona, entrata prepotentemente nella mia vita nelle ultime settimane, sia mandata dal destino – visto che ora si ostina a gestire anche il mio decorso medico – e che parli in nome e per conto dell’Altissimo anche quando sembra che scherzi. Per questo non ho avuto il coraggio di chiederle del derby di domani. Meglio non sapere in anticipo. Comunque, per quanto riguarda il mio stato di salute, mentre costei continua a ripetermi che non supererò la notte se non inizierò a drogarmi di anticoagulanti, io continuo a perdere peso ed a sentirmi meglio. Rankxerox, il robot mutante responsabile per i miei trattamenti shiatsu, dice che le mie gambe si stanno schiarendo e che una breve sofferenza di stamattina, immediatamente corretta con un trattamento, fosse dovuta al fatto che ho lavorato tutta la notte seduto in una posizione sconveniente. Ma io, dall’alto della mia Montagna der Sapone, guardo sprezzante al pericolo e soprattutto non ho voglia di passare un paio di mesi in qualche ospedale romagnolo, dimenticato da tutti – e soprattutto dai clienti che finanziano la mia vita. Quindi continuerò a fare le analisi che mi suggeriscono qui, per poi affrontare gli affetti nosocomici (già, quelli che fanno nosoridere) quando tornerò a Roma, il fine settimana prossimo. Comunque la punizione del Cielo è venuta lo stesso. La settimana prossima mancherà il cuoco, quindi mangeremo presumibilmente tutti i giorni acqua tiepida col retrogusto di ricordo di minestra, sprazzi di schegge di mogano e castagno in salsa di carote omozigote (o visigote, che ci saranno anche le giornate della cucina tedesca), concetti di bianchetto Buffetti allo scotch pastrugnato: il dolce. Credo che berrò soltanto tisane, se davvero sarà così. Per intanto mi hanno preparato a questo e ad un altro avvenimento. Questa settimana ero quasi da solo a fare il “curista”, come si dice qui. Da domani ci sarà un gruppo di dodici sconosciuti, sicché avrò nuovamente il ruolo da Iscariota, il tredicesimo al truogolo. Non avrò più tutta l’attenzione dell’equipe medica, paramedica e metamedica tutta per me, ma dovrò dividere con altri. Peste li colga. Almeno, stasera, sono venuti a trovarmi gli amici da Bologna, e con Gianluigi ed Olga abbiamo passato un paio d’ore felici. Per questo pubblico con tanto ritardo. Mentre loro se ne andavano e la mia romantica mente andava con un fremito a Roma-Lazio di domani, l’ascensore si è bloccato fra il secondo ed il terzo piano. Minchia. La solita musichetta del cavolo (dapprima Samba Pa Ti in versione Spandau Ballet, dappoi Should I Saty Or Should I Go in versione Moody Blues) si ferma. Una voce bisbiglia “jutri bodo prejeli orožja in navodila” (domani riceverai le armi e le istruzioni in croato). Ecco fatto. Ci risiamo. Proprio ora che avevo deciso di fare il bravo ragazzo. L’ascensore riparte di scatto e vola fino al fatidico Quarto Piano. La porta si apre. La sala spoglia, che ricordavo bene, da cui si aprivano le porte sul lungo corridoio e sulla stanza della stireria, è ora un bombire di milioni di api, rinchiuse in enormi contenitori. C’è una spaventosa luce azzurrina ed un odore dolciastro. Terrorizzato, schiaccio disperatamente il tasto del Terzo Piano. Non accade nulla. Quindi esco e volo fino alla porta che da sulle scale. Per fortuna è aperta e, come se venissi giù in diretta dalla Montagna der Sapone, scivolo sulla moquette e faccio cinque scalini a rotoloni. Alla faccia di chi diceva che sarei morto di ictus, di trombosi o di infarto: invece muoio da alpinista, se va avanti così. Mi fa male tutto, ma sono in piedi. Il domani è un incubo di cui ancora ignoro i mostri, perciò rinuncio a proiettare e piroetto in camera mia. Brrrr.

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